Lo scatto di Egan Bernal sullo sterrato di Campo Felice è stato uno dei momenti più entusiasmanti del Giro fino ad ora tanto da far scomodare paragoni con Marco Pantani o, più recenti (e meno blasfemi), con il numero di Van der Poel alla Strade Bianche. Gran merito di questa esaltazione è da attribuire alla difficoltà del gesto, eseguito su un suolo insidioso dopo una tappa durissima. La prima reazione di tutti è stata: «Ma come ha fatto?».
Noi abbiamo provato a rispondere, perché quell’entusiasmo di tutti è stato anche il nostro. Per farlo ci siamo avvalsi di Michele Bartoli che con il colombiano ha lavorato al debutto tra i professionisti e che a sua volta da corridore ci ha lasciato più volte increduli con azioni impossibili su terreni difficili. Con lui analizziamo l’aspetto tecnico e fisico della accelerazione del corridore della Ineos.
Grazie mountain bike
Partiamo dall’inizio: manca un chilometro e mezzo al traguardo, Bernal parte da seduto, poi mette il 53 e si alza sui pedali. E’ il momento dello scatto.
«Questo è stato il suo primo vantaggio. Il rapporto più lungo ti porta una pedalata più rotonda, perciò molto meno scivolosa che con un rapporto agile. Sapeva quel che faceva»
Se questo è stato il primo vantaggio, vuol dire che ce ne sono stati degli altri, quali?
Ad esempio una cosa che non si vede dalla televisione: sarà stato molto attento a spostare il peso sulla ruota posteriore per dare ancora più motricità. Queste sono abitudini consolidate per lui, essendo praticamente un biker.
Abbiamo notato che teneva le mani sopra il manubrio e non sotto, c’entra qualcosa con questo discorso?
Potrebbe essere stata una scelta per migliorare la distribuzione del peso. Mettendo le mani troppo in basso tendi a spostare il peso in avanti.
Per cui in queste situazioni la posizione deve essere piuttosto arretrata?
Esatto, ma stando attenti a mantenere una pedalata che faccia la differenza, uno che è abituato riesce a farlo. Per esempio dopo attacchi come quello sul Grammont a me chiedevano: «Come hai fatto a scattare in piedi sullo sconnesso e fare tutta quella velocità?». La risposta è che con il ciclocross mi ero costruito un bagaglio tecnico che mettevo in pratica naturalmente. Come Van der Poel, Van Aert e appunto Egan.
Torniamo alla sua esperienza fuoristrada allora, in che altro modo lo ha aiutato?
In mountain bike devi spesso modificare la posizione del corpo in base al fondo stradale. Per lui è un attimo riconoscere la necessità del momento, non deve neanche pensarci. Questi automatismi nella guida, nello scegliere le traiettorie, rappresentano una grande superiorità e la deve tutta al suo essere stato un ottimo biker. Non solo, anche l’espressione di forza mostrata all’arrivo di Campo Felice viene da lì.
Gli viene tutto naturale quindi e così risparmia energie mentali. Anche questo gli ha permesso di dare continuità all’attacco e di gestire bene lo sforzo?
Certo. Si metteva seduto per alleggerire la muscolatura. Quando stai in fuorisella la stressi molto di più, a lui però sono bastati pochi secondi per recuperare e ripartire.
E difatti ha alternato perfettamente i tratti di… riposo con quelli sui pedali.
Esatto. Si è alzato nei punti in cui c’era più pendenza. Chiudiamo il discorso del vantaggio, appunto. Lui è riuscito ad usare la posizione più redditizia nei punti più duri, mentre gli altri non riuscivano, probabilmente proprio perché scivolavano troppo.
Grazie madre natura
Il suo recupero in questi strappi è spaventoso e oltre la tecnica, alla base di tutto c’è un livello atletico impressionante: 23,7 km/h e 560 watt in media e 36,4km/h e 710 watt di massima questi i suoi dati secondo Velon nei 54 secondi dell’attacco. Come ce lo spiega Bartoli?
Io Egan lo conosco bene, è fortissimo ma è anche un atleta esplosivo, ce l’ha nelle fibre muscolari. Metabolicamente e muscolarmente è molto completo.
C’è da considerare anche il fisico relativamente minuto?
In realtà la prestazione è data dalle qualità muscolari, non tanto dal peso. Certo di solito chi è dotato di buone fibre bianche, quelle un po’ più veloci ha il fisico più possente, ma non è detto e Bernal ne è la dimostrazione. Il perfetto compromesso delle caratteristiche di velocità e resistenza.
Questo livello di equilibrio ce l’aveva già nei tempi in cui lavoravi con lui o ci ha dovuto lavorare?
No no, questa è madre natura! Con la bacchetta magica ti dà le qualità e te le porti sempre dietro. Poi bisogna comunque allenarle per renderle produttive, ma il talento naturale è determinante.
Le forze però devi comunque trovarle, come si fa?
Devi focalizzare il momento. Lui sapeva che doveva arrivare allo scatto al 100 per cento delle energie e per farlo doveva alimentarsi bene, correre bene senza prendere aria, guidare bene la squadra nei momenti difficili che in una tappa ci sono. Non è così semplice come sembra in televisione. E’ per questo che si chiamano campioni, perché riescono ad applicare a tutti i chilometri della gara tutte queste attenzioni e a fare la differenza nei finali. Hanno “la marcia in più”.