MBH Bank-Ballan: finalmente parte il progetto professional

25.05.2025
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Ci è voluto più del previsto ma alla fine la MBH Bank-Ballan-Csb diventerà una formazione professional nel 2026. L’aria di cambiamento, o di rivoluzione, si respirava da tempo. Fin da quando nel 2024 è stato annunciato l’ingresso di MBH Bank, banca ungherese, come primo nome della continental bergamasca. La forte impronta italiana e di Bergamo non si perderà con questo nuovo passo, anzi sarà proprio l’anima di un progetto nato per fronteggiare un ciclismo che cambia e diventa sempre più esigente. Soprattutto per le squadre.

Voci dall’Ungheria

La notizia ufficiale è arrivata durante il Giro di Ungheria, non un caso. Il team per il secondo anno di fila è andato in quella che ormai è la corsa di casa e lì insieme allo sponsor MBH Bank è stato fatto l’annuncio. Le parole di Antonio Bevilacqua che guida questa squadra da anni lasciano trasparire una certa emozione, ma anche la consapevolezza che il 2026 non è lontano e le cose da fare sono tante.  Intercettiamo Bevilacqua mentre i suoi ragazzi sono in altura per preparare il Giro Next Gen. 

«So che i miei corridori si stanno preparando bene – dice – vediamo se in questo Giro riusciamo a fare qualcosa di buono e replicare o migliorare i risultati del 2024 (in classifica generale arrivò il quinto posto di Pavel Novak e il settimo di Florian Kajamini, mentre Lorenzo Nespoli conquistò la classifica dei GPM, ndr)».

MBH Bank-Ballan ha corso molto con i professionisti negli ultimi anni, qui alla recente Milano-Torino
MBH Bank-Ballan ha corso molto con i professionisti negli ultimi anni, qui alla recente Milano-Torino
Un anno dopo ma l’annuncio è arrivato, si entra nel mondo dei professionisti. Che effetto fa?

Bello, siamo orgogliosi del passaggio: non possiamo nasconderlo. Tuttavia sappiamo che non sarà un cammino semplice, il ciclismo è cambiato molto e avere il coraggio di fare una squadra professional non è scontato. I costi sono elevati. 

Che programmi avete?

Di entrare in punta di piedi contando sulle qualità e la forza dei nostri giovani. Vediamo dove saremo in grado di arrivare. 

Quanto è stato lungo questo anno di attesa prima di partire con il nuovo progetto?

Sapevamo da inizio anno di poter fare il cambio di categoria già dal 2026. Abbiamo aspettato il Giro di Ungheria per fare l’annuncio perché il nostro sponsor principale arriva da lì e ci teneva particolarmente. Dovevamo fare il passaggio già lo scorso anno ma l’iter è stato più lungo del previsto. 

La squadra punterà molto sui giovani già in rosa, tra loro spicca sicuramente Lorenzo Nespoli
La squadra punterà molto sui giovani già in rosa, tra loro spicca sicuramente Lorenzo Nespoli
Quanto è grande il salto da continental a professional?

Dal punto di vista dell’organizzazione non è facile. Avremo bisogno di molto più materiale e staff ma ci stiamo già muovendo. Il budget calcolato dovrebbe essere intorno ai cinque milioni di euro. Una cifra importante, ma che nel ciclismo moderno rappresenta il minimo per entrare nel mondo del professionismo. 

Già al Giro di Ungheria, corsa 2.Pro, avete assaporato il livello in gare di buon spessore…

Vero e ci siamo comportati bene sia lo scorso anno al nostro debutto che nella recente edizione. Nel 2024 Quaranta ha sfiorato la vittoria di tappa, mentre quest’anno Novak ha lottato con i migliori e ha conquistato un bel sesto posto finale. 

La MBH Bank-Ballan-Csb potrà comunque continuare a correre nelle gare internazionali riservate agli under 23 (foto Jacopo Perani)
La MBH Bank-Ballan-Csb potrà comunque continuare a correre nelle gare internazionali riservate agli under 23 (foto Jacopo Perani)
Per quanto riguarda il calendario farete grandi cambiamenti?

Non direi. Già in queste ultime due stagioni ci siamo messi alla prova in gare di buon livello come la Coppi e Bartali, la Milano-Torino, il Giro d’Abruzzo, il Trofeo Laigueglia e tante altre. Senza dimenticare che potremo ancora prendere parte alle corse internazionali under 23, come fa la Vf Group-Bardiani. Pensare di andare subito a correre nelle corse WorldTour è troppo. 

Avere una formazione professional diventa anche un modo per riuscire a prendere i ragazzi dalla categoria juniores?

Da un lato sì. In più riusciamo a dare ai nostri ragazzi, quelli che già corrono con noi, un percorso di crescita continuo. Come detto entriamo in punta di piedi consapevoli che c’è del lavoro da fare. La cosa certa è che puntiamo tanto sui nostri atleti, anche perché con il ciclismo di ora diventa difficile riuscire a prendere dei corridori di buon livello. 

Caschi e marginal gains: Affini e la scelta tra Giro Aries ed Eclipse

25.05.2025
5 min
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Nel ciclismo dei dettagli, dei marginal gains, la scelta del casco non è affatto banale. Ormai ogni team può decidere tra più modelli, non solo per strada e cronometro, ma anche per la stessa specialità. Ed è proprio questo il tema che abbiamo approfondito con Edoardo Affini, portacolori del Team Visma-Lease a Bike.

Durante il Giro d’Italia, il passista mantovano ci ha spiegato come sta utilizzando tra i suoi caschi Giro: l’Aries Spherical e l’Eclipse Spherical, due modelli da strada che a un primo sguardo possono sembrare simili, ma che in realtà hanno differenze ben precise.

Entriamo nel dettaglio con Affini. Intanto se volete “ripassare” le caratteristiche tecniche dei due caschi, cliccate qui per il Giro Eclipse Spherical. E qui per il Giro Aries Spherical.

Il casco Giro Aries Spherical di Edoardo Affini
Il casco Giro Aries Spherical di Edoardo Affini
Edoardo, avete questi due caschi da strada a disposizione, Eclipse e Aries. Come nasce la scelta dell’uno o dell’altro?

E’ una scelta che parte dai numeri. Se guardiamo test e dati scientifici, l’Eclipse è quello più aerodinamico, adatto a tappe veloci e alle volate. L’Aries invece è più pensato per tappe di montagna, per scalatori, diciamo così. La differenza principale è l’areazione: l’Eclipse è più chiuso (14 feritoie, ndr), l’Aries è più aperto (24 feritoie, ndr), quindi garantisce più ventilazione. La differenza di peso invece non è così sostanziale (5 grammi, ndr).

E’ anche una scelta estetica? C’è chi, su dettagli tecnici, si affida anche all’occhio…

No, nel mio caso no. Scelgo in base alla funzionalità. Nella prima parte del Giro li ho alternati. Quando puntiamo alle volate con Olav Kooij, tendo a usare quello più aerodinamico, l’Eclipse. In giornate con più dislivello o se fa caldo, metto l’Aries per avere più ventilazione.

Si sente molto la differenza di reazione?

Onestamente no. Anche l’Eclipse, rispetto ad altri caschi aerodinamici che ho usato, ha comunque una buona ventilazione. Quindi sì, c’è una differenza, ma non è estrema.

E qui ancora Affini, ma stavolta con indosso l’Eclipse Spherical, più aero rispetto all’Aries ma 5 grammi più pesante
E qui ancora Affini, ma stavolta con indosso l’Eclipse Spherical, più aero rispetto all’Aries ma 5 grammi più pesante
E la calzata?

Praticamente identica. Forse l’Aries dà la sensazione di essere appena più stretto, ma davvero di poco. Però, credetemi, durante la corsa si è concentrati su altro. Alla fine tra i due modelli ci sono differenze, ma sono da laboratorio, il corpo umano non le avverte. Dico numeri a caso: magari guadagni tre watt per il casco, due per la calza, quattro per la gomma della ruota… Alla fine metti insieme 10 watt e ottieni quel piccolo vantaggio, che può farti fare la differenza tra il vincere o perdere uno sprint, una crono. Ma è tutto molto marginale.

Torniamo alla calzata. Riguardo alle regolazioni e alla chiusura, i due caschi sono identici?

Sì, usano lo stesso sistema: regolazione posteriore con rotella, diverse posizioni per la fascia che circonda la testa. Puoi regolare in altezza la calotta, spostarla in su o in giù in base a dove magari dà fastidio, al tipo di occhiale che hai. Questo è molto utile. In più il sistema Mips aumenta la sicurezza.

Se guardi indietro negli anni, qual è stato il casco più comodo che hai usato?

Onestamente con questi mi trovo molto bene. Una cosa importante è sicuramente il peso: se hai un casco aerodinamico ma troppo pesante, a qualcuno può dare fastidio sul collo, soprattutto in tappe da sei ore. E durante un grande Giro. Oggi si corre sempre a tutta, si è tutti estremizzati sull’aerodinamica. A fine giornata, quando ti togli il casco, magari senti dolori qua e là… e vai dal fisioterapista!

In un grande Giro come questo, i dettagli alla lunga fanno la differenza?

E’ tutto molto soggettivo. C’è chi ha più massa e avverte di meno certi dettagli e chi è più esile e magari li soffre di più. Come dicevo, la differenza di peso tra i due caschi non è enorme. Però la calzata è importante: poter personalizzare le regolazioni è fondamentale ai fini della comodità e in tre settimane di gara questa è importante.

In corsa ti capita di cambiare la regolazione tra fasi intense e fasi più tranquille?

No, di solito regolo tutto prima della partenza e poi non tocco più nulla. Anche perché il casco deve essere sempre ben fissato, altrimenti perde la sua funzione.

Hai parlato di peso. Uscendo dal confronto tra Aries ed Eclipse, cosa puoi dire rispetto ai caschi da crono? Si sente di più?

Tenete presente che il nostro casco da crono è visivamente grande, ha un certo ingombro. Però è molto più leggero e comodo di quanto sembri. A vederlo da fuori sembra pesantissimo e scomodo, ma una volta indossato e una volta trovata la tua posizione, è comodissimo. Non solo, ma la visuale è eccezionale: campo visivo ampissimo, quasi a 220 gradi, senza ostruzioni.

Pogacar e VDP al vaglio di De Vlaeminck, maestro severo…

25.05.2025
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E pensare che lo consideravano un burbero, uno strafottente. Ma dove lo trovi un campione che in una domenica pomeriggio di Giro d’Italia prende il cellulare e ti chiama da migliaia di chilometri di distanza, guardando anche lui la corsa rosa e si mette a chiacchierare amabilmente? Lui è Roger De Vlaeminck, “monsieur Roubaix, considerato ancora oggi un maestro delle Classiche. Uno dei tre capaci di fare il Grande Slam, vincendo tutte e 5 le Monumento.

«Io sono sempre stato onesto – sorride – ho sempre detto tutto con sincerità senza ipocrisie. Mi criticano perché dico che quasi tutti i campioni di oggi ai miei tempi non avrebbero vinto una corsa. Ma pensate che anche gli altri, anche lo stesso Eddy Merckx non pensino la stessa cosa? E’ che per quieto vivere non lo dicono, ma io a 78 anni non devo rendere conto a nessuno…».

L’ultima sua Monumento, la Milano-Sanremo del 1979, battendo Saronni, Knudsen e Merckx
L’ultima sua Monumento, la Milano-Sanremo del 1979, battendo Saronni, Knudsen e Merckx

Passista veloce? No, molto di più…

Non è un’intervista, quella che prende il via guardando le imprese della carovana rosa è più una chiacchierata fra presente e passato. De Vlaeminck è stato capace di vincere 3 Sanremo, 4 Roubaix, 2 Lombardia più un Fiandre e una Liegi. L’esempio del ciclista completo, eppure tutti, pensando a lui lo ricordano come un semplice passista veloce.

«Passista veloce io? Ma io vincevo anche le crono, ho battuto gente come Moser contro il tempo. Sai qual è la vittoria più bella per me? Non è una classica, ma il Giro di Svizzera del 1975 perché in un giorno battei Merckx 3 volte: in linea, a cronometro e nella classifica finale. Eddy era un riferimento per tutti: con lui in gara non c’era bisogno di fare strategie, bastava seguirlo e se ne avevi, provare a batterlo. A me riuscì, anzi quando completai la mia collezione con il Fiandre del ’77 avrei voluto che secondo fosse lui, non Teirlinck».

De Vlaeminck insieme a Merckx: «Tutti lo imitavamo, nell’alimentazione come negli allenamenti» (foto Rouleur)
De Vlaeminck insieme a Merckx: «Tutti lo imitavamo, nell’alimentazione come negli allenamenti» (foto Rouleur)

Quel Giro perso per la sella…

Eppure pensare a De Vlaeminck vincitore del Lombardia sembra quasi una contraddizione in termini: «Ma l’ho fatto due volte, nel ’74 e ’76. Non ero proprio negato per le salite, solo che nel mio curriculum non ci sono Grandi Giri. Io però penso che il Giro d’Italia del ’75 avrei anche potuto vincerlo, se non è successo è a causa di un errore di  un meccanico, che nella quarta tappa mi alzò la sella di un paio di centimetri. Col risultato che mi vennero i crampi sulla salita di Prati di Tivo e persi 4 minuti. Vinsi 7 tappe e su 23 in totale fui fuori dai primi 8 solo due volte. Avevo una gamba eccezionale e nel Giro di Svizzera successivo lo dimostrai».

Ma c’è anche un’altra ragione: Roger era figlio di un ciclismo dove si pedalava sempre, si era al top all’inizio come alla fine della stagione. Un po’ come avviene oggi: «Non facciamo di questi paragoni. Uno solo è di quel tipo e si chiama Tadej Pogacar. Lo sloveno mi piace, emerge dappertutto, a marzo come a ottobre. Si vede che ha fame di successo. Gli altri? Confermo quel che ho detto, non avrebbero vinto una corsa ai miei tempi».

Van der Poel e Pogacar. Entrambi a caccia del Grande Slam, ma per Roger solo lo sloveno può…
Van der Poel e Pogacar. Entrambi a caccia del Grande Slam, ma per Roger solo lo sloveno può…

Giudizi impietosi sul ciclismo di oggi

Neanche Van der Poel? «Van der Poel lo vedi emergere nelle classiche, fa la volata e vince, ma poi? Dove lo vedi più? Come va a cronometro? E quando la strada si rizza sotto le ruote? Non è completo, sicuramente la Roubaix sa interpretarla, ma d’altronde è un campione del ciclocross. Anch’io facevo ciclocross, ho anche vinto il mondiale del ’75. Ne facevo 15 proprio per preparare la stagione su strada e anche lì c’era gente forte. Correvo senza particolare preparazione, soprattutto per guadagnare, eppure ne ho vinti 112…».

Su un aspetto, De Vlaeminck è particolarmente “battagliero”: «Tutti paragonano Pogacar a Merckx, ma c’è una cosa profondamente diversa: la caratura degli avversari. Eddy aveva veri campioni che lo contrastavano e che non hanno vinto e sono diventati celebri come avrebbero potuto proprio perché c’era lui che si prendeva tutto. Oggi Tadej chi ha come rivali?».

Il belga di Eeklo, classe 1945, in sella alla sua Gios. Con la famiglia ha una forte amicizia (foto Barlaam)
Il belga di Eeklo, classe 1945, in sella alla sua Gios. Con la famiglia ha una forte amicizia (foto Barlaam)

L’assenza di campioni italiani

Eppure si dice sempre che questa è l’epoca d’oro del ciclismo, quella fatta di grandi fenomeni… «Tutti settoriali. Vingegaard lo vedi al Tour e basta, se va bene magari emerge in un altro Grande Giro e qualche corsa a tappe, ma nelle classiche dov’è? Van Aert si sta spegnendo, Evenepoel gareggia col contagocce. Pogacar mi piace perché fa tante corse e le fa sempre al massimo. Lui ha lo spirito che avevamo noi».

E’ un ciclismo che ti piace? «No, per nulla, lo trovo noioso. Alla Roubaix si sapeva che ce n’erano solo due che potevano vincere, alla Sanremo tre perché c’era anche Ganna. Il ciclismo di oggi soffre molto l’assenza degli italiani, cinquant’anni fa ce n’erano almeno 15 fortissimi, che potevano vincere dappertutto, oggi tolto Filippo a cronometro chi c’è? Ve lo posso assicurare: vincere contro Gimondi, Moser e Saronni non era per nulla facile…».

Insieme a Francesco Moser, rivale di tante battaglie ma anche compagno alla Sanson nel ’78
Insieme a Francesco Moser, rivale di tante battaglie ma anche compagno alla Sanson nel ’78

Tadej e un Grande Slam legato alla fortuna

Pogacar e Van der Poel sono a due vittorie dal Grande Slam, potranno farcela? «Tadej penso di sì, è il migliore in tutte le corse, tra Sanremo e Roubaix avrà solo bisogno di un po’ di fortuna, soprattutto nella prima che è più difficile da interpretare. VDP no, lui è solo per le Classiche del Nord. Lo vedi tra Sanremo e Roubaix, poi diventa uno dei tanti».

Rispetto ai suoi tempi però quel che è cambiata profondamente è la preparazione: «Io non credo che tanti si allenino più di quanto facevamo noi. Io dopo la Gand-Wevelgem, che allora era l’antipasto della Roubaix, facevo altri 140 chilometri, arrivando a 400 a fine giornata. E per allenarmi per bene per la Roubaix, con mio fratello Erik (7 volte iridato di ciclocross, ndr) andavamo in campagna cercando i contadini che avevano appena passato il trattore sul campo e pedalavamo il più possibile dentro il solco. Oppure andavamo sui binari dei treni, per acquisire maneggevolezza della bici. Dicevano che in bici ero il più elegante, adesso sapete perché…».

Gorizia, disastro al Giro. Ciccone all’ospedale, Van Aert accusa

24.05.2025
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C’erano le Frecce Tricolori e le bandiere. Se non fosse stato per la pioggia, sarebbe stata una giornata di festa. Si annunciava come una tappa di avvicinamento alle prime montagne, con l’arrivo condiviso fra Gorizia e Nova Gorica nel segno della cultura e della fratellanza tra i popoli. Invece si è trasformata nel disastro per i protagonisti italiani del Giro d’Italia. Può succedere ancora tutto, come si affrettano a ripetere i commentatori televisivi, ma il dato di fatto sconsolante è che la situazione rosea di ieri è ormai un lontano ricordo.

Colpa di una caduta provocata non certo dal fato: in certe dinamiche purtroppo la sfortuna non è il primo fattore da considerare e dopo la tappa Van Aert lo ha detto chiaramente. Mancavano 23 chilometri al traguardo e in testa al gruppo la Visma-Lease a Bike lavorava nella scia di Asgreen ancora in fuga, per portare Kooij alla volata, quando è successo il finimondo.

«Certo era un circuito con molte curve – ha detto Van Aert ai media belgi dopo l’arrivo – ma quello di Lecce mi era sembrato molto più pericoloso. Quello che è successo oggi è stato una scelta dei corridori. I team di classifica sono nervosi, producono il loro stress ed è per questo che cadono. Bisogna avere il coraggio di dirlo. Corrono costantemente dei rischi eccessivi ed è per questo che cadono».

Non è ancora dato sapere se ci saranno polemiche perché la squadra olandese ha continuato a tirare, ma con Asgreen ancora in fuga e lanciato verso la vittoria non avrebbe avuto senso fermarsi. E così la Visma si è ritrovata senza la tappa, ma con Simon Yates rientrato in classifica. Anche se non è così probabilmente che sarebbero voluti tornare in gioco.

Del Toro, occhi di gatto

La caduta, si diceva, è avvenuta nelle prime quindici posizioni del gruppo, a conferma di quanto detto da Van Aert. Sono rimasti dietro quasi tutti gli uomini di classifica, ad eccezione di Isaac Del Toro, che ha riflessi da gatto e sembra quasi avere l’occhio magico per prevedere quel che accadrà. La tappa era vissuta quasi interamente sullo stesso schema, con i quattro fuggitivi davanti e il gruppo a fare l’elastico alle loro spalle, per non prenderli troppo presto. 

Asgreen, Davy, Marcellusi e Maestri, con la Alpecin e la Visma dietro a tenere il ritmo allegro avendo ancora Groves e Kooij con i migliori. Tutto il giorno così, fino al primo passaggio sul Saver, salita di 700 metri con una pendenza del 7,7 per cento, quando il gruppo è stato completamente falciato da una caduta.

Una strettoia tra le vie cittadine. Il fondo acciottolato bagnato. E dopo la frenata, il rumore della caduta. Tra coloro che hanno messo piede a terra e che sono anche caduti, si sono segnalati subito Pedersen e Vacek, candidati a giocarsi la tappa. La maglia rosa Del Toro, che però è ripartito subito. Bernal, Roglic e Ayuso, lesti a riprendere il ritmo. Mentre Ciccone è rimasto fermo, poi si è seduto sul marciapiede, con il ginocchio evidentemente malconcio.

Prima della tappa, l’abruzzese era settimo in classifica generale, a 2’20” dalla maglia rosa. Aveva conquistato per due volte il podio, ma ora il punto di domanda è se riuscirà a ripartire domani ed eventualmente virare verso la conquista di una tappa. In questi casi, più del dolore fisico fa lo scoramento e la faccia di Giulio mentre si infilava nella tenda per cambiarsi non prometteva nulla di buono. Il ritardo di 16’14” con cui la Lidl-Trek ha tagliato il traguardo compatta suona come una sentenza inappellabile.

Distruggersi per vincere

La voce di Asgreen risuona a margine della baraonda ed è giusto riconoscere il merito a questo danese concreto e duro, che già in passato è riuscito a battere Van der Poel nella volata a due di un Fiandre. Era il 2021 e in quel piegare Mathieu dopo la fuga a due c’era la sua capacità di tirare fuori il meglio quando anche i più forti sono stanchi. Per questo oggi non ha avuto grandi problemi a scrollarsi dalla scia Marcellusi e Maestri ormai allo stremo delle forze.

«E’ stata una giornata dura – ha detto – per arrivare a questo genere di cose devi distruggerti completamente, ma quando ci riesci la gioia è tanta. La squadra mi ha dato molte informazioni e mi ha anche suggerito a un certo punto di attaccare. So che nella seconda parte di un Grande Giro, le fughe possono arrivare, anche se è una tappa pianeggiante. Eravamo tutti stanchi e per questo ho dato tutto gas. Il circuito era tecnico, le strade erano bagnate, era difficile per il gruppo andare più veloce di noi nella fuga».

Ciccone all’ospedale

La giornata promette di essere ancora lunga. Il reparto comunicazione della Lidl-Trek ha chiesto di non contattare i corridori del team e che gli aggiornamenti saranno forniti quando anche loro sapranno qualcosa di più. Ciccone è stato accolto all’arrivo dal dottor Daniele, che ha cercato subito di farsi un’idea delle sue condizioni. Nel momento in cui scriviamo questo articolo, Giulio sta andando all’ospedale per sottoporsi a radiografie che possano dare una dimensione al suo infortunio. Le ambizioni di classifica forse erano tramontate dopo la cronometro, ma certo nessuno poteva immaginare una simile svolta nel suo Giro.

Vi forniremo aggiornamenti sui nostri canali social quando anche noi sapremo qualcosa di più. Furono ugualmente una caduta (provocata tuttavia da un capriolo che aveva attraversato la strada) e il conseguente dolore al ginocchio a causare il ritiro dell’abruzzese dalla Vuelta dello scorso anno. Attendiamo notizie dal team e intanto cerchiamo di capire quale potrà essere il ruolo dei nostri in questo Giro che è certo d’Italia, ma sempre meno degli italiani.

P.S. alla fine Ciccone ha dovuto alzare bandiera bianca. Gli esami hanno confermato che Giulio ha riportato un importante ematoma al muscolo vasto laterale del quadricipite destro e una piccola lesione alla fascia muscolare. Le sue parole nel comunicato della Lidl-Trek.

Cavendish, dopo il record, ritorna al Tour come guida d’eccezione

24.05.2025
5 min
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Il 21 maggio, tre giorni fa, Sir Mark Cavendish ha compiuto 40 anni. Il recordman di tappe vinte al Tour de France continua ad apparire nei social dedito alla costruzione di una vita dopo il ciclismo, coinvolto in iniziative e ambienti cui avrebbe avuto ben poco tempo da dedicare se fosse stato ancora un corridore.

«Non mi è mai importato molto del mio compleanno – ha raccontato a Het Nieuwsblad – perché ero sempre impegnato a gareggiare o ad allenarmi. E’ solo da quando è nato Casper che ho iniziato a viverlo in modo più consapevole. Nella vita di un ciclista, non c’è tempo per questo».

Cessata l’attività, Cavendish ha più tempo per dedicarsi alla famiglia, alla moglie Peta e i loro quattro figli (immagine Instagram)
Cessata l’attività, Cavendish ha più tempo per dedicarsi alla famiglia, alla moglie Peta e i loro quattro figli (immagine Instagram)

Airbnb e il Tour de France

Proprio in occasione del suo compleanno, il velocista dell’Isola di Man è stato presentato a Parigi come host di Airbnb (foto Wendy Huynh in apertura), che ha da poco siglato un contratto di sponsorizzazione con il Tour de France e il Tour de France Femmes, con l’obiettivo di valorizzare il legame tra sport, territorio e comunità locali.

Già da qualche anno, la piattaforma che propone appartamenti anziché camere di hotel, ha aggiunto la sezione delle esperienze, in cui gli host (coloro che offrono servizi) permettono di aggiungere al semplice soggiorno delle attività legate alla tipicità del territori. Eccone una serie ritagliata su misura per il Tour de France. Si svolgeranno lungo il percorso della Grande Boucle e coinvolgeranno atleti, esperti e host locali per offrire agli appassionati l’opportunità di scoprire il cuore delle regioni francesi.

«Airbnb è presente in 29.000 comuni francesi – ha dichiarato Brian Chesky, co-fondatore e CEO della piattaforma – permettendo ogni anno a milioni di ospiti di scoprire le diversità della Francia. Oltre a offrire esperienze irripetibili durante la corsa, siamo orgogliosi di collaborare con il Tour per attrarre nuovi visitatori nelle aree rurali attraversate dalla Grande Boucle. E portare i benefici del turismo sportivo a un numero sempre maggiore di comunità in tutta la Francia».

Uno degli scatti nel centro di Parigi dove Cavendish ha annunciato la sua collaborazione con Airbnb (foto Wendy Huynh)
Uno degli scatti nel centro di Parigi dove Cavendish ha annunciato la sua collaborazione con Airbnb (foto Wendy Huynh)

Cavendish, host del Tour

Tra le esperienze più attese, ecco dunque quella che vede Mark Cavendish nella veste di host di eccezione. Venti ospiti potranno incontrarlo e pedalare con lui all’interno del Grand Palais, durante la tappa finale del Tour a Parigi. Verrebbe da far notare con una punta di ironia che forse nessuno aveva avvertito la catena degli affitti che l’ultima tappa non sarà più affare per velocisti, ma siamo abbastanza certi che il nome di Cavendish permetterà di superare l’ostacolo.

«Ho vissuto numerose vittorie e momenti indimenticabili al Tour de France – ha detto Mark – ma non ho mai avuto l’opportunità di pedalare nel Grand Palais durante il Tour. Sono davvero entusiasta di condividere questa esperienza esclusiva di Airbnb con gli ospiti».

Questa la volata di Saint Vulbas con cui il 3 luglio 2024, Cavendish ha superato il record di Merckx, con 35 tappe vinte al Tour
Questa la volata di Saint Vulbas con cui il 3 luglio 2024, Cavendish ha superato il record di Merckx, con 35 tappe vinte al Tour

Due date da prenotare

L’esperienza prevede un incontro esclusivo con il britannico, per ascoltare i racconti della sua carriera e condividere i ricordi legati al Tour. Una masterclass di ciclismo sui rulli, con riscaldamento e una power challenge, durante la quale Mark offrirà consigli su come superare i propri limiti. L’opportunità di pedalare insieme a “Cav” all’interno del Grand Palais, celebrando uno dei luoghi simbolo del ciclismo mondiale. Infine l’accesso VIP al traguardo dell’ultima tappa, con posti riservati a pochi passi dalla linea d’arrivo sugli Champs-Elysées.

L’esperienza si svolgerà il 26 luglio, dalle 20 alle 22,30 e si ripeterà il 27 luglio a partire dalle 16. Chi è interessato potrà iscriversi per  partecipare  dal 27 maggio alle ore 18 su http://airbnb.com/cavendish.

Questo il percorso allestito nel Grand Palais di Parigi per le date del 26 e 27 luglio (foto Wendy Huynh)
Questo il percorso allestito nel Grand Palais di Parigi per le date del 26 e 27 luglio (foto Wendy Huynh)

Non solo Cavendish

Non c’è solo Cavendish e infatti nel comunicato diffuso da Airbnb vengono snocciolate alcune delle altre proposte appena inserite nel calendario delle esperienze legate al Tour de France. Sono, si diceva, le Airbnb Originals – esperienze ideate da personalità di spicco e pensate esclusivamente per la piattaforma. In questo modo, mentre le persone prenotano il proprio soggiorno lungo il percorso, nella stessa app potranno anche selezionare una delle nuove esperienze legate al Tour.

Fra le proposte in maggiore evidenza, vengono segnalate: creare una maglia in edizione limitata con Fergus Niland, direttore creativo di Santini e ideatore della celebre maglia gialla. Partecipare a un workshop con Stephanie Scheirlynck, nutrizionista della Lidl-Trek, per scoprire snack energetici e alimenti per il recupero. Infine vivere un tour esclusivo dietro le quinte del Tour con Thomas Voeckler, ex ciclista francese, tecnico della nazionale e attuale commentatore.

Fra i momenti dell’esperienza con il britannico, anche una masterclass sui rulli (foto Wendy Huynh)
Fra i momenti dell’esperienza con il britannico, anche una masterclass sui rulli (foto Wendy Huynh)

La vita normale

Nell’intervista rilasciata a Het Nieuwsblad per commentare questo suo nuovo ruolo, che non sarà il solo che svolgerà (come a volersi tenere altre porte aperte), Cavendish ha offerto un piccolo spaccato della sua vita attuale. A metà fra la nostalgia e la presenza al suo fianco della moglie Peta che lo supporta e in qualche modo gli dà la direzione.

«Ho più tempo per la mia famiglia – ha detto Cavendish – dato che per gli ultimi vent’anni ho corso oppure ero in ritiro. Cosa mi manca? Uscire e andare in giro con i compagni. Ma quando sento che stanno cambiando anche il circuito qui sugli Champs-Elysées con la salita di Montmartre, allora sono anche contento di non essere più un ciclista. Da quando ho snesso ho imparato ad apprezzare di più altri aspetti della vita. Anche i compleanni dei miei figli. Proprio pochi giorni fa, Casper ha compiuto sette anni…».

Mellano si veste d’azzurro, vince in Polonia e fa passi da gigante

24.05.2025
5 min
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Ludovico Mellano risponde con voce ferma e pacata, senza averlo faccia a faccia sembra di parlare con una persona ben più grande dei diciotto anni che porta sulla carta d’identità. I baffi appoggiati sopra le labbra, spessi e folti, danno un senso di vissuto. Sotto a questi però brilla un sorriso giovane, dolce e che racchiude speranze e sogni di un ragazzo al suo primo anno under 23. Marino Amadori, il cittì della nazionale, lo ha voluto con sé all’Orlen Nations Grand Prix. Mellano non lo ha deluso, vittoria di tappa (in apertura foto Tomasz Smietana) e secondo posto in classifica generale.

Un impegno dopo l’altro

Gli impegni e i giorni quando si è giovani passano velocemente, il ragazzo che è arrivato tra gli under 23 con il devo team della XDS Astana ora è alla Ronde de l’Isard. In Francia farà ancora esperienza e metterà chilometri nelle gambe. Al Giro Next Gen non ci sarà. Mellano stringe le spalle, sa che non tutte le esperienze possono arrivare al primo anno. Questa se la godrà più avanti. 

«Ora correrò in Francia – ci ha raccontato alla vigilia della Ronde de l’Isard – perché la squadra ha voluto testarmi in questo tipo di gare. Non so nemmeno io come reagirò a sforzi più lunghi e su salite così impegnative. E’ comunque un bel banco di prova e sono curioso di vedere come andrà (nella giornata di ieri, venerdì, Mellano ha vinto la terza tappa della corsa francese, ndr)».

Nella terza tappa Schrettl ha tolto il primato a Mellano, il giovane austriaco ha poi vinto la generale (foto Tomasz Smietana)
Nella terza tappa Schrettl ha tolto il primato a Mellano, il giovane austriaco ha poi vinto la generale (foto Tomasz Smietana)
Per essere il tuo primo anno da under 23 sei partito davvero forte…

Sì, ho cominciato a correre in Grecia a inizio marzo. Si è trattato di una partenza “soft” con un livello non troppo elevato se lo paragoniamo alle gare in cui mi sono messo alla prova ora. E’ stato un buon test per scoprire come ci si muove in gruppo e per vedere la mia reazione su distanze ben più impegnative rispetto alla categoria juniores

Com’è andata?

Non ho sentito troppa differenza. Tra gli under 23 le gare si svolgono in maniera molto più ordinata e questo mi ha permesso di arrivare nei vari finali con forza nelle gambe per fare gli sprint. Penso che il merito sia da attribuire al nuovo metodo di allenamento. 

Raccontaci…

Durante l’inverno ho fatto molti chilometri, concentrandomi tanto sul volume. Anche i lavori specifici sono diventati ben più impegnativi e intensi. Al momento il mio preparatore è Alberto Nardin, abita vicino a casa mia (Cuneo, ndr) e spesso mi segue durante le uscite. Per me è una cosa ottima. 

Per Mellano all’Orlen Nations Grand Prix la prima esperienza con la nazionale under 23 (foto Tomasz Smietana)
Per Mellano all’Orlen Nations Grand Prix la prima esperienza con la nazionale under 23 (foto Tomasz Smietana)
Nello specifico cos’è cambiato?

Ho introdotto molti più lavori sulle salite, quindi sforzi medio-lunghi. Negli allenamenti specifici, come i 30/30 o i 40/20, mantengo un’intensità più alta a fine ripetuta. Quindi una volta finito l’ultimo scatto mantengo un ritmo abbastanza alto, per simulare la gara. All’inizio è stato faticoso ma il mio corpo si è adattato bene, tanto che con il passare del tempo ho sentito una gamba diversa, piena. 

Ti aspettavi di raccogliere subito questi risultati?

L’inverno l’ho passato bene, questo ha sicuramente contribuito in maniera positiva alla mia condizione. Correre con periodi strutturati, e non ogni fine settimana, mi ha permesso di avere dei picchi di forma. Al Piva e al Circuit des Ardennes sentivo di stare bene, infatti sono arrivati degli ottimi risultati. Proprio dopo la prima gara in Francia, Marino Amadori mi ha contattato dicendomi che ci sarebbe stata la possibilità di correre in Polonia con la nazionale under 23. Nello stesso periodo sarei dovuto andare con i miei compagni in altura, ma la possibilità di vestire la maglia azzurra era troppo ghiotta. 

Sei anche riuscito a vincere…

E’ sempre bello. Riuscire a farlo all’esordio in una nuova categoria è uno stimolo importante e una bella soddisfazione da togliersi. Sinceramente mi aspettavo di fare bene, dagli allenamenti vedevo numeri davvero incoraggianti. Già dalle Ardenne avevo visto che se avessi voluto emerge avrei dovuto spingere quei watt. 

Però un conto sono i numeri e un altro le sensazioni in gara.

In Francia e al Piva ho capito di doverci credere e che se lo avessi fatto mi sarei potuto giocare le mie chance. Ecco, non credevo di poter vincere, ma di entrare tra i primi con un bel piazzamento sì. Sicuramente è stato un ottimo step in vista del futuro.

E adesso?

Dopo la Ronde de l’Isard farò la maturità e infine mi tufferò nella seconda parte di stagione.

Dainese è ripartito e per ora pensa al tricolore

24.05.2025
4 min
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Di Alberto Dainese si erano un po’ perse le tracce. Qualche gara guardata in tv, compreso il il Giro d’Italia, in attesa di riprendere la sua corsa. Era fermo dal 30 marzo, giorno della Schelderprijs, ha ricominciato oltre un mese dopo dalla Francia, partecipando alla 4 Giorni di Dunkerque, gara dal passato illustre che oggi è considerata un primo avvicinamento al Tour de France.

Ritorno alle gare dopo un mese e il padovano è subito sul podio, dietro Ackermann e Girmay
Ritorno alle gare dopo un mese e il padovano è subito sul podio, dietro Ackermann e Girmay

Il Tour, che dovrebbe essere la sua destinazione, ma mai come in questo caso il condizionale è d’obbligo: «Io per scaramanzia non voglio pensarci, anche perché dalla squadra non sono ancora arrivate convocazioni ufficiali. Fino alla partenza della Grande Boucle mancano ancora un bel po’ di settimane e io voglio pensare soprattutto alle corse previste nell’imminenza, visto che finora non ho raggiunto neanche i 30 giorni di gara».

Come sei arrivato alla corsa a tappe francese?

In allenamento i valori erano buoni e anche il mio peso è abbastanza vicino a quello ottimale. Ma chiaramente, quando torni a gareggiare dopo 5 settimane, un po’ di ruggine c’è, per questo sono rimasto anche abbastanza sorpreso dal podio nella classica introduttiva, la Classique Dunkerque. Più che i risultati sono stato contento della mia condotta in gara, anche in quella corsa che prevedeva una piccola parte della Parigi-Roubaix pedalando sul pavé. Col passare dei giri – era una sorta di kermesse con 8 tornate finali – il gruppo era stanco ma a me risultava abbastanza facile restare davanti.

Per il ciclista della Tudor una stagione finora con 27 giorni di gara con 8 top 10
Per il ciclista della Tudor una stagione finora con 27 giorni di gara con 8 top 10
Che livello di gara hai trovato?

Molto alto, c’erano più squadre WorldTour e tanta gente che sta già preparando il Tour. Era l’occasione giusta per verificare a che punto sono, per testarmi a un livello adeguato. E soprattutto per continuare a crescere nella mia condizione. Gareggiando ho visto che sono già a buon punto, vicino alla miglior forma, significa che nel mese lontano dalle gare ho lavorato bene.

Nel complesso hai centrato due podi e altre due Top 10. Qual è stata la tappa che ti ha lasciato un po’ di rammarico?

Sicuramente l’ultima perché nella parte finale ho perso troppe posizioni e all’ultima curva mi sono ritrovato a partire da ventesimo, a 500 metri dall’arrivo. Ho lanciato la volata lunga, ne ho ripresi tanti ma Jake Stewart ormai era irraggiungibile. Se ero davanti potevo giocarmela ad armi pari. Nella giornata iniziale era un arrivo più impegnativo, contava soprattutto chi aveva ancora forza.

La volata della giornata conclusiva, con Dainese in rimonta da lontano. Ma Stewart è imprendibile
La volata della giornata conclusiva, con Dainese in rimonta da lontano. Ma Stewart è imprendibile
Che corsa è stata quella francese nel suo complesso? La vittoria di Watson ti ha sorpreso?

Non tanto, perché è un corridore da classiche come d’altronde lo stesso Stewart.  Molti pensano che sia una corsa abbastanza semplice perché non ci sono grandi asperità ma non è così, si viaggia sempre molto forte, c’’è l’incognita vento, alcuni tratti sono impegnativi, soprattutto la quarta tappa dove io ho fatto gruppetto. E’ una corsa adatta ai passisti veloci e che secondo me serve proprio per accrescere la propria condizione.

E ora?

Ora ho in programma una lunga serie di gare in Belgio, che nelle mie aspettative devono darmi quell’ultimo salto di qualità utile per il campionato italiano del 29 giugno che, mi dicono, potrebbe essere adatto alle mie caratteristiche. Ma voglio arrivarci nel pieno della forma.

Dainese ora è atteso da una serie di corse in Belgio, dove si è sempre trovato a suo agio
Dainese ora è atteso da una serie di corse in Belgio, dove si è sempre trovato a suo agio
Gareggiare in Belgio per te ormai è una piacevole abitudine, sembri trovarti bene in quel tipo di corse…

Mi trovo ancora meglio in questo periodo, perché rispetto a quello delle classiche, il meteo fa meno brutti scherzi, c’è anche un po’ di caldo che a me piace sempre. Infatti vado sempre bene nella stagione estiva. Spero molto nelle alte temperature e nel bel tempo perché dalle corse di giugno vorrei anche portare a casa qualche buon risultato, cercare di cogliere la mia prima vittoria stagionale, dopo che gli altri gradini del podio li ho già scalati…

Pogacar e Vingegaard: da Sierra Nevada strade parallele…

24.05.2025
5 min
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Qui si lotta sulle strade del Giro d’Italia, ma il resto del ciclismo non si ferma. C’è chi corre nel Nord Europa, chi lo fa in Estremo Oriente e chi invece nel Sud dell’Europa si sta allenando. Parliamo dei primi due pretendenti alla prossima maglia gialla: Tadej Pogacar e Jonas Vingegaard. Sloveno e danese, per ironia della sorte o forse semplicemente per qualità dell’altura, sono entrambi a Sierra Nevada, nel sud della Spagna.

E’ lì che stanno costruendo il rispettivo Tour de France. E’ lì che si sono persino incrociati in allenamento, ma non si sono parlati. Da quel che si sa, uno procedeva in un senso e l’altro nella direzione opposta. E come stanno andando le cose?

Pogacar a Sierra Nevada: resistenza ma anche tanta intensità (screenshot a video su X)
Pogacar a Sierra Nevada: resistenza ma anche tanta intensità (screenshot a video su X)

Casa UAE

Partiamo dalla UAE Emirates di Pogacar. Come sempre, il campione del mondo è parso il ritratto della felicità: sereno, tranquillo, fa il suo e ride. Emblematico il video che ha pubblicato lui stesso qualche giorno fa, mentre giocava col vento e la sua Colnago alla soglia dei 2.500 metri di quota.

«Tadej è Tadej – sorride Mauro Gianetti, quando ci spiega come procedono i lavori del suo corridore – Viene da un ottimo inizio stagione, quindi è rilassato. Allo stesso tempo però è concentrato sul Tour. Sa bene, e lo sappiamo anche noi, che Vingegaard ci arriverà molto agguerrito, molto forte. Per questo sta lavorando seriamente, ma soprattutto serenamente».

Dopo le classiche, Pogacar si è fermato una settimana precisa: una pausa di riposo e relax, anche e soprattutto mentale. La doppietta Roubaix-Amstel non è stata uno scherzo neanche per lui.

«Vero – dice Gianetti – dopo la primavera ha fatto una settimana di stacco per poi ricominciare pian piano. I primi giorni a Sierra Nevada sono stati molto tranquilli in termini di allenamenti, adesso invece sta lavorando sodo per arrivare al Delfinato in buona condizione. Il Delfinato servirà a fare una rifinitura».

Per la precisione proprio in questi giorni Pogacar è tornato a casa a Monaco. Si è allenato anche con il suo amico e pilota della Williams, Carlos Sainz.

Vingegaard a Sierra Nevada ha utilizzato anche la bici da crono (foto da X)
Vingegaard a Sierra Nevada ha utilizzato anche la bici da crono (foto da X)

Casa Visma

Vingegaard ha affrontato un calendario di gare molto limitato, con solo una trasferta all’Algarve e la Parigi-Nizza abbreviata a causa di un incidente. La sua permanenza in Francia è stata interrotta da una caduta con conseguente commozione cerebrale, che gli ha fatto saltare anche il Catalunya di marzo.

Si sta allenando in quota insieme a diversi compagni della Visma-Lease a Bike, tra cui Matteo Jorgenson, Sepp Kuss, Victor Campenaerts e Tiesj Benoot. Qui a parlare è stato direttamente Vingegaard.

«Ora sto meglio – ha detto il danese – la caduta di quest’anno è stata uno scherzo rispetto a quella della primavera 2024. E’ avvenuta a 15 all’ora in salita. Però mi ha creato non pochi problemi. Rimanevo sveglio per circa un’ora e poi dovevo dormire. E’ stato così per i primi tre-quattro giorni. Poi sono migliorato e già pochi giorni dopo l’incidente sono risalito in bici, ma dopo solo un’ora avevo mal di testa e nausea e mi sono dovuto riposare. A quel punto poi non sono più salito in bici per qualche giorno. Dal punto di vista mentale è stata comunque difficile da affrontare. Anche per questo ora sono ancora più motivato nel tornare in gara, perché mi sono perso anche il Catalunya. Sono più determinato che mai».

Vingegaard e Pogacar all’ultimo Tour. I due arriveranno alla prossima Grande Boucle rispettivamente con 18 e 22 giorni di corsa
Vingegaard e Pogacar all’ultimo Tour. I due arriveranno alla prossima Grande Boucle rispettivamente con 18 e 22 giorni di corsa

Tadej a Isola 2000?

Entrambi si incontreranno al Delfinato. I due non corrono uno contro l’altro dal giorno di Nizza, finale dell’ultimo Tour, che era per giunta una crono. La corsa francese è un passaggio quasi obbligato per il loro programma. Il Tour de Suisse avrebbe significato un approccio al Tour leggermente diverso e più breve in termini di recupero.

«Dopo il Delfinato – riprende Gianetti – Tadej tornerà in altura, credo a Isola 2000, ma questo deve ancora essere definito per bene. Per adesso sta facendo un lavoro in crescendo, come dicevo. Ha lavorato sulle salite lunghe, sulla forza, sulla resistenza: quello che serve dopo una primavera in cui aveva fatto un lavoro più specifico per le classiche, con più lavori di esplosività».

Abbiamo chiesto a Gianetti se questo tipo di lavoro comporti anche un leggero cambiamento fisico: vedremo un Pogacar più magro?

«Sì, ci sta che cambiando un po’ lavoro si perda quel chiletto, ma non perché lui debba dimagrire. Semplicemente, in quel momento serviva più forza. E’ una conseguenza del lavoro che deve fare, quindi è molto probabile che al Tour sia più leggero rispetto alle classiche. Poi è chiaro che il fisico è quello, non è che lo puoi stravolgere. Stiamo parlando di dettagli, ma dettagli che a questo livello diventano importanti».

Il danese è parso super motivato: «La primavera di Pogacar? Mi ha impressionato, ma non vuol dire che al Tour sarà così forte»
Il danese è parso super motivato: «La primavera di Pogacar? Mi ha impressionato, ma non vuol dire che al Tour sarà così forte»

Vingegaard a Tignes

Ancora Vingegaard: «Al momento so di non essere ancora al mio miglior livello, ma questo è il motivo per cui sono qui sulla Sierra Nevada ad allenarmi. Spero di riuscire a raggiungere un livello che non ho mai raggiunto in passato. Se dovessi riuscirci, sono sicuro di poter lottare per vincere il Tour».

Da quel poco che si è visto, anche Vingegaard sta intensificando i lavori. Ci sono alcuni video in cui è impegnato a fare degli scatti.

Una piccola differenza fra i due è che, per adesso almeno, Vingegaard ha già fatto delle ricognizioni sulle tappe chiave della Grande Boucle, mentre Pogacar ha visionato la crono di Caen (ma qualche tempo fa). Il capitano della Visma è andato sul Col du Soulor e ad Hautacam, quindi in ricognizione della dodicesima tappa. Ha percorso anche la frazione numero 14, il tappone pirenaico con Col de Peyresourde, Col du Tourmalet, Col d’Aspin e il finale in salita di Superbagnères.

Dopo il Delfinato, i due saranno di nuovo “vicini di casa”: Vingegaard e compagni, stavolta con la squadra al completo, andranno a Tignes, sulle Alpi francesi.

Sfida fra titani. Vicenza come una classica, vero Ballerini?

23.05.2025
6 min
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Ma era una classica del Nord o una tappa del Giro d’Italia? Una côte da Amstel Gold Race o un muro fiammingo? E vogliamo parlare degli interpreti? Mads Pedersen e Wout Van Aert, uno spettacolo per la gioia dei tifosi. Una volata da “vite spanata”, come ci ha detto Davide Ballerini. Una volata che ha visto il quarto sigillo di Mads Pedersen e Isaac Del Toro, terzo, che a forza di abbuoni (e non solo) allunga ancora un po’.

Il corridore della XDS-Astana ha commentato con noi questo splendido finale di Vicenza, tredicesimo atto del Giro d’Italia numero 108. Ballerini era in palestra e stava lavorando sodo per rientrare dopo l’incidente e la consueta frattura del polso alla Parigi-Roubaix. Ma tra un peso e l’altro si è fermato per godersi questo finale stratosferico.

Il gruppo fila tra i filari! L’Italia è davvero stupenda
Il gruppo fila tra i filari! L’Italia è davvero stupenda

Germani, Scaroni e… la UAE

La Rovigo-Vicenza scorre via tra i drittoni della Bassa e le bellezze delle colline venete. Lorenzo Germani è l’ultimo a mollare. O almeno così sembra. Poi lo raggiunge Christian Scaroni. I due vanno. Ma dietro la solita UAE Emirates si mostra famelica. Il chilometro Red Bull mette in palio secondi di abbuono e la squadra emiratina li vuole.

Scaroni si prende i primi 6″, ma poi ecco i ragazzi di Gianetti. Oggi tocca a Juan Ayuso prendersi i 4″ grazie a Isaac Del Toro che di nuovo fa la volata guardando all’indietro. E comunque mette in tasca 2″. Sulla questione fra il messicano e lo spagnolo si è detto e ridetto tutto e cosa bolle veramente in pentola ormai ce lo dirà la strada delle montagne che inizieranno domenica.

Il finale della Rovigo-Vicenza invece è da battiti alti. Mathias Vacek e Romain Bardet arrivano ai 500 metri, poi Alpecin-Deceuninck soprattutto e Visma-Lease a Bike chiudono ed è volata con la crème de la crème nelle prime posizioni.

Nel finale ci provano Germani e Scaroni. Azione ben vista da Ballerini
Nel finale ci provano Germani e Scaroni. Azione ben vista da Ballerini
Davide, dunque: un finale bellissimo…

Veramente. Non so in quanti si aspettassero i velocisti… Ma bella tappa, aperta fino alla fine.

Davide, tu con quei “bestioni” ci fai a spallate nelle classiche del Nord e sai come si muovono. Portaci in gruppo a partire da quei 600 metri finali. Cosa hai notato?

La prima cosa che ho notato è stata vedere la Alpecin che ha tirato per Kaden Groves, ma lui non aveva gambe. Chi era davanti all’ultimo chilometro ne aveva più di lui, visto che ha portato Mads Pedersen e Wout van Aert fino ai 300 metri. Poi, quando vedi che Pedersen parte così lungo… sono dolori. Fai fatica a chiudere. E fatica l’ha fatta anche Van Aert, al quale ha preso subito 2-3 metri. Ma non è facile…

Perché?

Perché contro il Pedersen attuale ci vorrebbe il Mathieu van der Poel dei giorni migliori. E un’altra cosa che mi meraviglia di Mads è come tiene la condizione. Pensate: è andato forte nelle classiche ed è da inizio Giro d’Italia che è lì.

Big davanti. Tra abbuoni e un piccolo gap sul traguardo Del Toro ha incrementato di 9″ il vantaggio su tutti rivali (solo 7″ su Ayuso, che a sua volta aveva preso un abbuono).
Big davanti. Tra abbuoni e un piccolo gap sul traguardo Del Toro ha incrementato di 9″ il vantaggio su tutti rivali (solo 7″ su Ayuso, che a sua volta aveva preso un abbuono).
E dal punto di vista di Van Aert?

Parto da prima del Giro. Io, quando l’ho visto alle classiche, mi è sembrato molto magro rispetto al suo normale, ma è chiaro che si sta riprendendo. Lui viene da due cadute gravi dell’anno scorso e magari gli ci vuole un po’ per riprendersi, anche dal punto di vista della fiducia e della sicurezza in bici. In questo è in crescendo. Ha vinto una tappa durissima.

Che poi tutti noi ci aspettiamo sempre il Van Aert che vince le volate di gruppo, ma forse quel Van Aert non c’è più?

Senza il forse. È cambiato e tanto. Ripenso alle Tirreno o ai Tour di qualche anno fa, quando vinceva gli sprint e le crono. Molto dipende da come e su cosa si allena. E per me Van Aert non si sta allenando in ottica classiche.

Interessante, vai avanti…

Van der Poel si allena da classiche e corre i grandi Giri da classiche, cioè puntando alle tappe. Van Aert, invece, è uno che lavora, che tiene in salita i migliori venti. E questa è la differenza. Poi, okay, c’è Tadej Pogacar che si mette tra di loro e vince anche le classiche e fa quello che vuole, ma questo è un altro discorso. Ma se Van Aert si allenasse per le classiche, quella differenza la farebbe anche lui. Perché ha quel motore.

Grazie alla loro potenza Van Aert e Pedersen scavano un solco con gli altri (a 5″). Del Toro è nel mezzo (a 2″)
Grazie alla loro potenza Van Aert e Pedersen scavano un solco con gli altri (a 5″). Del Toro è nel mezzo (a 2″)
Davide, oggi Pedersen ha detto che ad un primo sguardo ai suoi dati non ha visto un grande picco, ma ottimi dati sul minuto. Spiegaci meglio?

Eh – ride Ballerini – un minuto di Pedersen in quel modo si avvicina ai mille watt! Ed è una cosa incredibile. Ora non so che numeri davvero possa aver fatto, anche perché siamo già alla seconda settimana del Giro e i valori, il peso, cambiano un po’, ma di sicuro ha fatto più di 900 watt medi nei 60″. A vedere come è partito e che Van Aert ha faticato a prendergli la ruota, significa che se non sono 1000 watt, siamo lì.

Un aspetto che abbiamo notato è la differenza di esplosività e di sprint tra gli uomini da classiche e quelli da grandi Giri, benché siano questi ultimi buoni scattisti. Parliamo, insomma, della volata di Del Toro…

È una differenza dettata principalmente dal peso e quindi dai watt/chilo. Sul minuto, come diceva Pedersen, o 30″, o in certi casi anche 2′, corridori di queste caratteristiche riescono a sviluppare wattaggi impressionanti. Sono prestazioni impensabili per uomini da corse a tappe… anche se non sono fermi in volata. Mi verrebbe il termine “deep”, profondo, in inglese, per definire questo tipo di sforzo. Ebbene, un velocista, uomini da classiche come Pedersen o Van Aert, riescono ad essere anche più profondi nello sforzo così intenso rispetto allo scalatore. Riescono a “spanare di più la vite”. È una capacità. Solo che poi, dopo certi sforzi, non ti riprendi. Ci metti parecchio. Magari Pedersen anche in allenamento riesce a ripetere quello sforzo così lungo più di una volta con gli stessi valori.

Una foto che riassume quanto detto da Ballerini. Del Toro seppur arrivato dietro è più fresco di Van Aert che per allenamenti e caratteristiche riesce a dare di più
Una foto che riassume quanto detto da Ballerini. Del Toro seppur arrivato dietro è più fresco di Van Aert che per allenamenti e caratteristiche riesce a dare di più
Insomma, riescono a stare di più in acido lattico e a tollerarlo meglio?

Esatto, ma poi questo sforzo lo paghi. E sono lavori che si fanno in allenamento ai fini delle classiche: li fai un giorno e basta. Per chi punta ai grandi Giri, invece, certi sforzi sono diversi. Magari chi punta alla maglia rosa neanche allena questa profondità. Van Aert, tornando a lui, fa un po’ entrambe le cose. Per questo dicevo dell’allenarsi in modo specifico per le classiche. Nei grandi Giri conta di più il recupero. Dopo una settimana e mezzo cominciano a cambiare le cose ed emergono i corridori che recuperano meglio. E inizi a vedere chi ha motore.

Ultima domanda, Davide: cosa e chi ti ha colpito sin qui, sia della tappa di oggi, ma anche in generale?

Mi aspettavo qualcosa di più da Tom Pidcock, ma anche lui ha cambiato parecchio la base dei suoi allenamenti quest’anno. È andato molto bene a inizio stagione, però vedo che ha perso qualcosa in termini di esplosività. Una volta questi erano i suoi arrivi. Degli altri, mi è piaciuta l’azione del mio compagno Christian Scaroni, che ha tenuto duro e ha fatto quel che poteva.