Guardando l’ordine di arrivo de l’Ain Bugey Valromey Tour, prova a tappe francese del calendario juniores, si rimane impressionati: è un vero campionato del mondo per le corse di più giorni, con un podio regale (1° l’iridato Withen Philipsen, 2° il francese Seixas, 3° il nostro Finn) considerando che la partecipazione era riservata non a selezioni nazionali, ma a squadre di club. Fra questo c’erano anche due team italiani e uno di questi era la Ciclistica Trevigliese (in apertura foto Simona Bernardini).
Una presenza, quella della formazione lombarda, non casuale, come spiega il suo diesse Luca Damato: «Avevamo già partecipato lo scorso anno, prendendo contatti con la società organizzatrice. Ci siamo trovati bene e loro sono rimasti soddisfatti delle nostre prestazioni così abbiamo programmato il nostro ritorno, La gara francese è per noi la punta di uno sforzo che affrontiamo per tutto l’anno. Noi non puntiamo alle gare regionali, non c’interessa raccogliere il maggior numero di vittorie in gare facili, il nostro interesse è far crescere i nostri ragazzi in un contesto adeguato, far capire sin dalla loro giovane età che cos’è il ciclismo di alto livello».
Affrontate però un livello altissimo per questo…
E’ importante che i nostri si confrontino con il massimo della categoria, quindi con squadre che dietro hanno tutto il peso e l’esperienza delle formazioni WorldTour. Gare così, con un livello simile di partecipazione e con percorsi così selettivi, in Italia non le trovi. Al di là dei risultati, diventano esperienze di vita: alcuni di questi ragazzi proseguiranno e faranno del ciclismo il loro mestiere, altri un domani potranno dire di aver pedalato con i migliori, con quelli che in futuro, ne siamo sicuri, saranno protagonisti in tv.
Quanto costa una trasferta simile?
Considerando tutto abbiamo speso intorno ai 4.000 euro, il che in un budget come il nostro è un investimento importante, che ne assorbe una larga fetta. Ma come detto è importante per far crescere i nostri ragazzi, considerando anche che ormai si sa come procuratori, osservatori, team professionistici guardino alla categoria junior perché l’età generale si è abbassata.
Con quanti mezzi e quante persone siete partiti alla volta della Francia?
Eravamo con 6 corridori più io e un altro responsabile, un fisioterapista e un meccanico. Avevamo un furgone più l’ammiraglia. Ogni corridore disponeva di una bici per la gara più un muletto. Insomma, è stata una trasferta impegnativa, ma bisogna dire che rispetto allo scorso anno avevamo dalla nostra molta esperienza in più e sapevamo muoverci meglio.
A conti fatti che esperienza è stata?
Lo scorso anno siamo stati più fortunati a livello di risultati con una vittoria di tappa e la classifica dei traguardi volanti. L’avvicinamento però non è stato semplice, con 3 corridori, tra l’altro quelli su cui puntavamo per la classifica che hanno avuto problemi di salute proprio nell’immediata vigilia della gara. Agostinacchio poi ha avuto problemi alle tonsille che l’hanno costretto al ritiro nella prima tappa. I ragazzi si sono ben disimpegnati, Bosio ad esempio ha chiuso la prima giornata al 6° posto. In generale bisogna dire che i primi andavano davvero fortissimo e che le squadre principali hanno un po’ “cannibalizzato” la corsa. Al di là dei piazzamenti, come quelli di Bosio stesso e Donati nei primi 10, quel che conta è però aver visto i ragazzi crescere e migliorare dalla prima all’ultima giornata.
Confrontandosi con gli altri che deduzioni ne hanno tratto?
Che c’è una grande differenza rispetto alle normali corse che si affrontano, per i ritmi sostenuti e per i percorsi. E’ una corsa molto dura, quasi uno shock per le andature tenute e sì che i nostri erano tutti atleti con alle spalle esperienze anche in nazionale. C’è un grosso gap, ma dobbiamo considerare che molti di quelli affrontati erano team inseriti nelle filiere WT.
Da quest’anno però il calendario italiano presenta più appuntamenti a tappe…
E’ questa la strada per colmare quella distanza. E’ fondamentale investire sulle corse a tappe perché è lì che un corridore si forgia. Le prove regionali, le tante corse d’un giorno arricchiscono solo il numero delle vittorie, potranno far felice lo sponsor ma ai ragazzi servono poco. Dobbiamo anche prendere esempio da organizzatori come quelli dell’Ain Bugey Valromey, quasi un Tour in miniatura, con un’attenzione spasmodica per la sicurezza. Dobbiamo seguire l’esempio e investire anche in Italia sulle corse a tappe perché i percorsi per farlo ci sono. Per i team sarà un impegno economico non di poco conto, ma serve…