E dire che Primoz Roglic aveva deciso di venire alla Tirreno-Adriatico solo due giorni prima del via da Camaiore. E oggi, alla quarta corsa della stagione, ha subito piazzato un successo. Come solo i veri grandi campioni sanno fare, specie in questo ciclismo.
A Tortoreto, che da un lato si affaccia sugli Appennini innevati e dall’altro sul mare, lo sloveno della Jumbo-Visma ha messo tutti in fila. E lo ha fatto con una volata apparentemente facile, con quella scioltezza di quando la gamba è piena e gira il rapporto con naturalezza.
Partenza da Greccio, perla della provincia di Rieti, direzione Amatrice e discesa verso la costa Adriatica. In fuga anche Valerio Conti che a Rieti è di casaRoglic (classe 1989) è al primo successo stagionale. La Tirreno è la sua prima corsa 2023. Punta al GiroUna volta superati i problemi fisici, Roglic si è allenato duramente. E’ stato tre settimane sul Teide (foto Instagram)Partenza da Greccio, perla della provincia di Rieti, direzione Amatrice e discesa verso la costa Adriatica. In fuga anche Valerio Conti che a Rieti è di casaRoglic (classe 1989) è al primo successo stagionale. La Tirreno è la sua prima corsa 2023. Punta al GiroUna volta superati i problemi fisici, Roglic si è allenato duramente. E’ stato tre settimane sul Teide (foto Instagram)
Dopo sei mesi…
Ma è chiaro che il successo non è stato così scontato. Sul primo passaggio in cima alla collina abruzzese, Roglic si era anche sfilato un po’. Col senno del poi probabilmente non era una questione di gambe, ma tattica: si era fatto sorprendere dall’affondo di Alaphilippe.
Ed ora eccolo qui in sala stampa. Primo. Felice. Sorridente. Scherzoso come poche altre volte.
Questo inverno Roglic ci aveva detto che il suo primo obiettivo era quello di tornare in forma, di tornare ai suoi livelli. Non pensava d alcun traguardo intermedio, né tantomeno a questa o a quella corsa. Non sapeva neanche se avrebbe fatto il Giro o il Tour.
«Quando ho deciso di venire alla Tirreno? All’ultimo minuto. Era importante tornare a correre! Volevo fare un piccolo upgrade dopo l’ultimo stage duro di allenamento e così sono venuto qui. Dopo sei mesi ci voleva. Ora però il mio programma verso il Giro d’Italia resta quello, con Catalunya e altura.
«Ci voleva un po’ per tornare a questo livello – va avanti Roglic – Ma io non ho mai avuto dubbi di farcela. Anche perché sono riuscito allenarmi come volevo. Era più questo quello che mi “spaventava”. Da parte mia mi alleno sempre forte e in corsa cerco di fare sempre il meglio. Quindi questo successo è una sorpresa parziale».
Vuelta 2022, Roglic cade nel finale di tappa. Durante lo sprint è agganciato da dietro. Verdetto: frattura della spalla sinistraDopo 181 giorni eccolo di nuovo a braccia alzateVuelta 2022, Roglic cade nel finale di tappa. Durante lo sprint è agganciato da dietro. Verdetto: frattura della spalla sinistraDopo 181 giorni eccolo di nuovo a braccia alzate
Mostri del passato?
Il finale di Tortoreto però è stato nervoso, più di quel che ci si poteva attendere. Ma forse proprio questo nervosismo, una volta tanto ha sorriso alla causa di Roglic.
Ad agevolarlo verso questo successo infatti ha inciso anche la caduta di Wout Van Aert che, ci hanno detto dalla Jumbo-Visma, essere il capitano designato al via da Greccio.
Di contro, per Roglic, c’è da dire che questo arrivo ricordava quello della Vuelta 2022, quando lo sloveno era caduto. Un arrivo veloce, di un gruppo ristretto, in cima ad una salita con lui a fare la volata. Si era rotto la spalla sinistra e da lì aveva iniziato il suo calvario autunnale. Un calvario fatto di operazione, placche, ripresa degli allenamenti, dubbi…
«Un po’ sì: lo ricordava – ammette Primoz – ma tanti arrivi sono così». Nella sua mente quindi non c’erano i fantasmi di Monastero de Tentudia, ma solo la concentrazione per l’arrivo di Tortoreto.
Primoz ha cercato, ed è riuscito, ad essere freddo. Ha controllato fino alla fine e quando ai 300 metri si “scollinava” per le semicurve del traguardo, si è fatto intelligentemente sfilare e si è così preparato allo sprint vincente.
Per la cronaca Alaphilippe, nervoso dopo l’arrivo, è andato subito a rivedere lo sprint dietro al palco. Anche se va detto che il francese è stato il primo a complimentarsi con lui. Al contrario di Van Aert che con il sedere sanguinante mentre passava 7’40”, lo cercava con gli occhi sul podio e una volta incrociato lo sguardo ha alzato il braccio al cielo.
Van Aert col sedere spellato, assalito dai media belgiDopo la felicità dello spumante, stasera Primoz avrà da fare con i suoi peliVan Aert col sedere spellato, assalito dai media belgiDopo la felicità dello spumante, stasera Primoz avrà da fare con i suoi peli
Fortuna e squadra
Prima abbiamo detto che la caduta di Van Aert, in qualche modo ha aperto le porte a Roglic.
«Vero – prosegue lo sloveno – la caduta di Wout un po’ ha inciso. Le cose cambiano in fretta in corsa e noi siamo stati bravi a riorganizzarci. E sono stato anche fortunato ad evitare la caduta. Un po’ di fortuna ci vuole sempre.
«Ora pensiamo a domani e dopodomani. Vediamo come starò. Intanto è stato bello tornare a stappare lo spumante. E stasera mi raderò i peli! Avevo detto che lo avrei fatto dopo la prima vittoria».
Il gruppo ritrova ufficialmente un suo grande interprete. Se qualcuno aveva qualche dubbio adesso sa che Roglic è tornato.
Lo showroom di DMT ha seguito tutta la Tirreno-Adriatico. Al pubblico è stata proposta la prova di calzata. Prove di Giro, per il quale si annunciano novità
S-Hertogenbosch, Service course della Jumbo-Visma. Primoz Roglic si aggira nelle varie sale della sede giallonera come se fosse di casa, ma di fatto lo è. Lo sloveno fa parte di questo team dal 2016. E ne è una colonna portante: è stato lui a portare le prime grandi vittorie.
Quel che più si nota è la sua attenzione verso i nuovi materiali, le proposte dei nuovi sponsor. Fa domande a raffica, Primoz. Vuol sapere ogni dettaglio. Dal vestiario alle bici. Disponibile, affabile… quando è alle corse è molto più concentrato. Scopriamo una versione di lui insolita, ma decisamente piacevole.
Lo sloveno (classe 1989) molto attento alle nuove dotazioni adottate dal team. Ha fatto molte domande ai tecniciLo sloveno (classe 1989) molto attento alle nuove dotazioni adottate dal team. Ha fatto molte domande ai tecnici
L’infortunio
Lo avevamo lasciato dopo la caduta alla Vuelta. Ancora una volta un po’ la sfortuna e un po’ il suo modo aggressivo di correre, gli avevano presentato un conto salatissimo. L’ennesimo duro colpo alla carriera di questo ragazzo che invece è coriaceo come pochi.
Più volte ha ribadito che la sconfitta del Tour 2020 è alle spalle e se si supera uno shock simile non c’è caduta che possa fermarti. E a proposito di spalle è dalla sua spalla sinistra che ripartiamo.
«Come va? Adesso bene – racconta Roglic – Inizio ad allenarmi lentamente. Sono passate sei settimane dall’intervento. Ogni settimana va meglio, ma ci vuole del tempo. Finalmente il movimento del braccio – e imita il gesto circolare – è quasi completo».
Primoz si era lussato una spalla già al Tour de France, durante la tappa del pavé. Se l’era rimessa in sede da solo. E poi ci era di nuovo caduto sopra nel finale della 16ª tappa della Vuelta. A quel punto dopo un periodo di stop, verso metà ottobre è stato costretto all’operazione.
Però i dubbi sono tanti. E anche per questo Primoz non si sbilancia su programmi ed obiettivi. Per esempio, i medici gli hanno vietato, di correre a piedi e lui era un habituè del running nella sua preparazione. E non è escluso che dovrà rivedere anche la posizione in bici.
«Sulla posizione in bici – dice – speriamo di non dover cambiare nulla, ma per ora davvero non lo so. Mi hanno tagliato un pezzo di osso, ci hanno messo viti un po’ troppo lunghe che sono uscite dall’altra parte, ma mi dicono che così è ancora più fissa. Lo scoprirò solo quando inizierò a pedalare».
La caduta di Roglic alla Vuelta. Primoz è scortato sull’arrivo dal compagno Teunissen. Il giorno dopo non partiràLa caduta di Roglic alla Vuelta. Primoz è scortato sull’arrivo dal compagno Teunissen. Il giorno dopo non partirà
Il recupero
Per Roglic si è trattato dunque di rivedere i piani. Da quella caduta sono passati tre mesi. Tre mesi in cui ha rivisto la sua vita. Passare dal dedicare tante ore al giorno alla bici a niente non è facile. Serve anche un certo equilibrio mentale e il supporto di chi ti sta intorno. Ma in questo caso Primoz aveva la sua famiglia, i suoi amici, i suoi impegni. Anche quelli con il Comitato Olimpico sloveno, di cui di fatto è diventato testimone tramite la Fondazione Cerar gestita dallo stesso Comitato.
Nella lunga chiacchierata con lo sloveno si parla chiaramente anche della stagione che verrà. Primoz ipotizza una partenza tranquilla a marzo, complice anche il suo infortunio.
«Ho un’idea sul mio inizio di stagione – dice Roglic – ma tutto dipende da come andrà ora con la ripresa. Per me il prossimo anno è un po’ un mistero. Per ora ho ripreso a fare solo dei piccolissimi giri. La settimana prossima farò un altro controllo e vediamo se mi daranno il semaforo verde per riprendere veramente. Il mio obiettivo per adesso è potermi presentare l’11 dicembre per il ritiro».
«Ma magari tutto ciò serve a qualcosa – la prende con filosofia – magari sarò più fresco in estate. Devo essere fiducioso. Per il momento sono felice così. Non ho dolore. Non riuscivo a nuotare, non riuscivo a dormire…».
Nonostante tutto, nonostante l’operazione e i tre mesi di stop gli facciamo notare che comunque è già molto magro.
«Sono pur sempre uno sportivo – esclama Primoz – devo sempre farmi trovare pronto. E poi è anche nell’interesse della fondazione (la Primoz Roglic Fundacija, ndr) che abbiamo creato con mia moglie Laura, con la quale incoraggiamo e aiutiamo i giovani atleti a condurre stili di vita corretti. Devo essere un esempio».
Roglic erede di Tina Maze (ex sciatrice e campionessa olimpica) per la rappresentanza della Fondazione Cerar (foto Ziga Zivulovic)Roglic erede di Tina Maze (ex sciatrice e campionessa olimpica) per la rappresentanza della Fondazione Cerar (foto Ziga Zivulovic)
Sui giovani
Tra i top rider Roglic è il più “vecchio”: 33 anni. Si trova a lottare con gente che ne ha dieci meno di lui, vedi Evenepoel. E come sappiamo oggi non è facile. Si tratta di ragazzi che nascono con altri criteri, altri metodi di allenamento e meglio riescono a sfruttare la freschezza e l’esplosività che il fisico consente a quell’età. Vincere insomma è sempre più difficile, anche per uno come lui.
«I ragazzi più giovani – dice Roglic – stanno arrivando, ma questo vale per tutti. Arriverà una generazione che li supererà. Io non ci penso molto a dire il vero, preferisco concentrarmi su me stesso, sulle mie cose e farle nel modo migliore. Non c’è un giovane in particolare che mi ha colpito. Oggi i giovani arrivano e vanno forte in tutti gli sport, non solo nel ciclismo».
Sul Galibier Roglic si è messo a disposizione di Vingegaard. «Un momento molto bello», ha ricordato lo slovenoSul Galibier Roglic si è messo a disposizione di Vingegaard. «Un momento molto bello», ha ricordato lo sloveno
Il Tour in testa
Primoz racconta che ha sempre cercato di essere il numero uno e faceva le cose al 110% per esserlo. E’ stato così quando era un saltatore con gli sci ed è lo stesso da ciclista. Ma il “problema” emerge quando si è raggiunto il top. Gli obiettivi vanno ricalibrati. Per lui il grosso del focus resta il Tour de France e non necessariamente per vedersi sul gradino più alto del podio. Anche se ammette che quando ha iniziato a pedalare sognava di correre anche il Giro.
«Se penso che posso ancora vincere il Tour? Non vedo perché no. A fine carriera – spiega Roglic – traccerò una linea e vedrò cosa ho vinto e cosa no. Io voglio continuare ancora e voglio farlo divertendomi. Finché avrò questa scintilla dentro a spingermi andrò avanti.
«Uno dei giorni per me più belli in assoluto è stato quello del Col du Granon. E’ stato bello fare parte della squadra e di quell’azione. Condividere la doccia con i ragazzi, parlarne… Io già sapevo che i miei attacchi sul Galibier servivano solo per aiutare Jonas (Vingegaard, ndr). E alla fine il nostro piano è andato anche meglio di come di quanto probabilmente ci aspettavamo.
«Poi è stato doloroso essere a casa mentre Jonas e i ragazzi stavano lottando e vincendo il Tour, ma io proprio non potevo andare avanti… altrimenti sarei rimasto in corsa».
Giro 2019: Roglic e Nibali iniziarono a punzecchiarsi verso Ceresole Reale. Verso Courmayuer invece Carapaz prese la maglia rosaGiro 2019: Roglic e Nibali iniziarono a punzecchiarsi verso Ceresole Reale. Verso Courmayuer invece Carapaz prese la maglia rosa
E il Giro?
Voci di corridoio lo vogliono al via del prossimo Giro d’Italia. Già ci si prepara alla rivincita della Vuelta contro Evenepoel, invece Primoz non si espone. Il percorso con tre cronometro individuali è un invito a nozze per lui. Tra l’altro l’ultima delle crono è sul Monte Lussari, ad un passo dalla sua Slovenia, ed è una zona che conosce bene.
«Ho gareggiato e vinto da quelle parti – racconta Primoz – quando ero un saltatore con gli sci. E poi ci sciavo. Non so se sarò pronto per il Giro, bisognerà vedere come andranno le cose a partire dal controllo della prossima settimana. E dai programmi che decideremo».
Il corridore della Jumbo-Visma quando sente parlare dei 71 chilometri contro il tempo non si sofferma solo su quelli. Fa capire apertamente che per lui vanno bene anche gli altri percorsi. Quasi si sentisse ferito nell’orgoglio e ci volesse dire: «Ehi, non sono solo un cronoman».
Se il Tour è il suo pallino, il Giro non è così da meno: sia per una vicinanza geografica con l’Italia, sia perché quest’anno si passa molto vicino casa sua e sia perché è stato il primo grande Giro che ha fatto nel 2016.
Manca dalla corsa dall’edizione del “fattaccio” con Nibali verso Courmayeur che spalancò le porte del paradiso a Carapaz. Nessuno dei due voleva tirare e l’ecuadoriano ne approfittò. Roglic fu comunque terzo. Quel podio, il primo nei grandi Giri, gli diede comunque una grande consapevolezza, tanto che in autunno vinse poi la sua prima Vuelta. Ora forse è pronto per qualcos’altro
Roglic al Delfinato, Pogacar in Slovenia. Uno in cerca di conferme, l'altro per rilassarsi. Con Malori nei diversi percorsi dei due sloveni verso il Tour
Wout Van Aert ci dà il benvenuto quando entriamo nel Service course della Jumbo-Visma. Il Van Aert è ad altezza naturale ed è di cartone! Di fronte a lui subito una serie di trofei e maglie.
Olanda meridionale, circa 80 chilometri a sud di Amsterdam, siamo ad s-Hertongenbosch. «Ma qui la chiamiamo Den Bosch», ci dice subito Ard Bierens, addetto stampa che fa gli onori di casa. «La pronuncia è un po’ complicata e credo che neanche gli olandesi la conoscano col vero nome!».
L’ingresso al Service Course della Jumbo-Visma. Van Aert ci dà il benvenuto!Ard Bierens è l’addetto stampa del team olandeseL’ingresso al Service Course della Jumbo-Visma. Van Aert ci dà il benvenuto!Ard Bierens è l’addetto stampa del team olandese
Sul Col du TJV
Capannoni super moderni in vetro e cemento e costruzioni hi-tech contornano la parte orientale di “Den Bosch”, quella che divide il centro dalla campagna. Vicino c’è un canale, sul suo margine scorre neanche a dirlo una pista ciclabile. Appena scendiamo dalla macchina, su quella pista passa una serie di ragazzi in bicicletta. Questa immagine con la pianura e una pala eolica in lontananza ci fa pensare: «Okay, l’Olanda in una foto!».
Appena entrati, prima del caffè, lo stesso Ard ci fa fare un tampone. Qui i protocolli ci sono ancora. Sbrighiamo questa pratica in uno degli uffici al piano superiore. Vi si accede con una scala… anzi attraverso un colle!
Se l’Olanda è il cuore dei Paesi Bassi, un motivo ci sarà. Pensate che siamo praticamente a quota zero. Forse un metro sul mare. Quasi come sul Muro di Sormano, nella parte verticale degli scalini ci sono le quote con la variazione di quota… espressa in millimetri! Fino ad arrivare ai ben 4.200 millimetri del Col du TJV (Team Jumbo Visma)!Insomma al piano superiore.
Ed ecco il colle TJV, Team Jumbo Visma…Una parte degli uffici al piano superiore. Da notare il tridente della TirrenoEd ecco il colle TJV, Team Jumbo Visma…Una parte degli uffici al piano superiore. Da notare il tridente della Tirreno
Due piani
La stessa scala, come un po’ dappertutto, è contornata di trofei. Ci sono anche il “nostro” Tridente della Tirreno-Adriatico e qualche maglia rosa qua e là. Ci sentiamo stranamente orgogliosi di quei premi.
«L’edificio ha un anno – ci dice Ard, mentre ci fa da Cicerone – nel tempo siamo cresciuti molto. All’inizio eravamo un piccolo team. Compresi i corridori eravamo una settantina di persone. Ora se ne contano oltre 200.
«Ufficialmente questa è anche la sede della squadra di skating (pattinaggio sul ghiaccio, ndr), ma loro hanno un altro edificio nel Nord dell’Olanda dove questo sport è più praticato».
Nei piani superiori ci sono gli uffici, che però non ricoprono tutta l’aerea dell’edificio. Oltre agli uffici ci sono tre sale presso cui fare meeting e riunioni. Un paio di queste hanno un’ampia vetrata che dà sul resto dell’edifico, quello del “service course” vero e proprio.
Nel piano inferiore una grande area d’accoglienza ci porta nel mondo Jumbo-Visma. Tutto è in ordine, tutto è funzionale. Oltre al desk, ci sono una cucina e una sala mensa. Mentre dall’altra parte del salone ci sono docce e altri ripostigli.
Steven Kruijswijk… con Steven KruijswijkEcco l’olandese riconsegnare una valigia di materiale mai usatoTra le tante cose si fanno anche le foto per il sito e per le cartolineSteven Kruijswijk… con Steven KruijswijkEcco l’olandese riconsegnare una valigia di materiale mai usatoTra le tante cose si fanno anche le foto per il sito e per le cartoline
Nel cuore della Jumbo
Ogni porta ha l’insegna dell’iride e il cartellino che indica a cosa è adibita. Particolari che la dicono lunga. Presto ci rendiamo conto che Van Aert non è da solo. Incontriamo Roglic, Kruijswijk, Gesink… sempre di cartone, sempre a grandezza naturale.
Il magazzino-officina è la porzione più grande, chiaramente. Per i due terzi, forse anche più, c’è questo grande spazio. Al centro un’infinità di Cervélo, i banchi dei meccanici e ai lati, su due piani, ci sono altri magazzini. Ci sono pezzi di ricambio per le bici, altri per la logistica, altri ancora per gli alimenti, i lettini dei massaggiatori… E’ come una piccola città autonoma.
«Questa aerea – dice Bierens – è la più grande, come potete vedere. Qui ci sono le bici, i banchi di lavoro e quello spazio giù in fondo è il garage. Quest’anno abbiamo acquistato un altro bus. Ora siamo a quattro. Non dimentichiamo che abbiamo anche il team development e che la squadra femminile cresce».
I banchi di lavoro sono 8, disposti in 4 file. Sono lunghi 3 metri ciascunoLe ruote? Una quantità infinita…Nel magazzino qualche ricordo del Tour, come la Cervélo verde di Van AertEcco arrivare le ammiraglie, nuove o rivestite con gli sponsor 2023I banchi di lavoro sono 8, disposti in 4 file. Sono lunghi 3 metri ciascunoLe ruote? Una quantità infinita…Nel magazzino qualche ricordo del Tour, come la Cervélo verde di Van AertEcco arrivare le ammiraglie, nuove o rivestite con gli sponsor 2023
Carrelli di bici
Ogni corridore ha il suo spazio per le bici. Ci sono carrelli che sembrano degli appendiabiti: in mezzo il nome del corridore e poi due bici appese su altrettante staffe. Sotto, affinché il meccanico possa spostarli verso il suo banco di lavoro o magari portarli verso l’ammiraglia, ci sono le ruote.
Nella parte bassa questi carrelli hanno una grossa base, sulla quale vengono appoggiate ruote, forcelle, pezzi di ricambio… Un oggetto in comune per tutti è il casco da crono, ben conservato nella custodia.
In molti hanno già la bici nuova, con i nuovi gruppi e alcuni particolari che per questioni di marketing e contratti in essere non si possono ancora far vedere. E ora vi facciamo una domanda? Secondo voi quale corridore aveva più carrelli? Van Aert: per lui ne abbiamo contati almeno quattro. Fra bici da cross, strada, crono e colorazioni speciali, Wout fa lavorare molto i suoi meccanici.
Ogni banco di lavoro è un piccolo paradiso della tecnica. Pulito, con attrezzi di ogni genere. Ai lati di ognuno, ci sono un compressore e un macchinario particolare che serve per il rodaggio dei cuscinetti delle ruote. Sopra, chiaramente, attrezzi e alcuni strumenti specifici. Un particolare che ci ha colpito è stata la quantità di cavi elettronici per i gruppi. Impressionante. Basti pensare che hanno un cesto apposito per il loro smaltimento.
Vingegaard, ha confermato le impressioni di un ragazzo semplice. Neanche lui sa più quante maglie ha firmato dopo il TourVingegaard, ha confermato le impressioni di un ragazzo semplice. Neanche lui sa più quante maglie ha firmato dopo il Tour
Sponsor day
Ed è un vero brulicare di persone, meccanici e, man mano che va avanti la giornata, anche di corridori. E sono proprio questi che scandiscono i tempi di questa efficiente macchina organizzativa. Ognuno ha una tabella da rispettare, ben scritta su un foglio.
Siamo capitati nel giorno in cui i nuovi sponsor forniscono i materiali. Si va dal dopo corsa ai giubbini refrigeranti, dagli integratori alle scarpe… per finire alle foto… cartolina. Ci sono almeno tre set fotografici in altrettanti parti del Jumbo-Visma service course.
Un corridore va a ritirare il giubbino, l’altro a fare la foto con gli integratori. C’è chi riconsegna il vecchio materiale in eccesso. Kruijswijk, per esempio, aveva un valigia grande piena di maglie ancora avvolte nella plastica. Chi riportava questo vestiario lo metteva in due enormi cesti grigi. Queste divise poi dovrebbero andare in regalo, in premio, in qualche serata di beneficienza… Forse è l’unica cosa in cui in Jumbo-Visma hanno le idee meno chiare!
Finalmente Wout Van Aert… in carne ed ossa!Finalmente Wout Van Aert… in carne ed ossa!
Già in ricognizione
I ragazzi parlano fra loro, tra un caffè e un appuntamento nella loro scaletta.Jonas Vingegaard, re del Tour, ha un grosso cappotto verde militare. Lo avvolge che sembra un bambino. Umilissimo, semplice e già molto magro.Roglic invece indossa una giacca di pelle. Anche lui magrissimo, è super interessato ad ogni aspetto tecnico: scarpe, bici… Foss potrebbe fare l’intrattenitore. Sempre con un bicchiere di the, caffè o cola in mano e sempre ad attaccare bottone con qualcuno.
Mentre non si vedono Van Aert, Laporte, Affini… «Sono a fare la ricognizione – ci spiega Bierens – In questi due giorni erano in Belgio. Ieri hanno provato gli ultimi 120 chilometri di E3 Harelbeke e oggi (ieri, ndr) il finale del Fiandre. Ma tra poco saranno qui anche loro». E infatti eccoli spuntare. «Volevamo fare dei test con i nuovi materiali prima dell’inverno», ci dice Edoardo.
In Jumbo-Visma tengono molto alla propria identità. Ecco il muro della loro storiaNello spazio del garage, i preparativi per la festa di staseraCala la sera. Si chiude una giornata ricca di curiosità ed emozioniIn Jumbo-Visma tengono molto alla propria identità. Ecco il muro della loro storiaNello spazio del garage, i preparativi per la festa di staseraCala la sera. Si chiude una giornata ricca di curiosità ed emozioni
Il futuro è ora
Intanto dalla zona dove è parcheggiato il bus arriva un certo rumore. «Stanno preparando – dice Bierens – la festa di domani sera (oggi, ndr). Un party tra di noi, per festeggiare l’ottima annata del team. Ci sarà tutto lo staff. Abbiamo vinto il ranking UCI.
«Ma prima facciamo la riunione. Una riunione importante. Quando siamo nati avevamo l’obiettivo di vincere il Tour entro sette anni. Ci siamo riusciti. E adesso? Cosa vogliamo? Dove vogliamo andare? E’ importante ragionare così e farlo tutti insieme. Perché è in questo modo che crei una solida base, che hai le idee chiare e dai sicurezza agli sponsor che ti sostengono nel lungo periodo».
Questa ultima frase dice tutto della Jumbo-Visma. Nel frattempo è sceso il buio. La pista ciclabile non si vede in più e su Den Bosch scende la pioggia.
Terzo riposo alle spalle, la Vuelta affronta la terza settimana. Quattro tappe di montagna e tre sfidanti: Evenepoel, Roglic e Mas. Ognuno con le sue storie
Wout Van Aert arriva al mondiale di Ostenda nel modo migliore. Van der Poel guida nella sfida iridata per 5-4, ma ora il belga vuole pareggiare il conto
Il vero problema per un corridore come Van Aert è che l’essere ovunquevincente porta gli addetti ai lavori e i tifosi a misurarlo su ogni percorso. Per questo da ieri in Belgio, avendo capito che Evenepoel non dovrebbe esserci, si ragiona sulle tappe del Tour che Wout potrebbe vincere e sulla riconquista della maglia verde.
Vingegaard al Giro dell’Emilia: il danese è il vincitore uscente del Tour de FranceVingegaard al Giro dell’Emilia: il danese è il vincitore uscente del Tour de France
Le scelte di Van Aert
In realtà però il tema sta a cuore anche in seno alla Jumbo Visma, in cui mai come nel 2023 sarà necessaria una rigida programmazione, per evitare che a voler stringere troppo con Van Aert, si finisca con lo stringere niente. L’esempio dell’eterno rivale Van der Poel ha dato da pensare. E’ vero che ha vinto il Fiandre, poi però si è disperso in mille fughe a vuoto.
«Il focus del Tour è nell’ultima settimana con i Vosgi – ha spiegato il preparatore Merijn Zeeman a Het Nieuwsblad – mentre i Pirenei sono meno duri dell’anno scorso e il blocco nelle Alpi è più lungo. Ci sono tappe di montagna più facili rispetto agli anni passati, ma d’altra parte ce ne sono alcune estremamente difficili. Il percorso va accettato, è qualcosa su cui non abbiamo controllo. Ora finalmente possiamo fare il nostro piano e determinare la nostra strategia. Con Roglic, Vingegaard e Van Aert avremo molte opportunità per fare la differenza. Avrebbero dovuto mettere più cronometro? Il nostro più grande concorrente è Pogacar, ma anche lui è uno specialista».
Per una caduta, Roglic ha rinunciato a giocarsi la Vuelta. E’ dato al via del Giro: sarà vero?Per una caduta, Roglic ha rinunciato a giocarsi la Vuelta. E’ dato al via del Giro: sarà vero?
Tutto sul tavolo
Il nodo cruciale che ci è saltato all’orecchio sentendolo parlare è stato il fatto che abbia citato le tre punte per il Tour. E se da un lato anche nel 2022 è parso chiaro che la sconfitta di Pogacar sia dipesa dal massiccio blocco Jumbo Visma contro cui si è scontrato, dall’altro sembrava di aver capito che Roglic per quest’anno avesse altre priorità.
«Tutto è ancora sul tavolo – fa notare Zeeman – è anche possibile infatti che Primoz faccia un altro grande Giro. Ma voglio anche sentire la loro opinione. Voglio sapere cosa pensano e qual è la loro motivazione. Facciamo un piano, poi analizziamo i pro e i contro. Vogliamo vincere le più grandi corse del mondo. Ma questo è possibile solo con un piano in cui tutti credano. Così è stato anche l’anno scorso. Questo è un processo e qualcosa in cui investiamo molto tempo e in cui crediamo pienamente».
Chi non rinuncerà al Tour è Pogacar, ansioso di rifarsi. Qui con Prudhomme alla presentazione di ieriChi di certo non rinuncerà al Tour è Pogacar, ansioso di rifarsi.
Come lavorate di solito in questi casi?
Qualcuno pensa che sia uno spettacolo di marionette. In realtà lavoriamo da sei anni fissando obiettivi e determinando insieme la strategia. Ci prendiamo molto tempo per questo. Poi facciamo un brainstorming passo dopo passo. Ne parlo con tutti i corridori per sentire cosa preferiscono. E si continua poi a modellare il piano e vengono coinvolti gli allenatori. Ora siamo solo all’inizio di tutto questo processo. Quindi onestamente non so ancora chi andrà al Tour e chi al Giro.
E Van Aert cosa farà?
Nel 2022 è stato in altura per sei settimane. Si deve lavorare sodo per arrivare al suo livello. E poi dovremo selezionare i suoi obiettivi. C’è anche il mondiale di Glasgow che si svolgerà il 13 agosto, c’è il Giro che per lui è anche attraente, in più non ha mai fatto la Vuelta. E’ tutto è sul tavolo. Possiamo inventare qualcosa di completamente nuovo oppure replicare quello che si è già fatto.
Prima del mondiale, Evenepoel ha vinto la Vuelta. Il Giro lo tenta con le sue tre cronoPrima del mondiale, Evenepoel ha vinto la Vuelta. Il Giro lo tenta con le sue tre crono
Lui accetterà tutto?
Non sono Van Aert. Wout è una persona molto sensibile e sa che per avere successo è necessario avere un buon piano. Di sicuro gli piace provare cose nuove e questo fa sì che la definizione del suo programma richieda molto tempo. Non è stato ancora deciso nulla, ma una cosa è certa: il Giro delle Fiandre e la Parigi-Roubaix vengono prima di tutto. Ne abbiamo parlato al telefono ieri dopo la presentazione del Tour e questo lo abbiamo definito molto rapidamente. Adesso però bisogna capire cosa verrà dopo. Di solito inizia a correre ai primi di dicembre, ma bisognerà vedere come sarà la sua condizione.
Se fosse un vostro corridore, portereste Evenepoel al Tour?
Remco è estremamente forte nelle crono, quindi si direbbe che il Giro gli si addica di più. Ma d’altra parte, un grande Giro è un mix di tutti i tipi di specialità che dovresti provare. La sua squadra deve avere un piano. Se fossi in lui, non mi focalizzerei troppo su una gara che prevede solo prove a cronometro. Penso che possa vincere anche in un altro modo. Ma certo, se decidesse di venire, non gli faremo sconti. Penso che ci siano quattro corridori che si distinguono sopra tutti gli altri in questo momento: Vingegaard, Pogacar, Roglic ed Evenepoel. Questi sono i più completi.
Tappa del pavé a Clarke, ma il vincitore di giornata è Pogacar. Lo sloveno attacca e provoca la crisi della Jumbo. Maglia gialla salva, ma che paura...
Nelle scorse settimane Mandelli ha presentato l’edizione 2023 del proprio Catalogo dedicato ai componenti e ricambi ciclo. Stiamo parlando di un vero e proprio “volume”, composto da quasi mille pagine. Un vero e proprio punto di riferimento per i tanti negozianti che ogni giorno si rivolgono alla commerciale lombarda per rifornirsi dei prodotti necessari a soddisfare al meglio la propria clientela.
Quest’anno il primo capitolo dell’edizione 2023 del Catalogo è dedicato ad AGU, marchio olandese conosciuto nel nostro Paese per fornire l’abbigliamento da gara alla Jumbo-Visma. La scelta di aprire il proprio Catalogo con AGU conferma quanto Mandelli creda fortemente nelle potenzialità del marchio olandese.
AGU ha affiancato la Jumbo-Visma e Jonas Vingegaard nella vittoria del Tour de France (foto Facebook AGU)AGU ha affiancato la Jumbo-Visma e Jonas Vingegaard nella vittoria del Tour de France (foto Facebook AGU)
Scopriamo AGU
Per conoscere bene AGU è fondamentale partire dalla sua storia. Parliamo di un brand fortemente legato all’Olanda, la Nazione dove è nato e che ha da sempre uno stretto rapporto con la bicicletta. Dopo la seconda guerra mondiale la bicicletta era un bene molto ricercato in Olanda. La sua disponibilità era però davvero scarsa. Per ovviare alla crescente domanda di biciclette, tre aziende ciclo di Alkmaar decisero di unire le forze dando vita nel 1966 all’Alkmaarse Groothandels Unie, meglio conosciuta come AGU. L’azienda ha conosciuto fin da subito una rapida crescita, tanto da diventare uno dei maggiori fornitori di parti di biciclette nei Paesi Bassi.
il marchio olandese offre abbigliamento di alto livello anche per le discipline offroad (foto Facebook AGU)il marchio olandese offre abbigliamento di alto livello anche per le discipline offroad (foto Facebook AGU)
Arriva l’abbigliamento
Nel corso degli anni AGU ha ampliato la propria offerta introducendo nel proprio catalogo capi di abbigliamento e accessori ideali per chi va in bicicletta. Sono state così realizzate borse per bici leggere e in nylon robusto, un materiale nuovo per l’epoca. Una delle principali novità a catalogo è stata rappresentata dall’introduzione della tuta antipioggia “Original”, che si è rivelata un grande successo tanto da vincere diversi premi.
Negli anni ’70 e ’80, questa tuta iconica è diventata il punto di riferimento per l’abbigliamento antipioggia nei Paesi Bassi, accessorio ideale per quanti non volevano rinunciare a spostarsi in bicicletta nonostante il meteo cattivo. Questa tuta, sebbene modernizzata e molto migliorata, è ancora oggi uno dei bestseller del catalogo AGU.
Ecco il professionismo
La fine degli anni Settanta ha segnato una svolta nella storia di AGU con l’ingresso nel mondo del ciclismo professionistico. In questa fase un ruolo fondamentale è stato svolto dal quattro volte campione del mondo nello stayer Cees Stam che ha collaborato allo sviluppo del primo abbigliamento da ciclismo agonistico proposto da AGU. Lo stesso Stam ha conquistato il suo ultimo titolo mondiale indossando un completo firmato dal brand olandese. A carriera conclusa, ha ricoperto fino al 2007 il ruolo di manager all’interno della stessa azienda.
Il team AGU festeggia la vittoria della maglia gialla e della maglia verde al Tour (foto Facebook AGU)Il team AGU festeggia la vittoria della maglia gialla e della maglia verde al Tour (foto Facebook AGU)
Sono stati tanti i campioni del ciclismo che nel corso degli anni hanno indossato AGU. Stiamo parlando di atleti del calibro di Leontien Van Moorsel e Steven Rooks. Il marchio ha soprattutto legato il suo nome ad alcuni team che hanno fatto la storia del ciclismo olandese come la Panasonic di Peter Post e la Rabobank. Quest’ultimo team ha vestito AGU per ben 16 anni. Il suo testimone oggi è stato raccolto dalla Jumbo-Visma di Roglic, Van Aert e soprattutto Vingegaard, ultimo vincitore del Tour de France.
Una gamma ricchissima
La gamma AGU è composta dalle seguenti linee prodotto, che vanno a coprire a 360° le esigenze di tutti i generi di ciclisti, qualunque utilizzo vogliano fare della bicicletta: abbigliamento estivo e invernale ideale per ciclismo su strada, mountain bike e gravel; una ricca offerta di borse per il bikepacking; intimo estivo e invernale; guanti, cappelli, copriscarpe e manicotti. Completano l’offerta scarpe strada e mountain bike, oltre agli occhiali.
Roglic fa rotta sul Delfinato e poi il Tour. Sarà lui lo sfidante principale di Pogacar, ma ha perso giorni di lavoro a causa di una tendinite al ginocchio
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Con la tappa di Coppa del Mondo di mountain bike in Val di Sole, ha chiuso la sua carriera Gerhard Kerschbaumer, l’attuale campione italiano ed ex vicecampione mondiale di cross country. A soli 31 anni ha deciso di chiudere la sua carriera, segnata da un episodio: Mondiali 2019, l’azzurro è secondo alle spalle del dominatore Nino Schurter, quando sul rettilineo d’arrivo fora ed è costretto ad arrancare fino all’arrivo, scendendo al 5° posto e vive quell’episodio come una sconfitta personale.
L’altoatesino non raggiungerà più quei vertici di rendimento, come se quell’episodio lo avesse condizionato da lì in poi. Anche il ciclismo è ricco di simili eventi: Matteo Trentin viaggia ancora con il fantasma dell’esito del mondiale 2019, perso di fronte a Mads Pedersen, da allora non è più riuscito a svettare in una classica com’era solito fare prima. Lo stesso Roglic rischia di fare lo stesso.Anche se dopo l’esito infausto della crono del Tour 2020 costatagli la maglia gialla (foto di apertura) ha vinto due Vuelta, alla Grande Boucle sembra perseguitato dalla sfortuna. Come se quel terribile sabato stia ancora portando conseguenze.
Kerschbaumer ai Mondiali 2019 con la ruota posteriore sgonfia. Argento perso e non solo quello (foto Pianetamountainbike.it)Kerschbaumer ai Mondiali 2019 con la ruota posteriore sgonfia. Argento perso e non solo quello (foto Pianetamountainbike.it)
Quanto pesa l’ambiente circostante
Sembra strano a dirsi, eppure un episodio può davvero segnare una carriera. D’altro canto è così anche in positivo, con una vittoria che spesso “sblocca” l’atleta facendolo diventare campione. Per capire perché ciò avviene, Marino Rosti, mental coach dell’Astana, ha idee ben precise: «Lo sport vive di prestazioni, alcune più importanti e significative nell’evoluzione di una carriera. L’influsso del loro esito può avere un peso diverso a seconda della personalità dello sportivo, del suo carattere, magari di eventi precedenti, ma anche dell’ambiente culturale nel quale l’individuo agisce. Tutto ciò influisce su come l’episodio negativo viene assimilato: superarlo non è semplice ma è sicuramente possibile, c’è però anche chi non ci riesce. Basti pensare a Tom Dumoulin, che dopo due stagioni al top fra 2017 e 2018 ha subìto anche psicologicamente le conseguenze dell’infortunio al ginocchio dell’anno dopo».
Rosti mette l’accento in particolare su tutto ciò che circonda l’atleta, dal suo entourage alla società civile nella quale vive: «L’influsso di chi ti sta intorno può avere un effetto decisivo. Se chi ti è intorno focalizza quel ricordo, lo sottolinea, lo ripropone, le difficoltà per superarlo aumentano. La situazione diventa via via più pesante. Può essere l’inizio della discesa verso l’oblio sportivo. Diverso il discorso se invece chi ti sta intorno cerca di rendere l’evento più leggero».
Rosti ha lavorato prima con la Liquigas, poi con Cannondale, Astana, Bahrain e ora è di nuovo… kazakoRosti ha lavorato prima con la Liquigas, poi con Cannondale, Astana, Bahrain e ora è di nuovo… kazako
La sconfitta va accettata
Come si può riuscire in questo? «E’ importante esaminare il fatto a mente fredda. Io dico sempre che una sconfitta va prima accettata e poi si reagisce ad essa. Per accettarla bisogna farla propria, capire che fa parte del gioco. Lo stesso vale per ogni singolo evento che ha portato ad essa, sia la foratura oppure la caduta oppure qualsiasi altro episodio. Capire perché è successo, che cosa si poteva fare per evitarlo, se ci sono stati altri fattori che hanno portato a quell’episodio stesso. Poi da lì si riparte».
Ciò fa anche capire come il dotarsi di un esperto nel campo, da parte dei team e delle federazioni sia un’esigenza ormai insopprimibile. «Bisogna trarre da quella singola vicenda qualcosa di positivo. Una vicenda sfortunata può anche essere l’occasione per imparare. Bisogna però avere la forza di andare oltre l’esito per cercare di trarne un insegnamento in vista della prossima occasione. Si deve partire da un presupposto: o vinco o imparo, ma non perdo. Per far questo però serve avere una personalità forte, per questo spesso si dice che si è campioni anche con la testa».
Dopo il 2019 Dumoulin ha vinto ancora molto, ma i problemi al ginocchio hanno pesato sul suo ritiroDopo il 2019 Dumoulin ha vinto ancora molto, ma i problemi al ginocchio hanno pesato sul suo ritiro
La “centralina” è la cosa più importante
Sull’aspetto mentale si pone ancora troppo poco l’accento, quando invece è chiaro come ai massimi livelli sia un aspetto che può fare la differenza. Basti vedere esempi come la stessa nazionale di volley laureatasi campione del mondo dopo essere partita fra le outsider, ma gasatasi con l’andare avanti del torneo. «Io faccio questo lavoro da una ventina d’anni – sottolinea Rosti – e mi sono accorto col passare del tempo come una prestazione sportiva sia fisica, tecnica e mentale, ma quest’ultima solo da poco viene presa in considerazione come le altre due. La presenza del mental coach non è la soluzione di ogni problema, ma in tutti gli sport è fondamentale, perché solo attraverso la tranquillità e l’equilibrio arriveranno i risultati, anche per una singola, semplice seduta di allenamento: se la mente è occupata da altri pensieri, l’allenamento non darà i risultati che ci aspettiamo. Ricordo sempre una frase che diceva Franco Ballerini, mutuata dalla sua passione per le auto: è la centralina la cosa più importante…».
La volata a due vinta da Pedersen su Trentin: allora l’azzurro sembrava favorito, quella sconfitta ha lasciato strascichiLa volata a due vinta da Pedersen su Trentin: allora l’azzurro sembrava favorito, quella sconfitta ha lasciato strascichi
Ciclismo sport di squadra
Il discorso legato alla squadra non è peregrino. Nel caso del ciclismo l’aspetto individuale e quello del team vivono una simbiosi che in nessun altro sport è presente in egual misura: «E’ vero, ogni corridore ha un ruolo. Anche il Trentin battuto allo sprint da Pedersen stava svolgendo in quel caso il compito che gli era stato assegnato. Far parte di una squadra significa che il ragionamento su una sconfitta è più complesso. Si basa su tanti fattori non tutti dipendenti dalla persona stessa. Questo non significa trovare scuse alla sconfitta, ma ragionare sul perché il risultato non è arrivato per far sì che arrivi la volta successiva».
La sconfitta deve quindi essere un punto di partenza, non quello snodo che costa a tanti la carriera: «La soluzione non la può avere il mental coach né nessun altro al di fuori della persona stessa, ma si può aiutare a trovarla attraverso il dialogo, l’analisi, il confronto».
Roglic cade un po’ troppo, ma questo non vuol dire che non sia ogni volta una pena. Nei giorni del Tour, subito dopo la sua caduta provocata veramente da sfortuna, più di un corridore faceva notare che lo sloveno tenti spesso di infilarsi dove non si passa. Forse per aver iniziato a correre tardi, forse per la grande disinvoltura che a volte lo tradisce.
Dopo l’arrivo nella tappa di ieri, lo sloveno seduto a terra e sotto shock. Difficile pensare che potesse ripartireDopo l’arrivo nella tappa di ieri, lo sloveno seduto a terra e sotto shock. Difficile pensare che potesse ripartire
Caduta inspiegabile
La caduta di ieri che l’ha costretto a lasciare la Vuelta ha ancora del clamoroso: qualcosa di insensato per la dinamica e dopo il capolavoro di tattica e potenza di quell’allungo ai 3 chilometri dall’arrivo. Aveva fatto tutto alla grande, perché cercare Wright e non farsi portare all’arrivo?
«Subito dopo il traguardo – ha raccontato al belga Het Nieuwsblad il diesse Engels – riuscivamo a malapena a parlargli, era così deluso. Questo è un altro duro colpo per lui. Speravamo di lottare per la maglia di leader per un’altra settimana e sentivamo che era ancora lì. Ieri abbiamo fatto molto bene, era semplicemente inimmaginabile riuscire a guadagnare del tempo, poi quella caduta con enormi conseguenze…
«Non ho visto più di voi. Non c’è stato movimento brusco o qualcosa del genere. Sembra solo che sia un incidente molto sfortunato di cui nessuno è responsabile. Ma ovviamente ha enormi conseguenze. Si apre un’ultima settimana che è stata sottovalutata ed eravamo convinti di lottare fino a Madrid».
Parigi-Nizza 2021, ultima tappa. Roglic arriva ferito e con una spalla slogataParigi-Nizza 2021, ultima tappa. Roglic arriva ferito e con una spalla slogata
Parigi-Nizza 2021
Ma quel è lo storico delle cadute di Roglic? I momenti chiave sono sostanzialmente tre, senza i quali lo sloveno avrebbe potuto lottare per due Tour e avrebbe certamente in tasca un’altra Parigi-Nizza. E proprio dalla Costa Azzurra si comincia. Neanche tanto lontano, lo scorso anno.
Primoz ha vinto tre tappe, due addirittura consecutive. E’ la Parigi-Nizza dello sgarbo a Gino Mader, dopo il quale Roglic inizia la tappa conclusiva da leader, con 52 secondi di vantaggio su Maximilian Schachmann. La vittoria non può sfuggirgli.
A 70 chilometri dal traguardo invece cade per la prima volta. Si rialza e rientra rapidamente in gruppo, anche se con i pantaloni strappati. A 25 chilometri dalla fine è di nuovo a terra, proprio mentre gli uomini della Bora-Hansgrohe accelerano per Schachmann. E questa volta Roglic è isolato e perde sempre più terreno. Dicono che abbiano voluto fargli pagare la tappa del giorno prima, ma lascia sulla strada più di tre minuti ed esce addirittura dai primi dieci.
Tour 2021, caduta nella tappa di Pontivy: si ritirerà pochi giorni dopoTour 2021, caduta nella tappa di Pontivy: si ritirerà pochi giorni dopo
Tour 2021, un brutto colpo
La terza tappa del Tour 2021 arriva a Pontivy ed è disegnata per i velocisti. I primi chilometri sono nervosi, il percorso è frastagliato e i vari ostacoli provocano cadute.
Roglic è uno dei primi a rimanere invischiato nelle cadute. Finisce nella ghiaia della banchina e cade. Perde subito 1’21”. Tuttavia, riparte, rientra e rimane combattivo. E’ pieno di abrasioni e cerotti, ma va avanti lo stesso.
Tuttavia, dopo aver perso più di 35 minuti nella tappa de Le Grand Bornand, preferisce non ripartire l’indomani. Si sono corse appena 8 tappe. Tornerà per la Vuelta, vincendola. E vincendo in precedenza l’oro olimpico della crono.
La caduta del Tour 2022 è stata dovuta certamente alla sfortuna, ma perché sempre a lui?La caduta del Tour 2022 è stata dovuta certamente alla sfortuna, ma perché sempre a lui?
Tour 2022: resa sofferta
La quinta tappa, quella sul pavé verso Wallers-Arenberg, è una brutta giornata per la Jumbo-Visma al Tour 2022. E’ il giorno del goffo intervento per assistere Vingegaard che ha forato. Il danese prende prima la bici di Nathan Van Hooydonck, che però è troppo grande. E quando poi l’ammiraglia gli consegna la sua, grazie a Van Aert il gap da Pogacar viene ridotto.
A Roglic però va peggio. Cade con Caleb Ewan a 30 chilometri dal traguardo. Una balla di fieno viene agganciata da una moto che la fa volare in mezzo alla strada: nessuno interviene e lo sloveno la prende in pieno. Taglia il traguardo pieno di graffi e con una spalla lussata. Perde più di due minuti su Pogacar, ma rimane al Tour. E’ decisivo nel giorno del Granon al fianco di Vingegaard, ma si ferma dopo la 14ª tappa per non compromettere la salute e la Vuelta.
La caduta di ieri nella tappa di Tomares: l’ultima ma in qualche modo la più duraLa caduta di ieri nella tappa di Tomares: l’ultima ma in qualche modo la più dura
Vuelta 2022: l’ultima beffa
E proprio alla Vuelta, giusto ieri, cade poco prima del traguardo dopo aver staccato Evenepoel. E’ volato in Spagna recuperando a tempo di record, la condizione è in arrivo e le speranze di vittoria ci sono ancora tutte.
Aveva già guadagnato terreno nelle due tappe di montagna prima del giorno di riposo e la fiducia in una quarta vittoria assoluta consecutiva non era svanita. Invece di colpo si ferma tutto. Il colpo è violento, sia per il corpo che per la mente. Si dice che Roglic sia inscalfibile. Si è rialzato dalla batosta del Tour 2020, ma quanto a lungo si può tirare la stessa corda senza che si spezzi?
Un gran casino, altro non si può dire della tappa della Vuelta. Doveva essere affare per velocisti, ma Roglic ha lanciato la bomba attaccando secco sull’unico strappo. Il tempo di rendersene conto e anche Evenepoel ha realizzato di avere una ruota bucata, senza che si vedesse arrivare l’ammiraglia. E mentre il belga dietro aspettava flemmatico la bici di scorta, davanti lo sloveno faceva il diavolo a quattro.
Pedersen vince la tappa, sullo sfondo si intravede Roglic che si rialzaPedersen vince la tappa, sullo sfondo si intravede Roglic che si rialza
Caduta in volata
Non restava che la volata per dare una dimensione al vantaggio, quando Roglic si è toccato con Wright ed è caduto rovinosamente a terra. Escoriazioni, sangue e lo sguardo stordito.
Primoz è rimasto sull’asfalto per un tempo eterno. Poi si è rialzato, mentre accanto sfilavano quelli che aveva staccato. Ha raggiunto faticosamente il traguardo cercando di spingere l’undici. Poi si è seduto nuovamente per terra. Ha bevuto. E ha dato a lungo la sensazione di essere sotto shock.
Roglic ha appena attaccato, quando Evenepoel si accorge di aver bucato: l’ammiraglia non arrivaRoglic ha appena attaccato, quando Evenepoel si accorge di aver bucato: l’ammiraglia non arriva
Giuria al lavoro
La giuria ha impiegato un tempo altrettanto eterno per riscrivere la classifica. Essendo caduto negli ultimi 3 chilometri, Roglic è stato accreditato del tempo del gruppo in cui si trovava: quello dei primi. Per lo stesso motivo, Evenepoel è stato cronometrato con i primi inseguitori.
Per cui Roglic ha guadagnato 8 secondi sul leader, ma c’è da scommettere che avrebbe preferito mantenere il distacco di prima, senza farsi male. Le prime analisi escludono fratture, ma colpi del genere lasciano segni profondi. E domani si arriva in salita.
«Avevo un po’ paura degli ultimi cinque chilometri – racconta Evenepoel – abbiamo fatto la ricognizione nel giorno di riposo e sapevo che le strade erano davvero scivolose. La corsa negli ultimi tre chilometri è stata molto frenetica. Nella discesa siamo arrivati anche a 90 all’ora. Non è stato divertente. Ho perso alcune posizioni, poi ho scoperto che la mia gomma posteriore era a terra. Non stavo davvero guardando i chilometri, quindi non sapevo dove fossi rispetto al traguardo. In ogni caso sono contento che esista la regola dei 3 chilometri, altrimenti oggi avrei perso molto tempo».
Dopo l’arrivo, lo sloveno si siede nuovamente a terra e sembra sotto shock. Lo puliscono dal sangueDopo l’arrivo, lo sloveno si siede nuovamente a terra e sembra sotto shock. Lo puliscono dal sangue
Un capannello giallo
Di Roglic ovviamente non ci sono dichiarazioni e anche l’ufficio stampa della squadra non ha ancora fornito aggiornamenti. Sta di fatto che quando Evenepoel ha tagliato il traguardo, si è accorto del capannello di corridori Jumbo Visma davanti a una transenna e si è accostato per guardare. Capendo subito la portata del problema.
«Ho visto che Primoz è caduto – dice – spero che stia bene e che possa continuare la gara. Dopo il traguardo l’ho visto seduto per terra. Gli ho chiesto se stava bene, ma sembrava un po’ sotto shock per l’incidente e non ha risposto subito.
«Mi aspettavo il suo attacco. Tutti sanno che è molto esplosivo. Il finale era fatto per lui, anche più che per Pedersen. Nel momento in cui ho sentito che stava attaccando, ero piuttosto stressato. Solo il mio direttore sportivo Klaas mi ha confermato che avrebbero applicato quella regola. E allora mi sono calmato un po‘».
Dopo l’arrivo Evenepoel si avvicina e chiede come stia il rivale: gesto di grande sportivitàDopo l’arrivo Evenepoel si avvicina e chiede come stia il rivale: gesto di grande sportività
La notte dei dubbi
Ora le attenzioni si spostano sulla tappa di domani. Un Roglic così pimpante sarebbe stato una mina vagante, il rischio ora è che come al Tour tutto sia finito qui.
«Spero che possa partire – dice Evenepoel – anche se a prima vista non sembrava messo molto bene. Non è divertente per lui. Soprattutto con le salite in arrivo. La caduta è stata simile alla mia la scorsa settimana in discesa. Improvvisamente ti ritrovi per terra. Chissà, forse anche lui ha perso la concentrazione per un momento e il momento dopo sei messo così male…».
Poi, dopo aver confermato di essere di nuovo vicino a una buona condizione, il leader della Vuelta si è dedicato alle formalità del protocollo che ogni giorno gli portano via tempo prezioso. Sapremo nel corso della notte se ci saranno novità per lo sfortunato Roglic e se domattina sarà al via o sarà nuovamente costretto ad alzare bandiera bianca…
Jerez de la Frontera e il suo profumo d’arance sono alle spalle, da qui alla fine non ci sarà più tempo per recuperare. La Vuelta mette in tavola per oggi una tappa piatta con il finale per uomini da classiche, poi quattro giorni di montagna: tre con arrivo in salita. La classifica è corta. Alle spalle di Evenepoel, Roglic ha 1’34” di ritardo e subito dietro c’è Mas a 2’01”. Distacchi che sarebbero rassicuranti, a dire il vero, ma il fatto che per Evenepoel si tratti della prima volta nella terza settimana rende tutto meno scontato.
Roglic non ha approfittato di Sierra Nevada, ma resta il fatto che nelle ultime due tappe di montagna ha recuperato più di un minuto.
All’arrivo di Sierra de la Pandera di sabato, Roglic ha attaccato bene, guadagnando 52″ su EvenepoelAll’arrivo di Sierra de la Pandera di sabato, Roglic ha attaccato bene, guadagnando 52″ su Evenepoel
Evenepoel si salva
Dopo il tappone di Sierra Nevada, i suoi avversari potrebbero essersi preoccupati nel sentire Evenepoel quasi soddisfatto per il bilancio di un fine settimana che poteva essere ben più pesante. Aver perso il giorno prima 52 secondi su Roglic a Sierra de la Pandera lo aveva preoccupato, mentre i 15 secondi di Sierra Nevada hanno detto due cose: chelo sloveno è stanco, oppure che il leader ha recuperato.
Del resto la caduta di giovedì nella tappa di Peñas Blancas ha lasciato inevitabilmente qualche strascico, come è emerso dalle parole del giovane belga, 22 anni.
«Ogni tappa ha la sua storia – ha detto domenica dopo il 10° posto di Sierra Nevada – ho ancora dolore alla coscia, ma sta migliorando. Il giorno di riposo arriva al momento giusto. Sabato è stata una giornata di merda. Oggi ho risposto bene all’attacco di Roglic. Sono sopravvissuto alle due grandi tappe della Vuelta ed è quello che conta. Il minuto che ho perso in due giorni su Roglic non mi preoccupa più di tanto. Avevo fatto il necessario per prendere un buon vantaggio. E’ stata la prima volta che correvo una tappa con l’arrivo così in alto. La terza settimana è meno dura e ho buone speranze di mantenere la maglia rossa fino alla fine».
La caduta di giovedì ha sicuramente avuto conseguenze sulla pedalata di EvenepoelLa caduta di giovedì ha sicuramente avuto conseguenze sulla pedalata di Evenepoel
Il bollettino di ieri dice che l’anca destra è a posto, i muscoli irrigiditi dalla caduta sono stati sciolti, le calorie sono state integrate e nel clan della Quick Step si respira una discreta fiducia.
«Non è ancora finita – ha detto ieri Remco – spero che stiano tutti calmi. Domenica avevo paura di scoppiare. Non è successo. Questa è una buona notizia».
Roglic rilancia
Roglic non è ancora il Roglic vincitore di tre Vuelta, oppure c’è da pensare che nelle occasioni precedenti non avesse mai incontrato un corridore del livello di Remco: impossibile saperlo e tantomeno dimostrarlo. Di sicuro lo sloveno è in crescita rispetto alle prime tappe e l’attacco di sabato ha fatto pensare che potesse riaprire la Vuelta. La sua ammissione di domenica sul fatto di aver finito le gambe è parsa invece una nota fuori dal coro.
Quando i suoi compagni di squadra sono entrati in azione, sia pure in modo goffo, tutti hanno pensato che fosse arrivato il momento della verità, anche se l’esito finale non è stato probabilmente quello che Roglic si aspettava. Quei 15 secondi hanno portato morale o sono stati una magra consolazione?
L’attacco di Roglic nel finale di Sierra Nevada non ha scalfito troppo le sicurezze del leaderL’attacco di Roglic nel finale di Sierra Nevada non ha scalfito troppo le sicurezze del leader
«Il piano c’era – ha raccontato Roglic dopo l’arrivo – volevamo fare la gara dura molto rapidamente e nella parte più difficile della salita. L’importante era guadagnare ancora tempo. Purtroppo non avevo le gambe migliori e non potevo attaccare prima. Alla fine ce l’ho fatta, ma ormai il traguardo era vicino. Il giorno di riposo è arrivato al momento giusto. La squadra è pronta per l’ultima settimana. Ho fatto un altro passo verso il mio obiettivo più grande, che è sempre quello di essere a Madrid con la maglia rossa sulle spalle».
Mas vuole di più
E poi c’è Mas, corridore da scoprire. Forse neppure lui sa cosa aspettarsi. I giorni si susseguono e non sono mai uguali. A Sierra de la Pandera ha perso terreno, mentre a Sierra Nevada è andato via con Lopez e alla fine l’ha pure staccato, senza però dargli un grande contributo. Di certo in quella scalata sghemba si sono pagati vecchi conti, come quelli che portarono all’inspiegato ritiro di Lopez dalla Vuelta 2021, quando ancora vestiva la maglia della Movistar e gli fu ordinato di fermarsi proprio in favore di Mas. In proporzione però la sua operazione è stata più redditizia dello scatto di Roglic, avendo guadagnato Mas 36 secondi su Evenepoel e 21 su Roglic.
Mas va avanti a sprazzi. A Sierra Nevada ha guadagnato, il giorno prima aveva persoFra lo spagnolo e Lopez la vecchia ruggine ha danneggiato entrambiMas va avanti a sprazzi. A Sierra Nevada ha guadagnato, il giorno prima aveva persoFra lo spagnolo e Lopez la vecchia ruggine ha danneggiato entrambi
«Sono contento delle mie sensazioni – ha detto – sabato ho gestito male i miei sforzi e ho perso tempo. A Sierra Nevada sapevo che ci sarebbero state delle differenze. Io sono qui per il podio o anche meglio, Lopez per vincere una tappa. Ho riguadagnato tempo nella classifica generale e questo mi permette di restare in gioco. Ho sempre detto che avrei visto di giorno in giorno. C’è ancora una settimana e ci sono tappe dove è possibile fare le differenze. Ho fiducia in me stesso e questa tappa lo conferma. Ecco perché posso sempre sognare di essere in rosso a Madrid».
Bramati ha seguito la Liegi dalla seconda ammiraglia, ma è sempre stato con Evenepoel. L'attacco. La caduta di Alaphilippe. E il sapore della rinascita
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