Thomas, Roglic e Pogacar: per Malori lo stesso schema

14.09.2021
4 min
Salva

Il primo fu Geraint Thomas (foto di apertura), anche se probabilmente fu costretto a farlo per necessità. L’idea di questo approfondimento è venuta a Malori, per cercare di decifrare il modo di correre di Roglic e Pogacar. L’ex corridore emiliano infatti si è accorto che i due mettono in atto spesso lo stesso copione. Nelle frazioni nervose o alla fine di ogni tappa di montagna, sono in grado di imprimere terrificanti accelerazioni grazie alle quali vincono le corse e guadagnano secondi sui rivali.

«Se andate a riguardare le cronache del Tour de France del 2018 – ricorda Adriano – vi accorgerete che la tattica di Thomas era proprio la stessa. Guadagnava a cronometro, in salita resisteva al passo dei migliori. E poi negli ultimi 500 metri era in grado di cambiare ritmo e andava a prendersi i secondi di abbuono. I due sloveni in qualche modo hanno sviluppato le stesse doti. Unite però al fatto che in salita sono tra i più forti al mondo, è facile rendersi conto come mai siano pressoché imbattibili».

Nello scontro diretto, qui ai Paesi Baschi, se ne vedono delle belle. Chissà se il modo di correre di Thomas li ha ispirati
Nello scontro diretto, qui ai Paesi Baschi, se ne vedono delle belle. Chissà se il modo di correre di Thomas li ha ispirati

Tanto lavoro

Il motivo di interesse sta dunque nel capire se si tratti di doti innate o se, al contrario, i due campioni abbiano lavorato per affinare simili attitudini.

«Credo che ci sia dietro un grande lavoro – prosegue Malori – perché riuscire ad esprimere così tanta potenza dopo una corsa di sei ore non viene da sé, anche se probabilmente madre natura ci ha messo lo zampino. Immagino che anche quando sono a casa, dopo allenamenti duri e lunghi, possano fare sedute di esplosività proprio per sviluppare questa dote».

Pogacar a ruota

Quello che appare sicuramente singolare è proprio il fatto che la stessa dote e lo stesso modo di correre accomuni due corridori che provengono dallo stesso Paese, sia pure correndo in squadre diverse e con una sostanziale differenza di età.

«Thomas fu il primo – rilancia Malori – poi a questo tipo di tattica è arrivato Roglic, che se non altro per età ha raggiunto certi standard prima di Pogacar. Io credo che Tadej, che per sua stessa ammissione ha sempre preso Roglic come modello, si sia ispirato a lui anche per questo tipo di atteggiamento tattico. Sta di fatto che nell’ultimo Tour de France ha attuato la stessa tattica con Vingegaard e Carapaz. Mentre alla Vuelta, Roglic se ne è servito contro Mas».

Al Tour de France, Pogacar si è servito dello stesso schema per arginare Vingegaard e Carapaz
Al Tour de France, Pogacar si è servito dello stesso schema per arginare Vingegaard e Carapaz

Fieno in cascina

La singolare attitudine permette ai due campioni di arrivare agli scontri più importanti avendo accumulato già un piccolo vantaggio sui rivali. Questa dote infatti si rivela molto redditizia anche nelle tappe che si concludono su muri o che selezionano gruppetti grazie a tracciati molto nervosi.

«Uno scalatore puro – Malori allarga le braccia – non ha queste doti. Quei due sono l’esempio perfetto di corridori per le corse a tappe, che di anno in anno migliorano e lavorano per perfezionarsi sui fronti che gli hanno creato qualche problema. Migliorano le loro lacune. Tanto che è difficile immaginare come finirebbe fra loro in uno scontro al top. Difficile dire chi si ha il più forte. Penso che se Roglic non avesse avuto un crollo psicologico nel 2020, quel Tour lo avrebbe vinto lui. Pogacar non gli avrebbe mai dato un distacco così grande nella cronometro alla Planche des Belles Filles, perché Primoz in quella specialità vale molto più di ciò che mostrò quel giorno. Tokyo dice questo».

Contro Mas a Valdepenas de Jaen, alla Vuelta, Roglic ha giocato come il gatto col topo
Contro Mas a Valdepenas de Jaen, alla Vuelta, Roglic ha giocato come il gatto col topo

Senza limiti

Il problema semmai e che i due non si accontentano, per modo di dire, dei grandi Giri. Ed hanno esteso il loro dominio anche alle classiche più dure.

«Non è per caso – prosegue Malori – che siano proprio loro due gli ultimi due vincitori della Liegi, una classica che strizza l’occhio anche a corridori forti in salita. Non sono molti nella storia i corridori capaci di vincere i Giri e anche le classiche. Immagino quanto sia stato felice Alaphilippe di vederli arrivare nel suo terreno di caccia.

«Anche lui… sconfinò nel 2019. In quel Tour vinse la crono e arrivò a un passo dal bersaglio grosso correndo come loro. Fu un caso evidente di stato di grazia che non sai se tornerà, loro due invece sono così sempre. Hanno creato un dualismo che andrà avanti per anni e sono certo che Roglic starà già studiando il modo per migliorare ancora e sorprenderlo alla prossima sfida. Un dubbio? Quanta autonomia possano avere a quel livello. Il terzo incomodo? Potrebbe essere Bernal, anche se lo aspetto al confronto diretto. Vinse un Tour a dir poco singolare in cui tutti guardavano Thomas e la tappa regina fu tagliata. Poi ha vinto il Giro in cui i nostri due amici non c’erano, lottando più contro il mal di schiena che contro i rivali. Magari il prossimo Tour ci dirà qualcosa di più. Sono molto curioso…».

Ardila vuole portare in alto il nome della Colombia… come Quintana

24.08.2021
4 min
Salva

Come abbiamo visto al Tour de l’Avenir il livello era pazzesco. Al via tanti ragazzi che non solo hanno già assaggiato il professionismo, ma addirittura militano in squadre WorldTour. Su tutti i due spagnoli, Juan Ayuso e Carlos Rodriguez. Ma c’era anche un altro corridore che almeno fino a 70 chilometri dalla fine della “piccola Grande Boucle” era nella top ten della classifica generale, a tenere altissimo questo livello: Andres Camilo Ardila.

Ardila con Matxin al suo debutto con la Uae lo scorso anno alla Vuelta a Colombia
Ardila con Matxin al suo debutto con la Uae lo scorso anno alla Vuelta a Colombia

In bici a 9 anni

Andres è un piccolo scalatore colombiano. Viene dalla zona di Tolima, in un pueblo che si chiama Marequita, a 170 chilometri a Nord Est della capitale Bogotà. Come sempre a notarlo è stato il talent scout per eccellenza, Joxean Fernandez Matxin, meglio conosciuto come Matxin e basta. Ardila ha seguito le orme e la passione di suo papà, Camillo, ed ha iniziato a pedalare molto presto

«Bueno – dice Ardila – ho iniziato quando avevo nove anni. E’ stato mio papà a mettermi in sella, ma la mia prima corsa l’ho fatta quando avevo undici anni e sono arrivato al ciclismo professionistico in Colombia quando ne avevo 18. Poi dall’anno scorso sono entrato nel WorldTour. Ho firmato il contratto con la Uae al Giro d’Italia U23 del 2019 che ho vinto. Matxin ha creduto in me e mi ha dato l’opportunità di essere parte della squadra.

«Cosa mi piace del ciclismo? Mi sento di avere molta libertà. Ho l’occasione di girare il mondo, di conoscere luoghi nuovi e diversi. Conoscere gente e farmi nuovi amici, a prescindere della rivalità. Ma quando sono a casa mi piace stare con la famiglia e godermi gli amici».

Il suo idolo è Nairo Quintana. «E’ lui che mi motivava. Mi ricordo delle sue sfide con Chris Froome al Tour o quando vinse il Giro. Correre qui in Europa con lui, seguire i suoi passi e portare in alto il mio Paese come ha fatto Nairo è la storia più bella che posso realizzare».

Ardila (col dorsale 71) in azione all’Avenir. Lui e Umba erano i leader della Colombia
Ardila (col dorsale 71) in azione all’Avenir. Lui e Umba erano i leader della Colombia

Prestazioni okay, regolarità no

Come spesso accade i colombiani sono istintivi e generosi in corsa. Attaccano e contrattaccano. A volte vincono, altre rimbalzano. Ed è un po’ quel che è successo ad Ardila nell’ultima frazione dell’Avenir, la tappa regina con Madeleine, Iseran e Piccolo San Bernardo. Andres ha fatto lavorare i suoi connazionali salendo verso i 2.770 metri dell’Iseran. Era convinto di attaccare. Prima del via si fregava le mani. Aspettava questo “puerto”, come dice lui, ma in realtà la sua azione e quella dei suoi compagni ha spianato la strada allo spagnolo Carlos Rodriguez. Mentre lui è “naufragato”.

Ma ci sta, quando si è giovani ci sono questi passaggi a vuoto. E non bisogna poi guardare ai distacchi per giudicare. Un colombiano di 60 chili (forse anche meno) che resta praticamente da solo con 65 chilometri da fare, 35 dei quali in discesa, è normale che perda minuti a valanga.

«Oggi volevamo attaccare. La squadra ha fatto un ottimo lavoro per tutto l’Avenir. Ho pagato un po’ nei finali delle ultime due tappe di montagna ma erano corte e a me piacciono quelle più lunghe. Non è andata come speravo, però siamo sempre stati nel vivo della corsa ed è un orgoglio per me. E poi posso sempre continuare a lavorare pensando che la prossima volta potrò ottenere un risultato migliore».

Andres, classe 1999, prima del via dell’ultima tappa dell’Avenir: era abbastanza teso
Andres, classe 1999, prima del via dell’ultima tappa dell’Avenir: era teso, ma motivato

Corazzata Uae

In ogni caso la Uae può contare su un altro uomo di grande spessore tecnico, almeno per la salita. E se la punta non dovesse essere Ardila, lui stesso può essere uno dei giovani e preziosi vagoni per i suoi capitani, Pogacar in primis, ma anche Almeida (che arriverà il prossimo anno).

«Sì, nella Uae siamo molti giovani forti – riprende Ardila – Negli ultimi anni ci sono ragazzi che vanno già molto bene e nel caso della mia squadra ancora di più. Abbiamo Pogacar che è un gran “companero”. Tadej oltre che essere un grande corridore è anche una grande persona. E lo stesso Juan Ayuso, ha un grande talento. Quando è così sei molto motivato a crescere. Sono solo due anni che sto correndo in Europa e sto imparando moltissimo. Devo trovare il feeling con questi nuovi ritmi. I modi di correre sono nuovi per me e penso che stiamo facendo un buon lavoro con la squadra».

E a proposito di Ayuso gli abbiamo chiesto qual è stato il suo rapporto in gara con lo spagnolo, anche lui della Uae. «No, all’Avenir non abbiamo parlato molto (anche per Juan si è ritirato dopo quattro frazioni, ndr). Eravamo in squadre diverse. E poi non c’è stato molto tempo visto quanto siamo andati forte!». Infine ha aggiunto una frase che la dice lunga sulla sua grinta e sul carattere dei ragazzi della Uae: «E poi ognuno è venuto qui con una mentalità vincente e ognuno voleva fare la sua corsa».

Cattaneo, l’amore per le crono è un ritorno alle origini

30.07.2021
7 min
Salva

La seconda vita di Mattia Cattaneo, s’è già detto, è iniziata con l’approdo alla Deceuninck-Quick Step. E se il 2020 ha avuto come per tutti il freno del Covid, la stagione in corso sta mostrando il bergamasco sotto una luce finalmente limpida. Il Tour de France concluso in dodicesima posizione, con il secondo posto di Tignes, il quarto di Quillan e le due crono in crescendo – 8° a Laval, poi 6° a Saint Emilion – lo hanno riproposto all’attenzione del grande gruppo come fu alle origini quando ci mise piede. Il terzo posto al tricolore di Faenza unito agli altri bei risultati di stagione nella specialità hanno detto chiaramente che il rapporto fra Mattia e il cronometro sta tornando quello di un tempo. E la cosa genera interesse. Perché abbiamo fatto l’occhio con Ganna e Affini (al lusso ci si abitua presto), ma ritrovare fra i migliori un atleta che sa anche difendersi sulle grandi montagne suona decisamente insolito. L’ultimo a ben vedere è stato Nibali.

Passione crono

Mattia è in partenza per San Sebastian, nell’ennesima sostituzione che gli è stata chiesta quest’anno. E così riempiendo la valigia, ci racconta il suo rapporto con le sfide al tempo.

«Penso di aver sempre avuto una predisposizione per la crono – racconta – sin da quando ero allievo, ma con Rossato al tempo della Trevigiani ho iniziato a lavorarci bene. Mi piace tutto. Sia lo sforzo solitario, sia tutto il lavoro che c’è dietro su posizione e materiali. La bici da crono la uso regolarmente un paio di volte a settimana, anche tre se c’è da preparare un appuntamento. Non la mollo neppure a dicembre, ci lavoro molto. Faccio esercizi per la posizione, anche a secco…».

La usi due volte a settimana, facendo cosa?

Se esco due volte, il primo faccio lavori specifici per tre ore, tre ore e mezza. La seconda volta faccio un’ora e mezza sulla bici normale e un’ora e mezza su quella da crono. Sono fortunato perché ho una buona posizione di base, anche se arrivato in Deceuninck ho cambiato parecchio per trovare la miglior aerodinamica.

Specialized ci lavora parecchio.

C’è tanto lavoro che non si vede, giornate intere a fare aggiustamenti della posizione e prova di materiali. La nostra è una delle bici più veloci, per cui anche noi dobbiamo imparare ad assecondarla.

Sei uno che il salita tira il rapporto, si dice invece che a crono si debba puntare sulla frequenza…

Ma io pedalo allo stesso modo, mai super agile. E poi la crono dura al massimo un’ora, in cui devi dare tutto. Su strada non metterei mai il 58, a crono ormai è la regola.

E’ una bici comoda?

Dipende da cosa intendiamo per comodo, ma direi che non lo è particolarmente. Stare in posizione è difficile, però dipende anche da quanto sia estrema. Per questo faccio tanti lavori giù dalla bici, allenandomi per stare stretto con le spalle. La mia posizione comporta tanto stress, ma se ti alleni, starci sopra diventa più facile.

Si dice che se sei scomodo non rendi al massimo.

Dipende da quale obiettivo hai. Se sei Cavendish e dalla crono non hai niente da pretendere, ci sta che cerchi una posizione comoda. Se parti per stare davanti, difficile che tu possa essere anche comodo. Puoi cercare una via di mezzo, ma dipende dai corridori. E’ molto soggettivo. Gente come Kung o Roglic va fortissimo, ma non credo siano comodi.

Al Giro di Svizzera 2014, 10° in entrambe le crono. Posizione più lunga dell’attuale e di quella alle origini da U23
Al Giro di Svizzera 2014, 10° in entrambe le crono. Posizione più lunga dell’attuale e di quella alle origini da U23
Se è così estrema, come si fa a cambiare posizione durante un Giro?

E’ il motivo per cui durante la settimana passo spesso da una bici all’altra. Dipende da quanto ti alleni. Mi cambia poco. Sento che ho una posizione diversa, ma non mi stravolge. Per fortuna sono piuttosto flessibile, perché a parte la lunghezza delle pedivelle che resta quella, le altre misure e gli angoli sono tutti diversi.

Hai raggiunto il top della posizione o ci lavorerai ancora?

Sono previsti dei lavori e degli studi per migliorare ancora. Penso che cambierò ancora qualcosa. Lavorerò sui materiali, ci sono interventi da fare.

Vai meglio nelle crono secche o in quelle nelle corse a tappe?

Sembrerà strano, ma vado meglio nei giri, forse grazie al fatto che recupero bene. Nella crono secca sono meno performante, ma sono migliorato tanto. Al prologo dello Svizzera, ad esempio, sono arrivato terzo ed era come fosse una crono secca.

Nel 2017 arriva quinto al tricolore crono di Moscon. La posizione è più raccolta, le braccia più inclinate verso l’alto
Nel 2017 arriva quinto al tricolore crono di Moscon. La posizione è più raccolta, le braccia più inclinate verso l’alto
Ci sono dei rituali prima di una crono?

Certo, sempre uguali. La mattina provo il percorso il più lentamente possibile. Memorizzo le curve, cerco di capire quali si possono fare forte e quali sono pericolose, quelle da fare in posizione e quelle in cui frenare. Poi mangio sempre le stesse cose e mi scaldo allo stesso modo.

Come ti scaldi?

E’ sempre uguale e in base alla lunghezza della crono metto o tolgo qualcosa. Faccio ripetute, qualcuna in più se la crono è breve, di più se è lunga. La base è identica e mentre mi scaldo bevo soltanto acqua, niente sali. E cerco di mangiare poco. Nelle crono voglio essere vuoto.

Perché?

Perché faccio fatica a digerire, per questo mangio poco, sennò sto male. Né gel né sali, solo acqua. All’italiano, Bramati mi diceva di prendere la borraccia, ma ho finito la gara senza bere un sorso.

Non c’è rischio di calare restando così vuoto?

Forse un minimo calo l’ho avuto all’italiano, ma impercettibile e perché era caldo a quel modo. 

Quando ti scaldi ascolti musica?

Sempre la stessa, di solito musica dance o comunque ben ritmata. Non riuscirei a scaldarmi con la lirica, però magari qualcuno lo fa. 

Ruote?

Sempre le stesse, ma mi rendo conto di essere particolare anche in questo. All’inizio del Tour sono venuti a chiedermi che ruote e che copertoni volessi per la prima tappa, gli ho risposto che avrei usato le stesse cose per tutto il Tour. A crono è lo stesso. Lenticolare dietro e alto profilo davanti, a meno che non ci sia tanta salita e allora si può valutare l’alto profilo anche dietro, per un fatto di peso.

Ti sarebbe piaciuto andare alla crono di Tokyo.

Mi sarebbe piaciuto molto, ma i tempi della convocazione probabilmente lo hanno impedito.

Ti piacerebbe andare al mondiale?

Mi piacerebbe riuscire a guadagnarmi la convocazione per una cronometro. E’ un’aspirazione che ho da un po’, ma adesso è supportata da qualche bella prestazione. Sarei quasi più contento di arrivare in azzurro per la crono che per la gara su strada

Niente da dire. Dopo il bel Tour a Tokyo ci sarebbe stato bene davvero, ma la tagliola olimpica che prevedeva la consegna dei nomi entro il 5 luglio lo ha tagliato fuori. Ha davanti Ganna e Affini. Eppure su un percorso duro come gli ultimi, anche Cattaneo avrebbe potuto dire la sua. Rivederlo forte e motivato come ai bei tempi fa pensare che crescerà ancora. E allora il ritorno alle origini sarà davvero completo.

Formolo, bene fare il gregario di lusso ma le classiche…

29.07.2021
4 min
Salva

Il Tour de France è finito da un decina di giorni. E una corsa del genere porta con sé una bella coda di bilanci e valutazioni. Ma le Olimpiadi hanno troncato in modo netto la Grande Boucle. Noi però ci ritorniamo e lo facciamo con uno dei pochi italiani protagonisti in Francia, Davide Formolo. “Roccia” per la prima volta ha potuto svolgere il ruolo di gregario di lusso, visto che l’anno scorso era stato costretto al ritiro. Adesso il veronese è in vacanza. E’ a casa ma si sta riposando. Il goal di fine stagione è il Giro di Lombardia, ma ripartirà dal Giro di Germania a fine agosto (dal 26 al 29).

Con Pogacar una grande amicizia. Ecco l’abbraccio mentre tagliano il traguardo sui Campi Elisi
Con Pogacar una grande amicizia. Ecco l’abbraccio mentre tagliano il traguardo sui Campi Elisi
Davide, dicevamo per la prima volta finalmente hai potuto svolgere il ruolo di cui spesso abbiamo parlato: il gregario di lusso. Come è andata? Che impressioni hai avuto?

Per me è si tratta di una nuova dimensione. Bello. Ma quando hai un rapporto di amicizia con il tuo capitano ancor prima che un rapporto di lavoro tutto è più facile. Mi piace davvero molto. E’ un amico quello che fai vincere.

E sul piano tecnico? Parliamo dello stare in gruppo, del correre in un certo modo “con un occhio avanti e uno dietro”, cosa ci dici?

Sicuramente è stato diverso il modo di correre, rispetto a quando lo facevo per me. Io ho fatto anche il capitano nei grandi Giri e so cosa vuole il leader e così cerco di assecondarlo. Sì, si pedala anche con un occhio dietro: anche perché se resto davanti io e non c’è il mio capitano serve a poco. Io devo guardare anche per lui.

C’è stato un qualcosa più difficile del previsto?

Di difficile c’è stata la gestione dello stress nell’ultima settimana. Tutti ci davano già vincitori, ma ancora poteva succedere qualsiasi cosa: una caduta, un problema meccanico… e vanificare tutto. Sarebbe stato un vero peccato. Lì ammetto che è stato stressante, per me. Ero più teso per le tappe di pianura che per quelle di salita. Sapevamo che Pogacar in salita stava bene, che aveva le gambe, che era il più forte e anche in caso di un piccolo errore ci si poteva salvare.

Formolo e Rui Costa erano i registi in gara per la Uae. Lo si nota anche nella foto di apertura con Formolo che controlla
Formolo e Rui Costa erano i registi in gara per la Uae. Lo si nota anche nella foto di apertura con Formolo che controlla
E un qualcosa di più facile?

Bella domanda. La forza di Pogacar. Tutti sapevano che era il più forte, ma non totalmente di un altro livello.

Spesso la Uae (a volte anche in modo infondato come abbiamo scritto, ndr) è stata criticata: come avete vissuto certi giudizi?

Quando parti per vincere il Tour e hai il corridore più forte in squadra è quasi scontato che arrivino delle critiche. Siamo sempre rimasti concentrati sui noi stessi, sui nostri obiettivi e ognuno ha dato il 110%. E poi sapete…

Cosa?

Hirschi ha corso dieci giorni con una spalla lussata. Non è andato a casa, pensando che sarebbe migliorato nel corso delle tappe. Majka aveva due costole rotte. E’ vero siamo mancati un po’ nella tappa di Andorra, ma io nella seconda settimana sono stato male. Ho avuto la gastroenterite e ho preso degli antibiotici. E McNulty era caduto pochi giorni prima. Altri team sono stati sfortunati con i propri capitani nella prima settimana, noi lo siamo stati con i gregari. Alla fine però siamo sempre riusciti a fare la corsa che volevamo, a mettere il capitano nella posizione giusta quando voleva vincere o quando voleva prendere le salite in un certo modo.

Davide Formolo tira in salita: un gregario di lusso per lo sloveno
Davide Formolo tira in salita: un gregario di lusso per lo sloveno

Prima hai parlato di stress, della pressione che hai sentito nell’ultima settimana. E’ stato così anche per Pogacar?

Il bello di correre con Tadej è che lui lo stress non sa cosa sia. Al Tour o a “Poggio la Cavalla” non fa differenza dove siamo. E nelle riunioni lo ripetevamo sempre: ragazzi non dobbiamo dimostrare niente a nessuno. Lo facciamo perché lo vogliamo noi. Eravamo abbastanza spensierati.

Questo Tour cambierà qualcosa nel tuo futuro?

Come ho detto in passato, mi piacerebbe fare bene nelle classiche per ottenere qualche risultato personale e affiancare poi Tadej nei suoi obiettivi.

Ma Pogacar stesso non potrebbe essere un ostacolo per te? Magari lui può fagocitare tutto…

Noi siamo amici, sia noi due che con tutti gli altri. Da gennaio a luglio io e Pogacar, a parte la mia parentesi del Giro, siamo sempre stati insieme nei ritiri e nelle gare. Ho passato più tempo con lui e con i ragazzi che con la famiglia. Inoltre Tadej non cerca attenzioni personali e se può aiutare lo fa volentieri. Pensate che alla Sanremo mi fa: il prossimo anno Roccia, io meno forte sulla Cipressa e tu scatti sul Poggio.

Colbrelli riparte da Livigno e punta al mondiale senza Vuelta

29.07.2021
4 min
Salva

Volendo cercare un sorriso in quei giorni nervosi di fine Tour, Sonny Colbrelli ha scoperto di non sapere a memoria il numero di sua moglie. Per cui, quando i gendarmi gli hanno portato via telefono e computer ed è stato costretto a farsi prestare un cellulare da qualche compagno, il problema è stato risalire al contatto di Adelina. Con la stagione che riparte, Sonny si poggia una mano sulla fronte, si mette a ridere e sulla vicenda aggiunge appena che ad ora è tutto in mano all’avvocato della squadra, ma se necessario ne prenderà uno in Francia per individuare il modo più rapido per chiudere la vicenda.

Tutto il rammarico di Colbrelli passando per secondo sul traguardo di Saint Gaudens: 2° alle spalle di Konrad
Tutto il rammarico di Colbrelli passando per secondo sul traguardo di Saint Gaudens: 2° alle spalle di Konrad

Ginocchio in attesa

Adesso il problema è una borsite al ginocchio, ereditata proprio dai giorni del Tour, che lo costringerà a saltare Il Tour de Pologne e Vuelta e lo costringerà a cercare un diverso avvicinamento al mondiale.

«Ho parlato con la squadra – spiega – e abbiamo deciso che è meglio non rischiare. Perciò ho preso la famiglia e siamo venuti in appartamento a Livigno, visto che tornerò a correre il 22 agosto ad Amburgo. Poi farò il Benelux Tour (la corsa da quest’anno non si chiamerà più BinkBank Tour, ndr) e tutte le corse di un giorno. Va bene lo stesso. Non credo che gli altri favoriti per il mondiale faranno la Vuelta…».

Imola aveva già fatto intravedere i miglioramenti in salita, il Tour ha dato conferma. Ora si riparte verso europei e mondiali
Il Tour ha dato conferma dei miglioramenti in salita. Ora si riparte verso europei e mondiali
Sei tornato dal Tour con il terzo posto di Tignes sulle Alpi e il secondo di Saint Gaudens sui Pirenei. Diventi scalatore?

Anche questa volta sono andato vicino alla vittoria, come due anni fa contro Sagan. Soprattutto per Saint Gaudens mi mangio le mani, perché Konrad ha trovato la super giornata. Ho avuto delle belle tappe di grazia. Nelle ultime quattro invece ho sofferto e mi è venuto fuori il male al ginocchio. Adesso farò 3-4 giorni pedalando in pianura sotto le gallerie di Livigno, poi aspetterò che il medico venga a darmi il via libera. E poi si riparte sul serio.

Si ritrova la condizione dei campionati italiani senza andare alla Vuelta?

Direi proprio di sì, lavorando bene in altura. La condizione e il peso di quel giorno, questo sarà decisivo. Finito il Tour ero stanco soprattutto di testa, non di fisico. Questo dice che stavo ancora bene, ma un po’ ho preferito mollare.

Tornando a Imola, secondo Simoni non ha senso fare gare di campionato italiano così lunghe…

Era bello duro e il caldo ci ha segnati tutti. E’ un fatto che le gare tricolori siano sempre lunghe e non credo che facendole di 180-200 chilometri le renderebbe meno spettacolari. Ci ho messo tre giorni per recuperare bene, dal tanto caldo che c’era.

La maglia tricolore a Parigi: viaggio faticoso più di testa che di gambe
La maglia tricolore a Parigi: viaggio faticoso più di testa che di gambe
Vista la gamba del Tour, hai qualche rimpianto di non essere andato alle Olimpiadi?

No, per me il percorso di Tokyo sarebbe stato troppo duro. Poi è vero che in salita sono migliorato e magari si poteva avere una giornata di grazia, ma sarebbe stata una scommessa nella scommessa. Chi non c’entrava niente in quella corsa era Van Aert, in senso buono ovviamente. Gli altri erano tutti scalatori. Ma certo si è confermato che i grandi Giri e il Tour in particolare ti danno una gamba che nessun’altra corsa può darti.

Europei e mondiali sono i tuoi obiettivi di fine stagione?

Esatto, il motivo per cui voglio ricominciare presto a lavorar per bene. Qui ora è brutto, per cui fare poche ore non sarà un peso. Ma se poi viene fuori il sole…

Come è stato correre al Tour con la maglia tricolore?

Molto bello. Tutti mi incitavano e chiamavano il mio nome. Ne è valsa la pena. Diciamo che il bagno di affetto è stato il modo per compensare il fatto che ancora una volta non sono riuscito a vincere una tappa.

Dai Campi Elisi a Copenhagen: Tour 2022 a casa di Vingegaard

24.07.2021
3 min
Salva

Si sa, il Tour de France non finisce mai, Tadej Pogacar stava ancora festeggiando ed ASO era già nel mezzo dell’organizzazione della prossima edizione della Grande Boucle. Per il 2022 la corsa a tappe più importante del mondo parlerà danese, infatti, prenderà il via il 1° luglio da Copenhagen. Saranno tre le tappe da svolgere nella terra della sirenetta, una cronometro di 13 chilometri e due frazioni in linea, rispettivamente di 199 e 182 chilometri.

I mondiali del 2011 partirono dal centro di Copenhagen: possibile l’identico scenario
I mondiali del 2011 partirono dal centro di Copenhagen: possibile l’identico scenario

Un’altra bandiera

La Danimarca è il decimo paese ad ospitare la partenza del Tour de France, in passato era toccato a: Paesi Bassi, Belgio, Svizzera, Lussemburgo, Germania, Gran Bretagna, Spagna, Irlanda e Principato di Monaco.

E’ stata Brest, in Bretagna, a passare il testimone al nuovo paese designato per la Grande Départ del 2022. Un passaggio non solo simbolico, infatti sul podio di Parigi il direttore di gara Christian Prudhomme ha consegnato il trofeo Grande Départ al presidente del comitato danese Lars Weiss.

Il ciclismo a Copenhagen è seguitissimo e la bici è il principale mezzo di trasporto
Il ciclismo a Copenhagen è seguitissimo e la bici è il principale mezzo di trasporto

Queste le sue parole: «Sapere che l’inizio della prossima corsa ciclistica più importante del mondo sarà in Danimarca mi riempie di emozione. D’ora in poi, gli occhi di milioni di fan del Tour saranno puntati su di noi in attesa della partenza. Non vedo l’ora di presentare al mondo intero il nostro paese nel 2022».

Scelta non casuale

Copenhagen è stata dichiarata miglior città a misura di bici nel mondo, un vanto per una nazione da sempre legata ai pedali. Quello danese è un popolo tra i più appassionati di ciclismo, non a caso la scuola danese sta sfornando atleti di grande livello.

Al via del mondiale, vinto da Cavendish, con l’arrivo a Rudderford
Al via del mondiale, vinto da Cavendish, con l’arrivo a Rudderford

Sarà di certo un’emozione particolare per il giovane talento della Jumbo-Visma Jonas Vingegaard che vedrà passare vicino a casa sua la carovana del Tour. Il talentuoso compagno di Roglic sfiorerà lo zerbino di casa, perché nella terza tappa, da Vejle a Sønderborg, il gruppo passerà accanto alla sua città natale: Hillerslev.

Chissà se Jonas abbia già segnato sul calendario il 1° luglio con un bel cerchio rosso. Noi appassionati di ciclismo abbiamo già iniziato il conto alla rovescia, mancano 342 giorni alla partenza di Copenhagen.

EDITORIALE / Quattro giorni all’Apertura: bici.PRO vola a Tokyo

19.07.2021
3 min
Salva

Il 23 luglio alle 13 ora italiana, Elia Viviani sfilerà con la bandiera tricolore nella Cerimonia di Apertura delle Olimpiadi di Tokyo. Doveva già essere accaduto tutto, ma il Covid ha riscritto la storia e i Giochi ci sono finiti in mezzo.

Un segno di ripresa

Quando decidemmo di lanciare bici.PRO, meno di un anno fa, nessuno sapeva che cosa sarebbe successo alle nostre vite e tantomeno al ciclismo. Le corse erano sulla porta di una timida ripresa, le cancellazioni sovrastavano le conferme, le aziende tenevano chiusi cancelli e programmi. Le Olimpiadi erano un pensiero lontano. Poi il motore ha ripreso a girare. Sia pure in modo controverso è tornata la libertà. Gli europei di calcio hanno reso più dolce l’inizio dell’estate, ma adesso si va in Giappone per fare sul serio.

Il Tour, terzo evento sportivo per importanza dopo Olimpiadi e mondiali di calcio, si è consegnato nuovamente a Pogacar. Da oggi e per le prossime tre settimane, tutti i riflettori saranno puntati sul palcoscenico più importante, quello che dà un senso allo sport e consegna i campioni all’eternità. Nel salutare gli azzurri in partenza per Tokyo abbiamo voluto vedere il segno della ripresa, minacciata da varianti e comportamenti illogici dei nostri politici, ma pur sempre una ripresa.

Il Tour è il terzo evento sportivo al mondo ed è stato l’ideale apertura verso le Olimpiadi: il primo
Il Tour è il terzo evento sportivo al mondo ed è stato l’ideale apertura verso le Olimpiadi: il primo

Il nostro stile

Per noi di bici.PRO ogni giorno e ogni corsa sono stati un banco di prova. Racconto. Approfondimento. Temi. Storie. Analisi. Incontri. Tecnica. Ricerca del giusto equilibrio. Rapporto coi lettori. Non c’è un particolare che abbiamo lasciato cadere o almeno lavoriamo ogni giorno affinché questa sia la traccia che ci guida.

«Mi piace il vostro magazine – ha detto qualche giorno fa Fabio Aru – perché approfondisce tanto e lo fa in modo sereno, senza malizia e cattiveria».

Senza quello spettegolare, aggiungiamo, che a volte popola i media. Con questa convinzione, anche per bici.PRO si apre il grande viaggio verso Tokyo.

Sarà Alberto Dolfin il nostro inviato a Tokyo. Prima di partire, ultimo test sulla Fauniera. La gamba è buona…
Sarà Alberto Dolfin il nostro inviato a Tokyo. Prima di partire, ultimo test sulla Fauniera. La gamba è buona…

bici.PRO in Giappone

Il nostro uomo in Giappone sarà Alberto Dolfin, che avete imparato a conoscere nei mesi scorsi. La sua valigia è pronta, domani salirà sull’aereo e volerà verso Tokyo. Ci invierà i suoi reportage, i suoi video, faremo collegamenti… Faremo il nostro meglio perché anche voi abbiate la sensazione di essere là, raccontandovi il dietro le quinte e tutto quello che per forza non si potrà vedere nelle dirette che nei prossimi giorni riempiranno la nostra quotidianità.

Il confronto con l’evento sportivo più grande del mondo, che facendo sponda al nostro inviato seguiremo anche da qui con gli approfondimenti che certamente coglieremo, ci farà fare uno step e sarà un’altra apertura verso la maturità e la completezza. E nel frattempo, nella nostra cucina ribollono idee che ci porteranno anche altrove. Altre valigie sono pronte, altri temi sul tappeto. Per ora buon viaggio ad Alberto Dolfin e buona settimana a tutti. La grande estate del ciclismo sta entrando nel vivo. Godiamoci tutti insieme i Giochi Olimpici di Tokyo.

Il Tour di Pogacar: motore, fame e testa da campione

19.07.2021
6 min
Salva

Ieri Tadej Pogacar ha vinto il Tour de France. Ovviamente doveva essere una notizia importante, eppure quasi non lo è sembrata, dando più l’idea dell’ufficialità formale di un qualcosa che era già assodato per tutti. Già, perché il Tour è stato veramente in mano a Pogacar fin dalle Alpi, anzi, da prima ancora, dalla crono vinta nella quinta tappa, ormai 20 giorni fa, praticamente da quando si è iniziato a fare sul serio per la generale. Tutto sotto controllo, tutto liscio. In fondo il grande campione fa sembrare semplici delle vere e proprie imprese, ma vincere la Grande Boucle in realtà non è mai scontato. E una vittoria così, con questa supremazia, merita sicuramente un approfondimento per tentare di analizzarne le radici, i meriti e le colpe, se ce ne sono, dei rivali. Per farlo ci avvaliamo di un campione olimpico che al Tour ha partecipato per ben 4 volte, Silvio Martinello, con il quale abbiamo condiviso… il viaggio francese ogni giorno su Facebook.

Dopo la caduta del terzo giorno, il Tour di Roglic ha preso una china discendente, fino all’inevitabile ritiro
Dopo la caduta del terzo giorno, il Tour di Roglic ha preso una china discendente, fino all’inevitabile ritiro

Nessuna sorpresa, tanti meriti

Andiamo dritti al punto: Martinello come ce lo spieghi questo dominio dello sloveno al Tour?

Innanzitutto era il favorito principale avendo vinto il Tour dell’anno scorso e arrivando a questo con una stagione strepitosa. Poi stiamo parlando di un corridore che ha i connotati del fuoriclasse con molte stagioni di grandi soddisfazioni davanti a sé, quindi non si può certamente considerare un vincitore a sorpresa.

Quindi solo merito suo?

Principalmente sì, ci tengo a sottolinearlo. C’è da dire che è rimasto avvantaggiato dal fatto che il suo principale rivale, ovvero il connazionale Roglic sia stato tagliato fuori da una caduta. Avevano entrambi iniziato molto bene il Tour. Ripensando alle prime due frazioni, quelle vinte da Alaphilippe e VdP, i due sloveni arrivarono uno secondo e l’altro terzo insieme. Si pensava che una volta iniziate le grandi montagne, la situazione sarebbe stata Roglic-Pogacar davanti e il terzo in classifica a 7′. Poi c’è stato il ritiro di Primoz e quindi Pogacar è rimasto solo. Per cui certo l’assenza del più grande rivale ha aiutato Tadej, ma non sapremo mai quanto. Anche perché sotto un certo punto di vista il forfait del connazionale gli ha creato pure delle difficoltà.

In che senso?

La Jumbo-Visma si sarebbe presa le sue responsabilità nel controllo della corsa, condividendole con la squadra rivale. Responsabilità che invece così nelle ultime due settimane sono state quasi esclusivamente sulle spalle del UAE Team Emirates, tranne che per il grande lavoro fatto in alcune frazioni dalla Ineos per cercare di mettere in difficoltà Pogacar.

La Ineos secondo Martinello ha fatto bene a mettere Pogacar sotto pressione. Tadej ha poi risposto da campione
La Ineos ha fatto bene a mettere Pogacar sotto pressione. Tadej ha poi risposto da campione

Avversari impeccabili…

Ecco parliamo anche delle altre squadre, c’è stato qualche errore degli avversari che ha spianato ulteriormente la strada al vincitore?

Secondo me no. La Ineos ha fatto bene a provare a mettere lo sloveno alle corde e infatti l’unico momento difficile che ha attraversato è emerso dopo l’atteggiamento che aveva assunto la Ineos Grenadiers, isolandolo ed esponendolo all’attacco di Vingegaard sul Mont Ventoux. Poi lo abbiamo detto da subito che le due squadre con la struttura per condizionare la corsa erano la Jumbo-Visma e la Ineos ed è evidente che quanto sia accaduto abbia dimezzato la loro potenza di fuoco.

Potenza di fuoco?

Soprattutto la Ineos era partita con 2/3 capitani e senza la caduta di un campione come Thomas poteva muoversi diversamente. Errori comunque non ne ho colti e ribadisco che non sono d’accordo con chi pensa che la Ineos abbia sbagliato ad essere aggressiva. Non potevano rinunciare a provarci e allo stesso tempo con la classifica corta tra i primi 10, attaccare aiutava anche a staccare gli altri pretendenti per il podio. Ogni formazione, quindi, ha fatto il suo dovere.

Mont Ventoux: Vingegaard attacca e si volta, Pogacar è con lui, ma sta per cedere. Unico suo giorno di crisi
Mont Ventoux: Vingegaard attacca e si volta, Pogacar sta per cedere. Unico giorno di crisi

…ma Tadej di più!

Tornando su Tadej, perché ha trasmesso a tutti questa sensazione di dominio assoluto?

Perché ha avuto solo il passo falso del Ventoux, poi ha fatto praticamente ciò che voleva, dominando sulle Alpi oltre ogni pronostico e vincendo sui Pirenei entrambe le tappe con una gestione perfetta degli avversari. Ha vinto meritatamente il suo secondo Tour consecutivo, correndolo senza sbavature. Veramente non riesco a trovarne neanche una. Anche sul Mont Ventoux ha gestito la situazione delicata con intelligenza da campione, dimostrando di avere quella maturità mentale ed esperienza che serve in quei momenti, nonostante la giovane età. Poi certo uscire dalle Alpi con quel vantaggio lo ha aiutato a non andare nel panico.

Che cosa dici della gestione delle energie? C’è stato un calo?

E’ stato molto bravo anche in questo. Era prevedibile un calo e in effetti sui Pirenei non ha staccato Vingegaard e Carapaz, ma non sapremo mai se sia dipeso solo da una loro crescita o anche da un suo cedere un po’. Anche queste tappe sono state terreno di conquista per lui, ma non ha fatto il vuoto come sulle Alpi. Forse è più corretto dire che è rimasto sempre costante, regolare.

Quindi anche l’avvicinamento è inattaccabile?

Certo, cosa vuoi dire ad uno che ha vinto ovunque abbia corso tranne praticamente al campionato nazionale? La preparazione e l’assalto alla vittoria del secondo Tour consecutivo sono stati straordinari, i risultati sono lì a testimoniarlo.

Sorriso e tutto sotto controllo, una vittoria parsa facile, che facile non è stata. Una vittoria da campione
Sorriso e tutto sotto controllo, una vittoria parsa facile, che facile non è stata
Si poteva pensare che andando già forte prima potesse arrivare un po’ corto al grande impegno…

Evidentemente siamo di fronte ad un ragazzo con un motore di altissima cilindrata e con una capacità mentale decisamente non comune. Ha 23 anni! Non è ancora sazio e mi auguro che con le soddisfazioni economiche non gli passi questa fame. Tanti fanno fatica a gestire fama e gloria e nel ciclismo ti aspettano al varco. Se fa un passaggio a vuoto alle Olimpiadi o al Tour dell’anno prossimo, qualcuno già inizia a pensar male.

Cosa deve fare ora?

Deve farsi passare velocemente la sbornia e mettersi a testa bassa a lavorare, anche se finora ha dimostrato di avere consapevolezza di ciò che vuole e di dove vuole arrivare. Auguriamoci che questo appetito gli rimanga a lungo perché ci farà divertire. Anche se non è dei “nostri”, chi è appassionato di ciclismo non può far altro che applaudire.

Sui Pirenei ha dimostrato di essere abbastanza…famelico?

Decisamente. Era chiaro che lui avesse il Tour in tasca dopo la prima settimana, al di là dei vari imprevisti che potevano capitargli, quindi li avrebbe potuto gestire. Invece è andato a cercare quei successi per vincere in maglia gialla, onorando così la grande corsa francese e anche gli avversari.

Forse troppo?

Certo il ciclismo è pieno di casi di “a te la tappa, a me la maglia”, ma questa occasione non si è mai presentata, perché sono sempre arrivati in 3 e a Luz Ardinen se non fosse partito lui, avrebbe vinto Enric Mas. Non ha umiliato gli avversari, anzi l’esatto opposto perché hanno perso contro il più forte. Ha mostrato la giusta fame! Se questo significa essere “cannibale” come lo ha etichettato qualcuno in senso dispregiativo, allora chiamatelo pure cannibale.

Campi Elisi per due. A Van Aert la tappa, a Pogacar la storia

18.07.2021
5 min
Salva

L’ultima volata del Tour de France è come l’ultima crono: non vince il più specialista, ma quello che ha recuperato meglio. Lo sa bene Daniele Bennati, ultimo italiano a sfrecciare su Campi Elisi nel 2007.

«E’ esattamente quello che ho pensato quando ha vinto Van Aert – dice il toscano – che deve anche dire grazie a un grande Teunissen, per come l’ha lanciato. La Deceunick? Forse stavolta si sentivano troppo sicuri».

“Cav” alla frutta

Quel rettilineo è infido e lunghissimo. Prima di partire ci hanno pensato a lungo. Teunissen ha portato Van Aert fino al punto in cui far esplodere la sua volata e a quel punto dietro non sono riusciti neppure a uscirgli dalla scia. Troppo più forte il campione belga. O semplicemente il film di Cavendish era destinato ad arrestarsi davanti a due evidenze. La prima è che il britannico in maglia verde si è trascinato su tutte le salite delle ultime due settimane, cercando di stare nel tempo massimo e senza grosse occasioni per recuperare. Come ieri Kung, specialista ma sfinito. Mentre Van Aert vincendo la crono ha dimostrato di essere ancora a mille. La seconda è probabilmente più legata alla cabala che all’evidenza scientifica. E dice che forse il record di Merckx ha voluto resistere per un anno ancora e forse, chissà, resisterà per sempre.

Subito a Tokyo

«In realtà, non posso crederci – dice Van Aert subito dopo aver ripreso fiato – questo Tour de France è stato fantastico. Un ottovolante pazzesco. Finire con tre vittorie in tasca è totalmente fuori dalle mie aspettative. Una vittoria come questa non ha prezzo e adesso dovrò correre all’aeroporto a prendere il mio volo per Tokyo. Devo dire grazie alla mia piccola squadra e soprattutto a Mike Teunissen, che mi ha messo in una posizione perfetta prima dello sprint. Era fondamentale ritrovarsi in una buona posizione dopo l’ultima curva a destra. Ero sicuro che Mike potesse farcela e lo ha fatto perfettamente».

I campioni fanno così. E adesso vai a capire se sia il cross che lo ha reso grande su strada o se sia semplicemente grande dovunque lo si metta. Se riuscirà a metabolizzare bene queste fatiche e ad assorbire il passaggio in Giappone, un oro da laggiù lo porta a casa di sicuro.

Passerella in giallo per il secondo anno consecutivosui Campi Elisi: il Tour è di Pogacar
Passerella in giallo per il secondo anno consecutivo sui Campi Elisi: il Tour è di Pogacar

Un’altra verde

Cavendish prima ha esitato nel prendere la ruota giusta, infilandosi nelle tasche di Morkov, poi non ce l’ha fatta a cambiare passo. Forse si è addirittura tolto un peso. Di sicuro la maglia verde e quattro tappe vinte sono più di quanto si sarebbe mai aspettato a febbraio, quando sgomitava nelle prime volate cercando di ritrovare il feeling.

«Dieci anni dopo, di nuovo con la maglia verde – dice – è fantastico, sembra di essere ringiovanito. Il supporto del pubblico è stato incredibile durante tutto il Tour de France. Tornare a Parigi è un onore. Sono tornato ed è un sogno. Il sogno di un bambino che diventa realtà dopo un sacco di duro lavoro. Se una delle mie vittorie può ispirare dieci bambini ad affrontare il ciclismo e magari correre il Tour de France in futuro, per me sarà la cosa più importante».

A chi diceva che fosse una squadra… leggera, la risposta: tutti a Parigi
A chi diceva che fosse una squadra… leggera, la risposta: tutti a Parigi

E adesso il Re

Non ce ne vogliano i tifosi di Pogacar, la cui vittoria non si dà per scontata, anche se rispetto allo scorso anno, abbiamo avuto tutto il tempo per abituarci. Nella pazzesca cornice di pubblico del circuito sui Campi Elisi, la maglia gialla ha girato come un metronomo, irraggiando i dintorni con il suo splendore. Il Uae Team Emirates ha chiuso a pieno organico, bella risposta a chi li dipingeva come un gruppo di poco spessore.

Neppure Contador resiste alla tentazione di un selfie con Pogacar
Neppure Contador resiste alla tentazione di un selfie con Pogacar

«E’ semplicemente pazzesco essere tornati qui in giallo – dice Pogacar a margine del podio – e con una squadra incredibile. Oggi ci siamo divertiti e ora è il momento di festeggiare. Stamattina è stato bello prendersela comoda. Ci siamo divertiti a chiacchierare tra noi. Poi siamo arrivati qui sul pavé dei Campi Elisi ed è ricominciata la corsa a tutto gas, come ogni giorno. Non riesco a esprimere quanto sia felice. Rimarrò motivato nei prossimi anni, ma al futuro ci penseremo poi… L’anno scorso ho provato emozioni forti, questa volta sono ben diverse. Il nuovo Cannibale? Non mi piace paragonarmi ad altri corridori, ognuno ha il suo stile e la sua personalità. Ogni corridore è unico. E io sono Pogacar. Mi godo la vita, lavoro duro, amo andare in bicicletta. Sono queste le cose che contano».