Nel ritiro della Bardiani. Giornata tipo da mattina a sera

13.12.2022
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Siamo andati nel ritiro della Green Project Bardiani Csf Faizanè, la squadra dei Reverberi, che come da tradizione avviene presso la tenuta Il Cicalino tra le colline toscane di Massa Marittima. Ma a questa tradizione, quest’anno più che mai, si affianca tanta innovazione.

Innovazione che passa non solo attraverso il nuovo sponsor, i nuovi atleti, ma anche e soprattutto attraverso il nuovo staff medico-atletico e dal loro nuovo metodo di lavoro. Vi raccontiamo dunque una giornata tipo dei Bardiani.

Sveglia e bilancia

Sveglia alle sette circa. Poi a scaglioni in gruppi 8-9 atleti si va al controllo nella grande sala comune al centro della tenuta che è un po’ il centro nevralgico dell’intero ritiro.

In questa sala al mattino, ancora a digiuno, gli atleti vengono prima pesati e poi passano al controllo impedenziometrico, vale a dire alla presenza dei liquidi nel corpo. 

«Questo – spiega il dottor Andrea Giorgi – è un esame rapidissimo ma importante. Dalla quantità dei liquidi, e volendo anche dalla loro “disposizione”, possiamo capire quanta ritenzione c’è stata dopo la cena della sera prima, il livello d’idratazione e di recupero. E quest’ultimo aspetto è molto importante soprattutto durante le corse a tappe. Ma anche in questa fase, che è quella costruttiva della preparazione».

I ragazzi passano poi nell’adiacente sala da pranzo, dove fanno la colazione. Intanto i medici, anche Borja Martinez Gonzalez e Maurizio Vicini, incamerano i loro dati e fanno i primi confronti. In caso di qualche caso eclatante “alzano la mano” e intervengono in vista dell’immediato allenamento.

Al grammo

Parlavamo della colazione. Sul tavolo ci sono: cereali, affettati, uova sode o strapazzate, yogurt, frutta secca o essiccata… ma soprattutto delle bilance vicino ai vassoi. 

Agli atleti è stata fornita una App con cui sanno quanto e cosa devo mangiare. In questo modo una volta posato il piatto sulla bilancia, pesano le quantità di cibo necessarie.

E le quantità variano. Per esempio dopo una distanza devono prendere un grammo di carboidrati per chilo. Quantità inferiore magari dopo il giorno di riposo. La App dà poi le differenze di peso tra il cibo cotto e asciutto. Il caso più emblematico è la pasta. Nel vassoio del buffet c’è la pasta cotta chiaramente e se i ragazzi sanno che ne devono mangiare 100 grammi (cruda) la App gli mostra la rispettiva quantità cotta.

Gli atleti sanno che devono stare attenti, specie in questo momento, ma i diesse seduti in un altro tavolo allungano gli occhi… soprattutto col dolcetto (solitamente una crostata) della sera.

Si parte…

L’orario dell’allenamento varia a seconda del lavoro. Ma non è mai prestissimo. Nel giorno della distanza (5 ore) per esempio era stato fissato alle 9:45.

I ragazzi vengono divisi in due gruppi: coloro che sono più avanti nella preparazione, e che presumibilmente inizieranno a gareggiare prima, e quelli che sono un po’ più indietro. Sono stati anche i test fatti prima del ritiro a decretare i due gruppi.

Altro vantaggio di dividerli è che c’è più omogeneità nella sessione stessa. I direttori dicono che in questo modo in cima alle salite, che magari devono essere fatte ad un determinato passo, ci si deve attendere di meno.

Quindi ci si prepara. Stavolta si è nel secondo punto nevralgico del ritiro: due casolari all’interno di questa immensa e splendida tenuta. Dalla sala centrale ci sono un paio di minuti in macchina, ma sempre su stradine private. Qui ci sono gli alloggi dei ragazzi, gli spazi per i meccanici e anche una palestra.

Si riempiono le tasche di integratori o rice cake che hanno preparato i massaggiatori. Si prendono le borracce. I ragazzi provvedono alla borsa del freddo che caricano sulla rispettiva ammiraglia: Gruppo 1 o Gruppo 2. Qualche controllo alla bici (questo è anche il periodo per affinare la posizione tanto più che ci sono materiali nuovi) e finalmente si parte.

Intanto qualche ragazzo va con lo staff medico a fare il test del lattato, da cui poi si otterranno le varie zone d’intensità per gli allenamenti: base, medio, soglia… Finito il test una terza ammiraglia li scorterà verso il rispettivo gruppo. Le tre ammiraglie condividono in tempo reale la posizione.

Pranzo e massaggi 

A pomeriggio ormai inoltrato si rientra. L’allenamento è filato via bene e delle 5 ore previste se ne sono fatte quasi 5 e mezzo. Oltre 160 i chilometri messi nel sacco.

Sono quasi le 16, quando dopo una rapida doccia i ragazzi raggiungono la sala pranzo. Gli altri dello staff, che non erano in ammiraglia (dottori e massaggiatori), avevano già mangiato ed erano pronti ad accoglierli.

Al buffet, i corridori trovano quanto i medici hanno suggerito ai cuochi. Ognuno prende le sue quantità.

Terminato il pranzo c’è il fuggi, fuggi verso l’altro casolare per riposo e massaggi. «Ma nei giorni in cui si fa meno – dice Alessandro Donati – si va in palestra». Intanto i coach raccolgono i dati sui loro software.

La sera

Prima di cena c’è un importante appuntamento con l’osteopata, Emanuele Cosentino. Tutti e 26 i ragazzi, prendono un tappetino e svolgono precisi esercizi di stretching indicati da Cosentino. 

Sono esercizi volti maggiormente alla distensione della colonna vertebrale e allo sblocco del diaframma.

Una mezz’oretta e poi verso le 19:30-20 tutti a cena. Nei piatti quantità e cibi prestabiliti, come a pranzo.

Finita? Non del tutto. Prima del rompere le righe è il momento del briefing. Ci si sposta nell’ormai noto stanzone e si illustra l’allenamento del giorno successivo. Si parla di cosa non ha funzionato in quello precedente. Ci si confronta. 

Quindi tutti a dormire. Non prima di aver indossato l’orologio del sonno. Altra novità introdotta dal nuovo staff medico. Altro elemento per migliorare le prestazioni e che viene poi analizzato da Borja.

Roberto Reverberi (classe 1964) manager e diesse della Bardiani
Roberto Reverberi (classe 1964) manager e diesse della Bardiani

Verso il futuro

Vedere questo metodo di lavoro accurato e moderno, lo ammettiamo, ci fa piacere. Dopo essere stati dalla Jumbo-Visma sapere che anche un team italiano possa lavorare bene è una bella conferma. Chiaro, i budget non sono neanche paragonabili, ma la qualità del lavoro può esserci lo stesso. Si nota dunque un bel cambio di marcia. E di mentalità.

«Dovevamo adeguarci – spiega Roberto Reverberi, manager e diesse – Vedendo come si sta evolvendo il ciclismo mondiale era un cambio di marcia necessario. C’è un gap esagerato con le squadre WorldTour più importanti, adesso cerchiamo di tenere duro con l’inserimento di persone così preparate».

«Tutto è più coordinato. L’intera squadra è un organismo. Alimentazione, recupero, allenamenti… tutto è organizzato al dettaglio. Abbiamo fatto una riunione prima del ritiro per vedere cosa serviva e lo abbiamo messo in atto. Vedo che i ragazzi hanno recepito bene questo cambiamento. Si sentono seguiti e fanno le cose con morale ed entusiasmo».

«Ne parlavo proprio con Gabburo. Mi ha detto: “Roby, abbiamo fatto un salto di qualità e i ragazzi sono contenti».

Martinelli, uno dei giovani più promettenti, con Mirko Rossato
Martinelli, uno dei giovani più promettenti, con Mirko Rossato

Sulla rosa

Dopo il saluto di Zana, Visconti, Modolo, Battaglin… c’è un gruppo nuovo.

«L’idea era di svecchiare l’ambiente. Visto che si parla della crisi del ciclismo italiano, abbiamo puntato ancora di più sui giovani. Abbiamo preso altri juniores prima che ci arrivassero gli altri, con l’idea di farli crescere. Faranno attività U23 di alto livello, con qualche puntata tra i pro’».

«Il corridore esperto deve essere propositivo. Deve spronare i giovani e non essere un deterrente. Se deve fare un allenamento non voglio più sentirgli dire ad un giovane: “Sei troppo convinto, vai più piano”. Solo perché lui vuole fare meno. Deve aiutare i giovani e… noi. A quel punto l’esperienza è un valore aggiunto per ottenere i risultati».

E a proposito di risultati: su chi si punta quest’anno in Green Project Bardiani?

«Noi – conclude Reverberi – facciamo molto affidamento sui più esperti: Fiorelli, Zoccarato. E anche Tonelli e Gabburo sono una garanzia. Ma anche da Covili: da lui mi aspetto un salto di qualità (sembra sia stato tra i migliori durante i test, ndr). Lo vedo più convinto. Vorrei fargli fare classifica al Giro per farlo maturare ancora e responsabilizzarlo».

«Abbiamo dei giovani davvero di grandi prospettive. Non voglio esagerare se dico che abbiamo quelli più interessanti del panorama italiano, escludendo quei 6-7 che sono passati nel WorldTour ma che non so quanto spazio avranno».

Colbrelli, pronto un futuro da campione: Cassani sicuro

29.10.2022
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Era il primo giorno di primavera, il 21 marzo 2022, quando Colbrelli ha visto spalancarsi davanti il rettilineo in lieve salita con l’arrivo di Sant Feliu de Guixols giusto sulla cima. Giro di Catalogna, prima tappa. Matthews sul lato destro, lui sul sinistro verso il secondo posto. Di quel giorno non ricorda molto, se non il fatto che dopo la volata si spense la luce e quando qualcuno per miracolo riuscì a riaccenderla, la sua carriera di corridore era finita.

Prima tappa del Catalunya 2022 a Sant Feliu de Guixols: Colbrelli secondo dietro Matthews, poi il malore
Prima tappa del Catalunya 2022 a Sant Feliu de Guixols: Colbrelli secondo dietro Matthews, poi il malore

Il ritiro dalle corse

Giusto oggi Colbrelli ha annunciato il ritiro dalle corse. La storia dice che l’infermiere che lo rianimò fece davvero un mezzo miracolo, riportandolo in vita. Il defibrillatore che gli fu impiantato successivamente per evitare drammatiche ricadute gli impedisce di ottenere l’idoneità. E così, essendosi preso il tempo necessario, Sonny ha comunicato che non ci saranno per lui altre corse. Resta in archivio, al culmine di una carriera da 11 anni di professionismo, il 2021 dei sogni. Con vittorie qua e là, poi il campionato italiano di Imola, il Benelux Tour, l’europeo di Trento e l’infernale Roubaix di ottobre. Pochi giorni prima, il mondiale di Leuven lo vide al 10° posto, piegato da quel genio di Alpahilippe.

Campionati europei di Trento: Colbrelli resiste a Evenepoel e lo batte in volata. Cassani lo festeggia
Campionati europei di Trento: Colbrelli resiste a Evenepoel e lo batte in volata. Cassani lo festeggia

Sonny e Davide

Curiosamente, per quell’ironia a volte inspiegabile, la sua carriera in azzurro è coincisa con quella di Davide Cassani, che per primo lo convocò da professionista a Ponferrada e poi lo fece per altre quattro volte. A Doha, Bergen, Harrogate e Leuven. E proprio a Davide abbiamo chiesto di ripercorrere i suoi anni con Colbrelli.

«Un po’ me l’aspettavo che avrebbe fatto questo annuncio – dice il romagnolo – perché la cosa è stata molto seria. Sonny è stato il mio primo e ultimo capitano. Fu il mio uomo di punta a Ponferrada, nonostante fosse molto giovane, e poi è stato il mio capitano anche nelle Fiandre. Quindi alla fine la mia esperienza in nazionale è coincisa con la sua.

«A Ponferrada gli sono mancati 30 metri e sarebbe potuto arrivare non tredicesimo, ma nei primi cinque. Mentre nelle Fiandre abbiamo trovato un Alaphilippe superlativo. Ma a parte i risultati, è uno dei ragazzi più buoni e generosi che io abbia mai incontrato tra i miei azzurri e, soprattutto nell’ultimo periodo, cresciuto di testa».

Mondiali 2014 a Ponferrada: in allenamento il giovane Colbrelli con Daniele Bennati, oggi ct azzurro
Mondiali 2014 a Ponferrada: in allenamento il giovane Colbrelli con Daniele Bennati, oggi ct azzurro
Tu hai toccato con mano il suo cambiamento.

Forse all’inizio aveva un po’ paura di non essere all’altezza della situazione, probabilmente sentiva la pressione. Nel 2021 era un Sonny diverso, che non aveva paura di niente. Negli ultimi due anni è arrivato a un equilibrio e una consapevolezza delle proprie forze molto diversi rispetto ai primi tempi.

La prima vittoria veramente importante l’ha fatta con te agli europei di Trento…

In realtà aveva già vinto il campionato italiano e poi all’europeo è stato esemplare, perché alla fine è riuscito a battere Evenepoel. L’unico modo che avevamo per riuscirci era correre in quella maniera. E lui poi mi disse che quelli sono stati forse tra i 5 chilometri più duri della sua vita. Tenere Evenepoel non è stato facile, è stato un fenomeno. In quel caso ha dimostrato di essere veramente un campione, perché quel giorno abbiamo corso per lui e lui ha vinto.

Il 3 ottobre 2021, una settimana dopo i mondiali chiusi al 10° posto, Colbrelli vince la Roubaix
Il 3 ottobre 2021, una settimana dopo i mondiali chiusi al 10° posto, Colbrelli vince la Roubaix
E’ sempre brutto quando una carriera si interrompe così, ma secondo te poteva diventare per le classiche uno dei grandi italiani?

Ne sono certo, perché era riuscito veramente a trovare un equilibrio straordinario. Vuoi la famiglia, vuoi l’aiuto che ha avuto dagli altri, è riuscito a sciogliere quei piccoli nodi che non gli avevano permesso di ottenere grandi successi. E la cosa bella è che comunque c’è riuscito con gli anni, senza mai demordere, senza mai mollare. E’ sempre stato un lottatore, un tenace. Sembrava che il suo punto debole fosse nel carattere che ogni tanto gli impediva di ottenere grandi successi. Quindi la sua abilità è stata che comunque è riuscito con pazienza, buona volontà e con puntiglio, probabilmente lavorando sulle sue debolezze, a diventare quello che è diventato.

E cosa era diventato?

Ha vinto l’italiano, ha vinto l’europeo, ha vinto la Roubaix e vi ricordate come ha vinto Il Benelux Tour? Nel 2021 ha fatto veramente un anno stratosferico. E’ stato il classico esempio di un corridore che, conoscendo i suoi punti deboli, è riuscito a superarli con calma e con attenzione.

Ha chiuso il 2021 da campione italiano ed europeo, ma non ha potuto difendere nessuno dei suoi titoli
Ha chiuso il 2021 da campione italiano ed europeo, ma non ha potuto difendere nessuno dei suoi titoli
Tu dov’eri il giorno del malore?

Ero a casa e mi chiamò Alessandra Giardini, chiedendomi se avessi sentito qualcosa. L’ho saputo così, poi ho fatto passare un po’ di tempo e l’ho chiamato. Con Sonny e con Trentin, i corridori che più mi sono stati vicini, avevo proprio un rapporto speciale. Stasera sono a Salò alla presentazione del libro e ci sarà anche lui.

Lo vedi occupare ancora un ruolo nel ciclismo?

Secondo me, anche lui deve ancora capire. Nella vita, questo penso di poterlo dire, quando ti rendi conto che sta arrivando la fine di un ciclo, cominci a pensarci. Un anno prima, un anno e mezzo prima, due anni. Quindi io penso che lui debba ancora metabolizzare questo cambiamento, che è stato proprio radicale. Per l’esperienza che ha e per il carattere, può diventare un direttore sportivo, ma forse anche un uomo importante all’interno di una squadra o di un’azienda. Perché ha la passione, ha l’attenzione e tutto quello che gli può servire. Deve capire e soprattutto studiare quello che potrà fare e poi farlo bene.

La carriera passa, la famiglia resta: esserci ancora è la vittoria 2022 più grande di Colbrelli
La carriera passa, la famiglia resta: esserci ancora è la vittoria 2022 più grande di Colbrelli
Forse i sette mesi trascorsi non sono ancora abbastanza…

Penso che abbia passato momenti non facili. Ti ritrovi che hai risolto tutti i problemi, hai capito come fare per vincere le grandi corse e da un giorno all’altro tutto si ferma. E quando finisce, devi comunque trovare un equilibrio. Secondo me può averlo ritrovato, perché è sempre stato una persona positiva. Penso che anche in questo caso, Sonny sarà andato a vedere il bicchiere mezzo pieno, perché la cosa importante è che lui sia ancora qua.

Si volta la pagina, insomma…

Io sono sempre più convinto, lo vedo anche su me stesso, che quello che semini raccogli. E Sonny ha sempre seminato molto bene, perché è veramente una bella persona, un generoso, un uomo vero. Ha tutto quel che serve. Perciò, quando avrà somatizzato tutto e avrà davanti le varie soluzioni, avrà anche l’opportunità di scegliere quello che andrà a fare.

Aru su Nibali: da amico a rivale (e ritorno)

10.10.2022
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Era l’estate del 2012 quando Fabio Aru sbarcò all’Astana. Martinelli lo aveva adocchiato e acchiappato l’anno precedente e a quel tempo di Nibali nella squadra kazaka non si parlava. Invece quell’estate iniziarono le voci e poi di colpo la notizia divenne ufficiale. Nibali lasciava la Liquigas che l’anno successivo sarebbe diventata Cannondale per accasarsi con Vinokourov. Era l’inizio del dualismo che prometteva di rinverdire i fasti di Coppi e Bartali, Moser e Saronni, ma la storia seguì altre strade.

Al ritiro di Montecatini nel 2012, l’ufficialità di Nibali all’Astana
Al ritiro di Montecatini nel 2012, l’ufficialità di Nibali all’Astana

La Mtb a Montecatini

Nibali si è ritirato, Aru ricorda. Sei anni di differenza non sono pochi e l’arrivo del siciliano significava avere un riferimento da seguire. Nibali era già Nibali, con podi al Giro e al Tour e la vittoria della Vuelta. Aru invece veniva da due Val d’Aosta consecutivi e il secondo posto al GiroBio U23. Chi avrebbe mai potuto dire che proprio il sardo avrebbe smesso prima di Vincenzo, quando prometteva di esserne l’erede dopo averlo sfidato?

«Quando sono andato in Astana – racconta Aru – c’erano dei rumor. Io avevo firmato l’anno prima, nell’estate del 2011 e nel 2012 si cominciò a sentire che sarebbe arrivato anche Nibali. Lo conobbi alla USA Pro Cycling Challenge in Colorado, che è stata la mia prima gara da professionista e lui era in maglia Liquigas. Il giorno che feci secondo in una tappa, la penultima a Boulder, in hotel ci trovammo a scherzare. Poi ci siamo incontrati direttamente in Astana, prima a Montecatini in ritiro e poi in Sardegna».

Giro 2013: si va verso le Tre Cime di Lavaredo, Agnoli e Aru in testa, Nibali in rosa
Giro 2013: si va verso le Tre Cime di Lavaredo, Agnoli e Aru in testa, Nibali in rosa

«In quegli anni c’era ancora Basso – prosegue – ma Vincenzo era già uno dei più forti. I primi anni ci siamo divertiti parecchio in mountain bike a inizio stagione. A lui è sempre piaciuto il fuoristrada, basterebbe riguardare i video che caricava ai tempi su Instagram…».

La scuola di Nibali

Il rapporto fra i due è subito molto buono. Nibali ha davanti il mondo da conquistare, Aru muove i primi passi. Che abbia numeri interessanti è noto, come possa adattarsi al professionismo è un punto di domanda. Così nel 2013 Martinelli prende la via più breve e lo porta al Giro d’Italia. Il primo Giro di Nibali.

«Il Giro del 2013 – ricorda – per me è stata sicuramente un’esperienza molto importante in una delle squadre più forti. Vincenzo era in super condizione. Io stetti male, però poi nell’ultima settimana trovai un po’ di energie. Fu un passaggio che augurerei a ogni giovane. Valse come tanti anni di esperienza».

Al Tour del 2016, Nibali salva Aru nella tappa di Andorra: la sua condizione è in crescita
Al Tour del 2016, Nibali salva Aru nella tappa di Andorra: la sua condizione è in crescita

«Non era tanto lui che insegnava – ricorda Aru – quanto io che logicamente lo osservavo in tutto e per tutto. Da come era posizionato in bici e ogni cosa che faceva. Ricordo un aneddoto importante di qualche anno dopo, quando lui, tra virgolette, si mise nella parte di chi poteva insegnarmi qualcosa. Accadde al mio primo Tour e quindi stiamo parlando del 2016. Lui arrivava dalla vittoria al Giro, quando ribaltò la classifica contro Kruijswijk e Chavez…».

Dal Tour a Rio

Nibali arrivava dalla seconda maglia rosa e dal Tour di due anni prima, Fabio aveva vinto la Vuelta ed era arrivato il momento di debuttare in Francia. Il calendario era stato organizzato nei dettagli. Nibali avrebbe puntato sul Giro e poi, passando per il Tour, sarebbe arrivato alle Olimpadi di Rio. Aru invece ci sarebbe arrivato passando per la Grande Boucle.

«Mi ricordo che partimmo per quel Tour – ricorda – e logicamente io avevo preparato l’appuntamento. Prima dell’inizio del Tour, Vincenzo mi disse di mettermi alla sua ruota, perché mi avrebbe fatto da pilota nelle tappe di pianura. Era il primo Tour, una gara difficile per quanto riguarda il limare e lo stare davanti. Arrivammo all’ultima settimana, poi saremmo dovuti andare assieme alle Olimpiadi».

Quello del 2016 fu il primo Tour di Aru, Nibali tirava per lui
Quello del 2016 fu il primo Tour di Aru, Nibali tirava per lui

«Lui dopo il Giro non aveva una grandissima condizione – ancora Aru – mi dava una mano e provava ad entrare in qualche fuga, però a livello personale non stava andando tanto forte. Quando sei abituato a vincere le gare e ti vedi un po’ sotto tono, inizi ad avere dei dubbi. Ricordo che eravamo in una tappa di pianura l’ultima settimana e stavamo parlando. Io lo vedevo moralmente un po’ giù e allora ne approfittai per ringraziarlo di quello che aveva fatto in quei giorni.

«Gli dissi di tener duro, che mancavano poche tappe. E che alle Olimpiadi sarebbe arrivato con un’ottima condizione e io sarei stato al suo fianco. Anche a Rio ci fu un momento difficile. Lui aveva un principio di crampi, io gli dissi di tenere duro. Lui mi rispose di fare la mia gara, io gli risposi ancora di tenere duro, perché il momento sarebbe passato».

Nibali e Aru assieme alla Vuelta del 2017: Vincenzo con la maglia a punti
Nibali e Aru assieme alla Vuelta del 2017: Vincenzo con la maglia a punti

Scoppia la rivalità

Fra loro nel frattempo le cose erano cambiate. Il giovane Aru reclamava spazio, Nibali difendeva il suo e presto la grande intesa finì.

«Come corridori eravamo diversi – ricorda Aru – perché lui ha sempre cercato di approfittare di tutte le occasioni, anche quelle in cui magari non aveva delle super gambe. Però ha sempre cercato di dare la sua impronta a qualunque gara partecipasse. E tante volte è riuscito a tirare fuori delle prestazioni di alto livello, una cosa che magari avrei dovuto fare di più anche io.

«E’ capitato che a un certo punto ci trovammo contro, ma non come raccontavano certe testate che gonfiavano la situazione perché sono solite farlo. Ora siamo entrambi cambiati a livello caratteriale, col passare degli anni si inizia a ragionare in maniera diversa. Siamo stati contro, ma non nel senso che litigavamo, magari però ci sono stati momenti di tensione. Anche se abbiamo sei anni di differenza, siamo entrambi competitivi e quindi ognuno aveva voglia di arrivare sempre più in alto. Però negli ultimi anni questa rivalità è cambiata ed è diventata un prendersi in giro un po’ a vicenda. C’è tanto rispetto».

Presentazione del Giro 2019, dopo il 2018 non troppo positivo per entrambi
Presentazione del Giro 2019, dopo il 2018 non troppo positivo per entrambi

L’eredità dello Squalo

Sarebbe stato difficile nel 2017, quando Nibali passò al Team Bahrain-Merida, immaginare cha la loro rivalità tanto attesa e annunciata, non sarebbe mai sbocciata.

«Non ho mai nascosto che il fattore età fosse dalla mia parte – sorride Aru – e mi avrebbe permesso di continuare alcuni anni ancora. Ma come ho detto più volte, questa è stata la mia decisione e sono contento così. Vincenzo mancherà al ciclismo. Tranne forse gli ultimi anni, è sempre stato presente: un atleta che garantiva delle ottime prestazioni. Sia per quanto riguardava le gare a tappe, sia per le gare di un giorno.

«Quindi sicuramente lascia un grande vuoto e un’eredità importante. Io mi auguro sempre che vengano atleti capaci di fare altrettanto bene. Insomma, qualcuno che possa avvicinarsi a quello che ha fatto lui…».

EDITORIALE / Non è più il tempo delle tendiniti

16.08.2022
5 min
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Non è più il tempo delle tendiniti e Dumoulin lo sa bene. Oggi va via la testa, punto e basta. Le tendiniti minarono la carriera di Fignon. Il parigino, di cui abbiamo parlato di recente ricordando la vittoria di Nibali ad Asolo, vinse il primo Tour a 23 anni e il secondo a 24, battendo pezzi grossi come Hinault e Lemond. Ci si stupisce per le vittorie precoci di Pogacar, senza rendersi conto che è già successo. Solo che allora le minori conoscenze fisiologiche e preparazioni spesso empiriche esponevano i ragazzi a carichi di lavoro che il fisico non era pronto a sostenere.

Fignon penò parecchio per rimettersi in sesto e non ci riuscì mai del tutto. Ugualmente si portò a casa il Giro d’Italia del 1989 e secondi posti beffardi, come quello del 1984 in Italia alle spalle di Moser e quello del 1989 a Parigi dietro Lemond.

Tour del 1984, Fignon in giallo a 24 anni, Lemond iridato con un anno di meno. Dall’anno dopo vennero fuori le tendiniti del francese
Tour del 1984, Fignon in giallo a 24 anni, Lemond iridato ne aveva 23

Oggi non è più tempo di tendiniti. I corridori vanno in palestra. Hanno imparato a non abusare dei rapporti avendo capito che l’elevata frequenza di pedalata permette di esprimere meglio la potenza. Integrano meglio dopo gli sforzi e offrono un miglior supporto al proprio corpo. Oggi il punto debole è nella testa e per quella c’è poco da fare. Se il filo si spezza, non c’è modo di riannodarlo.

La ricerca della perfezione

Ne ha parlato giorni fa Enrico Battaglin, descrivendo la sua fatica nel tenere i ritmi del ciclismo attuale.

«Il problema – diceva – è che tutti hanno alzato il loro livello. Serve curare il dettaglio per colmare il gap. In più cresce il livello di stress, perché sei sempre alla ricerca del limite. Per questo non credo a carriere lunghe. Anche per i leader. Quando sono passato, i veri capitani puntavano ai loro obiettivi e nel resto delle corse lavoravano o lasciavano spazio. Adesso anche loro sono sempre al 110 per cento».

Bettiol ha investito fortissimo sul Tour, mettendo da parte tutto il resto
Bettiol ha investito fortissimo sul Tour, mettendo da parte tutto il resto

Ne aveva parlato in precedenza Moreno Moser, raccontando di una conversazione avuta con Bettiol nelle settimane che portavano al Tour.

«Quello che mi diceva Alberto è che ormai il ciclismo è così totalizzante, che devi prendere questo lavoro per step. Da qui al Tour non esisto più, sono un robot. La vita è solo quella della bici e dell’allenamento. Il recupero si farà dopo…».

L’esempio di Dumoulin

Nella trappola è caduto nuovamente Dumoulin, che pure la prima volta provò a riannodare i capi. AI primi del 2021 annunciò infatti con un lungo post su Instagram che si sarebbe fermato

«Ho deciso di congedarmi per un periodo di tempo indeterminato dal nostro bellissimo sport. Da troppo tempo sento una grande pressione. Ho dimenticato me stesso, volendo fare il meglio per la squadra, gli sponsor e tutti gli altri. Ho dimenticato cosa voglio davvero in questo sport e per il mio futuro. Poiché non ho questa risposta chiara per me stesso, in realtà non sto nemmeno facendo del mio meglio per le persone intorno a me. Ho davvero bisogno del tempo per avere le cose chiare nella mia testa su cosa voglio e come lo voglio».

Il talento di Dumoulin si rivelò al massimo quando vinse il Giro d’Italia del 2017
Il talento di Dumoulin si rivelò al massimo quando vinse il Giro d’Italia del 2017

Il ritorno

Non si trattava di scarso amore per lo sport, dato che dopo aver postato quel suo scritto, andò a farsi un giro in bici e fece in modo di farsi vedere lungo la strada delle corse che passavano vicino casa sua a Maastricht.

Il richiamo del gruppo fu più forte, al pari della sua voglia di non arrendersi. Lo vedemmo a Livigno. Lo applaudimmo sul podio della crono olimpica di Tokyo. Ci illudemmo che il nodo tenesse. Fu quando lo vedemmo stordito sul Block Haus al Giro che capimmo che non era vero niente. E puntuale come un presagio, è arrivato ieri l’annuncio del ritiro definitivo. Si trattava comunque di un ritorno a orologeria: Tom avrebbe mollato dopo la crono dei mondiali, ma non ce l’ha fatta.

Il ritorno di Dumoulin nella crono di Tokyo, conclusa con l’argento alle spalle di Roglic
Il ritorno di Dumoulin nella crono di Tokyo, conclusa con l’argento alle spalle di Roglic

Di nuovo al tappeto

«Quando ho deciso di tornare – ha scritto su Instagram – l’ho fatto con un senso di libertà, alle mie condizioni, con il supporto della squadra e con la mia motivazione intrinseca come carburante principale. Questo è ciò che mi ha riportato la gioia del ciclismo dei primi tempi. Ma noto che non ce la faccio più. Il serbatoio è vuoto, le gambe sono pesanti e gli allenamenti non stanno andando come speravo. Dal mio duro incidente in allenamento lo scorso settembre (Dumoulin fu investito da un’auto e ha dovuto sottoporsi ad un intervento chirurgico per mettere a posto il polso destro, ndr), qualcosa si è rotto di nuovo. Ho dovuto interrompere i miei sforzi ancora una volta e affrontare un’altra delusione».

Era troppo e ogni tentativo di tornare davanti ha aggravato il senso di fatica e di frustrazione. Le tendiniti le aggiusti, la mente no.

Staccato sul Block Haus, primo vero arrivo in salita del Giro 2022: sembrava volesse essere altrove
Staccato sul Block Haus, primo vero arrivo in salita del Giro 2022: sembrava volesse essere altrove

Rischio burnout

Ci sono due modi per elaborare l’esperienza dell’olandese. Attaccargli l’etichetta di debole e lasciarlo andare. Oppure riflettere sul campione che si è perso nel nome della ricerca spasmodica della perfezione. L’uomo non è una macchina, esiste un limite (soggettivo) oltre il quale è rischioso andare. Il burnout è una sindrome sempre più diffusa nel mondo del lavoro, da quando ad esempio la connettività permanente impedisce di sottrarsi alla pressione e alla necessità di essere presenti.

Nelle squadre è spuntata da qualche tempo la figura dello psicologo e in alcuni casi dello psichiatra. Il corridore prova sempre a rialzarsi e ripartire, ma non c’è fase nella sua vita che non sia tiranneggiata dall’esigenza di perfezione. Siamo certi che leggeremo presto sui social che altri alle prese con lavori ben meno gratificanti stanno decisamente peggio. Non abbiamo indicazioni da dare, si tratta pur sempre di aziende gestite da altri. Ci chiediamo semplicemente se vada bene così.

La forza del Wolfpack, insieme anche a Livigno. Vero Vasilis?

10.07.2022
4 min
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La forza di una squadra sta nella squadra stessa. Può sembrare una frase fatta, ma questo è. Questo è quel che sta dimostrando la Quick Step-Alphavinyl in questi giorni a Livigno. E se il Wolfpack c’è ed è qualcosa di concreto, un motivo c’è.

Il super team belga è in ritiro in quota a Livigno. Nulla di speciale, se non fosse che non ci sono tre o quattro ragazzi, ma quasi una squadra “intera”. Sono in diciassette! Ritiri di tale entità di solito si vedono solo ad inizio stagione. 

Vasilis Anastopoulos, al centro con alcuni dei suoi ragazzi in questi giorni a Livigno
Vasilis Anastopoulos, al centro con i suoi ragazzi in questi giorni a Livigno

Anastopoulos per tutti!

Li dirige uno dei preparatori della Quick Step-Alpha Vinyl, Vasilis Anastopoulos. Il preparatore greco ci “apre le porte” del training camp e ci spiega più o meno come lavorano, con così tanti rider. Organizzare le uscite nel pieno della stagione, quando stati di forma ed obiettivi sono diversi da corridore a corridore, non deve essere semplice.

«Inizialmente – dice Vasilis – era previsto che in ritiro ci fossero due allenatori e un direttore sportivo, ma a causa dei casi Covid che la squadra ha avuto al Tour, Davide Bramati è dovuto andare in Francia. Presto arriverà a darmi una mano Koen Pelgrim, il capo allenatore della squadra. Arriverà per la seconda settimana.

«Così sono rimasto solo con 17 corridori, ma sono tutti professionisti! E tutti seguono il piano di allenamento quotidiano».

Un piano che è davvero ben cadenzato. Tutto avviene con un ordine quasi militare, si potrebbe dire. Ma è giusto così, altrimenti non sarebbe facile lavorare come squadra.

«Una nostra giornata tipo si presenta così: alle 8 colazione. Alle 9,20 esercizi di attivazione di base. Dieci minuti dopo partiamo per l’allenamento, che solitamente termina verso le 15. Alle 15,30 andiamo a pranzo. Un po’ di relax e alle 17 ci sono i massaggi. Alle 19,30 si cena e poi verso le 22 tutti in stanza per andare a letto».

Le gallerie di Livigno. La sicurezza è garantita non solo dall’ammiraglia, ma anche dai supporti di Garmin (foto Instagram)
Le gallerie di Livigno. La sicurezza è garantita anche dai supporti di Garmin (foto Instagram)

Preparatori interni

Si diceva del lavoro di squadra. Molto è legato anche al fatto che i corridori hanno dei preparatori interni. Non succede che l’atleta arriva con la sua tabella e poi si rivede con i compagni a sera.

Tante volte ci si lamenta delle differenze fra WorldTour e professional, ma spesso non si tratta solo di questioni economiche o di budget. Le squadre, tutte, siano esse WorldTour o professional, i coach li hanno e li mettono a disposizione. Sono i corridori che preferiscono altre strade.

Non solo. Tante volte i preparatori esterni vedono l’atleta a inizio anno e poi, tra gare, trasferte, impegni, periodi di stacco, non li vedono più. Lavorare solo sui file a certi livelli non basta. Per chi ha i preparatori interni questa problematica non sussiste.

Quali sono dunque i vantaggi di avere tutti i preparatori interni al team in un training camp? «Nella squadra ci sono quattro allenatori – spiega Anastopoulos – e i corridori sono divisi tra noi. Non permettiamo ai corridori di lavorare con preparatori esterni, quindi abbiamo il controllo di ciò che i corridori stanno facendo anche quando sono a casa.

«Prima dei ritiri ci incontriamo e disegniamo un piano per i corridori, pertanto siamo tutti sulla stessa linea. In questo modo noi, i preparatori, rimaniamo sempre connessi e sappiamo esattamente che tipo di allenamento deve fare ogni ciclista».

Ballerini su un tratto in ciottoli presso Andermatt. Il pavè per il Wolfpack non manca mai, neanche in quota!
Ballerini su un tratto in ciottoli presso Andermatt. Il pavè per il Wolfpack non manca mai, neanche in quota!

Crono, forza e pavè

Certo però che lavorare con 17 ragazzi tutti insieme non è facile. Ci sono atleti dalle diverse caratteristiche e con obiettivi agonistici differenti, per tipologia e distanza temporale da questa o quella gara.

«Tutti insieme hanno pedalato nei primi tre giorni (quelli dell’adattamento all’altura, ndr). Poi in alcuni giorni, i ragazzi vengono divisi in due o anche tre gruppi – dice Anastopoulos – poiché fanno diversi tipi di allenamento. Sedute per scalatori, per sprinter, per cacciatori di classiche».

Ciascuno lavora su qualità e obiettivi specifici. Davide Ballerini, per esempio, quando ha visto un pezzo di ciottolato in uno dei giri che passava anche per Andermatt, ne ha approfittato per “ripassare” un po’ di pavè nel centro storico di questa località in Svizzera!

«Nella prima settimana – conclude il tecnico greco del Wolfpack – il focus principale è stato sull’adattamento alla quota, sull’aumento del volume e sulla forza, principalmente SFR. Nella seconda settimana, invece, aumenteremo l’intensità, gli allenamenti di interval training e aggiungeremo anche un po’ di lavoro sulla crono a squadre».

Dumoulin e i lenti passi dell’addio

15.06.2022
5 min
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Sarebbe bastato guardarlo bene in faccia in cima al Blockhaus per capire come sarebbe finita. Dumoulin era piantato in mezzo alla strada nel giorno in cui tutti aspettavano da lui il primo squillo e sembrava estraneo alla scena. Fissava un punto all’orizzonte, ma la sua mente era altrove.

I 9 minuti dell’Etna, che inizialmente erano stati attribuiti al caldo e al primo arrivo in salita, avevano appena trovato un’altra spiegazione. Era passato un anno dal suo ritorno in bici. Il terzo posto nella crono di Budapest aveva fatto sperare di averlo ritrovato, il Giro sarebbe stato la sua rinascita. Invece di colpo Tom è crollato nuovamente. Il suo talento di sottile cristallo ha iniziato nuovamente a sbriciolarsi. Il ciclismo è così esigente, che anche la crepa più piccola diventa fatale.

Il Giro di Dumoulin era iniziato bene, con il 3° posto nella crono di Budapest, a 5 secondi da Yates
Il Giro di Dumoulin era iniziato bene, con il 3° posto nella crono di Budapest, a 5 secondi da Yates

La bici non è la cura

In Olanda non si rassegnano o forse sarebbe meglio dire che non rinunciano. Un po’ come quando qua si cercava in tutti i modi di rimettere in bici Pantani, pur essendo evidente che la bici non fosse più la cura. Parlano di virus. Di problemi alla schiena. Dei postumi del Covid. Tutte cause certamente possibili, che diventano insormontabili in un uomo che ha perso da tempo la voglia o la capacità di andare oltre la soglia della sofferenza. E’ chiaro che se le gambe non girano a dovere, la testa va giù. Ma in questa sorta di circolo vizioso, chi può dire quale disagio venga prima dell’altro?

Bruciato nel 2020

«Nel 2020 ho avuto un periodo molto difficile – ha raccontato dopo il ritiro, avvenuto nella tappa di Torino – e alla fine di quell’anno mi sono allenato tanto e bruciato. All’inizio del 2021 ero ormai un’ombra e ho deciso di prendermi una pausa dal ciclismo per pensare al mio futuro. E quando ho ripreso, nonostante alcuni giorni buoni, molte volte, soprattutto quest’anno, ho vissuto periodi frustranti. Il mio corpo si sentiva stanco e si sente ancora stanco. Non appena il carico in allenamento o in gara aumenta, soffro di stanchezza, dolori e infortuni invece di migliorare. Lo sforzo in allenamento non porta più alle prestazioni desiderate. Da un po’ di tempo c’è uno squilibrio tra la mia dedizione al 100 per cento al ciclismo e ciò che ne ottengo in cambio.

«Con molta pazienza e un approccio molto cauto – ha aggiunto – sono convinto di poter tornare al massimo delle mie potenzialità. Ma sarebbe una strada troppo lunga, senza garanzie di successo. Per questo ho scelto di non seguirla e di abbandonare invece il ciclismo attivo e di intraprendere un percorso nuovo e sconosciuto».

Dumoulin quarto a Potenza, dopo aver lavorato per la vittoria del compagno Bouwman
Dumoulin quarto a Potenza, dopo aver lavorato per la vittoria del compagno Bouwman

Segni di fragilità

I corridori sono nudi davanti a un mondo che alza le attese e poi li giudica. Il riscontro del cronometro non è neanche il dato più duro, le prestazioni possono arrivare oppure no. Quel che pesa sono il giudizio e il senso di responsabilità che un atleta trasparente come Dumoulin probabilmente non riesce più a maneggiare. Mi pagano perché io vinca. Non ci riesco. Crollo. Si era nascosto nel 2020 mettendosi al servizio di Roglic, poi il problema è esploso in tutta la sua evidenza.

Tornerà? Vorrà azzerare di nuovo la situazione e poi cercare di ripartire? I media olandesi se lo augurano, le sue parole non lasciano in realtà troppi margini di speranza. Quando non raggiungi il livello più alto per troppo tempo, la durezza della gara si riesce a superare solo correndo e poi correndo ancora. E la sensazione è che Tom non ne abbia più voglia.

«Non so ancora cosa voglio fare dopo la mia carriera di ciclista attivo – ha detto – e non voglio nemmeno saperlo in questo momento. Ma so che il mio amore per la bici mi terrà sempre connesso al mondo del ciclismo in un modo o nell’altro. Sono molto curioso di sapere cosa riserverà il futuro per me. Mi sento felice e grato e già ora guardo indietro alla mia carriera con molto orgoglio».

Invece l’Etna è stato la prima vera mazzata, con un passivo (inatteso) di 9’10”
Invece l’Etna è stato la prima vera mazzata, con un passivo (inatteso) di 9’10”

Cambio di squadra

Arriverà ai mondiali, come fu la crono di Tokyo a dargli la voglia di ripartire. Si vociferava che, scaduto il contratto con il Team Jumbo Visma, sarebbe passato alla Bike Exchange, dove avrebbe ritrovato la bici Giant con cui vinse il Giro, ma il suo annuncio sembra aver tagliato anche l’ultimo filo che lo teneva legato al gruppo.

«Il team e io – ha detto – ora faremo un piano insieme per rendere più belli, divertenti e si spera di successo questi ultimi mesi. Non vedo l’ora in particolare di arrivare al mondiale in Australia, dove mi piacerebbe ottenere un’ultima medaglia nella crono».

Estate 2021, Tom è rientrato da poco e ha vinto il titolo olandese della crono: il bacio di sua moglie Thanee
Estate 2021, Tom è rientrato da poco e ha vinto il titolo olandese della crono: il bacio di sua moglie Thanee

Il controllo della sua vita

Koos Moerenhout è il tecnico olandese della crono e smise di correre nel 2010, alla vigilia dell’arrivo del giovane Dumoulin nella sua stessa Rabobank. E’ stato lui ad aspettarne il ritorno alle Olimpiadi e ancora una volta gli ha spalancato le porte.

«Tom è uno specialista – ha detto – un uomo che sa esattamente cosa serve per fare bene in un importante appuntamento a cronometro. Gli ho dato fiducia l’anno scorso e lo sto facendo di nuovo ora, senza dubbio. Soprattutto perché lui per primo dice di voler puntare al massimo possibile. E’ un peccato perdere un campione così, ma se si sente in questo modo, allora dovremmo lasciargli il controllo della propria vita».

«Vincenzo, io ti capisco». Parla (dal cuore) l’amico Visconti

12.05.2022
5 min
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Sarà bello fra qualche tempo incontrarli sulla cima di Lamporecchio, nella Toscana che li ha uniti dopo che la Sicilia gli ha dato la vita, davanti a una birra e con le bici poggiate al muro. Giovanni e Vincenzo, Visconti e Nibali. Due nomi che hanno pedalato accanto per una vita e che hanno scelto di ritirarsi nella stessa stagione.

«Quando ho annunciato che stavo smettendo – dice Visconti – Vincenzo mi ha chiamato e aveva qualcosa di strano nella voce. Credo che anche lui stesse vivendo un momento difficile…».

Al Giro del 2013, Giovanni vince sul Galibier, Vincenzo consolida la rosa
Al Giro del 2013, Giovanni vince sul Galibier, Vincenzo consolida la rosa

Giovanni è appena rientrato a casa da tre giorni al Giro d’Italia, portando in giro per la Sicilia il marchio MCipollini di cui è testimonial e raccogliendo a ogni tappa splendide dimostrazioni di affetto. E ieri che il suo rivale di sempre, poi diventato amico e comunque accomunato da una storia simile, ha annunciato che a fine anno smetterà di correre, quello che li ha sempre uniti è diventato anche più forte.

Te lo aspettavi?

Non avevo collegato il fatto che la tappa arrivasse a Messina e che potesse essere un bel momento. Ma sì, avevo capito che si stesse avvicinando anche il suo tempo.

Hai parlato di un momento difficile.

A Vincenzo ho sempre invidiato la capacità di fregarsene di tutto, di farsele scivolare addosso. Però provo a mettermi nei suoi panni. Negli ultimi tempi potrebbe aver pensato: “Io sono Vincenzo Nibali, ho vinto quello che ho vinto, perché devo subire tutte queste critiche?”. E’ sempre andato forte, ma ultimamente i risultati arrivavano meno. La gente ti dice di tenere duro, ma non sa da quanto tempo uno è lì che ci pensa e ripensa. Il mio travaglio interiore è durato due anni, chissà lui da quanto ci riflette.

Insieme in azzurro a Geeolong 2010, nel primo anno del cittì Bettini
Insieme in azzurro a Geeolong 2010, nel primo anno del cittì Bettini
Perché tante critiche?

Lo trovo incredibile. Cosa vogliono chiedergli ancora? Ha 37 anni, non pensano sia normale che ci siano atleti giovani che vanno più forte? E’ assurdo come attorno a lui si sia concentrato lo stesso gruppo di persone che prima ha sminuito le sue vittorie, attribuendole alle cadute degli avversari. E adesso che non vince perché il tempo è passato, lo attaccano ancora. Giuro che lo capisco Vincenzo.

La sensazione è che nel dirlo si sia tolto un peso.

Un peso enorme, anche se forse sarà difficile convivere con questa cosa sino alla fine dell’anno. Spero che adesso cominceranno a volergli nuovamente bene ed elogiarlo, perché pur avendo deciso di smettere, sarà sempre lì a onorare le corse. E poi diciamoci una cosa…

Che cosa?

Uno come lui non può smettere da oggi a domani, come magari ho fatto io. Se ti chiami Nibali, se sei Vincenzo Nibali hai la squadra che poggia su di te e dei contratti con gli sponsor. La gente la fa facile, ma non si tratta di scendere di sella e chiuderla lì.

Insieme in azzurro anche al Memorial Pantani del 2015, sulla via dei mondiali di Richmond
Insieme in azzurro anche al Memorial Pantani del 2015, sulla via dei mondiali di Richmond
Credi che essersi tolto quel peso gli permetterà di correre questo Giro divertendosi di più?

Forse sarà più tranquillo e, come ha detto anche lui, riuscirà a divertirsi. Spero solo che esca ancora un po’ dalla classifica, perché le gambe per arrivare nei dieci le ha di certo. Solo che penso sarebbe più bello nell’ultimo Giro della carriera riuscire a tagliare un traguardo con le braccia al cielo piuttosto che lottare per arrivare quinto.

Ha parlato di voglia di stare più in famiglia.

Poi sarà finalmente più libero e potrà divertirsi ad andare in bici. Ma come sintesi, credo che la cosa da dire sia una e una sola.

Quale?

Io sono fiero di aver diviso tutta la mia carriera con lui. Contro e assieme. E in futuro sarà anche bello ricordarlo, perché Vincenzo Nibali è la storia del ciclismo e io a modo mio l’ho vissuta con lui. Abbiamo cominciato la carriera insieme. E poi, come ho già detto altre volte, lui si è avviato verso un altro pianeta (in apertura, i due sono assieme nel Tour del 2014 vinto dal messinese, ndr). Ci siamo stuzzicati e motivati a vicenda e negli ultimi tempi mi è capitato anche di difenderlo da tutte quelle critiche ingiuste. Perché quando è troppo, è troppo. Ora spero che possa godersi quel che resta del suo viaggio nel ciclismo.

Hanno corso insieme al Team Bahrain-Merida nel 2017 e nel 2018. Qui al Giro del primo anno
Hanno corso insieme al Team Bahrain-Merida nel 2017 e nel 2018. Qui al Giro del primo anno
Sai qual è l’altra cosa da dire?

No, qual è?

Che alla fine voi avrete mollato, invece Pozzovivo sarà ancora lì a lottare almeno per un altro anno. Della squadra di Verona (dei mondiali U23 del 2004), Domenico si rivelerà il più longevo.

Scoppia a ridere. E’ stato un onore raccontare le loro carriere, anche noi ne siamo fieri. E magari quel giorno, se lo vorranno, ci siederemo accanto ordinando un’altra birra. Rinfrescando i ricordi o parlando volentieri anche d’altro.

A Messina la decisione, svelata a Pallini davanti alla lavastoviglie

11.05.2022
7 min
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Vincenzo piange. Le immagini scorrono a capo di una carriera che in realtà non è ancora finita. Ha scelto Messina, la sua città, per annunciare la fine del viaggio. Un cammino lungo una vita. Diciotto anni da professionista e prima i tanti avanti e indietro dalla Sicilia alla Toscana, fra i sogni di bambino e il crescere dei risultati.

«Il ciclismo è prima di tutto passione – dice collegato con Colbrelli – poi dalla passione ne fai un lavoro. Sacrificio, dedizione. E la famiglia è complice di tutto questo. A volte abbiamo lo stress a fior di pelle e la famiglia ci sa aiutare. Anche senza dire niente».

Nibali si dirige al Processo alla Tappa, Pallini corre accanto a lui
Nibali si dirige al Processo alla Tappa, Pallini corre accanto a lui

Il sorriso di Michele

Vincenzo piange. Nel video al Processo di Fabretti (foto di apertura) scorre il sorriso di Scarponi, ma la decisione è matura e per questo sul viso dello Squalo alla fine prevale il sorriso. L’anno è iniziato alla finestra, avrebbe deciso poi. Finché a un certo punto la decisione è arrivata. Forse si trattava soltanto di ammetterlo. E un giorno a Lugano, mentre infilava i piatti nella lavastoviglie, si è girato verso Pallini e gliel’ha detto.

«A fine anno smetto di correre!».

Il Quartier Tappa a Messina si trovava nel Municipio e sulla facciata, spiccava un cartello per Nibali
Il Quartier Tappa a Messina si trovava nel Municipio e sulla facciata, spiccava un cartello per Nibali

L’annuncio a Lugano

L’altro è rimasto in silenzio. Pensava fosse una delle cose che non accadranno mai e ancora adesso fatica a metterlo a fuoco. 

«Era la settimana prima che iniziasse il Giro – dice – era indeciso, poi alla fine ha fatto le sue riflessioni e ha preso la decisione. Penso che gli sia pesato tutto l’avvicinamento al Giro, lo star fuori. Non so cosa gli sia scattato esattamente nella testa. Se non si senta più competitivo… questo bisognerebbe chiederlo a lui. Sono rimasto un po’ così, però eravamo in un momento di quotidianità in casa sua a Lugano, quindi l’ho presa con tranquillità. Dopo la Liegi praticamente sono andato su tutti i giorni tranne uno, perché ero in magazzino. 

«Abbiamo fatto le cose come vanno fatte. Lui è ancora concentrato – riflette – vuol fare bene in questo Giro. Anzi, era un po’ demoralizzato per quello che è successo ieri, perché poi la testa è quella solita. Al Giro si viene per fare bene. La corsa è lunga, possiamo ancora inventarci qualcosa. Era demoralizzato, ma non è avvilito o arreso».

Pallini ha seguito Nibali in tutta la carriera, inclusa la vittoria del Tour 2014
Pallini ha seguito Nibali in tutta la carriera, inclusa la vittoria del Tour 2014

Le solite critiche

Lavorano insieme da quando Pallini, seguendo Di Luca, passò dalla Saeco alla Liquigas e si ritrovò fra le mani il ragazzino di cui si diceva un gran bene. Michele ha visto sbocciare il talento e nascere il campione. Sono andati d’accordo e hanno anche discusso, perché quanto a carattere nessuno dei due ha nulla da invidiare all’altro. E dato che nei commenti a questo articolo qualcuno troverà lo spunto per osservazioni al limite del ridicolo, una riflessione sul costume italiano va fatta.

«In Italia denigriamo sempre quello che abbiamo – ammette – in qualsiasi cosa, non solo nello sport. Anche per quel che riguarda le bellezze italiane. E’ normale che sia così, le apprezziamo sempre a posteriori. Magari un giorno diranno: “Se c’era Nibali, magari poteva fare qualcosa”. Ma questo succede a chiunque, in qualunque sport e in qualsiasi tipo di attività. Magari per attutire la nostalgia, l’anno prossimo veniamo qua con Mediolanum e un altro ruolo (ride, ndr) e restiamo nel ciclismo».

Un’accoglienza da trionfatore per Nibali nella sua Messina, lasciata tanti anni fa per diventare un pro’
Un’accoglienza da trionfatore per Nibali nella sua Messina, lasciata tanti anni fa per diventare un pro’

«Il rapporto fra me e Vincenzo – prosegue – è di quelle cose che nascono per lavoro e finiscono per amicizia. E’ normale che sia così. Io non riesco a vedere l’atleta, io vedo la persona. E la prima cosa che penso appena parte è gara è: speriamo che non cada. Poi dopo, se vince siamo tutti contenti. Se non vince, siamo meno contenti. Ma l’importante è che non succeda niente».

Il peso delle attese

Ripensiamo alle parole di Vincenzo in quel mattino alla Coppi e Bartali e si capisce che forse alla base di tutto ci sia la difficoltà a confrontarsi ogni giorno con le attese e quello che il ruolo di campione impone.

«La pressione – dice Pallini – inizi a soffrirla quando vedi che non riesci più a ottenere quello che una volta era alla tua portata. Quindi dentro di te la pressione aumenta. Se i risultati arrivano facilmente, invece cala. Lui ha notato questo gap. E come tutti gli sportivi che dicono che di non guardare i social o leggere i giornali, come i calciatori che dicono di non leggere le pagelle e invece le leggono eccome, anche Vincenzo legge e ascolta. A volte accetta. E altre si arrabbia per certe critiche che sono inutili e inconcludenti e non servono a niente».

Ritiro per due

Quando smise Bettini, il suo massaggiatore Stefano Cerea disse che per un po’ sarebbe rimasto fuori dai riflettori e oggi lavora bene alla Trek-Segafredo. I ragionamenti di Pallini invece portano in una diversa direzione.

«Al 99 per cento – conferma – questo è anche il mio ultimo anno. E’ una cosa di cui abbiamo già parlato. Penso di essermi già organizzato, anche se probabilmente potremo venire qui sotto altre vesti. Non mi vedo a tempo pieno con un’altra squadra o a ricominciare con un altro corridore. Non lo so, mai dire mai, però non mi ci vedo. Il problema è che dopo tanti anni in cui basta uno sguardo e ti capisci, ripartire diventa difficile. Sarebbe faticoso.

«Magari con Vincenzo abbiamo avuto un buon rapporto, perché penso che abbiamo lo stesso carattere, quindi ci capiamo al volo. Magari con un’altra persona farei più fatica. Ripeto: ci sono stati anche momenti di tensione, come in tutti i rapporti. Sarebbe stato peggio se non ci fossero stati, ma ci siamo sempre chiariti».

Con il saluto di Nibali a Messina, il Giro lascia la Sicilia e si trasferisce in Calabria
Con il saluto di Nibali a Messina, il Giro lascia la Sicilia e si trasferisce in Calabria

A scoppio ritardato

Resta un anno da vivere e correre. Resta un Giro d’Italia che è partito da meno di una settimana. Restano pagine da scrivere.

«Sarà un anno vero – dice – in cui puntare alle corse che a lui piacciono di più. Magari adesso non vuole pensare ad altro che al Giro, per cui nemmeno risponderebbe. Però nulla vieta di pensare che correrà la Vuelta per fare un ottimo Lombardia. Sicuramente, anche se sarà la sua ultima gara, non vorrà fare la comparsa. Di questo sono sicuro.

«Lui si è commosso, io non lo so. Normalmente vivo le cose sempre dopo. Sono preso, dall’organizzare. Dobbiamo andare velocemente al traghetto, deve esserci la macchina pronta e dentro da mangiare. Perciò quando finirà tutto e si abbasserà la tensione, magari ci ripenso. A scoppio ritardato. Adesso non riesco, perché sono preso da mille pensieri».

Visconti si è ritirato, il Marine c’è ancora

22.03.2022
7 min
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A San Baronto, non per caso. E’ una mattina fresca di marzo, i dintorni sono silenziosi. Lungo la strada abbiamo incontrato ben più di un ciclista, la vallata in basso respira piano. Giovanni aspetta davanti al bar, la barba, i jeans e il giubbino nero. Sono passati venti giorni dall’annuncio del ritiro, prima non era tempo di venire. Serve tempo per chiudere la pagina, anche se la sensazione è che in cuor suo il viaggio si fosse già fermato prima. L’ultima volta si prese qui un caffè a dicembre 2020. Contratto con la Bardiani, tanta grinta e voglia di fare. Ma niente è andato come avrebbe voluto. Ora Visconti (in apertura nella foto di Alessandro Federico) ha lo sguardo sereno, il volto rilassato. Ma non è stato facile.

Appuntamento a San Baronto, nel bar di mille interviste
Appuntamento a San Baronto, nel bar di mille interviste

«La prima volta a San Baronto – pensa voltandosi indietro – fu uno di quei viaggi con mio padre e la Fiat Uno. Giravamo l’inverno per fare le gare di cross e un inverno ci fermammo nell’albergo qui accanto. Mio padre aveva portato un fornellino e mi fece la pasta. Avevo 15-16 anni e una bicicletta messa male. Ora San Baronto è la mia casa. Amo la mia terra, ma qui mi sento a casa. Non sono un siciliano di mare, dopo una settimana che sono giù mi viene la voglia di tornare. Non sono come Fiorelli, che senza il mare non ci sa stare…».

Da quanto tempo avevi capito che era finita?

Da un anno e mezzo, da quando cominciai a stare male. Al Giro del 2020 mi svegliavo e dicevo a Mirenda che avevo mal di testa. Pensavo fosse la cervicale, per cui andavo dall’osteopata. Poi scoprii di avere la tiroidite, scatenata dal Fuoco di Sant’Antonio, che è davvero una brutta bestia. La prima reazione fu una magrezza eccessiva, poi il tempo di andare alla Bardiani e mi diede l’effetto opposto. Presi peso e non riuscivo a buttarlo giù, avevo sensazioni tremende. Mi sono rasserenato quando ho capito che anche guarendo del tutto, non sarebbe cambiato niente. A 39 anni e con 17 stagioni da professionista sulle spalle, ho capito che non sarebbe bastato contro questi giovani che sgommano. Fosse stato per me, avrei smesso lo scorso luglio…

Accanto a Bettini nel Giro del 2008, quando tutto sembrava possibile
Accanto a Bettini nel Giro del 2008, quando tutto sembrava possibile
Invece decidesti di continuare.

La squadra mi è stata vicino. Reverberi mi ha invogliato a crederci e ho ripreso. Un nuovo allenatore (Alberati), il mental coach, sono anche dimagrito. Sono andato a Benidorm con Fiorelli, ero 63 chili, facevamo allenamenti bellissimi. Invece ho preso il Covid e quella è stata l’ultima batosta. A Mallorca il terzo giorno ho fatto 60 chilometri da solo fra le macchine. Sono arrivato che Valverde scendeva dal podio e neanche mi hanno classificato. A Laigueglia stessa cosa. Le ammiraglie mi passavano e io immaginavo i commenti su come mi fossi ridotto. Mi sono fermato, morivo dal freddo. Un cicloturista mi ha dato una mantellina mezza rotta e mi ha scortato all’arrivo. Volevo smettere, ma Reverberi ha insistito e sono andato alla Tirreno.

Cosa è successo?

Il secondo giorno siamo passati da Capannoli, dove avevo vinto la prima da dilettante. Poi siamo passati da Peccioli, la prima vittoria da pro’. Ho pensato che non fosse un giorno a caso, ho collegato quei due momenti. Ero staccato, ma sono stato zitto finché Roberto (Reverberi, ndr) non ha detto dove fosse il furgone del rifornimento. E a quel punto ho parlato alla radio. «Io finisco qui – ho detto – chiuso il discorso». Mi sono scusato con i ragazzi e li ho incitati a non mollare. E poi mi sono ritirato. Quando sono salito sul bus, mi sono sentito sereno. Ho scritto un messaggio a Roberto, per dirgli che sarebbero venuti a prendermi mio padre e mio figlio. Non era organizzata, la mattina era venuta a trovarmi mia moglie visto che poi la corsa passava sull’Adriatico…

Alla Per Sempre Alfredo, un premio speciale: gli appunti di Martini sul suo secondo tricolore
Alla Per Sempre Alfredo, un premio speciale: gli appunti di Martini sul suo secondo tricolore
La lettera d’addio?

Avevo già iniziato a scriverla durante il Gran Camino, poi di volta in volta l’ho corretta. Questo non lo sa nemmeno Alberati, l’avevo detto solo alla psicologa, Cristiana Conti, bravissima. Le dissi che io a certe cose non credo, invece mi ha aiutato tanto.

Cosa pensi della tua carriera?

Sono fiero. Sono stato per tutta la vita un musone anche con me stesso, anche se con gli anni sono migliorato. Sono passato con l’idea, che mi hanno inculcato, di diventare il nuovo Bettini. Non ci sono riuscito e questo mi è pesato. Negli ultimi 2-3 anni ho cominciato a vedermi in modo diverso, più aperto, purtroppo però è coinciso con il momento in cui ho iniziato a stare male. Tanti però vorrebbero aver fatto la mia carriera…

Tante dimostrazioni di affetto e stima.

Mi ha scritto Quintana. Mi ha scritto Valverde. Anche Chiappucci, invitandomi a essere fiero di quello che ho fatto, perché di solito tendo a sminuirmi. Mi ha chiamato anche Stanga. «Sono Gianluigi Stanga, posso parlare con Giovanni Visconti che ho fatto passare professionista?». Mi ha spronato a fare qualcosa…

Già, cosa farai da grande?

La mattina mi sveglio, ma non ho un’idea ben precisa. Mi piacerebbe diventare un diesse importante. Ho vissuto tre generazioni di ciclismo, vedo come si lavora oggi. E’ finito il periodo della quantità, ora si fa tanta qualità. L’esempio di Guercilena, che è passato attraverso tanti ruoli, potrebbe essere quello da seguire.

Nel 2009, Visconti ha lasciato la Quick Step per tornare da Scinto
Nel 2009, Visconti ha lasciato la Quick Step per tornare da Scinto
Ti sei mai sentito il Visconti campione che tanti si aspettavano?

Ci sono stati dei momenti. Alla Quick Step, quando a 24 anni ho vinto il primo tricolore. Oppure quando ho vinto alla Sabatini con Bettini campione del mondo che lavorava per me. Poi ho fatto un passo indietro, passando in una professional. Ho vinto ancora, ma è calata la qualità. Già allora tra WorldTour e professional c’era tanto divario, ora tocca fare a botte.

Fare a botte?

Vanno bene le differenze, ma non c’è rispetto. Quando si affiancavano a me, vedevano le strisce tricolori sulla manica e si calmavano. A Laigueglia, è venuto un francesino e pretendeva che mi spostassi, perché lui doveva stare davanti e io no. I ragazzi oggi crescono così e i loro direttori hanno fatto tutta la carriera allo stesso modo. Il gruppo non è più composto di tante maglie, ma da blocchi di squadre. Davanti le WorldTour, dietro le altre. Mi ricordo quando ero alla Movistar che un paio di volte andai davanti a urlare perché facessero partire la fuga. Si fa tanta fatica a stare dietro e ottenere risultati, non avete idea quanto.

Nibali è un buon amico, ma in passato è stato la molla per migliorare
Nibali è un buon amico, ma in passato è stato la molla per migliorare
Che cosa ha rappresentato Scinto nella tua carriera?

Una figura importante, anche se a volte ha avuto dei comportamenti per cui abbiamo litigato. Anche per il Visconti del WorldTour sarebbe servita una persona come Scinto. Avendo accanto uno con la sua passione, avrei reso di più.

E Nibali?

Lo reputo un amico. Mi ha fatto crescere, è stato un bel guanto di sfida. Siamo partiti uguali, poi lui è andato su un altro pianeta. E’ stato bello correrci insieme, credo che ora siamo ottimi amici. Nel fine settimana è stato in Toscana, dovevamo andare in bici insieme, poi è saltata.

Hai più preso la bici?

La prima volta con mio padre: 31,5 chilometri in un’ora e 20′. C’era vento, me la sono goduta. Ho voluto ringraziare mio padre. Ci eravamo allontanati. La mia carriera ormai stava calando e lui è stato male anche perché mi vedeva soffrire. Ora si è liberato anche lui.

Suo padre Antonino è stato il primo a credere nelle possibilità di Giovanni
Suo padre Antonino è stato il primo a credere nelle possibilità di Giovanni
E tu sei contento?

Vedo i bambini felici. Prima ero un vecchio corridore, ora sono un giovane uomo. Anche in casa non ero sereno, tornavo sempre in condizioni pietose e mi svegliavo con le occhiaie. Avevo addosso la rabbia, un bambino se ne accorge. Ora mi alzo alle 6,30 per portarli a scuola e non ho altri pensieri. Ho voltato pagina, ma per un po’ continuerò a pensarci. Alla gente è piaciuto come sono uscito. Volevo chiudere con l’immagine del combattente. E quanto è vero Iddio, ho combattuto con tutto me stesso, ma vanno tanto forte che non mi vedevano neanche…

Resta in silenzio. Nello sguardo passano gli anni e i tanti romanzi che ciascuno di essi potrebbe raccontare. Ordina un altro caffè. Scherza con la barista. Il corridore ha dismesso i panni da gara. Il Marines lampeggia ancora nello sguardo.