MAGENTA – Il gruppo, visto da lontano, arriva sul traguardo come un’onda pronta ad infrangersi sugli scogli. Tutto si risolve in un batter d’occhio, in un colpo di reni. Attimi racchiusi nella mente di Luke Lamperti (in apertura foto LaPresse), il quale tagliata la linea bianca e non esulta. La sfida con Bruttomesso è stata così incerta da necessitare del fotofinish. Tutti i corridori fanno la stessa domanda: «Chi ha vinto?».
Lamperti sul traguardo di Magenta ha anticipato Bruttomesso di mezza ruota (foto LaPresse)Lamperti sul traguardo di Magenta ha anticipato Bruttomesso di mezza ruota (foto LaPresse)
La stoccata di Lamperti
Sul gradino più alto del podio, alla fine, sale Lamperti, l’americano che ha imparato a fare tutto con la bici: soprattutto a vincere. Il Giro Next Gen è arrivato a Magenta, città nella quale, nel mese di giugno del 1859, si combatté la famosa battaglia, da cui partì poi l’unificazione dell’Italia. Il fatto che la corsa rosa under 23 passi in questi territori ha un bel significato ed è giusto sottolinearlo. La battaglia di oggi l’ha vinta la Trinity Cycling, i corridori di Kennaugh hanno avuto il treno migliore.
Lamperti in una recente intervista ci disse di non essere uno sprinter puro, invece oggi si è trovato a vincere la tappa più piatta del Giro Next Gen.
«E’ vero – racconta nel caos post tappa – oggi era la classica frazione dedicata ai velocisti. La squadra ha giocato un bel ruolo e negli ultimi chilometri sono stati eccellenti. Siamo riusciti ad arrivare in tre negli ultimi 500 metri, così ho sfruttato al meglio il lavoro dei compagni. In arrivi del genere bisogna sempre stare attenti, ci sono tante rotonde e molti ostacoli da superare».
La fuga ha avuto un vantaggio massimo di 8 minuti, tanti da recuperare nel finale (foto LaPresse)Lamperti con la vittoria si è messo sulle spalle anche la maglia ciclamino (foto LaPresse)La fuga ha avuto un vantaggio massimo di 8 minuti, tanti da recuperare nel finale (foto LaPresse)Lamperti con la vittoria si è messo sulle spalle anche la maglia ciclamino (foto LaPresse)
Crescita graduale
Il tema di queste prime tappe di Giro Next Gen è come certe gare vengano dominate da corridori abituati a gareggiare in contesti di alto livello. Lamperti arriva da 32 giorni di corsa, tra i quali conta ben cinque corse a tappe: tutti step che gli hanno permesso di crescere ed arrivare pronto qui in Italia.
«Fare tante corse a tappe – spiega – mi ha aiutato ad arrivare pronto a questo Giro. E’ stato molto utile correre molto ed entrare in forma gradualmente. Ho iniziato dal Gran Camino in Spagna a febbraio e sono arrivato fino al Tour of Japan di fine maggio. Correre in tutte le parti del mondo mi ha dato una grande mano, soprattutto per confrontarmi con tanti atleti diversi. E’ chiaro tuttavia che il sogno è partecipare alle grandi classiche, come Fiandre e Roubaix».
Bruttomesso, secondo con un po’ di rammarico, si è detto affamato di rivincitaAnche la Colpack di Persico, 6° sul traguardo, si è messa a lavorare per chiudere il gapBruttomesso, secondo con un po’ di rammarico, si è detto affamato di rivincitaAnche la Colpack di Persico, 6° sul traguardo, si è messa a lavorare per chiudere il gap
Bruttomesso: rimpianto e rivincita
All’ultima curva, lontana dal traguardo, Bruttomesso era nelle prime posizioni, ma la fatica fatta per rimanere a galla nel gruppo alla fine gli è rimasta sulle gambe. Il corridore del Cycling Team Friuli ha lanciato lo sprint da solo e tutto sommato questo secondo posto vale oro. Soprattutto gli è stato utile per prendere le misure.
«Secondo di poco – sbuffa – anche in rimonta, ma ho perso di mezza ruota. Oggi c’era da chiudere gli occhi e buttarsi, abbiamo fatto una lotta mai vista per le posizioni. Il finale era un po’ insidioso: con rotonde e strade strette. Sono uscito anche giusto, ma loro (la Trinity, ndr) erano in di più e si sono fatti valere. Peccato, ma ci saranno ancora due o tre occasioni per riprovarci: l’ultima a Trieste, ma anche quella di casa a Povegliano. Forse anche quella di Manerba».
«Gestire una tappa del genere in cinque non è semplice – continua – appena abbiamo visto che la fuga aveva troppo margine ci siamo messi a tirare. Ho parlato con la Colpack e la Trinity, i bergamaschi hanno messo davanti un paio di uomini, la Trinity no. Hanno preferito così ed aspettare l’arrivo».
Il Giro NextGen (targato RCS Sport) ci propone il solito lotto di talenti U23 per il futuro. Abbiamo scelto dieci possibili protagonisti per la generale
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Si è parlato spesso dello stile di Jonathan Milan in volata, del suo muoversi, dei rapporti, della posizione… Non ultimo è stato Alessandro Petacchi. Ma c’è un corridore che più di altri può aiutarci a capire quanto effettivamente il friulano possa e debba intervenire sui suoi sprint, ed è Elia Viviani.
Elia, lo sappiamo è un “compendio di tecnica a cielo aperto”, ma soprattutto è un corridore in attività ed è anche un pistard. Come sempre il corridore della Ineos Grenadiers non è stato affatto scontato nella sua analisi.
Elia Viviani (classe 1989) ha grandi conoscenze tecniche sia su strada che su pistaViviani (classe 1989) ha grandi conoscenze tecniche sia su strada che su pista
Elia, partiamo dai rapporti. In più di qualche occasione abbiamo visto Milan essere troppo agile.
Io direi piuttosto che in tal senso ha sbagliato veramente una sola volata (Napoli, dr): lì effettivamente era troppo agile. Non so per quale motivo non abbia messo l’11, ma le altre, anche quelle che ha perso col rimontone da dietro il rapporto era giusto. Semmai le ha perse per la posizione di partenza.
Questa sua agilità, ma in generale questo modo di fare gli sprint, derivano dal suo essere pistard?
Milan in pista fa gli inseguimenti: individuali e a squadre e non ha quel vantaggio che ti dà per esempio una corsa a punti. Lui trae vantaggio dalla pista per quel che concerne le partenze e quindi la potenza. Non ha quella scaltrezza di movimento che possiamo avere Consonni, Gaviria o io che facciamo anche le altre specialità (quelle di situazione, ndr). L’agilità di cui ha bisogno è quella di riuscire a fare quel paio di pedalate in più quando gira l’11. Se andiamo a vedere l’unica volata in cui non è stato il più forte è stata l’ultima, quella di Roma. Ma ci sta. Aveva faticato molto, era al primo Giro e aveva speso tanto per difendere la maglia ciclamino.
A Napoli, Milan ha sbagliato rapporto. Per Viviani, l’unico vero errore di Jonathan A Napoli, Milan ha sbagliato rapporto. Per Viviani, l’unico vero errore di Jonathan
Beh, quella è un’agilità per modo di dire! E’ potenza…
In pista se in un inseguimento si fanno 120-125 rpm, e lui è in grado di farne 125 in piedi con l’11 ecco che fa quelle quattro pedalate in più degli altri e vince. E questo è sì qualcosa che gli viene dalla pista.
Hai parlato di corsa a punti e specialità simili. Quanto possono aiutarlo, anche nello stile?
Mi sentirei di dire che può aiutarlo di più l’avere un treno, tre uomini tutti per lui. Un treno che lo porta a giocarsi nove sprint su dieci e non quei due o tre che ti devi guadagnare e ti deve andare tutto bene. Tante volte uno sprinter non fa la volata più per una questione di situazioni esterne che non di gambe. Che poi era quello che succedeva a me quando ero alla Quick Step. Il treno ti può far fare il salto di qualità. La corsa a punti, l’omnium… sì possono aiutare, ma è un processo lungo. Magari avrà fatto qualcosa quando era bambino, ma prima che apportino benefici ne passa di tempo. Con un treno Jonathan se la gioca già da domani e vincerebbe il doppio, il triplo delle corse.
Petacchi ci ha parlato di uno stile migliorabile. Quei tanti movimenti incidono su aerodinamica e dispersione di forza. E’ così? E’ migliorabile?
Sì è migliorabile e l’allenamento ti aiuta, ma poi c’è lo stile del corridore e la sua è potenza pura. Quando sei a tutta è difficile controllare lo stile. Possono esserci dispersioni di forza? Può darsi, ma se lo blocchi lì, lo costringi di là, magari non riesce più ad esprimere tutti i suoi watt. Guardate anche Alaphilippe. Per me il rischio è alto.
Le fasi di partenza dell’inseguimento aiutano a sviluppare grandi doti di potenza, utili anche su strada. Milan è il secondo da sinistraLe fasi di partenza dell’inseguimento aiutano a sviluppare grandi doti di potenza, utili anche su strada. Milan è il secondo da sinistra
E a livello tecnico?
Io non so quanto Milan possa abbassarsi con la bici, scendere sul manubrio… è anche alto. Ripeto, può lavorarci un po’ in allenamento, essere più composto, ma non più di tanto. Io per dirla fuori dai denti, non lo vedo con la testa vicino alla ruota anteriore come Cavendish, ecco.
Abbiamo parlato di corsa a punti, eliminazione… quanto realmente quelle specialità possono aiutarlo in uno sprint su strada a livello stilistico?
E’ tutto un altro gesto. In pista sei spesso seduto, raramente ti alzi e sempre da seduto fai le tue progressioni. I benefici che Jonathan può trarre dalla pista sono sul fronte della preparazione fisica. Il resto, che è comunque relativo ad un discorso di scaltrezza, sarebbe un processo troppo lungo. Con lui un treno sarebbe anche abbastanza facile da organizzare in quanto basta che lo lasciano ai 300 metri visto che ha dimostrato di non avere problemi a tenerli.
Concludendo Elia, se tu fossi il coach di Jonathan Milan, su cosa lo faresti lavorare per migliorare nelle volate?
Non insisterei troppo sullo stile, quanto sulla forza dei 15”-20”. E neanche tanto sul picco di velocità assoluto, ma sulla progressione: volata lunga. Volata nella quale gli avversari non sono in grado di uscirti di ruota negli ultimi 250 metri. Jonathan ha i valori per riuscirci.
Silvio Martinello di volate sull’asfalto e sul parquet ne ha fatte un’infinità e pochissimi come lui possono dare un giudizio sull’imperioso sprint di Jonathan Milan sul rettilineo di San Salvo.
Il gigante della Bahrain-Victorious ha scavato un solco proprio negli ultimi metri e ha disputato uno sprint con una cadenza pazzesca, ben oltre le 120 rpm. Una volata così ci è parsa molto da pistard. Pensieri che abbiamo condiviso con Martinello appunto.
Sappiamo che il friulano aveva un 55-40 anteriore e un 11-30 al posteriore. Jonathan non ha fatto la volata con l’11 al posteriore, almeno fino al momento in cui gli si è aperto il varco e ha iniziato a spingere a tutta. Ma ci dicono che a fine gara avesse l’11 in canna, pertanto è lecito pensare che lo abbia inserito negli 50 metri (probabilmente, quando abbassa la testa per l’ultima volta).
La cosa bella è che pur con un dente in più mantiene quella cadenza. Ma al netto di queste congetture ponderate, partiamo da quel che c’è di concreto.
Il solco che ha scavato Milan negli ultimi metri è pari ad una biciIl solco che ha scavato Milan negli ultimi metri è pari ad una bici
Silvio, rivedendo la volata dall’alto Milan fa una differenza pazzesca negli ultimi 30-40 metri. In quel frangente dà una bicicletta di vantaggio a tutti…
Vero, quella differenza che Jonathan è riuscito a fare negli ultimi metri è perché ha mantenuto la frequenza di pedalata molto elevata. La stessa che era riuscito ad esprimere fin dal momento in cui ha deciso di partire. Gli altri invece non ci sono riusciti.
Una volata di personalità…
Si è scoperto un velocista importante. Per carità, Milan le sue volate le aveva già vinte, ma in contesti completamente diversi. Quello del Giro d’Italia è un palcoscenico di maggiore rilevanza, con sprinter di grande spessore. Credo che questo successo lo proietti in una nuova dimensione. Ora chiaramente dovrà riconfermarsi perché il ciclismo è così.
Spiegaci meglio…
Il giorno dopo si riparte e si rimette in gioco tutto. Siamo di fronte ad un atleta che se conferma queste belle cose potrà offrire qualcosa di molto, molto interessante. E cosa non secondaria, ieri per me ha acquisito grande consapevolezza.
La volata dall’alto (screenshot a video – Gcn): 190m Milan (il primo in rosso) è quasi alle transenne…Precisamente ai 150m si apre il varco e Jonathan ci si fionda. Da questo momento spinge al massimo…E inizia a fare la differenza. Qui siamo ai 90 m, ma ancora non c’è il bucoLa sequenza vista dall’alto (screenshot a video – Gcn): 190m Milan (il primo in rosso) è quasi alle transenne…Precisamente ai 150m si apre il varco e Jonathan ci si fionda. Da questo momento spinge al massimo…E inizia a fare la differenza. Qui siamo ai 90 m, ma ancora non c’è il buco
Torniamo al discorso della cadenza, l’elemento che più ci ha colpito del suo sprint… Sembrava quasi che spingesse un dente in meno degli avversari…
Non ho informazioni sul rapporto che ha utilizzato. Ma teniamo in considerazione che quello di ieri era un rettilineo senza difficoltà quindi da potenza, da forza pura. Senza contare che lo sprint è stato disputato leggermente controvento. La Alpecin-Deceuninck ha fatto un ottimo lavoro e Jonathan è stato abilissimo a sfruttarlo in qualche modo.
Cioè?
Per me, lui la la volata l’ha vinta in due frangenti. Il primo: all’ultima curva, grazie anche al lavoro di Pasqualon, quando è riuscito a portarsi sulla ruota di Kaden Groves, il quale aveva due compagni di squadra che lo hanno lanciato. Il secondo: è stato bravo/fortunato, nel momento in cui è partito lo sprint. Si è dato qualche spallata con Bonifazio che ha perso il duello fisico. Questo poteva indurlo ad andare sulla destra (alle transenne, ndr) e restare chiuso.
Milan invece si è buttato al centro…
Esatto, ma soprattutto in quel modo si è aperta la strada davanti a lui. In quell’istante ha scaricato tutta la sua potenza e ha fatto la differenza (ed è vero, dall’inquadratura aerea si vede un netto cambio di ritmo, ndr). Ieri era indubbiamente il più forte. Ripeto: mi auguro che questo successo gli dia quella consapevolezza nei propri mezzi che serve molto… soprattutto al velocista. E lo stesso alla sua squadra. Merita fiducia anche per i prossimi traguardi.
Martinello (a sinistra) impegnato con Villa nella madison. Silvio si augura che Milan possa portare avanti questa disciplina della pistaMartinello (a sinistra) impegnato con Villa nella madison. Silvio si augura che Milan possa portare avanti questa disciplina della pista
Parliamo invece dello stile di Milan. Facendo un’analisi quasi estetica, non è ancora compostissimo. Per esempio al suo fianco c’era Groves che era schiacciato sul manubrio. Jonathan invece era più alto e muoveva moltissimo le spalle. Forse c’è ancora qualcosina da migliorare?
L’atteggiamento estetico è relativo. Che Milan si muova parecchio è vero, ma comunque ha un ottimo stile. Nello sprint viene abbastanza naturale scomporsi, soprattutto quando – come lui ieri – ti stai rendendo conto che stai vincendo e subentra anche un po’ il timore di essere rimontato. Pertanto vai a cercare tutte le energie che hai a disposizione, utilizzando anche la parte superiore del corpo. Quando prima parlavo di consapevolezza nei suoi mezzi, mi riferivo anche a questo aspetto: le volate gli diventeranno più naturali e resterà più composto. Ma alla fine quello che conta nel ciclismo è passare per primo sulla linea d’arrivo!
Milan nei mesi scorsi in pista in via non ufficiale ha fatto anche delle madison, che richiedono un altro colpo di pedale rispetto ai più “statici” inseguimenti siano essi a squadre o individuali: secondo te gli hanno dato questa brillantezza ulteriore?
Sicuramente sì e mi auguro che continui su questa strada. Le madison lo aiuteranno a migliorare aspetti che negli sprint di gruppo sono determinanti: come la velocità, il momento in cui partire, il colpo di pedale…
Ti ricorda qualche velocista del passato? Anche per il suo stile?
Mi ricorda un po’ Marcel Kittel. C’è anche una certa somiglianza nella struttura fisica. Ma è anche vero che ha vinto con una tale differenza che col tempo potrei paragonarlo anche a Petacchi e poi ancora a Cipollini. Loro due vincevano con questi margini. Nel ciclismo è bello e curioso fare accostamenti, però sono accostamenti che possono anche diventare ingombranti, quindi aspettiamo un po’.
Un velocista cambia in volata? E’ una questione che forse qualche anno fa neanche avremmo immaginato di porre… e non ci riferiamo all’era “in bianco e nero” dei manettini al telaio, ma ad una dozzina di anni fa. Con l’evoluzione tecnica dei materiali qualcosa sembra muoversi. Anche su questo fronte.
Jonathan Milanci ha detto che in volata va in progressione e che preferisce “indurire” man mano. Lui è uno sprinter sui generis nel senso che è altissimo, molto potente ed è più di uno sprinter puro. Ma i suoi colleghi di volata?
Per chiarire questo aspetto tecnico-tattico abbiamo spodestato il “maestro” Elia Viviani. Il campione della Ineos-Grenadiers è particolarmente sensibile a certe questioni.
Elia ha iniziato la sua stagione su strada a San Juan (in foto). Sfortunato agli europei su pista, causa febbre, oggi parte per il UAE TourElia ha iniziato la sua stagione su strada a San Juan (in foto). Sfortunato agli europei su pista, causa febbre, oggi parte per il UAE Tour
Elia, dunque un velocista cambia in volata?
Io dico di no. Da sprinter puro arrivo già al limite con l’11 in canna. Ci sta che Milan provi a cambiare: lui parte dai 400, 300 metri e avere qualche dente da scalare in quel caso ti aiuta. Ma io una volta che parte lo sprint vero e proprio non cambio. Mi concentro solo sulla spinta e a sprigionare la massima potenza.
Chiaro, testa e bassa concentrazione…
Poi dipende anche dalla situazione, cioè in base a come è fatto l’arrivo. Se magari c’è una curva abbastanza stretta e si riparte da bassa velocità. Bisogna poi considerare che con i bottoncini vicino alle mani (quelli all’interno della piega, ndr) è abbastanza facile. Ma io, ripeto, preferisco non cambiare.
Che poi è anche un rischio. Al netto che in quel “mezzo secondo” del passaggio della catena da un pignone all’altro si perde qualche istante, per voi che sprigionate fiumi di watt il rischio è quello che la catena possa saltare, subire strattoni pericolosi per la sua stessa tenuta…
Esatto, è un rischio. E per questo io preferisco mantenere l’11.
Sempre l’11? Anche con questi rapportoni anteriori che usate?
Io sono tradizionalista e solitamente uso il 54×11. Monto il 55 o il 56 solo se nella riunione del mattino siamo certi che il vento è a favore o che l’arrivo tira leggermente in discesa.
Gli “sprinter shift”, i bottoncini del cambio all’interno della piega. Molto spesso il nastro manubrio li copre del tuttoGli “sprinter shift”, i bottoncini del cambio all’interno della piega. Molto spesso il nastro manubrio li copre del tutto
E un 56×12 avrebbe senso?
A me non piace, anche perché poi il 56 una volta che lo monti lo devi portare in giro tutto il giorno. E non è così facile. Magari una salita (veloce) con il 53-54 la puoi anche fare, ma con il 56 sei costretto a passare al 39.Nizzolo è famoso per questa cosa. A Cittadella ha vinto l’italiano perché aveva il 56. Lui usa questi rapporti così duri per caratteristiche fisiche e anche tattiche. Arrivando da dietro cerca di sfruttare quel dente in più.
L’avvento del cambio elettronico ha cambiato qualcosa? E’ comunque più facile cambiare anche in frangenti concitati come gli sprint?
Sì, perché con il cambio manuale meccanico dovevi fare un movimento, dovevi “fare leva” e questo era un movimento che ti faceva “sbilanciare”, dovevi spingere qualcosa (la leva, ndr). Il cambio elettronico ha semplificato parecchio le cose, specie con i bottocini alla piega. Li spingi con il pollice e non cambia il tuo assetto.
E in tema di sicurezza sullo sprint, il cambio elettronico ha migliorato la situazione?
La cambiata è più veloce e anche più sicura, ma non è scritto da nessuna parte che elettronico significa zero errori… Dico che in generale è più facile.
Algarve: ieri primo Kristoff (al centro). Essendoci vento contro, il norvegese ha messo l’11 solo l’istante prima che il suo apripista si spostasseAlgarve: ieri primo Kristoff (al centro). Con il vento contro, il norvegese ha messo l’11 solo l’istante prima che il suo apripista si spostasse
Oggi che si sta attenti ad ogni dettaglio, le catene dei velocisti sono più robuste? Disperdono meno energia, se così si può dire?
No, sono quelle indicate dal costruttore, anche per questioni di responsabilità in caso di eventuali guasti, tutt’al più, chi punta (scalatori e velocisti) usa una catena trattata in certo modo, con polveri particolari. Il trattamento dura 200, 300 chilometri al massimo.
E tu la senti questa differenza?
Non la senti, ma la vedi. La vedi al banco di prova. Come per le ruote. Quando vedi che non smettono di girare allo stesso tempo sai che rendono di più. Lo vedi. E’ un guadagno reale. Un’altro aspetto tecnico delle volate su cui ragionare, e su cui dico “ni”, è il cambio con le rotelle grandi. E’ vero che la catena scorre meglio, ma secondo me è meno rapido nella cambiata, meno rigido. Mentre è un buon marginal gain per le crono.
Ritrovo a Montichiari con la nazionale della pista e Viviani rioprende i lavori che nel 2018-2019 aveva fatto di lui un grande velocista. Tokyo verrà dopo
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«Sto facendo i bagagli e sto lavando le scarpe. Con il tratto di sterrato erano diventate marroni», succede anche questo ad un corridore, campione olimpico, che ha vinto da poco una corsa. Da Simone a Simone. Dopo il racconto della bella vittoria di Velasco di ieri, qualche ora prima, aveva alzato le braccia al cielo anche Simone Consonni.
Al Saudi Tour il corridore della Cofidis ha raccolto una vittoria pesante. Erano le dieci di sera in Arabia Saudita quando Simone ci ha raccontato tutto. Stava riordinando le sue cose appunto. Il volo del rientro in Italia sarebbe avvenuto di buon mattino. E probabilmente mentre esce questo articolo Consonni è in viaggio.
Simone Consonni (classe 1994) ha vinto ieri a Maraya. Questo successo gli ha permesso di chiudere 7° nella generaleSimone Consonni (classe 1994) ha vinto ieri a Maraya. Questo successo gli ha permesso di chiudere 7° nella generale
Come un quartetto
A Maraya battuti nomi di peso, nel vero senso della parola, a partire da quel mostro di watt che è Dylan Groenewegen, quarto all’arrivo. Nella foto di apertura si nota, col casco azzurro, come l’olandese chini la testa, tanto che poi è stato saltato anche da Malucelli e Ackermann. Simone li ha battuti su un arrivo particolare: 500 metri al 6%-7%. Strada larga. Per certi traguardi serve una centrale nucleare di watt.
«E’ stata una volata tiratissima e lunghissima – racconta Consonni con tono squillante – ma quando ai 150 metri ho saltato Groenewegen mi sono detto: “Oggi non può saltarmi più nessuno”. E ho tirato dritto. Ho spinto come se non ci fosse un domani, come se fossi stato nei giri finali di un quartetto alle Olimpiadi. E’ stato davvero un arrivo duro. Tirava tanto».
Tra sterrati e deserto quanta polvere, ma che scenari in Arabia Saudita…Tra sterrati e deserto quanta polvere, ma che scenari…
Watt e peso
Dicevamo di un arrivo duro. In questi casi azzeccare il rapporto è importantissimo ed è vero che servono tanti watt, ma con 500 e passa metri di salita inizia a contare anche il peso dell’atleta. E così dai watt puri si può accennare anche al rapporto potenza/peso. Ed è quello che forse ha agevolato Consonni.
Il lombardo è stato potentissimo, come Groenewegen, ma negli 50-70 metri gli 80 e passa chili del “bestione” della Jayco-AlUla si sono fatti sentire.
«Con che rapporto ho fatto lo sprint? Dietro non lo so, immagino non con l’11, anche perché da quest’anno uso il 56. E poi questi arrivi mi piacciono, sono ideali per me. Posto che lo scorso anno ho vinto una volata super piatta». Vista la velocità con cui è uscito dalla testa del gruppo siamo certi che non avesse il 56×11: la sua cadenza era nettamente superiore a quella di tutti gli altri.
«Finalmente – prosegue Simone – ho passato un buon inverno. Uno dei pochi in cui ho potuto fare una preparazione senza grossi intoppi o problemi fisici. Già in ritiro mi sentivo bene, avevo buone sensazioni. Computerini, test, potenziometri e strumenti vari me lo dicevano. E questa settimana al Saudi ha confermato queste buone sensazioni (è andato bene anche nella frazione più dura, ndr)».
Il fatto che Consonni abbia vinto ci fa un po’ sorridere. Poche ore prima usciva l’articolo in cui Endrio Leoni lo metteva tra i migliori sprinter italiani, ma anche tra coloro che vincono poco. E forse avrebbe fatto meglio a fare l’apripista, visto che è anche bravo a muoversi in gruppo.
«Eh – sorride Consonni – che dire… alla fine ho fatto un po’ tutta la mia carriera nel mezzo, tra fare le volate e tirarle. Ho provato a fare l’apripista con Kristoff, Gaviria, Viviani… ma a 28 anni voglio provare a vedere fin dove posso arrivare».
Dalla terza frazione in poi la Cofidis ha lavorato per ConsonniDalla terza frazione in poi la Cofidis ha lavorato per Consonni
Più spazio…
Lo scorso anno Simone aveva concluso la stagione con dei buoni piazzamenti e una vittoria. Man mano stava acquisendo più spazio e più fiducia in squadra. Sarà sempre più così?
«Lo scorso anno – dice il lombardo – avevo già avuto un bel po’ di spazio e lo stesso sarà quest’anno. Avrò un determinato ruolo in base alla giornata: come sto, come è l’arrivo, a chi è più adatto in squadra… Per esempio qui al Saudi nelle prime due tappe ero in appoggio a Max Walscheid, in queste ultime frazioni è stato il contrario. Anche perché io stavo bene, c’era questo arrivo adatto a me, in più ero anche messo bene nella generale: squadra e compagni mi hanno dato fiducia.
«Mi piace questo ruolo di fiducia. Mi ricorda i tempi della Colpack! Quando le volate erano piatte piatte mi buttavo nella mischia magari per chi era super veloce, penso a Lamon… Ma quando la corsa era un po’ mossa loro ricambiavano».
Da Monaco 2022 (in foto) a Grenchen: i Campionati europei sono importantissimi in chiave olimpica per Simone e gli azzurriDa Monaco 2022 (in foto) a Grenchen: i Campionati europei sono importantissimi in chiave olimpica per Simone e gli azzurri
Subito pistard
Ma il tempo di festeggiare è poco… per non dire che è già finito. La giostra del ciclismo gira veloce ed è già tempo di Campionati europei. Dalla prossima settimana Consonni sarà impegnato a Grenchen in pista.
«Eh già, da 4-5 ore (ieri, ndr) sono tornato pistard! La testa è già lì – conclude Consonni – ci tengo molto a questi europei. Ci mancheranno un po’ di tattica e di tecnica, visto che abbiamo tutti corso parecchio su strada e girato poco in pista, ma ci arriviamo bene fisicamente.
«Ganna a San Juan è stato spettacolare anche in salita. L’altro giorno Milan ha vinto qui in Arabia… Anche io potrò dare il mio contributo. E non sarà solo il quartetto di Ganna e Milan. Ho alzato la mano anche io!».
E lo chiamano velocista! Davide Ballerini è stato uno dei protagonisti di questo Giro d’Italia. Il ragazzo della Deceuninck-Quick Step si è visto soprattutto per l’appoggio alla maglia rosa di […]
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«Anche quella dei velocisti – dice Viviani, in apertura con Richeze – è una famiglia che si sta evolvendo. Siamo tanti, ma non vedo un dominatore assoluto. I giovani arrivano. De Lie ha vinto tante corse lo scorso anno e ha cominciato bene quest’anno. Poi ci sono Kooij e anche Jakobsen, anche se lui è una conferma. Lo scorso anno però non c’è stato uno che abbia schiacciato gli altri. Se ci mettiamo tutti insieme in una gara come questa, magari qualcuno manca, però non c’è uno che le vinca tutte».
Ieri la salita ha diviso il gruppo. Davanti sono rimasti Gaviria e Sagan, dietro Jakobsen, lo stesso Viviani e tutti gli altri. La curiosità di fare con Elia il punto sui velocisti è venuta proprio osservando l’andamento della Vuelta a San Juan. Ogni volata un vincitore diverso, ogni volata una squadra capace di gestire diversamente il finale. Poco importa se giovani o più esperti.
«In questo momento – conferma Viviani – Van Poppel è quello che fa la vera differenza e Bennett ne trae beneficio. Però anche Bennet ha la mia età, quindi possiamo dire che c’è una decina di velocisti che si dividono le vittorie. Poi ogni anno c’è chi prevale sull’altro in termini di numero o qualità delle vittorie. Non è secondo me come gli scalatori. Il Tour se lo giocano Pogacar, Vingegaard e non so chi altri. Sul piano delle volate, la situazione è più aperta».
Alla Vueltsa San Juan per ora tre volate e tre vincitori diversiAlla Vueltsa San Juan per ora tre volate e tre vincitori diversi
Dipende dal livellamento delle prestazioni?
No, perché comunque lo sprint non è come in salita. La differenza la fanno tante cose, non solo i watt per chilo. La fa il percorso, se tira un po’ in su. La fa se la volata viene un attimo più tirata, come qui nella seconda tappa. La fanno le dinamiche, il treno migliore, restare chiusi sulle transenne, riuscire a venir fuori… Quindi tante cose che, messe insieme, non fanno prevalere sempre il corridore più potente. Probabilmente i primi sprint da giovanissimo potrebbero far prevalere sempre lo stesso, però tra i professionisti non è più così.
Quanto incide il treno?
Prima ho parlato di Van Poppel per dire che tantissime squadre possono portare il velocista all’ultimo chilometro, ma è quello che succede nel finale a fare la differenza. Tutte le volte che ho vinto nel 2018-2019 era perché Sabatini, Richeze o Morkov lavoravano per me. Questa combinazione di corridori aveva il pieno controllo di quello che succedeva nell’ultimo chilometro. Quindi la squadra può fare bene dal chilometro zero fino all’ultimo, ma in quello spazio, sono il penultimo e l’ultimo uomo che fanno la differenza. Un Van Poppel così fa la differenza e ti porta a giocarti il 90 per cento delle volate. Senza di lui, Bennett non vincerebbe così bene.
In che modo l’assenza dei treni all’antica cambia la volata?
La situazione è più caotica. Non c’è più il treno di quei 6-7 che prendono la testa e portano il leadout fin là. Oggi parliamo di due uomini: quello che entra al chilometro e porta l’ultimo ai 500 metri e quello ti lancia negli ultimi 500 metri. Le squadre non sono più sbilanciate verso lo scalatore o il velocista. Tutto da una parte o dall’altra. Ormai ci sono dentro i due uomini per lo scalatore e i due per il velocista. Per questo non vediamo più il dominio di un treno che prende la testa e va pulito sino falla fine.
Van Poppel è l’ultimo uomo di Bennett, uomo chiave invidiato da tanti velocistiVan Poppel è l’ultimo uomo di Bennett, uomo chiave invidiato da tanti velocisti
Una volta fra grandi velocisti c’erano spesso tensioni, adesso come va?
Abbiamo rapporti abbastanza buoni. E’ ovvio che poi con qualcuno vai più d’accordo e c’è chi ti sta più sulle scatole o chi secondo te si muove in modo un po’ troppo aggressivo. Capita poche volte ormai di vedere delle scorrettezze per cui dici: «Cavoli, mi ha fatto rischiare la vita!». C’è rispetto, questo mi sento di dirlo.
Non ci sono più… i banditi come un tempo?
Con tutti i temi che si trattano negli ultimi anni, parlando di sicurezza, di stare attenti… E’ inutile che lottiamo per la sicurezza organizzativa, se poi ci ammazziamo fra noi. Quindi è ovvio che questo porta ad essere un po’ più corretti. Anche le squalifiche che ci sono state secondo me hanno indotto qualcuno a pensarci bene prima di fare scorrettezze.
L’incidente di Jacobsen, per esempio, ha fatto parlare?
Ha fatto parlare tanto, però secondo me ha fatto parlare in modo sbagliato. Come al solito se ne è parlato per le conseguenze, non per quello che è successo. Perché io sono ancora del parere che Groenewegen si sia spostato una volta di troppo, ma anche Fabio ha pedalato una volta di troppo. Nove velocisti su dieci avrebbero capito che era il momento di frenare. Quindi per me in quell’incidente le responsabilità sono 50 e 50. E’ successo a chiunque di vedere la ruota che arriva sotto e fare uno spostamento. Okay, Groenewegen ha esagerato, ma dall’altra parte Jakobsen ha provato a infilarsi fino a quando il manubrio è entrato nelle transenne. La mossa di Dylan non è stata per ammazzare Jakobsen. Certo che ne abbiamo parlato, ma nel modo giusto, analizzando ambedue le parti.
La drammatica caduta al Polonia 2020, che stava per costare la vita a Jakobsen (che vola oltre la transenna)La drammatica caduta al Polonia 2020, che stava per costare la vita a Jakobsen (che vola oltre la transenna)
Il fatto che si usino i rapporti sempre più lunghi in volata è causa dell’evoluzione del ciclismo?
Ma sì, perché comunque ci sono volate dove chi è da solo magari mette un dente in più. Se gli va bene e prende la scia giusta, riesce a saltare quelli davanti. Quindi secondo me l’uso di rapporti sempre più lunghi è più per la dinamica che ormai c’è nelle volate. E poi si va avanti, guardiamo come sono aumentati i rapporti in pista. Aumentano le velocità, però quei rapporti bisogna tirarli.
Cioè?
Mercoledì avevo il 56 pensando alla volata, ma non sono arrivato a farla. Quindi a cosa serviva il 56? Sulla bilancia va messo sempre tutto, perché se non sei abituato a tirare un certo rapporto, probabilmente può essere più nocivo che altro. Per contro, il primo giorno era una volata tutta piatta, si girava a sinistra e trovavi vento a favore, probabilmente un dente in più sarebbe servito. Quindi c’è sempre da analizzare non solo quei 500 metri finali, ma anche la giornata.
Prima forse queste attenzioni non c’erano.
Non si cambiavano i rapporti giorno per giorno. Avevi un rapporto ed era quello. C’era chi metteva il 54 tutto l’anno, chi il 53… Sicuramente fa parte delle scelte di oggi. Come gli scalatori cambiano dal 36 al 39 e al 42 se la salita è poco pendente, lo stesso noi possiamo permetterci cose che una volta non si facevano.
San Juan per Viviani è momento di verifica con gli altri velocisti e preparazione per gli europei in pistaSan Juan per Viviani è momento di verifica con gli altri velocisti e preparazione per gli europei in pista
Tu hai corso la Sei Giorni di Rotterdam e poi hai fatto i lavori in pista prima di venir qua: com’è il passaggio dai carichi di lavoro della pista alla prima corsa su strada?
Nei primi giorni è sempre difficile, però è ovvio che facendole entrambe, non è un problema e anzi deve essere un vantaggio. Il passaggio successivo è che dopo questa corsa, andrò ancora in pista con le gambe belle cariche. Adesso dovremo finire questa gara, poi recuperare e recuperare non vuol dire viaggiare. Quindi ci prenderemo qualche giorno in più a casa per assimilare quello fatto qua e aggiungere la qualità, per arrivare pronti all’europeo.
E dopo gli europei?
Strada. Uae Tour e poi sono nella lista della squadra per la Parigi-Nizza, ma dobbiamo vedere le dinamiche di inizio stagione. Il mio programma strada sarebbe perfetto vede Parigi-Nizza, Sanremo, Gand-Wevelgem. Se non dovessi essere fare la Parigi-Nizza, potrei andare in Coppa del mondo al Cairo. Ma il programma numero uno è quello della strada al 100 per cento.
Per Petacchi non ci sono dubbi, Cavendish è ancora un campione e chi lo dava per finito tre anni fa sbagliava di grosso. La partecipazione al Tour de France 2021 è stato un colpo di fortuna che però il britannico ha saputo sfruttare, conquistandosi il record e azzittendo parecchie persone. La sua assenza di quest’anno alla Grande Boucle è stata secondo Alejet più che giusta, mettendosi nei panni di Patrick Lefevere, ha compreso lo spazio dato al ben pagato e giovane Fabio Jakobsen.
Con un 2023 fuori dall’orbita della futura Soudal-Quick Step, il bivio sul cosa fare al termine della prossima stagione sembra avvicinarsi sempre di più. Petacchi ha visto un modo totalmente diverso di interpretare le volate «Parte prima e ci prova, una volta aspettava fino all’ultimo». Se si vuole leggere tra le righe questo modus operandi di Cannonball ha tutta l’aria di essere oltre che un adattamento al fisico, un atteggiamento di chi sa che di occasioni ce ne saranno sempre meno.
Alessandro Petacchi e Mark Cavendish hanno condiviso duelli e volate per anni, da compagni e avversariAlessandro Petacchi e Mark Cavendish hanno condiviso duelli e volate per anni, da compagni e avversari
Che 2021 è stato per il tuo ex rivale Mark Cavendish?
L’anno scorso è andato al Tour perché si era ammalato Sam Bennett. La Quick Step aveva fatto questa scelta. Era stato preso dopo un 2020 in cui sembrava dovesse smettere di correre. Ha trovato questo accordo con Lefevere e secondo me ha fatto la scelta migliore. Finche è girato tutto bene. Ha avuto un 2021 motivato dove è riuscito a raccogliere grandi risultati. Si è fatto trovare pronto in buona forma e ha fatto un’ottima corsa.
Le motivazioni non gli mancavano…
E’ chiaro che lui andasse alla ricerca del record di vittorie però fondamentalmente la decisione di Lefevere si è basata su altre motivazioni e non era quello che gli interessava.
Come commenti la sua assenza al Tour di quest’anno?
Giustamente credo che una squadra che investe su un giovane che paga parecchio come Fabio Jakobsen abbia la priorità di spingerlo al massimo. Purtroppo è una ruota che gira ed è toccato a Mark rimanere a casa. Poi non so se siano lasciati in brutti rapporti o se sia stata una scelta sua o della squadra di non riconfermarlo.
L’unica vittoria di Mark Cavendish al Giro d’Italia 2022L’unica vittoria di Mark Cavendish al Giro d’Italia 2022
Nel 2023 lo vedi ancora al Tour?
Forse vuole fare un anno per chiudere al Tour che ci può stare, perché è la gara che gli ha dato di più ed è forse probabile che finisca lì. Tutto può succedere, se dovesse andarci può voler dire anche vincere ancora. Chiaro è che oggigiorno la squadra conta molto. Il fatto di essersene andato può essere uno svantaggio in più.
A livello mentale può averlo penalizzato il non essere presente alla Gran Boucle?
Lui spesso si fa un po’ condizionare da queste situazioni che lo demoralizzano. E magari non ha avuto la motivazione giusta per allenarsi in alcuni frangenti della stagione. E’ vero che ha vinto la metà delle corse, ma bisogna contare che nel 2021 ha vinto quattro tappe al Tour.
Dopo un 2021 dove aveva messo a tacere ogni critica, il 2022 ha convinto di meno…
Quest’anno ha vinto cinque gare e una sola tappa al Giro d’Italia e sinceramente mi aspettavo facesse di più per come era partito. C’è da dire che è stato bravo a finirlo. L’ho incontrato al termine di una tappa e mi disse che era un Giro duro e che andavano fortissimo. Tutto sommato ha dato prova di saper resistere ancora. Era già in procinto di smettere, ma ha vinto quattro tappe al Tour e una maglia verde che lo hanno rivitalizzato. Dovrà capire cosa fare.
Un altra poderosa vittoria di Cavendish alla Milano-Torino 2022Un altra poderosa vittoria di Cavendish alla Milano-Torino 2022
Fisicamente come lo hai visto quest’anno?
Lo davano per finito tre anni fa, poi abbiamo visto tutti cosa è stato in grado di fare. A mio avviso quest’anno stava bene fisicamente. Ha fatto un anno più o meno sulla falsariga di quelli precedenti al 2021 in cui ha avuto qualche difficoltà più mentale.
Tu che lo hai affrontato al massimo della sua condizione, hai notato differenze nel suo modo di interpretare le volate?
Sì, addirittura mi è sembrato che partisse molto prima rispetto ai suoi standard. Una volta aspettava tanto. Invece ora magari parte anche lungo rischiando di essere rimontato. Però giustamente meglio farla e magari perderla piuttosto che non riuscire nemmeno a disputarla perché hai aspettato troppo e sei rimasto chiuso. Da quel punto di vista mi ha sorpreso. Anche nella prima tappa del Giro che ha vinto era partito lungo e ci è riuscito. Poi ci ha riprovato in qualche altra occasione ed è stato rimontato.
Nel 2014 il treno di Mark aveva un Alejet d’eccezione che tirava le volateNel 2014 il treno di Mark aveva un Alejet d’eccezione che tirava le volate
Pensi che sia dovuto anche ad una perdita di esplosività dovuta all’età?
Con l’età si diventa più resistenti e magari un velocista può perdere un po’ di spunto. Però diciamo che un mese di brillantezza durante l’anno lo si può trovare. Se lo trovi nel periodo giusto, si può vincere tanto. Magari vinci meno durante l’anno perché quella condizione non è sostenibile troppo a lungo. Se sei abbastanza giovane è più facile e bisogna stare anche più attenti a dosarsi. A questa età che si hanno alti e bassi, si può puntare a tornare ai massimi livelli anche per un breve periodo.
Guai a definirlo “finito” un’altra volta…
Non posso e non dirò mai che un corridore è finito. Io avrei corso un altro anno. Quindi nella squadra giusta e con il ruolo giusto, si può fare di tutto. Io potevo anche mettermi a tirare le volate perché come caratteristiche era un ruolo che potevo fare. Lui no e secondo me è una cosa che sicuramente non farà mai, vorrà sempre correre da leader. Però è chiaro che se si accorgerà che non riesce a centrare nemmeno una volata, anche lui lo capirà.
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Cosa passa per la testa ad un velocista durante quei pochi e preziosi secondi finali? Lo abbiamo chiesto a Filippo Fiorelli che a sua detta velocista puro non è, ma lo stesso è in grado di vincere volatone di gruppo e sprint ristretti dove si trova più a suo agio. Ne abbiamo approfittato per immergerci con lui in quegli attimi e chiedere com’è fare una volata insieme al cinico Wout Van Aert.
Il finale che abbiamo deciso di analizzare è quello del Bretagne Classic andato in scena il 28 agosto a Plouay in Francia (foto in apertura ciclismoweb). Il siciliano della Bardiani CSF Faizanèha conquistato un ottimo quinto posto a conferma delle sue caratteristiche da uomo veloce. A vincere agevolmente ma senza dominare è stato Van Aert.
Fiorelli dopo un periodo in altura sull’Etna ha ripreso a correre in Francia ritrovando la condizioneFiorelli dopo un periodo in altura sull’Etna ha ripreso a correre in Francia ritrovando la condizione
La volata e i suoi dettagli
Pochi secondi, attimi, sono i frangenti in cui un uomo che si definisce veloce deve prendere decisioni determinanti per la finalizzazione di una tappa o di una corsa in linea. Una ruota sbagliata, uno sprint lanciato troppo presto, mancanza di lucidità nello scegliere il varco. Sono tutti dettagli che fanno la differenza per la conquista della vittoria. Quella del Bretagne Classic non è stata una vera e propria volata di gruppo, bensì di una trentina di unità veloci, senza la battaglia dei treni. Si potrebbe ipotizzare essere un piccolo spunto per il mondiale come ci ha indicato Fiorelli. Andiamo a scoprire metro per metro le decisioni e i frame che ha vissuto Filippo in scia al belga della Jumbo Visma.
In che condizione sei arrivato quel giorno?
Sono arrivato non al top. Venivo dal Tour du Limousin che non stavo benissimo. Avevo preso una bella botta con tre punti sul braccio. Cadere non è mai una cosa bella. Rientravo da un mese e mezzo che non correvo perché ero stato in altura. Mi mancava un po’ di ritmo da riprendere.
Condizione in crescita quindi…
Si non ero al massimo della condizione. Ho tirato una volata al Tour Poitou, a Manuel Colnaghi dove ha fatto quarto e io nono. Il secondo giorno dovevo fare io lo sprint poi a centocinquanta metri c’è stata la caduta e siamo rimasti coinvolti io ed altri.
Filippo si è trovato a dover smettere di pedalare e cambiare direzione spostandosi sulla sinistra per trovare il varco (immagini GCN)Filippo ha smesso di pedalare e cambiare direzione spostandosi sulla sinistra per trovare il varco (immagini GCN)
Che corsa è stata il Bretagne Classic?
La lista partenti era di ottimo livello. La maggior parte delle persone erano quelle che proveranno a giocarsi il mondiale. Come percorso era una piccola anticipazione dell’Australia. Non sapevo come ci sarei arrivato, è stata una corsa frenetica ma che ho interpretato bene.
Sapevi già di dover fare la volata?
Fortunatamente quando sono partito a dir la verità le sensazioni buone le ho avute subito. Io e Sacha Modolo eravamo gli uomini di punta. Io avevo detto subito che stavo bene. Non sapevo se preoccuparmi perché quando uno sta bene all’inizio fa il botto nel finale. A sessanta chilometri dall’arrivo quando è iniziata la bagarre mi sono reso conto che ero in forma e che mi sarei giocato il finale attaccando oppure in volata.
Ti sei arrangiato per le fasi finali?
Ero rimasto solo con Zoccarato davanti in fuga. Lo abbiamo ripreso a cinque chilometri dall’arrivo. Van Aert nel finale ha fatto tutto da solo. Chiunque partiva, lui chiudeva. Non ci ho nemmeno pensato ad anticiparlo, si vedeva che aveva in mente solo la volata. Così ho deciso di prendere la sua ruota.
Van Aert ha vinto di misura mentre Fiorelli trovato lo spazio ha risalito le posizioni (immagini GCN)Van Aert ha vinto di misura mentre Fiorelli trovato lo spazio ha risalito le posizioni (immagini GCN)
Ci sarà stata una bella lotta per prenderla?
Neanche tanto perché la gente un po’ mi conosce, non veniva nessuno a prendermi la ruota. Diciamo che non mi tolgo facilmente. Il finale è particolare perché scende e risale negli ultimi trecento metri. Si faceva molta velocità e anche lui è rimasto un po’ imbottigliato.
Di conseguenza anche tu hai avuto difficoltà a risalire?
Seguire una ruota che non è di un tuo compagno è molto più difficile, se l’avversario entra in un piccolo spazio chi è dietro non ci passa. Chi traina, il compagno di squadra deve sempre fare attenzione se ci passa anche chi ha dietro. In quel caso lui ovviamente faceva i conti per sé.
Raccontaci la tua volata…
Dopo aver “perso” Wout in quell’istante Oliver Naesen dell’AG2R Citroën Team è passato davanti a me e si vede dalle immagini che io rimango tagliato fuori dalla sua ruota e quindi con tutto da rifare. Hodovuto smettere di pedalare, fare una piccola deviazione e ho perso l’attimo. La volata vera e propria l’ho fatta gli ultimi centocinquanta metri. Infatti venivo su molto forte rispetto agli altri.
Prova a commentarci la volata di Van Aert…
L’ultimo chilometro ho pensato di aver azzeccato la ruota. Poi gli ultimi quattrocento metri quando ho visto che è scivolato indietro ho pensato che avesse perso il treno giusto un’altra volta perché la settimana prima lo aveva battuto Marco Haller della Bora Hansgrohe in Germania al Bemer Cyclassics. Ho pensato realmente in quei frangenti “si è fatto fregare”.
Dopo l’arrivo i complimenti del siciliano al belga (immagini GCN)Dopo l’arrivo i complimenti del siciliano al belga (immagini GCN)
Come ha fatto quindi a vincere?
E’ riuscito a svincolarsi bene. C’era l’uomo della Lotto Soudal che stava tirando bene per Arnaud De Lie. E non era neanche facile risalire le posizioni. Però ha fatto una volata poderosa e si è conquistato la vittoria.
E’ stata una volata senza storia?
Quella lì in particolare per lui è stata una passeggiata anche se è rimasto imbottigliato. Anche perché è stato un errore tattico. De Lie veniva da due vittorie. Ero indeciso tra che ruota prendere poi ho battezzato quella di Van Aert. Credo che in questo momento sia il corridore più forte, più completo che abbia mai visto da vicino.
Pensi che se dovesse capitare potresti batterlo in una volata analoga?
Quel giorno per come stavo non era così imbattibile. Anche perché negli ultimi quaranta chilometri ha fatto il diavolo a quattro. Se si guardano le immagini non ha fatto così tanto la differenza.
Che rapporto hai usato per la volata?
Io ho usato il 52 perché il percorso voleva quello. Lui secondo me ha tirato il 54, avendo Shimanoavrà avuto come opzione 53 o 54. In quella volata non ho subìto il rapporto, però diciamo che se avessi avuto un treno mio il 52 forse mi sarebbe stato stretto, soprattutto con un finale così a salire.
La volata della prima tappa del Sibiu Cycling Tour con Fiorelli vincitore sul gruppo compatto (foto Max Schuz)La volata della prima tappa del Sibiu Cycling Tour con Fiorelli vincitore sul gruppo compatto (foto Max Schuz)
Continui a portare a casa risultati importanti tra le ruote veloci, hai deciso cosa fare da grande?
Io sono quel corridore lì. Ho vinto al Sibiu con centotrenta corridori. Stavo bene, avevo la squadra al mio servizio. In quelle condizioni posso dire la mia. Tendenzialmente se mi trovo da solo non riesco ad esprimermi al 100%. Però io mi sento un corridore che può primeggiare in finali da trenta o quaranta corridori.
Alberati ti vede come caratteristiche simile a Bettini…
Non si sbaglia, lo dice sempre anche Marcello Massini. Il mio maestro di vita e di ciclismo. Non mi sento un velocista puro. Io, Colnaghi e Modolo siamo veloci. Non voglio diventare un velocista puro perché sarebbe una strada che non porterebbe a niente. Con gli sprinter che ci sono in giro farei fatica a primeggiare.
Il veneto è un primo anno. Fisico massiccio. Gambe muscolose che sono ancora da scolpire, tipiche di chi non ha ancora 20 anni, anzi 19, visto che è di ottobre. Un velocista puro? Chissà… La cosa certa è che ad Argenta ci si aspettava una volata e una volata è stata.
La Dsm è stata in testa per oltre 120 chilometri. Tappa piatta, ma in partenza c’era un Gpm (foto Isola Press)
E il più lesto a passarci è stato Valter Ghigino (Hopplà-Petroli Firenze-Don Camillo) che ha così preso la maglia blu
La Dsm è stata in testa per oltre 120 chilometri. Tappa piatta, ma in partenza c’era un Gpm (foto Isola Press)
E il più lesto a passarci è stato Valter Ghigino (Hopplà-Petroli Firenze-Don Camillo) che ha così preso la maglia blu
Vittoria a sorpresa
Mette le mani nel capo Bruttomesso quando taglia il traguardo. Non ci crede. Non ci crede lui e neanche sua mamma Katia, che corre dietro all’arrivo alla ricerca del figlio per abbracciarlo.
«Siamo venuti qui per questa tappa e abbiamo fatto bene – spiega la mamma – perché era il suo debutto e sapevamo che poteva fare bene. Ma non così tanto. E poi era anche il più piccolo della squadra».
La corsa si è conclusa sotto un caldo sole. Non rovente come quello che hanno trovato qualche giorno fa i corridori all’Adriatica Ionica Race, ma quasi.
La DSM ha controllato gran parte della corsa e il ritmo è stato un po’ più blando del previsto, tanto che è saltata anche l’ultima tabella oraria, quella più lenta. Hanno corso da professionisti. Molto nervosismo all’inizio, ma dopo che è andata via la fuga, le acque si sono calmate.
Lo spettacolo però non è mancato. Come ci aveva detto anche Lorenzo Germani qualche giorno fa: occhio al vento. E infatti in un punto in piena pianura a ridosso della costa adriatica il gruppo si è spezzato. E questa accelerazione ha sancito la fine della fuga.
Argenta abbraccia i ragazzi con un certo calore. Nella piazza dell’arrivo c’è davvero parecchia gente. Un bel colpo d’occhio. E se il buon giorno si vede dal mattino… va bene così!
I compagni della Zalf. Guzzo, il portavoce e “pilota” di Bruttomesso, è il secondo da destraI compagni della Zalf. Guzzo, il portavoce e “pilota” di Bruttomesso, è il secondo da destra
Zalf compatta
I compagni della Zalf si radunano prima di ripartire in direzione delle ammiraglie che li porteranno a Rossano Veneto. Si radunano e si danno il cinque.
«Sicuramente – dice Federico Guzzo, che si fa portavoce – era un arrivo adatto alle nostre caratteristiche. Qui al Giro abbiamo più che altro una squadra per percorsi mossi, però avevamo anche questa opzione di Bruttomesso, che è veramente forte. Alberto è uno dei più bravi in volata al momento. Uno dei più forti dell’intera stagione».
«Ci siamo mossi bene per la volata. Direi che “siamo usciti giusti”, nel finale. Poi lui è forte e se l’è giocata davvero alla grande. Sa sfruttare le scie giuste. E’ nella posizione giusta al momento giusto. Io per esempio ho tirato, ma alla mia ruota c’era un ragazzo della Lotto, mi sembra. Poi però Alberto si è arrangiato. Comunque lo abbiamo portato fino ai 300 metri. Per tutta la tappa abbiamo corso compatti e nel finale eravamo tutti per lui».
In Zalf sono contenti. Come dicono i ragazzi stessi, una vittoria di tappa e la maglia rosa sono già tanto.
Il vicentino, classe 2003, è al primo anno tra gli U23 e alla 6ª vittoria stagionale
L’emozione dell’abbraccio con la mamma…
Poi ecco Alberto tra i genitori
Il vicentino, classe 2003, è al primo anno tra gli U23 e alla 6ª vittoria stagionale
L’emozione dell’abbraccio con la mamma…
Poi ecco Alberto tra i genitori
Bruttomesso in rosa
Nel frattempo mamma Katia è stata raggiunta da papà Massimo. I genitori abbracciano il loro ragazzo. Saranno presenti anche domani al via, poi tutti a casa a Valdagno.
Provando ad immedesimarci in lui alla sua età, colpisce il suo self control. Si vede che è contento e ci mancherebbe, ma Alberto fa sua questa vittoria come fosse un veterano. Il che denota sicurezza.
«Ripeto, inizialmente neanche dovevo esserci – dice Bruttomesso mentre è seduto su una sedia prima di vestire la maglia rosa – ho la maturità che mi aspetta tra pochi giorni. Però da quando mi hanno detto che sarei venuto al Giro, ho studiato questa tappa, che sapevo mi si addiceva.
«Sapevo anche che il livello dei partecipanti era altissimo. Che c’erano tutti i più forti sprinter d’Europa. Speravo in un piazzamento: un buon posto, magari per prendere la maglia bianca. Arrivare a vincere e alla rosa… proprio no! Sono super contento».
L’esultanza di Bruttomesso, che poi porta le mani tra “i capelli”, segno di incredulità (foto Isola Press)L’esultanza di Bruttomesso, che poi porta le mani tra “i capelli”, segno di incredulità (foto Isola Press)
Velocista dentro
I suoi compagni lo hanno aiutato. Hanno tirato per il più piccolo. Il più piccolo che però ha le idee chiare. Molto chiare. Guzzo, aveva ragione: “Alberto se la sa cavare da solo…”.
«Il fatto che abbiano tirato per me è un onore. Ci siamo trovati in due all’ultimo chilometro, Guzzo ed io. Federico ha fatto un lavoro impeccabile.
«Ai 400 metri ero un po’ indietro, credo intorno alla decima posizione, però sono riuscito a portarmi avanti, ma sempre restando coperto. Poi ai 200 metri sono riuscito ad uscire. Mi sono riportato avanti, sapendo che il rettilineo tirava verso destra e così mi sono spostato un po’ all’esterno per non rischiare di restare chiuso. Tutto è andato in modo perfetto».
I palloncini messi da “Ciano” nelle camere dei suoi ragazzi. Magari non sono proprio rosa, ma il concetto non cambia! (foto Rui)I palloncini messi da “Ciano” nelle camere dei suoi ragazzi. Magari non sono proprio rosa, ma il concetto non cambia! (foto Rui)
Palloncini in camera
A questo punto la prima persona che ci viene in mente è Luciano “Ciano” Rui. Il vecchio pilastro della Zalf ci aveva parlato in tempi non sospetti di Bruttomesso e sempre in tempi non sospetti ci aveva detto della sua paura che i procuratori glielo portassero via subito. Adesso chissà come andranno le cose.
Lui però con la sua saggezza si gode il momento: «Se me lo aspettavo? Sapevo che Bruttomesso era forte, ma non credevo che fosse già maturo per queste gare. Oggi c’era un parterre mica indifferente. Chapeau, come si dice in questi casi. Io già lo seguivo quando era alla Borgo Molino (team juniores, ndr) ma adesso è ancora più maturo».
«Intanto ci gustiamo la maglia rosa. Quando si parte bene si è a metà dell’opera – dice Rui, mentre aspetta i suoi corridori in hotel – i ragazzi già erano motivati e la maglia nuova (griffata MS Tina, ndr) ha portato bene. Ma soprattutto hanno fatto una gran bella volata».
«Ho messo dei palloncini rosa in camera di Alberto e dei ragazzi, perché la forza è il gruppo. Come detto, ci godiamo il momento, ma da domani si riparte da zero: un po’ più maturi e con un po’ meno di pressione».