Se quello che è mancato a Sagan negli ultimi tempi alla Bora-Hansgrohe era la fiducia del team e dei suoi dirigenti, che non hanno mancato di far notare come le vittorie stessero scemando, alla TotalEnergies di fiducia ne troverà anche troppa. Sono così tante le attese sul suo arrivo e con obiettivi così ambiziosi, che si spera Peter possa trovare anche il tempo per fare il corridore e ritrovare la fame di cui ha di recente parlato Michele Bartoli.
«Il primo ritiro in cui sarà presente – spiega il team manager Jean René Bernaudeau – sarà un evento. Dobbiamo far venire voglia ai giovani della Vandea di venire in questa bellissima fucina di campioni. Il WorldTour ci ha messo un po’ in difficoltà, ma abbiamo fatto un buon lavoro con quello che avevamo in casa. Oggi abbiamo un vero progetto e Sagan sarà l’acceleratore con la sua dimensione, la sua competenza e la voglia che saprà trasmettere. E’ un grande corridore, ma è anche un acceleratore di progetti».
Bernaudeau riparte da Sagan per rilanciare la TotalEnergies che a suo dire si è un po’ fermata…Bernaudeau riparte da Sagan per rilanciare la TotalEnergies che a suo dire si è un po’ fermata…
Un passepartout
La squadra voleva il grosso nome, forse anche per avere accesso a tutte le grandi corse pur non essendo nel WorldTour? Un po’ come la Alpecin-Fenix con Van der Poel. Bernaudeau svicola, è innegabile che il vantaggio ci sia, ma l’obiettivo in realtà è più vasto.
«Peter era sul mercato – spiega – con il suo lato anticonformista che ricorda il mio. Così ci abbiamo provato. All’inizio non ha voluto saperne, poi ho chiesto un appoggio a Roberto Amadio, che lo conosceva dalla Liquigas. C’erano molti ostacoli da superare. Sembrava irraggiungibile, ma gli ostacoli sono stati superati. Alaphilippe non si poteva fare, Sagan sì. E sono molto felice di aver portato anche Oss e Bodnar, che sono grande passisti. Sagan è molto rispettoso delle sue origini, ha bisogno di persone che lo circondino con sincerità. Vuole stare bene. C’è di buono che arriva con professionisti di cui avevamo comunque bisogno. Avevamo qualche casella vuota, soprattutto tra i direttori sportivi, quindi benvenuti».
«Non siamo più la squadra di Voeckler e Chavanel – dice Bernaudeau – dobbiamo ricostruire il vivaio»«Non siamo più la squadra di Voeckler e Chavanel – dice Bernaudeau – dobbiamo ricostruire il vivaio»
Emozioni, non commercio
La sensazione dunque è che lo slovacco avrà attorno la sua gente, in una bolla differente. Bernaudeau dice che è ancora presto per spiegare come sarà seguito e che per questo bisognerà aspettare qualche settimana. Però insiste tanto sul progetto e sull’aspetto dei soldi che stanno rovinando lo sport non ci sentiamo di dargli torto.
«Mi piacerebbe che grazie a lui – dice – i giovani vogliano venire da noi. Siamo rimasti indietro, siamo molto meno attraenti rispetto ai tempi d’oro di Voeckler o Chavanel. Eravamo la squadra che reclutava esclusivamente dal suo vivaio. Peter ci riporterà alla ribalta e nel frattempo i talent scout andranno in cerca dei giovani talenti di domani. Il WorldTour non mi interessa. A causa dei soldi, questo sport sta perdendo il suo posto nella società.
«Il ciclismo di oggi non mi piace, noi vogliamo fare qualcosa di umano, che faccia desiderare ai giovani di provarci. Non mi indigna che Pogacar possa guadagnare 36 milioni in sei anni, ma siamo convinti che il futuro del ciclismo sia negli Emirati, piuttosto che sulle strade d’Europa? Non chiederei mai al gruppo TotalEnergies di comprare una licenza, va guadagnata. Non facciamo compravendite, diamo emozioni. E in Sagan vedo un campione capace di far sognare la gente…».
Per andare forte bisogna stare scomodi. Questa frase di Mattia Cattaneo a proposito della sua posizione a cronometro continuava a risuonarci nella testa. E poi chissà perché si è estesa ad altri ragionamenti. A Bartoli che parlava di Sagan. Oppure a Roberto Amadio che raccontava della sua entrata nello staff della nazionale. Per andare forte bisogna essere scomodi. Non scomodi nel senso che si debba vivere un disagio, ma di sicuro non si può fare sport di alto livello creando per sé un ambiente troppo morbido. Non funziona.
Ha detto Bartoli che a Sagan servirebbe un Ferretti o un Riis, capace di tirargli fuori la rabbia. Ha detto Amadio che in un primo momento i tecnici federali potrebbero aver vissuto male la sua presenza, perché era lì a sorvegliare che tutto fosse fatto al massimo. Questo non significa che Sagan e i tecnici azzurri abbiano lavorato male, ma forse in determinati momenti (magari non tutti) se la sono fatta bastare.
Sagan è stato con Riis nel 2015-2016, vincendo due mondiali, il Fiandre e altre 22 corseSagan è stato con Riis nel 2015-2016, vincendo due mondiali, il Fiandre e altre 22 corse
La scelta di Argentin
Sapete chi a un certo punto, oltre chiaramente a Bartoli, per tornare vincente andò con Ferretti? Moreno Argentin, che dalla Gewiss-Bianchi nel 1990 arrivò all’Ariostea, voluto fortemente dal patron Pederzoli. Aveva trent’anni e un bottino di 48 vittorie, fra cui un mondiale, tre Liegi e due Freccia Vallone, ma da due stagioni non rendeva più come prima. Sembrava appagato, serviva una svolta.
«Deve tornare la fame – racconta Moreno – anche Sagan l’ha avuta e l’ha utilizzata per ottenere tante vittorie. Non fame economica, perché credo che abbia guadagnato abbastanza, ma la fame di dimostrare di esserci ancora. Cambiare aria e trovare un Ferretti è il desiderio del corridore che ha l’orgoglio di tornare. Che ha voglia di riscattarsi, in un ambiente in cui magari non deve pensare ai suoi gregari, ma concentrarsi su se stesso. Se non ci sei con la testa, non vai da nessuna parte.
«Se vuoi continuare a vincere, devi andare in una squadra che ti metta nelle condizioni di farlo. Oggi la migliore da questo punto di vista è la Deceuninck-Quick Step, perché ha l’ambiente giusto. Non so se Sagan in Francia troverà questo. Quando arrivai all’Ariostea, Ferretti preparava e mentalizzava la squadra per le singole gare, come fanno oggi nel calcio. Ma il capitano a quel punto deve dimostrare di avere la condizione fisica e mentale per vincere. Altrimenti i compagni puoi prepararli quanto vuoi, ma in corsa ti mollano».
Nei tre anni con Ferretti, Argentin vinse 14 corse, fra cui il Fiandre, due Freccia Vallone e la Liegi. Con Ferretti litigò più volte, ma il risultato finale di quella convivenza così… scomoda andò bene a entrambi.
Argentin corse con Ferretti per 3 anni e tornò a vincere. Qui nella Liegi del 1991Argentin corse con Ferretti per 3 anni e tornò a vincere. Qui nella Liegi del 1991
Come Nibali all’Astana
Bisogna stare scomodi. Trovare un tecnico capace di morderti e darti la scossa, come seppe fare anche Scinto con Pozzato nel 2012. Non ci sarà soprattutto questo alla base dei tanti successi della Deceunick di Bramati e anche del gruppo Ineos che lavora con Tosatto? Che ambiente troverà Sagan alla TotalEnergie? Ci sarà qualcuno capace di pungerlo nel vivo e tenerlo sulla corda? Oppure, come detto e scritto, l’obiettivo sarà ritrovare il divertimento nell’andare in bici?
Bisogna stare scomodi, oppure pensare che ci sia il rischio che ciò accada. Forse c’è anche questo nel ritorno di Nibali all’Astana. Perché ci sono squadre in cui si corre per vincere e null’altro. E Vincenzo ricorda bene quando a giugno del 2014 gli arrivò una lettera in cui si parlava di scarso rendimento, pur dopo il Giro vinto nel 2013 e il secondo posto alla Vuelta. Vinokourov non le manda a dire e il siciliano in tutta risposta vinse il campionato italiano e poi il Tour. Lui lo sa che troverà ancora il capo kazako e anche Martinelli, che le cose te le dice e quando serve, ti scuote. Stare scomodi è il solo modo che funziona. E poi, quando il traguardo è stato raggiunto e finalmente ci si può rilassare, si gode di più la conquista.
La posizione di Colbrelli desta curiosità: visto quanto è corto? Sonny è in volo per la Francia e intanto ne parliamo con Bartoli. Poi arriva la conferma
Michele Pallini, il massaggiatore storico di Nibali, è provvisoriamente fermo. E oggi che il campione ha attaccato, noi lo abbiamo sentito. Venite qua...
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Chiacchiere da bar, come capita fra amici quando ci si incontra e si comincia a parlare di ciclismo. Così accade di sentirsi con Bartoli e di mettere nel mirino due… bestie da classiche come Sagan e Van der Poel, riallacciandosi al discorso che si scrisse qualche giorno fa: chissà se Peter rivede in Mathieu, nei suoi gesti e nel suo modo di correre, il se stesso di qualche anno fa. E Michele, che quando correva e stava bene non era certo meno spettacolare, sta al gioco. Forse perché i campioni fra loro si riconoscono, forse perché qualche affinità c’è davvero.
«E certo che c’è – dice con un sorriso tutto toscano – hanno in comune la forza, lo strapotere rispetto alla media del gruppo. Ce l’hanno entrambi. Ora Sagan purtroppo si è un po’ perso, non so il motivo. Ma Peter al 100 per cento contro Van der Poel al 100 per cento sarebbe un bello scontro. Van der Poel forse in salita tiene un po’ di più. L’altro forse per quello che prometteva non si sa dove poteva arrivare, ma per me potrebbe farlo ancora».
Nel primo Tour nel 2012, Sagan comincia vincendo a Seraing
Tirreno 2021, Van der Poel vince a Gualdo Tadino: una gestualità già vista
Nel primo Tour nel 2012, Sagan comincia vincendo a Seraing
Tirreno 2021, Van der Poel vince a Gualdo Tadino: una gestualità già vista
Chiacchiere da bar, ma a dire il vero il Sagan di oggi sembra più pesante e meno convinto…
A volte muscolarmente, soprattutto quando non lavori troppo, ti gonfi un po’. Io sono convinto che Sagan allenato, preparato, tirato, curato con l’alimentazione tornerebbe ad affinarsi. Io sono sempre stato tifoso suo, mi piaceva anche l’atteggiamento che aveva. E questo è che per qualità è paragonabile a Van der Poel e anche a Van Aert. Non è inferiore, assolutamente.
Per tutti c’è in comune il fuoristrada.
Io sono convinto che anche la mountain bike ti dia attitudini diverse, come il ciclocross. Sono qualità importanti per vincere le gare. Perché sono tutti sforzi massimali, picchi molto alti. Alla fine per vincere devi andare più forte degli altri senza neanche un cedimento e questa è un’attitudine che la mountain bike e il ciclocross ti danno indubbiamente. Lo so bene cosa vuol dire fare ciclocross, perché l’ho praticato tanti anni anche io. E lì significa fare ogni volta una cronometro, perché vai sempre al massimo.
A Mur de Bretagne, al Tour 2021, vince in modo plateale e la dedica a nonno Poupou
A Metz, sesta tappa del Tour 2012, la vittoria imitando Hulk
A Mur de Bretagne, al Tour 2021, vince in modo plateale e la dedica a nonno Poupou
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Forse a voler essere puntigliosi, il miglior Sagan è più furbo di Van der Poel che ne spreca proprio tante…
Infatti tatticamente Sagan lo vedo più come Van Aert, che come Van der Poel. Van Aert tatticamente è un genio, ma lo è anche Sagan. Peter sa correre. Diciamo che lui è la sintesi fra la testa di Van Aert e l’esplosività di Van der Poel, perché quando raggiunge il suo 100 per cento non sbaglia niente. E’ un cecchino, ha vinto tre mondiali quasi senza squadra. Sarebbe bello vederli insieme al massimo della forma. Alla Roubaix o al Fiandre farebbero scintille.
Secondo molti, Peter è avviato sul binario della pensione.
Badate bene… l’atleta, il fisico non finisce mai. E’ la testa che ti dà una percezione anticipata del limite rispetto a quando sei in bolla. E quindi ti sembra di essere a tutta, ma in realtà non lo sei. Proprio per la percezione della fatica che ti fa calare il rendimento. Per questo se Peter si scuote e torna ad avere stimoli veri, il fisico dai 30 ai 38 non cambia tanto. Il rendimento sembra che cambi, la verità è che dai trent’anni subentra quell’effetto di fatica anticipata e lo sforzo lo sopporti meno. Ma non è una questione di qualità della forza, è una questione mentale.
Forse allora gli servirebbe un direttore sportivo scomodo che lo spinga oltre quel limite?
I primi anni era molto ambizioso, ora sembra un pochino più appagato. Sono segnali. Forse davvero gli servirebbe un Ferretti, come fu per me. Uno che lo rimetta in linea e gli dia anche la grinta. O vai o smetti. Che magari nella nuova squadra crei il clima per cui creda un po’ di più in se stesso.
Entrambi sbagliano: nel 2017 Sagan perde una Sanremo che sembrava già vinta
Invece VdP il Fiandre 2021 da Asgreen, come poi perderà la Roubaix da Colbrelli per troppa generosità
Entrambi sbagliano: nel 2017 Sagan perde una Sanremo che sembrava già vinta
Invece VdP il Fiandre 2021 da Asgreen, come poi perderà la Roubaix da Colbrelli per troppa generosità
Si può ritrovare quella rabbia?
La differenza fra Sagan e Van der Poel è un po’ legata alle differenze fisiche, ma è chiaro che il vero solco ora lo scava la fame. Van der Poel ha una fame paurosa, anche se ha già vinto tanto. Questo ha voglia di prevalere su tutti, si vede. Anche solo quando scatta, le prime tre pedalate le fa da cattivo. Una volta lo faceva anche Sagan, che con uno scatto di 10 metri ne guadagnava subito tre.
Destino segnato?
Ci sta che dopo anni ti appaghi, non gliene farei una colpa: succede a tutti in una carriera. E’ per far capire che sarebbe ancora in grado di fare il salto, di tornare al suo livello, di fare ancora Hulk. Io faccio il tifo perché ci riesca. Deve crederci lui per primo e togliersi quello sguardo vuoto che di recente ho visto anch’io.
Lo guardi. Lo ascolti. Provi a ricordare com’era e ti rendi conto che il Sagan di oggi è un altro mondo rispetto al ragazzino che a vent’anni cominciò a spaccare tutto. E’ cambiato lo sguardo, è cambiato anche il tono. Ci si chiede fino a quando saranno vincenti Pogacar ed Evenepoel, senza rendersi conto che Peter l’ha già fatto e la sua parabola potrebbe aver tracciato la via. Nove anni al top con 109 vittorie, dai 20 ai 29. Il Fiandre, la Roubaix, tre Gand, tre mondiali di seguito, 12 tappe e 7 maglie verdi al Tour. Si fa fatica a contarle, sembra poco? Sembra un secolo fa, in realtà si va così veloci che in una stagione si concentra quello che normalmente accadeva in due. Pensate alla Sanremo di Stuyven, non vi sembra lontanissima? Invece è successo quest’anno.
E così, con le 32 candeline che spegnerà il 26 gennaio in maglia Total Energie, Peter si spinge in una fase da decifrare. C’è chi dice che la scelta francese sia stata un ripiego a fronte di risultati che non vengono come prima, si vedrà. Di sicuro, quasi fosse un robot instancabile, da lui si continuano a pretendere il salto doppio e la piroetta, come da Pogacar si vorranno ogni anno il Tour e la Liegi. E sembra persino strano che Evenepoel, in un raro riflesso di normalità, sia rimbalzato contro le durezze del Giro. Bentornati con i piedi sulla terra.
Mondiali del 2015 a Richmond, con questo scatto Sagan vince il primo mondiale
Nel 2018 vince la Roubaix, dopo avergli girato tanto attorno
L’abbraccio con Lombardi, regista di tutte le sue scelte
Nel 2018 è Valverde a interrompere la serie dei suoi tre mondiali: sale sul palco per premiarlo
Mondiali del 2015 a Richmond, con questo scatto Sagan vince il primo mondiale
Nel 2018 vince la Roubaix, dopo avergli girato tanto attorno
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Nel 2018 è Valverde a interrompere la serie dei suoi tre mondiali: sale sul palco per premiarlo
Progetto di crescita
Sagan riparte dalla Francia, da una squadra più piccola di quelle cui era abituato. Si dimentica però che anche la Bora-Hansgrohe in cui approdò nel 2016, fresco di maglia iridata, era ancora una professional sulla porta del WorldTour.
«Voglio aiutarli a crescere – dice – presto mi sentirò come a casa mia. Bernaudeau (team manager della squadra, ndr) è serio quando necessario e divertente nel resto del tempo. Vuole che i suoi corridori si divertano sulla bici. Attenzione, siamo d’accordo: il ciclismo è un lavoro a tempo pieno e bisogna prenderlo sul serio. Richiede molti sacrifici, ma bisogna anche saper valorizzare il piacere, mettere un po’ di leggerezza in tutto ciò che si fa, altrimenti non dura».
Alla partenza del Fiandre, con Pedersen, Van der Poel, Van Aert e Alaphilippe: nell’olandese Sagan rivede se stesso?Alla partenza del Fiandre, con Pedersen, Van der Poel, Van Aert e Alaphilippe: nell’olandese rivede se stesso?
La routine della pressione
Con Peter in Francia sono arrivati Specialized e Sportful. E se due marchi così continuano a seguire il personaggio più che le sue vittorie, vuol dire che oltre all’amicizia si può parlare di un ritorno.
«La TotalEnergie – dice Peter – mi voleva davvero e lo ha dimostrato per tutto il tempo. Ad ogni nostra domanda, hanno risposto immediatamente, mentre altri impiegavano settimane. Sta nascendo una squadra intorno a me e questo è ciò che mi attrae del progetto. E’ una pressione, certo, ma la pressione è la mia routine da molto tempo. Non crediate che nelle squadre precedenti fosse troppo diverso».
Suo figlio Marlon va a scuola a Monaco e sta crescendo con il francese: «Dovrò impararlo meglio per capire cosa dice!»Suo figlio Marlon va a scuola a Monaco: «Dovrò imparare il francese per capire cosa dice!»
Sbarco in Francia
Il salto verso l’ignoto sarà semmai l’approdo in un team francese. Perché è vero che Specialized è americana, ma è altrettanto vero che in Francia comanda la Francia. La lingua del gruppo smetterà di essere l’inglese a prescindere e per rapporti quotidiani con gli sponsor e i media, imparare il francese diventerà un passaggio piuttosto cruciale.
«Ho conosciuto tre squadre prima di questa – dice – e ogni volta mi sono integrato rapidamente. Anche se questa volta mi rendo conto che dovrò prendere lezioni di francese. Parlare la lingua è fondamentale in una squadra di casa, una vera risorsa. In realtà è anche ora di farlo. Mio figlio Marlon va a scuola a Monaco e parla già un po’ di francese. E’ essenziale che lo impari anche io per capire cosa sta dicendo…».
Sagan lascia la Bora-Hansgrohe dopo 5 stagioni, le stesse trascorse nel gruppo Liquigas, poi CannondaleSagan lascia la Bora-Hansgrohe dopo 5 stagioni, le stesse trascorse nel gruppo Liquigas, poi Cannondale
Il tempo che passa
Le cinque vittorie e gli otto podi fanno capire che sarebbe bastato davvero poco per dare anche al 2021 i contorni di una stagione trionfale: con cinque vittorie è comunque un’annata positiva. E se Nibali e gli uomini di classifica hanno dovuto chinare il capo davanti a Pogacar, Bernal, Tao Geoghegan Hart e Hindley, uno come Peter si è scontrato contro quella furia di Van der Poel e c’è da scommettere che in certi momenti gli sia sembrato di rivedere il se stesso di dieci anni fa.
«Faccio tanti piazzamenti – ammette – ma ogni tanto vinco anche io. Il ciclismo è cambiato molto negli ultimi tre anni. Questo di per sé potrebbe non avere nulla a che fare con il mio percorso precedente, ma è un dato di fatto. Sono comparsi volti nuovi, ragazzi di talento ed è cambiato anche il modo di correre. Se voglio continuare, non ho altra scelta che adattarmi e lavorare e lavorare ancora. Una volta vincevo regolarmente e sono diventato campione del mondo per tre anni consecutivi, ma non è mai stato facile. Le mie vittorie, come quelle degli altri, sono frutto di sacrifici. E’ il prezzo da pagare per arrivare in cima e soprattutto per restarci. Corro da quando avevo 9 anni, oggi ne ho 31: è tanto tempo. Penso di poter dire che amo quello che faccio, che faccio tutto il possibile per essere protagonista in gara. Ma sì, sto invecchiando anch’io…».
Che nesso c'è fra il Covid e i problemi al cuore? Perché a Sagan è stato imposto riposo assoluto? Ne abbiamo parlato con Roberto Corsetti. Venite a leggere
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A 36 anni, Fabio Sabatini dice basta, chiudendo una carriera da pro’ durata ben 16 anni. Se si guarda il suo palmarés, i numeri dicono che non c’è neanche una vittoria, ma i numeri talvolta mentono, perché i successi del toscano sono stati tantissimi. Sono le vittorie dei suoi capitani, dei velocisti che hanno dopo anno ha lanciato verso il traguardo, diventando quello che, insieme al danese Morkov, è considerato il più grande “ultimo uomo” della storia recente del ciclismo. Tante volte ha tagliato il traguardo alzando le braccia, perché quei successi erano anche suoi.
La sua figura nel gruppo mancherà e nel ripercorrere la sua storia si capisce come attraverso di lui il ruolo di ultimo uomo sia diventato un cardine delle volate, ma anche qualcosa che la frenesia del ciclismo attuale sta divorando, come tanto altro, nella ricerca spasmodica del campione giovane, del nuovo Pogacar o Evenepoel, dimenticando che questo sport è fatto di tante altre cose.
Iniziamo dalla Milram…
La nostra chiacchierata parte dall’ormai lontano 2006 e dal suo approdo alla Milram, team Professional nel quale Sabatini si ritrovò con un particolare vicino di casa, Alessandro Petacchi: «Lui è di Montecatini Terme, io sono a Camaiore, eravamo a un tiro di schioppo così ci allenavamo insieme. Con lui ho iniziato la gavetta e con Ongarato, Sacchi, Velo, Zabel costruimmo uno dei primi grandi treni per le volate. Al tempo io ero per così dire il primo vagone, ma imparai tantissimo, poco alla volta, gara dopo gara. Capii che le volate sono un meccanismo delicatissimo, dove ci sono mille incastri che devono funzionare».
Compagni, avversari, ma sempre amici e vicini di casa: Sabatini e Petacchi hanno condiviso molte battaglieCompagni, avversari, ma sempre amici e vicini di casa: Sabatini e Petacchi hanno condiviso molte battaglie
Nessuno più di te può spiegare che cos’è essere l’ultimo uomo…
Devi capire tantissime cose, essere sempre attento: ci sono variabili che condizionano ogni volata, come dove spira il vento oppure le traiettorie scelte dal gruppo. Bisogna studiare le strade nei minimi particolari: oggi c’è Google Map, ci sono le tecnologie che aiutano, prima dovevi vederle con i tuoi occhi. Ricordo che alla Vuelta mandavamo l’addetto stampa Agostini a visionare gli ultimi chilometri, lui che era stato ciclista e ci raccontava la strada per filo e per segno, curva dopo curva, come prendere le traiettorie, dove chiudere la propria porzione e così via.
Ripercorriamo la tua carriera attraverso i velocisti che hai accompagnato. Iniziamo da Petacchi…
Alessandro è un fratello maggiore. Da lui ho imparato tantissimo, basti dire che per due anni mi ha anche ospitato a casa sua. Mi ha insegnato tantissimo, mi spiegava per filo e per segno la volata in ogni particolare. E’ stato il mentore ideale, quello che purtroppo tanti ragazzi che arrivano oggi al professionismo non vogliono più avere, non ascoltano più…
Daniele Bennati significa parlare del periodo alla Liquigas.
Con lui ho iniziato davvero a fare l’ultimo uomo. Con il Benna la comunicazione era continua, diceva quando partire, quando aspettare e questa partecipazione era totale, mi sentivo veramente parte delle sue vittorie perché era il compimento di una volata fatta bene.
Sabatini è sempre stato benvoluto nel gruppo, anche dagli altri team: qui è con Valerio ContiSabatini è sempre stato benvoluto nel gruppo, anche dagli altri team: qui è con Valerio Conti
Poi arrivò la Cannondale e Peter Sagan…
Grande Peter, un vero funambolo. Con lui il lavoro era particolare, non serviva tanto tirargli la volata, quanto metterlo in posizione buona per partire. Capitava magari che non te lo trovavi più a ruota e dovevi andarlo a recuperare. Ma alla fine il risultato arrivava…
Hai lavorato anche per Mark Cavendish…
Non sono state molte le volate nelle quali abbiamo lavorato insieme, inoltre già allora era Morkov l’uomo deputato a tirarlo per ultimo. E’ stata però un’esperienza utile e siamo rimasto in buoni rapporti.
Poi due anni con Marcel Kittel…
Con lui si lavorava di potenza, lo portavo dai 400 ai 200 metri, ma la volata iniziava già prima dei 2 chilometri finali. Mi sono trovato bene con lui anche se il nostro era un rapporto molto professionale.
Con Elia Viviani tante vittorie condivise e un’amicizia profonda, che li ha resi complementariCon Elia Viviani tante vittorie condivise e un’amicizia profonda, che li ha resi complementari
E’ stato il compimento del mio lavoro: con Elia ci lega un’amicizia profonda, fatta di gioie e dolori, nottate a parlare, a condividere tutto. Quando stai oltre 100 giorni in giro per il mondo s’innesca un legame profondo. Le nostre volate sono sempre state meccanismi particolari, avevamo una parola concordata, quando la sentivo significava che dovevo lanciarlo a tutta velocità, oppure che si stava sganciando e andava recuperato. Per questo le sue vittorie mi hanno dato gioie enormi.
Mettiamo tutto insieme: con che spirito chiudi?
Senza rimpianti, penso di essere stato bravo a capire che potevo sì forse vincere qualche corsa, trovare spazi diversi in piccole squadre, ma io volevo il meglio e potevo dare molto di più in quel ruolo specifico. Sono sempre rimasto con i piedi per terra, conscio del mio ruolo e contento di quel che ho fatto.
E’ una questione di approccio dei giovani?
Non solo. Tutti guardano solo i dati, quel che dicono i preparatori, che in base ad essi decidono se farti correre oppure no, ma si dimentica che la corsa ti accresce la condizione per quella successiva e che anche inconsciamente, in allenamento non darai mai quel “di più” che ti viene naturale in gara. I numeri non dicono tutto.
Giro d’Italia 2010, l’americano Farrar batte Sabatini allo sprint a Bitonto. Resterà il suo risultato più altoGiro d’Italia 2010, l’americano Farrar batte Sabatini allo sprint a Bitonto. Resterà il suo risultato più alto
Come saranno le volate del futuro?
Io dico che presto i treni non ci saranno più. All’ultimo Tour io non c’ero e spesso abbiamo guardato le tappe con Cipollini, eravamo d’accordo che alla fine era tutta una confusione, molti sprint vedevano i velocisti compiere mille errori. Cavendish ha vinto tanto proprio perché aveva un treno eccezionale, ma quella gente, i Morkov o i Sabatini della situazione, chi li sostituirà? Io ad esempio ho cercato d’insegnare tanto a Simone Consonni, sarebbe un grande ultimo uomo.
In sintesi, che cosa serve per essere “l’ultimo vagone del treno”?
Innanzitutto acquisire esperienza nel corso del tempo e ne serve tanto. Quell’esperienza ti consentirà di improvvisare quando sei nella m…. perché raramente le cose vanno esattamente come vuoi e devi decidere in pochissimi secondi che cosa fare, sapendo che da te dipende la volata del compagno e la possibile vittoria.
Che cosa farà adesso Fabio Sabatini?
Non lo so, intanto penso di prendere il 1° livello a Firenze, vicino casa, per un futuro da diesse. Quel che è certo è che il ciclismo non lo lascio…
Siamo nella settimana che ci porta al Mondiale di Leuven, nelle Fiandre. 100% coglie la palla al balzo e presenta la sua nuova collezione del 2021 e come testimonial sceglie il tre volte iridato Peter Sagan. Un occhiale ispirato alla sua personalità: accattivante, eccentrico e performante. I modelli saranno tre come i titoli mondiali del campione slovacco. Occhiali che saranno marchiati dal logo Sagan e verranno consegnati in una speciale custodia pensata per l’occasione.
Quello di 100% è un richiamo neanche troppo velato alle imprese sportive di Peter Sagan. Gli occhiali hanno una montatura nera con scaglie dorate. Lenti anch’esse dorate fanno affiorare ricordi indelebili nella mente degli appassionati. Un’edizione limitata come il talento di Peter, i tre modelli sono: Speedcraft, S2 e S3.
I 100% Speedcraft con la caratteristica presa d’aria sulle astine
Ecco il modello S3, accattivante ed aggressivo come Sagan
Dettaglio sul modello S2, il più “giocoso” della gamma
I 100% Speedcraft con la caratteristica presa d’aria sulle astine
Ecco il modello S3, accattivante ed aggressivo come Sagan
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Una volata sui mondiali
Quella di 100% è una volata lunga sui mondiali di Lueven per presentare i suoi nuovi occhiali. Una volata come quelle che hanno caratterizzato la carriera vincente d Peter Sagan. Campione slovacco che domenica ritroverà le strade che lo hanno lanciato nell’Olimpo del ciclismo, quelle del Nord. Il primo successo di Peter su queste strade risale al 2013, ancora in maglia Liquigas, dove vinse Freccia del Brabante e Gand-Wevelgem.
Tre design differenti
I profili proposti da 100% sono tre come le personalità che abbiamo visto in Peter Sagan in questi anni: una più race ed aggressiva con i modelli Speedcraft ed S2, mentre una più giocosa e stilosa ovvero quella dell’S3. Ognuno ha la possibilità di trovare il modello che più gli si addice e che rispecchi la sua personalità.
Lenti realizzate in policarbonato che è un materiale molto resistente agli urti. Visibilità a tutto tondo grazie alle lenti intercambiabili ed antigraffio di 100%. Nelle bacchette del modello Speedcraft sono presenti due prese d’aria che servono per regolare l’umidità che si crea all’interno degli occhiali.
Peter Sagan che indossa il modello S3 della nuova gamma di 100% disponibile in edizione limitataPeter Sagan che indossa il modello S3 della nuova gamma di 100% disponibile in edizione limitata
Vestibilità modellabile
I nuovi di 100% sono dotati di montatura TR90 ultraresistente con bacchette e nasello in gomma aderente. Di questi occhiali davvero unici sono venduti anche i pezzi sostitutivi di gomma e nasello. Le bacchette sono regolabili in lunghezza così da consentire la massima modellabilità a seconda delle misure dell’atleta. Le lenti abbinate sono di categoria filtro 3, questo vuol dire che fanno penetrare il 13 per cento della luce solare. Vengono fornite lenti di ricambio trasparenti con trasmissione della luce all’88 per cento.
Giusto un paio di giorni fa, parlando con Sagan, la parola chiave era stata divertimento. Ebbene, questa vale anche per Daniel Oss. Il trentino, da anni spalla ma anche amico di Peter, infatti andrà con lui alla TotalEnergies. Li aspettano un piano, un’avventura, una sfida totalmente diversi. Non sarà un semplice passaggio di squadra. E anche i tifosi potranno fregarsi le mani. Perché? Ce lo dice Oss…
Daniel Oss: il suo Tour non è stato facile, specie dopo il ritiro di SaganDaniel Oss: il suo Tour non è stato facile, specie dopo il ritiro di Sagan
Daniel come stai?
Bene dai! Un po’ stanco… Ho fatto Burgos, sono riserva per il Giro di Norvegia. Mentre poi farò il Benelux Tour, lo Slovacchia e la Roubaix.
E poi ti, anzi vi attende una nuova sfida. Come è andata?
Beh, io ho fatto da consigliere a Peter! Ma lui sa benissimo cosa fare. E’ stata lunga la trattativa. E non è stato facile in questo ultimo periodo, perché anche da parte della Bora-Hansgrohe e di RalphDenk (il team manager, ndr) c’è stata una svolta verso i giovani. In più ha apertamente dichiarato che vuole una Bora più competitiva per la corse a tappe.
Trattativa lunga quindi…
Noi ci siamo messi di buona lena. Ma è una linfa nuova. Vedo tutto ciò come un’occasione. E grazie a Giovanni (Lombardi, il manager di Peter e Oss, ndr) si è lavorato su tutti i fronti e non solo sul cambio di squadra.
Cioè?
L’idea era di trovare un team per fare bene e per fare un qualcosa di diverso. Questa era una prerogativa di ognuno di noi. Era il “mood” di Peter ma anche il mio. Ed è quello che credo ci abbia legato così tanto e per tanti anni. Possiamo esprimere il nostro carattere: essere comunque dei professionisti al 100%, ma possiamo farlo con una bella dose di divertimento. Portavamo questa bandiera nell’interpretare questo nuovo ciclismo da anni. Spesso voi giornalisti, e ne sono contento, sottolineate quanto sia diventato stressante. Forse stress è anche una parola esagerata, ma ha tante sfaccettature e rende l’idea.
Oss e Sagan avevano già corso insieme ai tempi della Liquigas e si sono ritrovati poi alla Bora nel 2018
L’esultanza del trentino al Giro per la vittoria di Sagan a Foligno
Oss e Sagan avevano già corso insieme ai tempi della Liquigas e si sono ritrovati poi alla Bora nel 2018
L’esultanza del trentino al Giro per la vittoria di Sagan a Foligno
Insomma correre, ma divertendosi…
Esatto. La Total e Bernaudeau ci hanno dato questo tipo di spunto. Un qualcosa che condividono. Peter ha fatto molte riunioni prima di decidere. Voleva capire fino in fondo quanto fosse concreta questa possibilità. Come potete immaginare con un Sagan sul mercato la Total non è stata l’unica squadra a farsi avanti. Peter faceva gola a tanti. Io gli ho dato carta bianca: mi fido di te, gli ho detto. Poi lui mi dava dei feedback e io gli dicevo la mia. Non era scontato che tutto il suo entourage potesse seguirlo, proprio perché la trattativa si stava dilungando. Adesso però sono contento…
E si sente dal tuo tono, Daniel! Si percepisce questa voglia di cambiare…
Cambiare per me è fisiologico, fa bene. Serve per ritrovare gli stimoli giusti. I miei due o tre cambi di squadra mi hanno fatto crescere anche sul profilo umano. Ti connetti con altre culture e altre persone.
Divertimento dicevamo, un passaggio di squadra che non è solo un cambio di casacca: si parla anche di “un altro ciclismo”, di gravel. Anche tu sposi questa linea?
Ma alla grande la sposo! Non vedevo l’ora. Il “Just ride” era il mio credo. Il divertimento, il viaggio… E poi diciamolo: altre attività come il gravel fanno bene anche per gli sponsor. Specialized c’è, ma anche Sportful vorrà allargarsi e non fare solo capi super tecnici. La direzione è questa. Già qualche anno fa abbiamo detto che tutta questa tecnologia, questo mondo super tirato e questa generazione di atleti ci sembravano un po’ “strani”. Tutti super perfetti, tutti a fare i “professorini”…
Anche a Burgos, sempre “pancia a terra” per Oss e compagniAnche a Burgos, sempre “pancia a terra” per Oss e compagni
Quindi vi vedremo anche in altre vesti?
Beh, le gare restano la priorità, è chiaro. Poi sì: il gravel è la novità. Ma noi pensavamo anche alla Mtb, ai viaggi. Sagan mi diceva sempre di fare qualcosa e gli rispondevo: Peter per me va bene, basta organizzarsi. Il problema è il tuo tempo! Io sono super motivato. E un po’ alla volta arrivano nuove idee. Vediamo di rifare il Just Ride, d’integrare con i viaggi.. non so bene neanche io come avverrà tutto ciò.
Sì l’ho seguita. Bella, ma ecco quello non è proprio ciò che intendo io per divertimento, per gravel. Così come l’ha fatta lui c’è troppa sofferenza. Noi saremo più “da viaggio” (nella DirectEnergie, corre Jerome Cousin che questa idea l’ha fatta sua all’uscita dal lockdown, ndr).
Daniel, non vediamo l’ora di capire cosa combinerete…
L’entusiasmo si era un po’ smorzato e tutto si è fatto molto impegnativo. Soprattutto in queste ultime gare nelle quali Peter non c’era. Si è dovuto trovare un altro leader e tutti erano sempre super concentrati. Ecco questo è un esempio di questo ciclismo che vogliamo cambiare: stare in un ambiente in cui c’è uno stress alle stelle anche quando non ce n’era bisogno. Vedi Burgos: tutti super concentrati, tutti al massimo, sotto ogni punto di vista, tutti a spingere anche quando non serviva.
Peter Sagan ha passato la Tirreno stringendo i denti. Andrà alla Sanremo. E' ammirato da Van der Poel. E andrà al Catalunya per essere in forma al Nord
Quello che è successo oggi nella dodicesima tappa del Tour de France era più o meno quello che ci si poteva aspettare, tanto più dopo la frazione durissima di ieri. La Grande Boucle entra nel cuore del Sud della Francia. La famigerata “chaleur” inizia a farsi sentire. E così succede che il gruppo dopo la consueta lotta per la fuga proceda tranquillo (ammesso che fare 45 di media sia “tranquillo”, ndr) verso l’arrivo di Nimes. Ma la vera notizia del giorno arriva prima del via: Peter Sagan si ritira. Il campione della Bora – Hansgrohe dall’interno del bus del suo team manda un messaggio ai fans.
Il ginocchio gonfio di Sagan
Dopo l’annuncio sul bus Peter si concede ai microfoni in zona mista
Il ginocchio gonfio di Sagan
Dopo l’annuncio sul bus Peter si concede ai microfoni in zona mista
Sagan non parte
Poche parole che però dicono tutto.
«Purtroppo – ha detto il tre volte iridato – sono costretto a lasciare il Tour de France. Il dolore al ginocchio è persistente e troppo forte. Impossibile continuare. Ho fatto di tutto, ma così non si può. Ringrazio tutta la squadra e tutti voi per il supporto».
E poi ha aggiunto: «Ci vediamo alle Olimpiadi».
Una piccola doccia fredda per i tanti tifosi dello slovacco. Per la seconda volta nella sua carriera, Sagan non termina il Tour. Nelle dieci partecipazioni aveva sempre portato la sua bici a Parigi e per ben 7 volte lo aveva fatto indossando la maglia verde. A parte quella volta nel 2017 quando fu escluso dalla giuria per una scorrettezza in volata ai danni proprio dell’attuale maglia verde, Mark Cavendish. Quello di oggi di è fatto è il suo primo ritiro dalla Grande Boucle.
Va detto però che questo Tour non era partito benissimo per Sagan. Era caduto nella prima tappa e soprattutto verso Pontivy era rimasto coinvolto in quella tremenda scivolata con Ewan. I due grattarono a lungo sull’asfalto. Ewan si ritirò subito. Peter invece tenne duro e tutto sommato sembrava stesse meglio. Aveva dolore ad un’anca. Ma quando le cose non girano… non girano. E nei giorni successivi ha urtato il ginocchio (visibilmente gonfio) con il manubrio.
Nel finale tanto nervosismo nella fuga (foto Aso)Nel finale tanto nervosismo nella fuga (foto Aso)
Dal pianto alle risa
Ma per un Bora che “piange” ce n’è uno che ride, Nils Politt. Il passistone tedesco è fra i 13 attaccanti che prendono il largo al chilometro 15 di gara. Ancora una volta tra i più attivi a portare via la fuga c’è il campione del mondo, Julian Alaphilippe.
Il vento è a favore e questo agevola la “passeggiata” del gruppo e gli attaccanti. La media è folle. Un saliscendi continuo. Ma si sa: in 13 in fuga si è un po’ troppi. E così quando l’intesa svanisce dapprima restano davanti in quattro, poi in tre e poi un uomo solo. Al termine di un lungo falsopiano Politt decide di dare una svolta alla sua carriera.
Il corridore della Bora – Hansgrohe parte con uno scatto bellissimo, da manuale. Ci sono forza, tempismo, rapportone, grinta… persino estetica. Ha le mani basse e la schiena parallela al terreno. E’ partito dalla coda del drappello. Resta spianato con la bocca spalancata per la dozzina di chilometri che mancano a Nimes, sapendo però che quelli decisivi sono i primi 4 di quell’attacco. Quattro chilometri in cui viaggia sul filo dei 10”, quelli presi nello scatto: non perde, non guadagna… o comunque non così tanto. Poi a lui spuntano le ali dell’entusiasmo, per i suoi inseguitori invece, senza quell’entusiasmo, la catena si fa maledettamente più pesante e la gara finisce lì.
L’azione, splendida, di Politt. Per il tedesco (27 anni) è il secondo successo da pro’L’azione, splendida, di Politt. Per il tedesco (27 anni) è il secondo successo da pro’
Un sogno e un pensiero
«Mi sentivo bene – ha detto Politt dopo l’arrivo mentre continuava ad avere la testa fra le mani – ho provato a distanza e tutto ha funzionato alla perfezione. Il momento dell’attacco è stato perfetto. Sapevo che c’era gente più veloce di me quindi, mi sono detto che avrei fatto un attacco solo, ma in quell’affondo avrei dato tutto».
E da quest’ultima frase si capisce molto. Un ragionamento intelligente. Un fuoriclasse alla Alaphilippe può farne diversi di scatti, il bravo corridore invece ha una cartuccia sola e Nils l’ha sfruttata. E poi se fai secondo alla Roubaix qualcosa di buono devi pur avere.
«E’ il momento più bello della mia carriera – continua Politt – E’ un successo che voglio dedicare alla mia famiglia. Faccio tanti sacrifici, manco da casa per tantissimi giorni l’anno e questa vittoria è tutta per loro. Al via c’era un po’ di tristezza in squadra per il ritiro di Peter, ma questo ci ha anche fatto cambiare tattica e ci ha dato la possibilità di attaccare».
Anche oggi Uae guardinga in testa al gruppoAnche oggi Uae guardinga in testa al gruppo
Tre voci pensando a domani
Ma prima di terminare, chiudiamo il cerchio e riallacciandoci all’inizio, vale a dire alla “non belligeranza del gruppo”. Come abbiamo detto si veniva da una tappa durissima, ma soprattutto più di qualcuno pensava già a quella di domani.
La frazione numero 13 infatti oltre ad essere lunga (quasi 220 chilometri) e molto mossa, sembra sarà battuta da vento laterale. Le squadre hanno cercato di risparmiare il più possibile. Fa riflettere una frase detta da DavideFormolo a Rai Radio1 Sport: «Adesso che abbiamo tagliato il traguardo sono molto più tranquillo. Ero più nervoso oggi che ieri». In questa zona della Francia infatti il vento non manca e soprattutto domani con la tappa che va da Est verso Ovest, non troppo lontano dalla costa, potrebbero nascondersi delle insidie. E sappiamo quanto la Uae e Pogacar si siano scottati col vento l’anno scorso.
E a rincarare la dose, sempre a RadioRai, anche De Marchi:«Spesso al Tour hanno fatto più danni i ventagli che le salite». E Sagan stesso: «Mi dispiace fermarmi anche pensando a Wilco (Kelderman, uomo di classifica della Bora, ndr). Arrivano tappe nel vento in cui potevo aiutarlo e io non ci sarò».
Il piano di Vingegaard consisteva nel far stancare Pogacar, evitando fuori giri e tenendolo nel mirino. Alessandro Vanotti ne è convinto e spiega perché
Pogacar e Vingegard si punzecchiano. Adam Yates ha la maglia gialla. Matxin ragiona sui suoi, parlando di oggi e di domani. Il Tour è appena cominciato
La paura fa… 90. Stavolta non c’entra nulla la cabala, ma un’annata che ha prodotto talenti incredibili anche se, per un motivo o l’altro, alcuni di loro si sono persi o non hanno mantenuto le aspettative trasmesse da dilettanti o dopo i primi anni di professionismo. Attenzione, in questa nidiata non mancano fenomeni assoluti però molti di loro hanno sofferto – anche più del dovuto – lo stress, fino ad arrivare al ritiro anticipato o ad una pausa di riflessione della carriera.
Sagan, classe 1990, continua a vincere ed è forse l’eccezione fra i corridori della sua etàSagan, classe 1990, continua a vincere ed è l’eccezione fra i corridori della sua età
Capo Sagan
La stella polare di questa annata, in cui tengono banco Mikel Landa e Nairo Quintana, è senza dubbio Peter Sagan – 31 anni fatti a gennaio, passato nel 2010 in Liquigas, finora 117 vittorie totali di cui 58 nelle prime quattro stagioni da professionista – il quale ha abituato tutti sin troppo bene, al punto che qualche detrattore lo dipinge sul viale del tramonto quando, palmares alla mano, non gli si può contestare nulla. E tanto ha ancora da dare, pur dovendo fare i conti sia con la pressione del risultato, sia con la nouvelle vague dei giovani campioni affamati e pigliatutto.
Cattaneo ha da poco ritrovato il filo dopo una carriera molto faticosa
Fra incidenti e poca tenuta psicologica, Phinney era attesissimo nelle classiche
Bardet attesissimo a grandi vittorie: sopravvalutato o troppa pressione?
Pinot è passato dopo aver vinto il Val d’Aosta: lo hanno subito puntato sul Tour, al punto da fuggirne per il Giro
Cattaneo ha da poco ritrovato il filo dopo una carriera molto faticosa
Fra incidenti e poca tenuta psicologica, Phinney era attesissimo nelle classiche
Bardet attesissimo a grandi vittorie: sopravvalutato o troppa pressione?
Pinot è passato dopo aver vinto il Val d’Aosta: lo hanno subito puntato sul Tour, al punto da fuggirne per il Giro
Casi diversi
Della stessa classe di nascita dello slovacco abbiamo altri esempi di ragazzi che, dopo le speranze iniziali, avrebbero potuto dominare per molto tempo e che adesso sembrano essere invecchiati precocemente o appaiono incompiuti.
Naturalmente ci sono tante varianti – infortuni, avversari più forti – che condizionano una carriera e per qualcuno di essi hanno inciso tanto, troppo. Moreno Moser, Aru (in apertura contro Contador al Giro 2015), Cattaneo, Diego Rosa, Dumoulin, Pinot, Bardet e Phinney, per citare i casi più eclatanti, hanno alternato grandi successi a battaglie anche contro lo spettro di stati melanconici e umorali vicini alla depressione. E questi aspetti ti svuotano più di una tappa di trecento chilometri con settemila metri di dislivello.
Moreno Moser è del 90 e ha vissuto un primo anno da pro’ stellare, poi ha avuto cali di tensioneMoreno Moser è del 90 e ha vissuto un primo anno da pro’ stellare, poi ha avuto cali di tensione
Il punto di Amadori
Nel 1990 Marino Amadori – ct della Nazionale U23 dal 2009 – ha terminato la sua buonissima carriera da pro’ e a lui, che di giovani se ne intende, abbiamo provato a chiedere di analizzare questa particolare situazione proprio mentre sta seguendo dal vivo il Giro d’Italia U23 dove sta dominando il diciottenne Ayuso, il nuovo ennesimo fenomeno del panorama internazionale.
Da dove possiamo partire, da un confronto fra le varie epoche?
Non è facile trovare i motivi o dire il perché. Ai miei tempi non c’era tutta l’esasperazione di adesso nel passaggio da dilettante a professionista. E che c’è anche tra gli juniores e le categorie vicine. Però va detto che non c’erano nemmeno tutta la attenzione e la cura che vengono riservate ai ragazzi attuali.
Battaglin ha lanciato lampi di classe e alternato momenti di buioBattaglin ha lanciato lampi di classe e alternato momenti di buio
Spiegaci meglio.
Forse i ragazzi nati in quel periodo, fra il 1989 e il 1991, erano meno preparati nei minimi dettagli, sia fisici che mentali, rispetto a quelli di adesso al passaggio tra i pro’. Sono passati 10-11 anni, quindi non un’eternità, ma la differenza c’è e quelli di adesso soffrono menoil salto.
C’è un rovescio della medaglia per te?
Certo, e non è da sottovalutare. La seconda riflessione che faccio infatti è che così facendo si rischia di bruciare i ragazzi più di quelli del ’90, visto che l’abbiamo presa ad esempio. Adesso corridori, direttori sportivi, team manager, genitori, vogliono tutto e subito. Non c’è più pazienza, ma invece serve eccome, non bisogna avere fretta. Chiaramente non è così per tutti, però bisogna prestare attenzione. Inoltre molti ragazzi hanno attorno tantissime figure che da una parte tendono ad innalzare la loro qualità di atleta e dall’altra tendono a creare stress e pressioni.
Dumoulin, classe 90, vincitore del Giro 2017, poi un continuo calareDumoulin, classe 90, vincitore del Giro 2017, poi un continuo calare
Una volta un corridore a trent’anni suonati poteva essere considerato a fine corsa, ma lo sport dell’ultimo periodo ci propone talenti precoci e campioni datati. Nel ciclismo come funziona?
Intanto dico che per me un altro come Valverde (quarantunenne alla ventesima stagione da professionista ad altissimi livelli e pronto a rinnovare anche nel 2022, ndr) non lo troveremo più, mentre al giovane fuoriclasse non possiamo chiedere sempre il massimo perché vivono un insieme di situazioni non semplici. Poi dobbiamo anche considerare che talvolta qualcuno di loro si trova a convivere, ancora giovane, con un appagamento economico che può togliergli qualche stimolo. E questo può diventare un altro problema difficile da risolvere.
Secondo te Marino c’è una soluzione a tutto ciò?
La ricetta matematica non esiste, ci vuole molto buon senso da parte di chi gestisce questi ragazzi, ma non è semplice.
Giacomo Nizzolo, classe 1989, è esploso negli ultimi due anni perché vari infortuni lo hanno… protetto da un logorio eccessivoGiacomo Nizzolo, classe 1989, è esploso negli ultimi due anni perché vari infortuni lo hanno… protetto da un logorio eccessivo
Ultima domanda: della lunga lista dei ragazzi del ’90, tutti di grande talento, da chi ti aspettavi qualcosa in più?
Li conosco tutti bene, sono diventato cittì quando loro erano dilettanti e ne ho convocati parecchi. Se posso allargo il discorso anche a qualche fuori età. Innanzitutto mi sento di fare i complimenti a Caruso, che è un po’ più vecchio ma che considero quasi di quella generazione, per il grande Giro d’Italia che ha fatto. E poi sono felice per Cattaneo che dopo anni di purgatorio sta facendo bene nella Deceuninck. Faccio però altri due nomi: Moreno Moser ed Enrico Battaglin, anche se lui è un ’89. Per me potevano fare tanto di più, ma è andata diversamente. Capita, questo è il ciclismo.
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