Sgaravato, le speranze di Villa e il ricordo di Sara Piffer

11.02.2025
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Nel parlare con Asia Sgaravato, aleggia sempre un velo di tristezza e non potrebbe essere altrimenti. Asia è del Team Mendelspeck, lo stesso di Sara Piffer, la sfortunata ciclista ennesimo doloroso tributo alla strada. La sua scomparsa ha ferito profondamente il team che fatica a digerire quanto avvenuto, perché Sara, il suo sorriso, la sua fame di successi non potranno mai essere accantonati nella memoria.

Asia però cerca di trovare proprio nell’esempio di Sara la forza per andare avanti: «Stiamo cercando tutte – racconta la diciottenne veronese – di tirarci fuori dal dolore, di affrontare allenamenti e gare con entusiasmo perché sappiamo che lei avrebbe voluto così. E’ stato un duro colpo per tutte. Io avevo imparato a conoscerla come avversaria, lungo le strade d’Italia, eravamo state insieme anche in un ritiro in Trentino. Era una ragazza sempre disponibile, anche se eravamo avversarie, in ogni occasione non mancava mai una parola, un saluto. Ci manca molto».

Asia con Ivan Quaranta e le compagne Beatrice Bertolini e Carola Ratti, bronzo nel team sprint iridato 2023
Asia con Ivan Quaranta e le compagne Beatrice Bertolini e Carola Ratti, bronzo nel team sprint iridato 2023
Quando ti alleni la sua vicenda ti coinvolge anche dal punto di vista emotivo? Hai paura?

Allenarsi è sempre difficile, è sempre un rischio. Io mi alleno principalmente sulle strade della Valpolicella, non è mai semplice e ci metto tutta l’attenzione possibile, ma devo dire che da queste parti il ciclismo ha una tradizione solida, il che si traduce in abitudine degli automobilisti a trovarsi davanti ciclisti e quindi a metterci grande cautela. La paura però c’è, inutile negarlo, anche di più di questi tempi perché al posto di Sara potevo benissimo esserci io o chiunque altra fa questo sport.

Parlavi di attenzione, quali accortezze cerchi di usare?

A parte tutte le segnalazioni possibili anche nell’abbigliamento, anche quando siamo in due ad allenarci andiamo in fila indiana o affiancate ma molto strette, perché sappiamo andare in bici. Ma chi non è del mestiere? Una cosa ad esempio alla quale molti non prestano attenzione è la convivenza tra ciclisti e camion: quando questo sorpassa desta un forte spostamento d’aria se è vicino e è difficile restare in equilibrio, rischi di cadere e farti male. Peggio ancora se ci si allena per la cronometro: come tieni la bici sulle protesi? Chi guida dovrebbe provare la differenza, per capire.

Nella passata stagione la Sgaravato ha colto una vittoria e ben 8 top 10
Nella passata stagione la Sgaravato ha colto una vittoria e ben 8 top 10
Di te si parla molto come un ottimo prospetto soprattutto per la pista, lo stesso Villa ha avuto molti elogi. Come ci sei arrivata?

E’ stato un cammino parallelo a quello su strada, la particolarità però è che inizialmente facevo un po’ di tutto, nel senso che mi dividevo fra endurance e velocità. Anzi, il primo anno junior ero soprattutto nella velocità, ho anche fatto parte del team ai mondiali di Cali, come deputata alla chiusura. Mi allenavo di più però con le ragazze dell’inseguimento, ero quindi un ibrido. Poi dal secondo anno mi sono dedicata solo alle prove endurance. Anche quest’inverno ho lavorato molto su pista, grazie anche al Team Mendelspeck che ha sempre visto di buon occhio la doppia attività.

Tu hai provato i due diversi settori, hai trovato molte differenze?

Sì, sono due concezioni di lavoro diverse. I lavori per la velocità sono più brevi e intensi, quelli per le altre prove più legati alla resistenza. Difficile farli convivere, ma quel che ho fatto ha avuto il suo peso, tanto è vero che nel quartetto sono impiegata al lancio proprio per le qualità di esplosività che mi porto dentro. Partire forte è un po’ la mia specialità.

Le capacità esplosive della veneta l’hanno promossa al lancio del quartetto azzurro juniores
Le capacità esplosive della veneta l’hanno promossa al lancio del quartetto azzurro juniores
E su strada chi è Asia Sgaravato?

Una ragazza che si sta scoprendo pian piano. La cosa principale è che le due attività sono complementari, ognuna serve all’altra e quindi andrò avanti continuando a dividermi. Attualmente sto cercando di lavorare molto per migliorare in salita, anche a costo di perdere qualcosina nel mio spunto veloce perché ormai nel ciclismo moderno il velocista puro non c’è più, non trova spazio. Devo cambiare un po’ le mie caratteristiche.

Riesci a far coincidere le due attività?

E’ un po’ la mia sfida costante, riuscire a tenere in equilibrio strada e pista. Il fisico però si sta abituando, non mi pesa più così tanto. La pista la inserisco a metà settimana così spezza un po’ la routine, in modo da poter caricare prima e dopo. E vedo che i lavori su pista sono molto utili nelle mie attività del fine settimana.

Vittoria in solitudine alla Giornata Rosa-Latterie Inalpi nel 2024 (foto Ossola)
Vittoria in solitudine alla Giornata Rosa-Latterie Inalpi nel 2024 (foto Ossola)
Il team ti supporta in che maniera?

Segue costantemente la mia attività, ad esempio modula anche il mio lavoro su pista per non sovraccaricare le ginocchia. L’attività da velocista mi aveva lasciato questo piccolo “regalo” sotto forma di problemi alle articolazioni che richiedono attenzione nella struttura degli allenamenti. D’altronde la figlia del presidente, Elena Pirrone, faceva anch’essa pista, quindi nel team sono abituati a cicliste che fanno doppia attività, sanno che benefici porta.

Continuerai quindi con la pista?

Sì, sperando che arrivino le convocazioni azzurre desiderate e che sia possibile fare gare all’estero, perché sono quelle che ti aiutano a crescere. Il calendario italiano è troppo ridotto. Quest’anno però la mia preminenza iniziale è la scuola, ho la maturità e quindi fino all’estate dovrò far coincidere sport e studio.

La diciottenne si divide con profitto fra pista e strada e punta a una top 10 all’estero
La diciottenne si divide con profitto fra pista e strada e punta a una top 10 all’estero
Ti sei posta un obiettivo?

Vorrei tanto riuscire a centrare una top 10 all’estero, sarebbe la maniera migliore per farmi vedere. Io comunque darò il massimo in ogni occasione, che sia pista o strada, in Italia o fuori, perché su quest’attività ho investito tutta me stessa.

GS Stabbia: i 50 anni, l’arrivo di Di Fresco e la voglia di continuare

11.02.2025
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Dalle parole di Pino Toni, nuovo diesse al Team Casano, è nato lo spunto per questo articolo. La formazione juniores toscana per la stagione 2025 ha deciso di affiliarsi allo Stabbia, storica squadra giovanile della regione. Nella serata di sabato 7 febbraio, insieme alla presentazione della rosa e dello staff per la stagione 2025 c’è stato modo di festeggiare i cinquant’anni dello Stabbia. Una realtà che ha lanciato tanti ragazzi e che stava per chiudere, se non fosse stato per la lungimiranza di Giuseppe Di Fresco staremmo parlando di un’altra formazione giovanile costretta a chiudere i battenti. 

«In realtà – dice Luciano Benvenuti, presidente e uno dei fondatori dello Stabbia – siamo nati nel 1974, quindi avremmo dovuto fare la festa alla fine dello scorso anno. E’ andata così, e va bene, anche perché abbiamo potuto celebrare l’unione con il Team Casano e presentare la squadra per il 2025».

Giuseppe Di Fresco durante la festa per i 50 anni del GS Stabbia che corrispondeva con la presentazione del Team Casano 2025 (foto Giovanni Rastrelli)
Giuseppe Di Fresco durante la festa per i 50 anni del GS Stabbia che corrispondeva con la presentazione del Team Casano 2025 (foto Giovanni Rastrelli)

Punto di riferimento

La società Stabbia, che nasce in un piccolo comune in provincia di Firenze non lontano da San Baronto, è stata un punto di riferimento del movimento giovanile toscano per tanti anni. 

«Fino al 2007 – continua a raccontare Benvenuti – abbiamo sempre avuto le categorie giovanili: esordienti, giovanissimi e allievi. In tanti anni di attività siamo riusciti a ottenere più di 200 vittorie. Ma forse gli anni più belli arrivano proprio dal 2007 in poi, in quella stagione con una squadra di cinque allievi ottenemmo 22 vittorie su 39 gare disputate. Vincemmo il campionato nazionale, quello toscano, la Coppa d’Oro, il Gran Premio della Liberazione e tanto altro».

«Poi nel 2008 – prosegue – creammo anche la squadra juniores e da lì arrivarono tanti ragazzi forti e che ora sono professionisti affermati. Nel 2010 venne Alberto Bettiol che l’anno successivo con la nostra maglia vinse il campionato europeo a cronometro juniores e il Giro della Lunigiana. Ma non fu l’unico nostro successo in quella gara: due anni prima la conquistò Simone Antonini e nel 2017 Andrea Innocenti».

Alberto Bettiol da juniores ha corso con la maglia del GS Stabbia, erano le stagioni 2010 e 2011
Alberto Bettiol da juniores ha corso con la maglia del GS Stabbia, erano le stagioni 2010 e 2011
Poi come si è arrivati alla quasi chiusura?

Il 2019 è stato l’ultimo anno di spicco e nel quale avevamo una squadra numerosa dove contavamo una dozzina di ragazzi. Poi è arrivato il Covid ma eravamo già in fase di smantellamento. 

Come mai?

C’erano sempre meno ragazzi iscritti e anche il personale non era di livello. Il nostro diesse di riferimento, Tiziano Antonini, si era trasferito alla Maltinti per fare un’esperienza con la categoria under 23. Lui era il nostro factotum per la gestione dell’attività agonistica. Poi è cambiata anche la comunità.

In che senso?

Stabbia è un paesino di 2.000 abitanti nel quale tutti si davano una grande mano a vicenda. Siamo stati abituati bene (dice con un sorriso, ndr) perché avevamo tanti volontari pronti a sostenerci. Per anni abbiamo tenuto testa alle squadre del nord, più attrezzate e ricche. Ma quando poi manca il personale di livello i ragazzi non vengono più a correre. Siamo andati avanti fino al 2024 ma avevamo in mente di chiudere.

Fino a quando non è arrivato Di Fresco…

Mi ha detto: «Luciano, non si può far chiudere una società storica come la vostra, perché non venite a darci una mano a noi?». Così è nato il progetto di fare l’affiliazione in vista del 2025. Il Casano ha una decina di ragazzi, mentre noi diamo il supporto con i mezzi e un diesse. La squadra doveva essere in mano a Di Fresco, ma con il problema di salute che ha avuto dovrà stare lontano dalle corse. Al suo posto è subentrato Pino Toni che è una figura di grande esperienza. 

Con i colori della squadra toscana ha corso anche Vincenzo Albanese, qui al centro
Con i colori della squadra toscana ha corso anche Vincenzo Albanese, qui al centro
La decisione di chiudere era arrivata perché non si riusciva più a fare una squadra?

Si era arrivati a fare squadre sempre meno competitive, il nostro spirito non è solo quello di vincere, ma di divertirsi e di permettere ai ragazzi di essere competitivi. Da noi sono passati tantissimi campioni, come Vincenzo Albanese, Alberto Bettiol e Filippo Magli. Ogni anno c’erano corse e tanti atleti, ora i numeri sono scesi.

Come in tutto il movimento giovanile…

Se la Federazione non fa qualcosa di concreto la situazione diventa irreversibile. Nel 2024 in Toscana c’erano sette squadre juniores e solo otto di under 23. Non ci sono più ragazzi che si avvicinano a questo sport. Noi facevamo squadre da quaranta allievi, ora se ce ne sono dieci sono tanti. Alla Federazione chiediamo anche dei provvedimenti e di fare qualcosa per contrastare gli incidenti stradali. Leggere certe notizie non incentiva i genitori a far avvicinare i propri figli a questo sport. 

Nel 2017 arriva il terzo successo al Giro della Lunigiana per il GS Stabbia, questa volta con Andrea Innocenti (duzimage)
Nel 2017 arriva il terzo successo al Giro della Lunigiana per il GS Stabbia, questa volta con Andrea Innocenti (duzimage)
Collaborare con il Casano è un modo per provare ad andare avanti?

Per continuare a coltivare una passione che personalmente mi spinge da sessant’anni. Finché riuscirò resterò nel ciclismo, anche solo per dare una mano. Devo ammettere che quando è arrivato Di Fresco e mi ha parlato del Giro della Lunigiana mi ha conquistato subito. Ho un debole per quella corsa, sia per le vittorie ma anche da appassionato di ciclismo. 

Ha già avuto modo di vedere i ragazzi?

Oltre alla presentazione sì. Non siamo vicinissimi ma loro sono venuti ad allenarsi da queste parti qualche volta. Un paio di domeniche fa sono andato io a Massa, devo ammettere che ho visto dei ragazzi volenterosi e validi. Il ciclismo deve basarsi su questi elementi per avvicinare altri giovani e ripartire.

Quale futuro per Agostinacchio? Il WorldTour lo aspetta

11.02.2025
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Lo scorso anno, parlando con Stefano Viezzi al via della Coppa del mondo di Benidorm, capimmo che la sua squadra dei sogni fosse la Alpecin-Deceuninck per fare come il suo idolo Van der Poel. Per cui il friulano vinse il mondiale juniores di cross e firmò proprio per il devo team della squadra belga con cui ha corso le ultime gare di cross nel 2025 e con cui inizierà la prima stagione under 23 su strada. Allo stesso modo, ci siamo chiesti quale sarà il futuro di Mattia Agostinacchio dopo l’identica vittoria nel cross.

Il valdostano ci ha raccontato che le prime persone che ha sentito dopo il successo iridato sono stati suo padre, presente a Lievin, la mamma e il fratello Filippo rimasti a casa e il suo procuratore. Stava parlando di Omar Piscina, collaboratore di Giuseppe Acquadro. E proprio con quest’ultimo abbiamo scambiato qualche parola per capire che cosa ci sia nel futuro prossimo di Agostinacchio.

Giuseppe Acquadro, piemontese di Biella, è l’agente di Agostinacchio (foto ciclismo.com)
Giuseppe Acquadro, piemontese di Biella, è l’agente di Agostinacchio (foto ciclismo.com)
Qual è l’interesse delle squadre WorldTour per un corridore che vince il mondiale juniores di cross?

E’ abbastanza elevato, soprattutto se vedono che va forte nelle gare più veloci di cross, quelle che somigliano più alla strada. Le squadre sono molto interessate ai giovani che fanno la multidisciplina.

E’ cambiato qualcosa nella valutazione di Agostinacchio prima e dopo il mondiale?

E’ normale che l’attenzione sia aumentata, però Mattia era nel mirino già da prima. C’erano tre squadre, erano anche di più però ho deciso di lavorare con queste tre, interessate a lui.

Squadre interessate a mantenere la multidisciplina o che alla prima occasione lo sposteranno soltanto su strada?

Per adesso sì, manterranno il cross. Poi, dopo 3-5 anni, si vede com’è il corridore e come si sviluppa. Penso che Mattia sia un corridore adatto alle classiche. Bisogna capire quale tipo, se le Ardenne, quelle del pavé oppure entrambe.

Agostinacchio correrà da junior nella Trevigliese: dobbiamo aspettarci che cambi squadra durante la stagione?

No, no, deve fare i due anni da junior, ma non escludo che magari durante l’estate potrebbe fare un training camp con la squadra per la quale deciderà di firmare. In questo modo, inizieranno a conoscerlo meglio.

Mattina Agostinacchio ha trionfato nel mondiale juniores di cross non avendo ancora 8 anni
Mattina Agostinacchio ha trionfato nel mondiale juniores di cross non avendo ancora 8 anni
La prospettiva secondo te è un devo team oppure subito il professionismo?

Penso sia sicuro che andrà subito nel WorldTour, con un contratto lungo per permettergli di avere un programma di gare molto leggero per i primi due anni e poi, man mano, crescere.

Nella trattativa si potrebbe inserire anche suo fratello Filippo?

Ecco, magari il fratello potrebbe andare nel vivaio della squadra dove firma Mattia per vedere come cresce anche lui.

In che modo sei entrato in contatto con lui?

L’ho visto l’anno scorso in due o tre corse su strada, le poche che aveva fatto su strada. L’ho osservato nei video, l’ho visto dal vivo e a quel punto ci siamo detti con Omar Piscina, che lavora per me come scouting in Italia e un po’ anche all’estero nell’Europa del Nord, di provare ad avvicinarlo. Omar ha avuto il primo contatto con i suoi genitori già l’anno scorso, prima che esplodesse. Perché quando sono minori, devi passare attraverso i genitori.

Quali sono le due o tre squadre in ballo per prenderlo?

Per adesso non lo dico, ma se ci risentiamo tra un mese, vi dico tutto. Non sarà una firma vera e propria, ma un impegno con i suoi genitori e poi, appena sarà maggiorenne, sarà lui a firmare.

Hai parlato di un contratto lungo: parliamo di tre, quattro o cinque anni?

Al momento con i più giovani pensiamo a tre o quattro anni, forse tre sono il numero migliore. Poi bisogna vedere come si inserirà, l’ambientamento nella categoria, perché può andare subito alla grande o avere bisogno di un periodo cuscinetto.

Uran era uno dei corridori di Acquadro. Si è appena ritirato ma resta molto popolare in Colombia
Uran era uno dei corridori di Acquadro. Si è appena ritirato ma resta molto popolare in Colombia
Durante questo anno con la Trevigliese i vostri rapporti con Mattia quali saranno?

La Trevigliese è una delle migliori squadre d’Italia. Lavora molto bene ma, come dicevo, penso che Mattia farà un training camp per la squadra WorldTour in cui correrà. E loro magari cominceranno ad affiancargli il preparatore in modo da conoscersi e impostare il lavoro assieme.

Cambiamo discorso: come farai senza Uran? Ed è vera questa sua voglia di darsi al calcio di serie A?

Dopo il suo ritiro, ho preso altri corridori, vediamo se fra loro ci sarà il nuovo Rigo (ride, ndr). Era forte e matto, ovviamente in senso buono. Quanto al calcio, ha detto che gli basterebbe giocare cinque minuti in serie A. Non credo che immagini una carriera da calciatore. Estroso sì, ma con i piedi per terra.

Baima a Zolder: la campionessa juniores arriva tra le grandi

10.02.2025
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I campionati europei pista di Zolder sono alle porte, le ore che separano gli atleti dall’inizio della campagna continentale sono risicate. Tra le rappresentanti del movimento azzurro su pista ci sarà anche Anita Baima, atleta classe 2006 dell’Horizon Cycling Club. Al suo primo anno da elite andrà agli europei forte del successo iridato nell’eliminazione ottenuto in Colombia lo scorso agosto. 

«Anche a Zolder – racconta dall’hotel dopo l’allenamento in bici del mattino – gareggerò nell’eliminazione, anche se l’ufficialità degli impegni ci arriverà nelle prossime ore. L’eliminazione è la mia gara, nella quale riesco a destreggiarmi bene e che mi piace parecchio. La convocazione per questo campionato europeo è arrivata un paio di settimane fa, giorno più o giorno meno. E’ stato un avvicinamento sereno, sicuramente sono felice di essere qui a Zolder. La presenza a questo primo appuntamento della stagione era un obiettivo stagionale».

Dopo il mondiale di Cali nel 2023 Anita Baima nel 2024 ha conquistato il titolo europeo nell’eliminazione
Dopo il mondiale di Cali nel 2023 Anita Baima nel 2024 ha conquistato il titolo europeo nell’eliminazione

Continuità

Dopo aver preso la medaglia d’oro ai campionati europei e ai mondiali juniores, Anita Baima entra nel mondo delle grandi. I primi passi li aveva già mossi qualche giorno fa a Grenchen, nella prova su pista che era stata etichettata dalla nazionale come appuntamento per tirare le somme. In Svizzera la giovane piemontese si è messa subito in evidenza, con un terzo posto alle spalle di Martina Fidanza e Martina Alzini (foto di apertura). 

«Grenchen – continua Anita Baima – è stata una tappa fondamentale di avvicinamento. Ho visto come si corre e come ci si muove, devo ammettere di essermi trovata subito bene. Di certo fare esperienze del genere aiuta a migliorare. Arrivare con una gara del genere alle spalle mi permette di essere più sicura dei miei mezzi, sicuramente c’è da imparare tanto. La grande differenza tra le atlete juniores ed elite è sicuramente l’andatura, sulla quale penso di aver lavorato abbastanza durante l’inverno».

A Grenchen, il 30 gennaio, l’ultima prova prima della rassegna continentale
A Grenchen, il 30 gennaio, l’ultima prova prima della rassegna continentale
Come hai affrontato la preparazione invernale?

In maniera diversa rispetto agli altri anni, cosa dovuta al cambio di categoria. Di solito iniziavo ad allenarmi tra febbraio e marzo, ma visto che sono passata under 23 sono partita ad allenarmi già a dicembre. 

Tanta pista?

Molta, mi sono allenata anche su strada ma ho lasciato più spazio al parquet visto che ci sarebbero stati gli europei. I primi ritiri con la nazionale li ho fatti a Montichiari a partire da dicembre, tutte le settimane andavo una a girare almeno un giorno lì. Poi con l’avvicinarsi delle gare è capitato di farne di più.

Il test di Grenchen ha fruttato ottimi piazzamenti: 3ª nell’eliminazione, 2ª nello scratch e 7ª nella corsa a punti
Il test di Grenchen ha fruttato ottimi piazzamenti: 3ª nell’eliminazione, 2ª nello scratch e 7ª nella corsa a punti
Una volta saputo della convocazione com’è stato l’avvicinamento?

Abbiamo fatto un ritiro a Montichiari ma ero l’unica ragazza presente visto che le altre erano impegnate al UAE Tour Women. Con loro ho avuto modo di correre nell’appuntamento di Grenchen di fine gennaio. 

Com’è andato?

E’ stata un’esperienza utile anche se breve. Un passaggio importante in vista dell’europeo che mi ha permesso di capire come si corre in certe gare. La differenza si sente, ma credo di essere sulla buona strada. Correre con le ragazze che sono un punto di riferimento per la nazionale è stato parecchio motivante. 

Per Anita Baima l’appuntamento di Grenchen è stato un modo per trovare il feeling con la nuova categoria
Per Anita Baima l’appuntamento di Grenchen è stato un modo per trovare il feeling con la nuova categoria
Che aspettative hai riguardo l’europeo?

Arrivo tranquilla, non ho aspettative particolari se non quella di fare esperienza. Gareggerò contro ragazze molto più grandi ed esperte. 

Pensi di dover cambiare il tuo modo di correre?

No. La cosa importante sarà riuscire a mantenere ciò che facevo prima. Sono una che studia la corsa, non parto subito all’attacco. Poi posso contare su una buona volata visto che su strada sono una sprinter. 

La giovane piemontese arriva all’europeo di Zolder senza pressioni ma sicura del suo cammino
La giovane piemontese arriva all’europeo di Zolder senza pressioni ma sicura del suo cammino
Come si ammazza il tempo in queste ultime ore di attesa?

Tra poco andremo a girare in velodromo, abbiamo l’ultimo turno di prova perché aspettavamo l’arrivo delle altre ragazze dal UAE Tour. In linea di massima ho un’idea di quali rapporti usare, ma aspetterò di fare le ultime prove prima di decidere. E’ comunque un parquet sul quale non ho mai girato, vedremo come scorre. Per il resto le ore scorrono abbastanza velocemente tra allenamenti in bici, prove in pista e massaggi. 

Con il cittì Villa hai parlato di obiettivi?

Mi ha lasciata tranquilla, anche una volta arrivata la convocazione non mi ha messo pressioni. Lo stesso hanno fatto le mie compagne. Al momento le conosco poco, questa esperienza potrà essere utile per entrare in confidenza e far parte sempre più del gruppo azzurro.

Il pro’ e la scelta degli occhiali: ecco Gazzoli coi suoi Oakley

10.02.2025
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Nel mondo del ciclismo professionistico, ogni dettaglio conta. Gli occhiali non sono solo un accessorio estetico, ma un elemento fondamentale per la prestazione e la sicurezza. Per capire meglio come un corridore seleziona il proprio modello ideale, abbiamo parlato con Michele Gazzoli, atleta della XDS-Astana.

Il team kazako ha come partner tecnico Oakley, brand di riferimento per innovazione e design. La gamma dell’azienda californiana offre un’ampia varietà di modelli, ognuno con caratteristiche specifiche che possono fare la differenza in gara. Ma come si orienta un professionista nella scelta? Si tratta di un equilibrio tra visibilità, comfort, compatibilità con il casco e prestazioni aerodinamiche. E per i professionisti, ogni piccolo dettaglio può fare la differenza tra la vittoria e una giornata difficile in gara. E ora sentiamo cosa ci ha detto Gazzoli.

Nella scelta degli occhiali Gazzoli pone prima di tutto la calzata, poi l’estetica e l’aerodinamica (foto Instagram)
Nella scelta degli occhiali Gazzoli pone prima di tutto la calzata, poi l’estetica e l’aerodinamica (foto Instagram)
Michele, quali sono i criteri fondamentali nella scelta degli occhiali?

La cosa più importante è la versatilità. Oakley ha una gamma talmente ampia che ognuno riesce a trovare il modello perfetto. Ci sono corridori che ancora oggi usano modelli di dieci anni fa, come Alaphilippe con i Jawbreaker, che restano attuali e performanti. Personalmente, prediligo i Kato, perché sono perfetti per la mia conformazione del viso e mi garantiscono un’ottima visibilità. Alla fine, estetica e funzionalità vanno di pari passo.

Cosa rende i Kato il modello perfetto per te?

La calzata è fondamentale. I Kato hanno una struttura a maschera che segue perfettamente la linea del naso, senza interruzioni. Questo li rende molto avvolgenti e stabili. La caratteristica principale è che la lente è un monoblocco, con le stanghette direttamente collegate. Ogni corridore ha un modello che preferisce, ma la vera costante tra tutti gli Oakley è la qualità della lente. Ho provato tanti occhiali, ma la differenza con Oakley si nota soprattutto in condizioni di luce intensa.

Cosa intendi?

Con altre marche, il sole può essere fastidioso, mentre con Oakley la visibilità resta ottimale. E questo succede spesso quando si pedala controluce. Può essere davvero fastidioso, ci sono riflessi (di conseguenza ne viene meno anche la sicurezza, ndr), con questo brand tutto ciò non succede. A mio avviso è un bel vantaggio.

Come hai scelto il tuo modello? Prima hai parlato anche di estetica, ma la componente tecnica non conta?

No, no… conta eccome. Ho testato diversi occhiali, sfruttando il vantaggio di avere accesso a quasi tutta la gamma. Alla fine, almeno per me, la scelta si basa su due fattori: calzata e estetica. Per me la vestibilità conta per il 60 per cento, mentre l’aspetto estetico per il 40 per cento. Gli occhiali devono essere belli, ma soprattutto comodi. Durante la gara uso prevalentemente i Kato, ma anche gli Encoder sono molto validi.

Gli occhiali devono essere compatibili con il casco: un aspetto spesso scontato e non sempre casco e occhiali vanno d’accordo. A volte un certo casco non fa aderire bene l’occhiale. Come risolvi questo problema?

Vero, e infatti una delle caratteristiche migliori dei Kato è la regolazione delle stanghette. Si può modificare l’angolazione della lente per adattarla meglio al viso e al casco. Se hai un naso più basso, per esempio, o una forma del viso diversa, puoi inclinarli per migliorare la vestibilità. Un altro dettaglio utile è la linguetta, che non si vede, sulle stanghette. Questa aiuta a fissarli saldamente quando li appoggi sul casco durante una salita, magari. Sono piccoli accorgimenti che fanno la differenza.

Avete carta bianca anche sulla lente?

Sì. La lente è l’elemento più importante. In gara, quando hai il sole contro, come dicevo, una buona lente cambia tutto. Ho provato molte marche, ma con Oakley la luce viene filtrata in modo perfetto, senza abbagliamenti. Per ogni condizione atmosferica esiste una lente specifica: ci forniscono sia le classiche, sia quelle per la pioggia, che possono essere rosa o trasparenti. Inoltre, abbiamo potuto scegliere i colori della montatura e delle lenti per abbinarli ai colori del team.

Un pregio di Oakley è quello d’incastrarsi bene nel casco quando ci si toglie gli occhiali
Un pregio di Oakley è quello d’incastrarsi bene nel casco quando ci si toglie gli occhiali
Con occhiali sempre più grandi, come cambia la visione periferica? Spesso la montatura massiccia può essere fastidiosa…

L’assenza di montatura nei Kato garantisce una visuale periferica ottimale. Non ci sono ostacoli ai lati o sotto la lente, quindi la visione resta ampia e libera. Anche con altri modelli, come gli Encoder o i nuovi Sphaera, la struttura è progettata per massimizzare il campo visivo. Rispetto al passato, le lenti sono più grandi e la montatura, se presente, è posizionata in modo da non disturbare la vista.

L’aerodinamicità degli occhiali influisce sulla scelta?

Nel ciclismo moderno, l’aerodinamica è fondamentale. Anche se non ci forniscono dati specifici sui vari modelli, basta vedere quanto l’occhiale si integra con il casco per capire che ha un impatto. Quando il design si adatta perfettamente, si riduce la resistenza dell’aria. Non dico che diventi un tutt’uno, ma avere un’accoppiata occhiale-casco ben studiata aiuta sicuramente.

EDITORIALE / Il cuore di Bernal e le macchine perfette

10.02.2025
4 min
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In questo ciclismo che va a mille all’ora, proviamo per un istante a immaginare la fatica che ha dovuto fare Egan Bernal per rientrare nel gruppo dei primi, di quelli che vincono. Mentre Pogacar, Vingegaard, Roglic e tutti gli altri – pur alle prese con svariati acciacchi – costruivano le loro armature da supereroi, il colombiano della Ineos Grenadiers rimetteva insieme le parti sbriciolate del suo corpo. Ha provato a più riprese a rimetterci il naso, ma si è reso conto ogni volta che il livello degli altri fosse troppo più elevato della sua andatura claudicante. Come quando rientri e davanti attaccano ancora.

Gennaio 2022, Bernal comincia così la stagione dopo la vittoria del Giro (foto La Sabana)
Gennaio 2022, Bernal comincia così la stagione dopo la vittoria del Giro (foto La Sabana)

Velocità diverse

E’ un ciclismo che non perdona nulla, in cui uno scafoide rotto ad aprile ti fa crollare tre mesi dopo sulle Alpi del Tour. Come si poteva pensare che Bernal potesse già essere competitivo contro simili macchine da guerra?

Egan ha vinto il Tour nel 2019. Ha pagato il conto alla schiena nel 2020. Ha vinto il Giro nel 2021 e poi ha avuto il terribile incidente in cui al di là di ogni discorso sulle sue prestazioni future, ha rischiato di morire o di rimanere tetraplegico. Si è ricostruito. Ha avuto svariati interventi. E mentre era dedito a tutto questo, non ha avuto il tempo per applicare pienamente a se stesso tutte le migliorie tecniche, di preparazione e di alimentazione su cui gli altri hanno investito le loro risorse. Si è sempre pensato che anche il miglior Bernal non avrebbe avuto i watt per contrastare Pogacar: è possibile, ma certo il confronto non è mai stato alla pari. Solo lo scorso anno per brevi tratti ha mostrato lampi di ritrovata fiducia.

La prova in linea di Bucaramanga era lunga 237 chilometri, Bernal ha vinto a 39,921 di media con 2’16” sul secondo
La prova in linea di Bucaramanga era lunga 237 chilometri, Bernal ha vinto a 39,921 di media con 2’16” sul secondo

Vincere le gare

Ora Egan è tornato alla vittoria. I due campionati colombiani (a cronometro e su strada) probabilmente valgono meno di due gare WorldTour in Europa, ma tre anni e otto mesi dopo l’ultima vittoria, gli hanno dato la conferma di saper ancora staccare tutti.

«Era da molto tempo che non gareggiavo – ha detto scendendo dal podio – dal Tour de France e sarà una grande responsabilità indossare questa maglia in Europa. La vittoria mi dà molta fiducia. Quest’anno con i miei allenatori vogliamo rompere lo schema di venire alle gare per soffrire e soffrire. Il corpo mi sta rispondendo come prima e la mentalità è sempre quella di essere uno dei migliori: quello che voglio è vincere le gare. Ho già vinto Grandi Giri e so che per essere felice della mia carriera, mi manca solo la Vuelta».

Sul podio con Bernal, il secondo Camargo e il terzo Castillo. Quarto Einer Rubio della Movistar
Sul podio con Bernal, il secondo Camargo e il terzo Castillo. Quarto Einer Rubio della Movistar

Fra sogni e realtà

In patria gli consigliano di puntare più su corse adatte al suo livello, senza andare a stuzzicare Pogacar e Vingegaard al Tour. Pare che il programma della Ineos lo veda schierato al Giro e alla Vuelta, nell’ultimo anno di Geraint Thomas che reclamerà certamente una leadership e con Carlos Rodriguez che sarà l’uomo per il Tour.

La Vuelta sarà anche la seconda Grande di Pogacar e Vingegaard. E se davvero la maglia roja è l’unica che manca al colombiano per dirsi felice della sua carriera, la sfida di agosto sarà infuocata come una corrida. In questo ciclismo che va a mille all’ora, non ci sono più corse facili o meno estreme. Sarà così al Giro e anche alla Vuelta. E come tutte le volte che un campione ferito torna a sfidare i giganti – tolti dal mazzo per ovvie ragioni gli italiani che attendiamo con messianica fiducia – le nostre preferenze vanno inevitabilmente su di lui. Forse non è più nemmeno un ciclismo che autorizzi a pensare che i sogni possano realizzarsi, ma non è per questo che smetteremo di sperarci. Il ciclismo ha mille strade, facciamo fatica a convincerci del fatto che la scienza abbia creato delle macchine perfette.

Garzelli: «Valencia rialza la testa grazie al ciclismo»

10.02.2025
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La Volta a la Comunitat Valenciana è riuscita ad andare avanti, meglio: a ripartire. Dopo i danni provocati dalla DANA (l’alluvione che ha colpito la Regione di Valencia a fine ottobre) in pochi pensavano che gli abitanti di quella zona sarebbero ripartiti. Invece la comunità, unita, ha messo insieme le forze e radunato quel poco che era rimasto per rialzarsi. Ne avevamo parlato con Stefano Garzelli, il quale aveva raccontato e riportato storie e foto di un popolo colpito duramente. Pochi mesi dopo, esattamente tre, i danni si contano ancora ma la strada sembra meno in salita.

Riprendere

Stefano Garzelli, che a Valencia vive da anni ha costruito legami forti con questa terra. In questi giorni è stato in gara, ha visto e riassaporato il ciclismo prima di iniziare un’altra stagione ai microfoni della RAI come commentatore tecnico. Ma in questi giorni la corsa è stata un contorno, bello ed entusiasmante, ma i protagonisti sono stati altri

«Nei giorni di oggi (venerdì per chi legge, ndr) e domenica – spiega Stefano Garzelli appena rientrato a casa dopo la vittoria di Ivan Romeo ad Alpuente – le sedi di partenza di tappa sono due città colpite pesantemente dalla DANA. In totale sono quattro o cinque i Comuni colpiti che la corsa ha attraversato. Solitamente quando le città ospitano la partenza o l’arrivo di una tappa pagano, in questo caso la partenza alle due cittadine colpite (Algemesì e Alfafar, ndr) è stata lasciata gratuitamente. Tra l’altro due magazzini che contenevano materiale della corsa erano proprio in questi comuni. Casero, l’organizzatore della Volta a la Comunitat Valenciana, ha subito preso la situazione in mano con la voglia di ripartire».

Toccare con mano

Il ciclismo è uno sport che permette di valorizzare il territorio, questo lo si dice da anni quando si parla dei Grandi Giri, ma può anche essere un modo per non essere invisibili agli occhi del mondo. Lo si era fatto con il terremoto dell’Aquila, anche se poi questa iniziativa non aveva scosso le istituzioni nell’accelerare i tempi di ricostruzione. Tuttavia la Regione di Valencia ha un legame profondo con il ciclismo.

«Le immagini – prosegue Garzelli – mostrano che la gente non si è arresa, si è rialzata e ha lavorato ancora più duramente per ripartire. Far vedere certe immagini in televisione serve anche per far capire l’entità dei danni subiti e le perdite materiali. Ma una cosa del genere se non la si vede dal vivo si fa fatica a comprenderla. La vita qui continua, però si capisce che la gente ha vissuto qualcosa che si porterà dentro per sempre. Durante tutte le tappe si sono visti tanti bambini sulle strade, le scuole hanno voluto salutare il passaggio della corsa. E’ stato un modo per dare loro qualcosa di bello dopo mesi difficili.

«Dall’altro lato – dice ancora Garzelli – a Valencia il ciclismo lo si vive intensamente, soprattutto in questo periodo. Tra dicembre e gennaio sono venuti ad allenarsi su queste strade tutti i team WorldTour. Sia loro che gli staff hanno avuto modo di vedere e capire cos’è successo».

Le cicatrici

I danni si vedono ancora, basta guardare attraverso lo schermo e si vedono i segni della distruzione. Le strade sono risultate libere e pronte ad accogliere la sfida tra gli atleti, ma bastava spostare gli occhi sulle città per capire come il fango segnasse ancora muri e case. 

«L’altro giorno – conclude Garzelli – le telecamere hanno inquadrato una pila di duecento o trecento auto distrutte. Quelle sono tutte persone che hanno perso qualcosa, anche solo un mezzo per andare al lavoro. I segni sono ancora evidenti, il fango segna fin dove l’acqua è arrivata spazzando via tutto. Tanti negozi hanno ancora la serranda giù, oppure funzionano ma vedi le conseguenze di quanto successo. Il concessionario che fornisce le auto all’organizzazione ha perso trecento auto nuove in una notte, pensate al danno economico. Tanti ponti sono ancora impraticabili, con l’esercito che ha costruito vie alternative. La Volta a la Comunitat Valenciana è ripartita e ha fatto in modo che questa parte di Spagna non fosse invisibile, sta a noi non chiudere gli occhi».

Wiebes tra salite e sprint. Ma intanto spazio alla pista

10.02.2025
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Qualche settimana fa, al Media Day della SD Worx, la maggior parte dei giornalisti e delle conseguenti domande erano per la campionessa del mondo Lotte Kopecky e per la rientrante Anna Van der Breggen, vero nume del ciclismo femminile. Poi i giornalisti delle rispettive nazioni si sono accalcati intorno alle rappresentanti del proprio Paese, ma faceva un certo effetto vedere come una campionessa europea come Lorena Wiebes, primatista di vittorie della passata stagione, passasse quasi inosservata.

La vittoria di Wiebes nella seconda tappa del Uae Tour, conquistata in maniera diversa dal solito
La vittoria di Wiebes nella seconda tappa del Uae Tour, conquistata in maniera diversa dal solito

Famelica in gara, mite fuori

“Colpa” forse del suo carattere, che per chi non la conosce, per chi l’ha sempre vista in gara è quasi un enigma. Quando è in bici è un’autentica belva, sembra che appena sale sulla sella veda davanti a sé solamente il traguardo. Ha una fame di vittorie pari solo a quella di certi “cannibali” di ciclistica conoscenza al maschile. Ma poi, al di fuori, è tutt’altro. Sorridente, affabile, non si può proprio dire che se la tiri… Forse è per questo che pochi hanno colto alcuni segnali invece importantissimi in ottica stagionale. Il primo è che Lorena sta continuando in quella strada di parziale trasformazione delle sue caratteristiche, senza però per questo rischiare di compromettere le sue prerogative.

«Ho lavorato molto questo inverno – dice – per fare ulteriori progressi in salita, ma devo anche stare attenta a non inquinare le mie qualità di sprinter. Migliorare in salita può servire per allargare il range di prove dove posso giocarmi le mie carte, ad esempio le frazioni nei Grandi Giri, ma non sarò mai una ciclista da classifica generale».

Con Longo Borghini e altre due ragazze Uae. Per l’olandese tirare è diventata una buona opzione
Con Longo Borghini e altre due ragazze Uae. Per l’olandese tirare è diventata una buona opzione

Misurare sempre le energie

E’ una specifica importante soprattutto all’indomani dell’Uae Tour, dov’è stata protagonista assoluta. Ha vinto le prime due tappe e anche l’ultima. Nella terza, quella più dura con lo Jebel Hafeet, ha tenuto il ritmo delle più forti fino a poco più di 7 chilometri dal traguardo, poi ha tirato i remi in barca.

«Era sufficiente – ha spiegato – non sarebbe stato intelligente sfinirmi completamente soprattutto pensando che la tappa successiva, quella finale, sarebbe stata a me favorevole e io non avevo mai vinto la frazione finale dell’Uae Tour, cosa che poi ho fatto. Devo ragionare in questo senso, saper interpretare ogni corsa nella maniera giusta».

La leader della Sd Worx ora punta a tutte le classiche fino all’Amstel
La leader della Sd Worx ora punta a tutte le classiche fino all’Amstel

L’idea guardando il Garmin

Nella seconda tappa della prova araba lo ha fatto, anche andando un po’ contro le normali etiche ciclistiche, ma d’altronde in un panorama che sta cambiando velocemente è anche scontato.

«Mi sono ritrovata in un quintetto con 3 atlete della Uae. Era una situazione tattica ideale – racconta – ma eravamo lontanissime dal traguardo. Ho guardato il mio Garmin e ho ragionato: mancavano 50 chilometri al traguardo ma tenendo quella velocità saremmo arrivate in un’ora e il gruppo non aveva tante possibilità di viaggiare più forte di noi. Così ho deciso di dare una mano a tirare, lavorando insieme avremmo potuto portare la fuga al traguardo, pur sapendo che dietro c’era la mia squadra nel gruppo. Avevamo tutte da guadagnarci, io e Longo Borghini in primis».

La vittoria di Wiebes a Ballerup, ai mondiali su pista 2024. La sua prima esperienza ad alto livello
La vittoria di Wiebes a Ballerup, ai mondiali su pista 2024. La sua prima esperienza ad alto livello

Al Tour in aiuto di Kopecky

L’olandese ha chiuso con 3 vittorie di peso. Ha dimostrato che la cacciatrice di sprint non è cambiata: famelica, potente, sfrontata. Capace come poche di farsi largo nel gruppo, proprio come aveva fatto con manovre capolavoro all’ultimo europeo. E’ su quelle basi che ora pensa a quel che l’attende: farà tutte le classiche, con estrema curiosità per quel che potrà essere la Sanremo (il suo profilo tecnico sembra disegnato su misura per la Classicissima tutta da scoprire al femminile) fino all’Amstel, per poi disputare i tre Grandi Giri, con il tacito accordo con Lotte Kopecky di correre il Tour pensando anche a darle una mano e non solo alle vittorie di tappa.

Intanto però questa settimana c’è un altro impegno. Neanche il tempo di disfare le valigie di ritorno dagli Emirati Arabi che si va a Zolder, per gli europei su pista: «Voglio scoprire quali opportunità mi può dare il velodromo, qual è davvero il mio livello e, non lo nascondo, poter anche sfoggiare la mia maglia iridata nello scratch».

Una maglia iridata che è un suo obiettivo anche su strada. Ma non quest’anno, visto il percorso previsto
Una maglia iridata che è un suo obiettivo anche su strada. Ma non quest’anno, visto il percorso previsto

Mondiali 2025? Forse su pista

Lorena ha fatto bene i suoi conti: quest’anno i mondiali su strada sono off limits per lei viste le caratteristiche del percorso ruandese (ma anche quelle dell’alternativa svizzera di Martigny non sarebbero a lei adatte) e quindi ci sono opportunità nuove da esplorare, ancor più in una stagione come questa, che permette di sperimentarsi anche in chiave olimpica visto che i Giochi sono ancora così lontani.

«Gli europei saranno importanti anche in quest’ottica – dice – voglio vedere come me la caverò per poi prendere in considerazione un prolungamento della stagione fino ai mondiali su pista». Poi però concentrazione massima sulle classiche, quelle corse che da sole valgono una stagione: «Mi sono guardata intorno, io penso che la mia avversaria principe rimarrà Charlotte Kool, mentre sarà da capire che cosa potranno fare Chiara Consonni e Sofie van Rooijen con i nuovi treni per lo sprint tutti in costruzione». Neanche una parola per la Balsamo e sicuramente Elisa attende la prima occasione utile per ricordarle chi è…

Riecco gli Agostinacchio brothers: non nascondeteci nulla

09.02.2025
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Uno, Mattia, ha dominato la stagione junior portando a casa titolo mondiale ed europeo e sfiorando anche la Coppa del mondo. L’altro, Filippo, ha sorpreso tutti pilotando il Team Relay al titolo continentale e sfiorando quello under 23. Poi ha pagato dazio al mal di schiena stoppando anzitempo la sua annata nel ciclocross, ma ora è pronto per ripartire su strada. Gli “Agostinacchio brothers” non hanno minimamente intenzione di fermarsi. E mentre uno si gode i suoi momenti top, l’altro è in Spagna per preparare la stagione su strada dalla quale si attende molto.

Noi li abbiamo messi a confronto, attraverso un’intervista doppia, sottoponendoli a un fuoco di fila di domande, partendo innanzitutto da come hanno vissuto, nelle rispettive vesti, quel magico mattino di domenica scorsa.

Mattia e Filippo sul podio europeo del Team Relay. Una vittoria condivisa, prologo di una stagione super
Mattia e Filippo sul podio europeo del Team Relay. Una vittoria condivisa, prologo di una stagione super
Come hai vissuto il mattino del mondiale di Lievin?

MATTIA: «Io non ci credevo e ancora non ci credo a quel che ho fatto. Ho anche pianto per quella maglia, che ora tengo gelosamente in casa. La stagione dovrebbe essere finita, ma sarebbe bello avere un paio d’occasioni per indossarla visto che il prossimo anno, cambiando di categoria non potrò».

FILIPPO: «Io ero già in ritiro in Spagna, ma ho chiesto di fare un lavoro diverso, più leggero rispetto agli altri proprio per guardare in tv la gara di Mattia con meccanico e massaggiatore. Fino all’ultimo giro ero teso, quando poi ho visto che stava rimontando ero sicuro che lo avrebbe ripreso (il francese Bruyere Joumard, ndr) perché so che nel finale è un… cagnaccio».

Quanto è importante l’esperienza di tuo fratello nelle tue stesse specialità?

MATTIA: «Moltissimo per me, perché l’ho seguito sempre e cerco di apprendere da quello che fa, non fare i suoi errori in tutti i sensi. Penso di essere abbastanza bravo di mio, ma Filippo mi dà sempre consigli utili. In quanto alla tecnica ormai faccio quasi da solo, ma ci confrontiamo spesso».

FILIPPO: «Per me conta parecchio perché Mattia non è un ragazzo della sua età, ha già incamerato tanto ed è più maturo dei 17 anni che ha. Quando si tratta di cose tecniche ci confrontiamo spesso, alla pari e i suoi consigli sono molto preziosi per me».

Mattia Agostinacchio trionfatore a Lievin, un successo che ancora non ha metabolizzato
Mattia Agostinacchio trionfatore a Lievin, un successo che ancora non ha metabolizzato
Che cosa invidi a tuo fratello e che cosa apprezzi di lui?

MATTIA: «Invidia non saprei, potrei dire la caparbietà nel perseguire i suoi obiettivi, è un esempio da questo punto di vista. Apprezzo soprattutto il suo lato umano, essere sempre presente, ascoltare quando c’è qualche problema, qualcosa di cui voglio parlare».

FILIPPO: «Come persona non gli invidio nulla, lo sento pari a me. Sono solo un po’ geloso delle opportunità che ha avuto da junior: io alla sua età ero nel periodo del Covid che mi ha privato di una bella fetta di attività e ha influito sulla mia crescita come su quella della mia generazione. Mi ha tarpato le ali. Apprezzo molto invece la sua schiettezza: non si nasconde di fronte agli errori e mi parla sempre con sincerità».

C’è mai competizione fra voi?

MATTIA: «Quando ci alleniamo, viene naturale, nessuno vuole cedere all’altro. Se ci alleniamo insieme nasce sempre la gara. Dopo aver fatto i nostri lavori, però…».

FILIPPO: «Sempre, in allenamento, quando usciamo insieme finisce sempre che ci sfidiamo. A dir la verità è più lui a provocare…».

Filippo Agostinacchio all’ultimo Giro della Val d’Aosta. Ora punta a una grande primavera su strada (foto DirectVelo)
Filippo Agostinacchio all’ultimo Giro della Val d’Aosta. Ora punta a una grande primavera su strada (foto DirectVelo)
Ami più il ciclocross o la strada e perché?

MATTIA: «Non posso fare una differenza, mi piacciono ambedue, anche ora che sono campione del mondo non saprei scegliere. Alla strada tengo davvero tanto, il futuro è lì».

FILIPPO: «Entrambe per me, perché ognuna a suo modo ha fascino, quel che conta è adattarsi. A livello di atmosfera che si vive in gara, però, il ciclocross non ha eguali».

Ti piacerebbe in futuro militare nella sua stessa squadra anche su strada?

MATTIA: «Sicuramente, non sarebbe male poter condividere le nostre esperienze anche al massimo livello. Penso che sarebbe un grande aiuto per entrambi, per continuare a crescere».

FILIPPO: «Sarebbe bello, capita abbastanza spesso nel ciclismo che i fratelli si ritrovino nello stesso team. Qui però devo sottolineare un aspetto: sta a me arrivare dov’è lui, perché so che Mattia ha un livello prestativo altissimo e questo si tradurrà in grande interesse dei team pro’. Io devo essere abbastanza bravo da solleticare la stessa attenzione».

Anche su strada Mattia si è fatto vedere, qui è 2° alla prima tappa del GP Ruebliland (foto organizzatori)
Anche su strada Mattia si è fatto vedere, qui è 2° alla prima tappa del GP Ruebliland (foto organizzatori)
Un’esperienza all’estero la fareste insieme o da soli?

MATTIA: «Corriamo spesso all’estero, con la Guerciotti abbiamo fatto già esperienze fuori dai confini, ma militare in una squadra di un altro Paese è un’altra cosa. Sarebbe interessante, sicuramente sarebbe meglio per potersi abituare con più calma a un ambiente diverso, con una lingua differente».

FILIPPO: «Non ci sarebbero problemi nel farla insieme e sarebbe un’esperienza molto importante, soprattutto come crescita personale prima ancora che sportiva. Ripeto, sta a me guadagnarmi questa chance».

Per Filippo il podio alla Freccia dei Vini 2024, 3° nella gara vinta dall’inglese Woods (foto Newspower)
Per Filippo il podio alla Freccia dei Vini 2024, 3° nella gara vinta dall’inglese Woods (foto Newspower)
Che cosa ti aspetti ora da questa stagione?

MATTIA: «Io non mi aspetto nulla di particolare, voglio solo continuare a crescere divertendomi. Credo di essere ancora in una fase nella quale posso farlo, anche se so che essere al secondo anno junior è importante per guadagnarsi un futuro. Ma credo che mi sto già facendo conoscere».

FILIPPO: «Io molto, non lo nascondo. Voglio partire forte, già nelle gare di marzo e aprile perché questa è una stagione cruciale per potermi guadagnare un contratto da professionista».

La vittoria del mondiale juniores di Leivin è (finora) per il piccolo Agostinacchio il ricordo più bello della carriera
La vittoria del mondiale juniores di Leivin è (finora) per il piccolo Agostinacchio il ricordo più bello della carriera
Qual è il primo momento bello in bici che ti viene in mente?

MATTIA: «Beh, non potrei dire altro che il mondiale, quel momento magico quando ho capito che la maglia sarebbe stata mia…».

FILIPPO: «Sicuramente la giornata dell’europeo e non lo dico solo per la mia medaglia d’argento, quasi inaspettata, ma perché coincise con il suo oro junior. Poter condividere le nostre gioie è stato il massimo».