Il mattino di Diego Rosa è quello di tanti padri di famiglia, che si svegliano presto, danno una mano alla moglie nel preparare i due bimbi, in questo caso Noah di 3 anni ed Elia di 4 mesi, poi si cambiano e vanno al lavoro. La sola differenza è che il lavoro del piemontese di stanza a Monaco si svolge sulle strade assolate del Principato, dove a parte la prima settimana di gennaio, non sono mai scesi sotto i 18 gradi. Oggi però è una vigilia importante, perché domani finalmente si comincia con il Gp La Marseillaise, calcio di inizio di una stagione che fa già lo slalom tra un annullamento e l’altro.
«Qua – sorride amaramente – siamo tutte le sere davanti al notiziario col terrore che Macron parli e annunci un altro lockdown. E a quel punto non sappiamo che cosa succederà. Ha detto che lo sport professionistico non avrà arresti, ma il ciclismo è sempre particolare da controllare. Noi corridori abbiamo lavorato come al solito, potendo uscire. Io di solito vado da solo, anche perché sono tutti in ritiro o con i loro compagni. Ma mi rendo conto che per le squadre ogni volta è un rimescolare piani…».
Diego Rosa con Claudio Chiappucci all’Etoile de Bessegens del 2020Rosa con Chiappucci all’Etoile de Bessegens del 2020
Quest’anno nel mirino e anche nel cuore dovrebbe esserci il Giro?
Stiamo aspettando le wild card con una certa apprensione. Attesa su attesa. L’Arkea-Samsic ha dimostrato di avere l’organico per fare due grandi Giri, per cui l’idea sarebbe di fare il Giro con Quintana e un gruppo di scalatori. Poi andare al Tour ugualmente con Nairo, ma a quel punto quattro uomini per Bouhanni che vuole togliersi le sue soddisfazioni. Tanto al Tour non siamo noi a dover controllare la corsa e il percorso è meno duro del 2020.
A questo punto, sta tutto a capire quando arriveranno gli inviti…
Siamo una squadra piccola, se ci chiamano dobbiamo dire grazie. So che è stata chiesta la possibilità di avere una wild card in più, per cui credo che, avuta questa risposta, le renderanno note. In assenza della squadra aggiuntiva, per i team italiani la vedo complicata. L’ho provato sulla mia pelle con l’Androni, quando fare il Giro era una vera garanzia di sopravvivenza.
A Monaco, Rosa è riuscito ad allenarsi sempre al caldoA Monaco, Rosa è riuscito ad allenarsi sempre al caldo
Avete fatto qualche ritiro nel frattempo?
Due. Uno a dicembre qui in zona Cannes, in un hotel solo per noi. Eravamo tutti, abbiamo preso il materiale, fatto le foto e sbrigato la parte burocratica. Poi uno in Spagna a gennaio, zona Altea, in cui però non c’erano i sudamericani. Si trattava solo di allenarsi, gli hanno risparmiato il viaggio.
Hai pensato di tornare in Colombia come nel 2020, oppure hai desistito per il Covid?
L’idea era di andare, in effetti. Abbiamo rinunciato per il rischio che chiudessero qualche confine e rimanessimo bloccati o per la necessità di fare la quarantena al rientro. Viaggiare col bimbo così piccolo non sarebbe stato un problema. Ma intanto, dovendo fare un ritiro in altura fra Sanremo e Ardenne, si stava pensando di andarci a fine marzo. Si sta bene, si lavora alla grande.
A proposito di sudamericani, come stanno Nairo e le sue ginocchia operate?
L’ho sentito pochi giorni fa, mi ha detto che le cicatrici sono ormai fatte e ha ricominciato a lavorare sul serio. Quando arriverà qua, sarà un po’ più indietro, ma c’è tutto il tempo. Con lui parliamo raramente di lavoro. Un po’ perché quando stacchiamo, lo facciamo davvero. E nelle occasioni in cui parliamo, ci scambiamo racconti di vita familiare, sui figli. Poco ciclismo…
Il porgetto Arkea, aspettando le wild card, prevede il Giro con QuintanaIl porgetto Arkea, aspettando le wild card, prevede il Giro con Quintana
Questo significa essere sereni: come va con l’inchiesta francese?
Cosa dire? Hanno aperto un’indagine e pare non abbiano trovato nulla. Sarebbe bello ci fosse un comunicato in cui, al pari di quando il caso è venuto fuori, si annunciasse che è chiuso. E’ giusto che controllino, ma in squadra respiro serenità, in un ambiente più piccolo in cui mi sono davvero ritrovato.
Il tuo programma?
Dopo il debutto di domani, di corsa in Italia. Laigueglia. Strade Bianche. Tirreno. Sanremo. Altura. Ardenne e Giro.
Se vi invitano ci sarai anche tu, dunque?
Senza neanche mezzo dubbio. Manco da due anni, non vedo l’ora di tornarci.
L’intervista a Rebellin ha colto nel segno: per la storia in sé e per le sue (appena accennate) abitudini alimentari. Anche Gianluca Brambilla, con cui avevamo parlato poco dopo, in riferimento al veronese aveva raccontato un allenamento fatto insieme nel 2019 e le singolari barrette fatte in casa che Davide aveva con sé.
«Saranno 4-5 anni che mi sono spostato verso i vegetali – aveva detto Rebellin – a casa ho eliminato la carne, ogni tanto mangio le uova o il pesce. Sento di recuperare meglio. Alle corse è differente, perché non sempre si trovano in giro ceci e altri vegetali proteici, né posso portarmi una valigia troppo grande piena di cibo. Però credo si possa fare attività ad alto livello anche così e credo che questa sarà una tendenza. La carne ha le sue proprietà, ma anche tante tossine».
A questo punto è scattata la curiosità e con essa la seconda chiamata, per capire quando ci sia stata l’inversione di abitudini e perché. E Davide con la consueta cortesia è stato al gioco, aprendoci un mondo di abitudini che certamente porteranno altri approfondimenti.
Rebellin usa disciogliere in acqua un composto derivante dal coralloRebellin tsa disciogliere in acqua un composto derivante dal corallo
Quando hai cominciato a eliminare la carne e perché?
Saranno 5 anni, ma è stato un passaggio graduale. E’ nato per una questione etica, trasmessa da mia moglie Fanfan. Anche lei la mangiava normalmente, ma avendo grande passione per gli animali, lentamente ha cominciato a farne a meno. E devo dire che stiamo bene.
Tutta la carne senza distinzione?
La prima che abbiamo eliminato è stata quella rossa, continuando a mangiare pollo, pesce e uova, ma scegliendo prodotti di cui conoscevamo l’origine. Poi gradualmente abbiamo cominciato a togliere anche il resto, tanto che ormai mangiamo raramente qualche uovo, ma solo quelli che produce un nostro vicino. Alle corse ovviamente è diverso, non potrei andare avanti solo con il riso in bianco, per cui porto una valigia di prodotti con me. E quando finiscono, cerco di arrangiarmi.
Andiamo con ordine, allora. Con cosa fai colazione?
Normalmente mi sveglio alle 6,30-7 e faccio 20’-30’ di esercizi a corpo libero, per addominali, dorsali e più in genere di core stability. Lo faccio ogni giorno da un paio d’anni: un programma completo, quasi un mezzo allenamento a digiuno. Prima però bevo una bella tazzona d’acqua in cui disciolgo un preparato a base di corallo della Coral Club (un’azienda russa che ha punti vendita anche da noi) che si chiama Coral Mine. E’ ricavato da un corallo originario di Okinawa. Ne preparo bottiglie grandi e al risveglio ne bevo mezzo litro.
La colazione vera e propria?
Mi piace mangiare salato. Quindi di solito un piatto di riso integrale o riso amaranto, oppure miglio o quinoa, che si iniziano a vedere anche nella dieta dei corridori alle corse. Una volta mangiavo tanti cereali e latte di riso, ma c’erano troppi zuccheri. Il riso lo condisco con olio di cocco altrimenti, se voglio che sia un po’ dolce, ci metto uvetta oppure noci.
Al mattino per Rebellin riso o anche quinoa, comunque carboidratiAl mattino per Rebellin riso o anche quinoa, comunque carboidrati
Perché olio di cocco?
Non fatemi entrare troppo nel tecnico, ma diciamo che ha varie proprietà, tra cui quella di tanti acidi saturi che hanno un lento rilascio di energia, che vanno benissimo per supportare lo sforzo fisico. A tavola bevo ancora del thè verde. Bevo tanto. Diciamo che tra il risveglio e la colazione, mando giù almeno un litro di liquidi. Quando preparo il riso, non scolo l’acqua: ne metto poca, ma mando giù anche quella. Nella prima ora di bici, mi fermo anche tre volte per andare in bagno. Ma bere è importante.
Brambilla ci ha detto di averti visto portare delle barrette fatte in casa.
Le prepara mia moglie, vero. Le Rebelbomb, le chiamiamo così. Le fa con farina di canapa o grano saraceno, senza glutine. Le porto sempre con me. Nel mio sito per un po’ avevamo pensato anche di vendere le ricette. Inizialmente ha funzionato, ma non avevamo tempo di stargli dietro e ora sono ancora lì.
E quando non hai le barrette di tua moglie?
Ne porto di simili, prodotte da On Energy. Sono biologiche e senza glutine. Se non ne ho, in corsa mangio anche datteri o frutti secchi, facili da confezionare e portare in tasca e rilasciano energia immediata. Non sono una grande spesa e non sovraccaricano il fegato. Diciamo che se vado via per una corsa a tappe, le barrette di mia moglie coprono i primi due giorni, poi passo alle altre.
Il brodo vegetale di sua moglie viene usato da Rebellin per idratarsi anche fuori dai pastiIl brodo vegetale di sua moglie viene usato per idratarsi anche fuori dai pasti
Torniamo a quando sei a casa: se stai fuori, come dicevi, anche sei ore per volta, sicuramente salterai il pranzo…
Esatto, ma non faccio sempre quelle distanze. Se infatti faccio 2-3 ore, porto sempre qualcosa da sgranocchiare per non arrivare a casa troppo affamato. Quando rientro, di solito faccio uno spuntino, con frutta. Banane, avocado o una barretta di mia moglie. Bevo ancora acqua con il corallo, magari in una tisana. Diciamo che di solito rientro fra le 15 e le 16. Se torno più tardi, anziché mangiare, bevo e basta. Mia moglie fa parecchi brodi vegetali, magari bevo un po’ di quelli.
E come fai ad arrivare a cena senza… mangiare anche i mobili?
Ceniamo presto, fra le 17,30 e le 18. Sono gli orari in cui si assimila meglio, come i nostri nonni che tornavano dai campi. C’è anche il tempo per digerire prima di andare a letto, anche se poi fino a colazione ci sono parecchie ore. Così se mi viene fame, magari prima di andare a dormire faccio un spuntino con una patata o una mela o prodotti freschi del periodo.
La cena in cosa consiste?
E’ un pasto pabbondante. Inizio con un piatto di verdure crude, insalata, cavolo cappuccio o carote condite con olio di oliva. Poi un piattone di riso o quinoa, amaranto o miglio, di solito non lo stesso che ho mangiato per colazione. Poi legumi molto proteici come lenticchie, fagioli o ceci. Stranamente, a tavola non mettiamo nemmeno i bicchieri. Beviamo prima, per arrivare a tavola ben idratati. A volte quando abbiamo ospiti, c’è da ridere perché non mettiamo i bicchieri neanche per loro… E alle 21 si va a letto. Bevo prima una tisana o ancora brodo vegetale caldo, soprattutto d’inverno.
Rebellin ama la pizza, quella vera, anche se gli fa male. Non ama la pizza senza glutineRebellin ama la pizza vera, non quella senza glutine
A cosa porta tutto ciò?
Al fatto che recupero meglio, nell’immediato e il giorno dopo, sono meno intossicato. L’organismo non deve smaltire le tossine della carne, che lo affaticano. Di fatto assumo le proteine attraverso i vegetali, ma la mia dieta è molto ricca di carboidrati, che secondo me devono essere la base per fare sport.
Non hai parlato di pasta.
A volte consumo pasta di riso oppure di ceci, che produce Pedon di Vicenza, specializzata in tutto ciò che è leguminoso. Fanno preparati veloci, molto utili e anche gustosi. Quando al mattino mangio pasta, ne preparo di solito 250 grammi. La mia regola di sempre è non arrivare mai a casa affamato. Meglio fare dei piccoli spuntini durante il giorno.
E in corsa, dopo l’arrivo, cosa mangi?
E’ importante farlo subito, adeguandosi agli orari. Per cui appena arrivo mi cambio e ho con me uno shake con banane, fiocchi di avena senza glutine, fiochi di grano saraceno, che contengono proteine vegetali. Obiettivo arrivare a cena senza troppo fame. E bevo anche 1,5 litri d’acqua.
Queste sono le Rebelbomb con mandorle e datteri
Ecco la Rebelbomb solare
Le Rebelbomb con quinoa, nocciola e cacao
La Rebelbomb Orange Power
Le Rebelbomb con mandorle e datteri
Ecco la Rebelbomb solare
Le Rebelbomb con quinoa, nocciola e cacao
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Borracce in corsa?
Due. Una di acqua con corallo e l’atra con integratore salino senza glutine.
Senza glutine per intolleranza?
Di cui mi accorsi nel 1997, nell’anno alla Francaise des Jeux. E’ passato un secolo, ma avevo fatto un brutto Tour a causa di una manipolazione fatta male che mi aveva scombinato tutto. Per farmi rimettere a posto andai dal dottor Poser, che mi aveva presentato Flavio Vanzella. Lui nella prima seduta mi sistemò le vertebre, tanto che il weekend dopo vinsi San Sebastian e quello successivo Zurigo. Poi mi propose di depurare il mio organismo e senza analisi, che magari ai tempi nemmeno erano così rapide o efficaci, mi tolse glutine e formaggi. Iniziai a sentirmi bene e a sgonfiarmi. Il lavoro dell’intestino era alleggerito, respiravo meglio, ho anche perso peso che non guasta. Cominciai a portarmi da casa la pasta senza glutine e la davo ai cuochi degli hotel. All’inizio mi guardavano come un matto, poi anche Bartoli chiese di averne per sé, ma ne avevo a malapena per me. Non si trovava. Alternavo pasta senza glutine e riso in bianco, ora quello integrale, che ha rilascio più lento.
Un regime abbastanza particolare.
Che però funziona. Morirei per mangiarmi più spesso una pizza, ma so che mi fa star male, per il glutine e il formaggio. Anche se a volte si fa uno strappo, perché è giusto togliersi qualche sfizio. Dovete vedere quando vado a casa dei miei. Per loro senza bistecca, non si sta bene. Eppure credo che lentamente ci si sposterà in questa direzione. Anche per gli sportivi.
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«Ho appena parlato con il dottor Corsetti – dice Viviani – e il controllo è confermato 15 giorni dopo l’intervento, quindi niente bici in questo weekend. Riprenderò mercoledì con passeggiate di un’ora. E il controllo sarà venerdì 5 febbraio o sabato 6. Non è come un infortunio della gamba, che sai come funziona. Il cuore fa da sé, zero controllo, se non il chip che mi hanno messo sotto pelle con il quale sarò monitorato qualunque cosa faccia».
Nessuna possibilità di anticipare il rientro, ma non saranno 4 giorni a fare la differenza. E in palio quest’anno ci sono trofei troppo importanti per rischiare ricadute.
Prima del problema al cuore, Elia era stato in ritiro con la squadraPrima del problema al cuore, Eliva era stato in ritiro con la squadra
Cardio impazzito
Viviani era a Verona, impegnato in uno di quegli allenamenti tutti uguali di inizio stagione. Era da un po’ che non faceva Sfr sulla salita delle Torricelle, ma essendo di ritorno da un breve ritiro in Spagna con la Cofidis, aveva deciso di passare qualche giorno a casa dei suoi.
«Poi sarei tornato in Spagna per altri 5 giorni prima di Almeria – racconta – e così ero lì che mi allenavo, in una domenica normale, come tante. E mentre facevo la salita a 150 battiti, ho cominciato a sentire delle palpitazioni anomale. Non mi era mai capitato niente del genere. Giusto il tempo di rendermene conto e guardare il diplay del computerino e ho visto che segnava 225-227 battiti che non scendevano. Non era un errore della fascia posizionata male, insomma. Così mi sono fermato e dopo 30 secondi i battiti sono scesi. Ho preso paura, ma a casa ci sono tornato pedalando per un’oretta, con i giusti battiti e certi pensieri che non vi dico. Ho già avuto in passato delle aritmie, ma erano dovute allo stress e al caffè che ho smesso di prendere…».
Elia Viviani nell’ospedale di Ancona con il dottor CorsettiElia Viviani nell’ospedale di Ancona con il dottor Corsetti
Garanzia Corsetti
Comincia così il racconto di Elia, dalla casa di Monaco dove sta per iniziare la seconda settimana di riposo imposta dall’equipe di Ancona che ha eseguito l’ablazione grazie alla quale a breve potrà riprendere a pedalare normalmente.
«Avevo fatto l’idoneità il 18 dicembre – dice – con l’holter e tutto quello che si usa in questi casi e non c’era stato il minimo problema. Ma siccome una cosa del genere non mi era mai successa, ho chiamato il dottor Corsetti. Con lui ho lavorato negli anni della Liquigas. E poi, siccome gli atleti residenti all’estero devono comunque avere un referente medico in Italia, da quando sono a Monaco, lavoro con lui. Roberto è molto preciso, sia per l’idoneità, sia per la gestione dell’Adams e dei prodotti da dichiarare. Con lui sono tranquillo».
La sua De Rosa dovrà rimanere a riposo fino a mercoledì prossimoLa sua De Rosa dovrà restare ferma ancora per una settimana
Due settimane di stop
Il fatto è che per il giorno dopo, lunedì 17 gennaio, Corsetti deve vedersi ad Ancona con Ulissi. E anche se dice a Viviani di non preoccuparsi, suggerisce che vale la pena approfittare del viaggio nelle Marche per farsi visitare dall’equipe del professor Antonio Dello Russo.
«Come quando vai dal meccanico e la macchina non fa più il problema – dice – la paura era che la tachicardia non si ripresentasse. Invece hanno stimolato il cuore nel modo giusto e le palpitazioni sono ricominciate. Hanno parlato di un’infiammazione rimasta da qualche infezione precedente. Io non ho fatto il Covid, quella spiegazione non poteva esserci. Comunque hanno fatto l’ablazione e poi mi hanno messo a riposo per due settimane. Volevo provare a scendere a 10 giorni, ma non cambia poi un granché, meglio guarire completamente. Ieri ho fatto un ecodoppler per stabilire se le arterie si siano rimarginate nel punto da cui sono entrati, cioè all’altezza dell’inguine, ed è tutto a posto».
L’attività riprenderà presto con il suo gruppo, qui con Fabio SabatiniL’attività riprenderà presto con il suo gruppo, qui con Fabio Sabatini
Un po’ di fortuna
I programmi ovviamente cambiano, ma neanche troppo. Elia non correrà certo ad Almeria, in calendario il 14 febbraio, ma tornerà in Spagna per un altro ritiro in vista del debutto allo Uae Tour.
«Non ci arriverò come speravo – dice – ma ci sarà tutto il tempo per crescere fino alla Tirreno, dove invece vorrei tirare insieme qualcosa. Perciò c’è da aspettare il tempo giusto, confidando nel fatto che grazie al chip che mi hanno impiantato sottopelle vicino alla clavicola, da Ancona possono monitorare le mie 24 ore. Dovrò tenerlo per un anno e mezzo e se poi non ci saranno altre anomalie, lo toglieremo. Di sicuro, meglio che mi sia successo ora che a giugno. E meglio in allenamento che in corsa. Chissà se avrei avuto la sensibilità, magari andando a tutta, di riconoscere le palpitazioni. Mi sarei dovuto ritirare, ma magari avrei avuto dei giramenti di testa. Perciò tornerò in Spagna dopo il mio compleanno (7 febbraio, ndr) e rientrerò per andare negli Emirati. Se farò tappa a Milano, magari andrò in pista a Montichiari. Altrimenti ci farò un passaggio nei 10 giorni prima della Tirreno. Ho già fatto due bei blocchi di lavoro in altrettanti ritiri a cavallo di fine anno. Cerchiamo di tenere il treno sul binario giusto».
Ci sarà da vedere sul campo se la serenità che al momento è il mood permanente di Tadej Pogacar sia vera o sia piuttosto il modo di tenere lontane le tensioni in una fase dell’esistenza in cui il Covid, le barriere artificiali e le distanze geografiche rendono ogni confronto più ovattato.
Lo sloveno vincitore del Tour tutto sommato ha avuto svariate occasioni per raccontare il suo pazzo 2020, ma ha dovuto/potuto farlo davanti allo schermo di un computerche ha permesso alle sue emozioni di passare inosservate e impedito a chi poneva le domande di percepire il fremito dell’esitazione e il brillare dell’orgoglio. Un po’ come definire “corsa” la sfida virtuale sui rulli. L’avversario devi averlo accanto e subirne o imporgli lo sguardo per poter dire di essere stato più forte o battuto con merito.
Aver avuto il vaccino prima di tutti lo mette al riparo da grandi preoccupazioni (foto Fizza)Il vaccino lo mette al riparo dalle preoccupazioni (foto Fizza)
Vaccino: fatto!
Fra i primi passi nel lanciare il nuovo anno, lo sloveno della Uae Team Emirates ha potuto godere come i compagni del vaccino cinese che in qualche modo renderà più semplice la vita al suo team, nel consueto “liberi tutti” del ciclismo in cui chi prima arriva alla cura, per primo ne trae vantaggio. Che cosa succederà se di colpo le compagnie aeree e i Paesi chiederanno il passaporto vaccinale e soltanto una squadra lo avrà in mano? Il ciclismo si fermerà ancora? Sgombrato comunque il campo dalla preoccupazione del Covid, la sua attenzione si è così concentrata nuovamente sul Tour.
Alla Planche des Belles Filles, Pogacar sfinito dopo l’arrivo: «Potevo anche saltare io»Alla Planche des Belles Filles: «Potevo anche saltare io»
Qual è ora la tua preoccupazione?
Ora devo solo essere preparato fisicamente, come lo sono stato l’anno scorso e avere un buon supporto dalla squadra. Essere il vincitore uscente del Tour sarà molto, molto più difficile. E’ la prima volta che difendo una vittoria e sarà una cosa completamente nuova per me. Ma penso che se ci vado preparato e motivato, potrò fare ancora bene.
Qualcuno si è stupito delle tue prestazioni.
Ma dalla mia esperienza alla Vuelta del 2019, io sapevo di poter fare bene nella terza settimana di un grande Giro e questo mi ha dato fiducia quando siamo arrivati alla fine del Tour. Ho passato un paio di tappe in cui non mi ero sentito troppo bene, ma alla fine ero sempre con Roglic. Non si può dire che sia stato meno forte di lui. Per questo penso che lui e i suoi compagni abbiano parlato nella foga del momento. In quella crono non c’è stato niente di incredibile.
L’autista del pullman ci ha raccontato che scendendo per il riscaldamento hai visto i meccanici che preparavano la bici bianca per Parigi e hai chiesto perché non fosse gialla…
Stavo bene, ma quella è stata una battuta. Le cronometro sono abbastanza semplici, specialmente l’ultimo giorno, quando sai che quello sarà anche l’ultimo grande sforzo che dovrai fare. Sarei anche potuto scoppiare sulla salita finale e perdere il podio, ma per fortuna non è successo. Ho vissuto una giornata fantastica. Mi sono riscaldato bene, ho fatto un ottimo cambio di bici e ho dato tutto. Ho capito di aver vinto solo dopo aver passato la riga.
Alla Vuelta 2019, Tadej Pogacar aveva già tenuto testa a Roglic e Valverde, vincendo la penultima tappaAlla Vuelta 2019, Pogacar si era misurato con Roglic e Valverde
Quali sono state le tappe difficili di cui hai parlato?
Quelle in cui ho perso Aru e Formolo, che non sono stati bei momenti per la squadra. E poi è stato duro anche il giorno dei ventagli, dove abbiamo perso troppo terreno.
Con quale spirito si ricomincia?
Quello di ogni anno, in realtà. Con l’attesa delle prime corse per scacciare la paura di non essere migliorato e tutti gli scongiuri per non avere sfortuna. In realtà per ora non ci sono grossi ostacoli. Se rimarrò concentrato e andrò avanti con gli stessi obiettivi e la stessa motivazione, penso che continuerò a migliorare.
Quanto ti infastidisci o trovi insolito dover già parlare del Tour?
Sono il vincitore uscente e di sicuro sono anche un favorito, ma non so se sono il favorito principale. Ci sono molti corridori e c’è ancora molta strada da fare. Vedremo prima del Tour chi sarà l’uomo su cui scommettere, chi avrà vinto il maggior numero di gare prima e arriverà più forte in Francia.
E’ stato davvero così stressante quest’ultimo inverno?
Non è stato un grosso ostacolo. E’ parte del mio lavoro. Cerco sempre di ricavarmi del tempo tutto mio al di fuori delle corse e degli impegni con la stampa e questo mi permette di rimanere rilassato. Credo che la mia vita non sia cambiata poi molto.
Aver vinto ti ha dato più fiducia in Tadej Pogacar?
Forse un po’, ma io sono sempre stato fiducioso e realistico circa le mie capacità. Sarò ancora super motivato per questa stagione, ma di sicuro sono più rilassato ora di quanto non fossi prima. Non dimentico il passato, ma non penso sempre a quello che ho fatto e non ne parlo, perché è già successo. Voglio concentrarmi sulle prossime gare.
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Le attese logorano?
Non credo. Anzi, è più difficile far passare i giorni vuoti di tensione. Mi aspetto che le corse saranno dure e veloci come sempre e il livello sempre più alto.
Vincere il Tour è stato uno step importante, paragonabile in proporzione alla vittoria nel Tour de l’Avenir?
Sono stati tutti e due molto impegnativi, ma restano difficili da comparare, perché li ho vissuti in due fasi molto diverse della mia carriera. Di certo in entrambi i casi ho dovuto dare il mio meglio.
Pensi che sarà dura ora contenere il ritorno di corridori come Nibali e la voglia di riscatto di Evenepoel?
Sono entrambi corridori di punta ed entrambi hanno qualità uniche. Ma ancora una volta cercherò di restare concentrato su me stesso più che sui miei avversari.
Pensi di aver vinto il Tour più con le gambe o più con la testa?
E’ stato un mix perfetto, ma non dimenticherei la squadra. Ho avuto un grande supporto. E anche nei momenti in cui sembrava che fossi da solo, non mi sono mai sentito davvero isolato.
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«Ero arrivata al punto di non riconoscermi più – dice Elena Cecchini – soprattutto perché sono molto ambiziosa e faccio fatica ad accettare la sconfitta. Dover lavorare per una compagna, se magari avevo una buona condizione, mi sembrava un’opportunità persa. Stessa cosa se avevo spazio per fare la mia corsa e sbagliavo qualcosa: un’altra opportunità persa. Era diventato logorante e al contempo era come se alla squadra andasse bene lo stesso. Non è stato facile andar via, perché la Canyon ormai era una famiglia, ma non avevo stimoli. Come se la prestazione non fosse più utile. Avevo bisogno di uscire dalla mia comfort zone, soprattutto dopo un 2020 così pesante».
La friulana racconta così il cambio di squadra, che l’ha vista passare dalla tedesca Canyon Sram Racing in cui correva dal 2016, alla olandese SD Worx, squadra Specialized, contattata addirittura da Anna Van der Breggen, la campionessa delle due maglie iridate di Imola, che alla fine del 2021 si ritirerà per diventarne direttore sportivo.
A Plouay, Cecchini è 5ª, piazzandosi nella volata per il 3° posto dietro Consonni e BastianelliA Plouay 2020, Cecchini coglie il 5° posto,
Ti ha davvero cercato lei?
Ad aprile, con un messaggio. Ci ho pensato per un po’ e poi sono saltata sul treno. Fare l’ultima stagione con lei, per quello che potrà trasmettermi, è un lusso cui non ho voluto rinunciare.
Sicura che non andrai soltanto per tirare?
Sicuramente avrò i miei spazi. Anna è un’atleta che a fine anno vince tantissimo, ma ci saranno opportunità se le gambe parleranno nel modo giusto. Questo è un bene, perché se sono troppo rilassata, non vado benissimo. Ed essere in un team di ragazze che lavorano duro e devono guadagnarsi il posto sarà sicuramente contagioso.
Perché il 2020 è stato pesante?
Il lockdown mi ha permesso di passare dei buoni mesi a casa con Elia (Elena è da anni la compagna di Elia Viviani, ndr), ma ho lavorato troppo e sono arrivata sfinita alla ripresa. Non vedevo l’ora che arrivasse il 31 ottobre, per fare il campionato italiano e staccare. Non mi pareva di aver fatto chissà cosa sui rulli, ma il mio fisico non ha metabolizzato niente. Quando ho fatto la prima uscita, sono tornata a casa dopo due ore e volevo piangere per i dolori muscolari. Quindi sono stata in altura ed è andata benino fino agli europei, poi è stato tutto un calare.
Serviva un bel reset…
E c’è stato. Tre settimane senza bici, anche se noi ciclisti abbiamo sempre paura di riposare, credendo di perdere chissà cosa.
Chi segue la tua preparazione?
Dal 2018 lavoro con Marco Pinotti, un altro che aveva bisogno di nuovi stimoli dopo l’ultimo anno alla CCC. Ora al Team Bike Exchange è molto motivato e tranquillo. Ci sentiamo spesso al telefono, ogni giorno se il lavoro da fare è specifico. Mi trovo bene, perché verifica quello che faccio e se qualcosa si discosta dal lavoro impostato, mi chiama e ci spieghiamo. Posso parlarci liberamente.
Come sei arrivata a lui?
Me lo ha consigliato Elia. Avevano condiviso la camera alle Olimpiadi di Londra ed era rimasto stupito dal fatto che la sera prima avesse dichiarato il wattaggio medio che avrebbe fatto l’indomani nella crono e si fosse discostato di pochissimo. «Uno così – mi ha detto – è quello che ci vuole per una precisina come te». E aveva ragione.
Nel 2016, Elena Cecchini ha vinto la maglia tricolore a Darfo Boario. Qui con Elia VivianiNel 2016, Cecchini ha vinto la maglia tricolore. Qui con Elia Viviani
Hai già un programma?
Inizierò dall’Het Nieuwsblad, senza fare la Valenciana. Poi Strade Bianche e il Trofeo Binda a Cittiglio, che sarà il mio primo obiettivo. Sono stata selezionata per il Fiandre, mentre aspetto di fare una ricognizione per capire se fare la Roubaix. Non ho mai corso su quel pavé, non so cosa aspettarmi, anche se la squadra mi vorrebbe portare.
Mondiale oppure Olimpiadi?
Il mondiale è il primo obiettivo. Su Tokyo sono arrivata al mio pensiero Zen. Sono stata a Rio, l’highlight di una carriera. Tutti mi dicevano quanto fosse spettacolare partecipare e al momento l’ho pensato. La realtà è che se mi guardo indietro, scopro che ciò che conta è la medaglia. Per cui il mio obiettivo sarà andar forte e poi semmai sarò considerata. Sarebbe anche bello andare a vedere il percorso, perché c’è chi dice che sia durissimo e chi lo dipinge più scorrevole…
E nel frattempo la vita di Cecchini e Viviani scorre tra il Friuli e Monaco?
Esatto. Abbiamo passato le Feste in Italia e ora siamo a Monaco. Ci organizziamo dei blocchi di vita e di lavoro, anche se adesso staremo per un po’ qua, con l’aeroporto di Nizza vicino che è molto comodo e un clima migliore. Ma non so se quando smetterò vorrò continuare così. Per ora mi godo la mia nuova vita e più avanti, si vedrà.
L'ipotesi che Viviani corra su strada a Parigi è allo studio. Lui parla chiaro: «Non sarei competitivo per il risultato. Aiuterei. Il focus resta la pista»
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«Sabato abbiamo fatto quasi sei ore – dice Brambilla – la scorsa settimana ne sono saltate fuori 26. Per fortuna ieri c’è stato riposo».
Il ritiro della Trek-Segafredo procede con l’intensità giusta, nella bolla anti-Covid che rende tutto ovattato, ma nulla può contro la fatica. Il vicentino di stanza a Monaco ha ripreso di buona lena dopo il 2020 che era ripartito bene dopo il lockdown, ma si è infranto contro l’asfalto della tappa di Vieste, nella caduta che ha compromesso il ginocchio e a Piancavallo l’ha costretto al ritiro.
Nel 2016, Brambilla vince la tappa di Arezzo al Giro e conquista la maglia rosa, che dedica a Cristina e ad AsiaNel 2016, tappa di Arezzo al Giro, maglia rosa e dedica alle sue donne
«Ma adesso sto bene – dice – è rimasta solo una brutta cicatrice. Ho fatto la risonanza e non c’erano lesioni, solo liquido. Per cui me la sono cavata con un periodo di riposo. Peccato, perché il 2020 fino a quel punto non era stato da buttare. E’ stato una stagione stranissima. Alla Tirreno avevo una buona condizione. E quando si è visto che Nibali non stava tanto bene, ho fatto io classifica e alla fine c’è scappato un nono posto. Il ritiro dal Giro scoccia, perché sentivo che avrei potuto fare davvero qualcosa di buono per Vincenzo».
Ormai hai la dimensione del gregario oppure ci sarà spazio anche per te?
Tutte le corse, se starò bene, saranno buone. Logico che se ci sono Vincenzo e Giulio (Ciccone, ndr), io corra per loro, ma non saremo sempre insieme. Nel mio calendario “libero” ci sarebbero Murcia e Almeria, se si faranno. Altrimenti Haut Var, Drome-Ardeche, Laigueglia, Strade Bianche, Catalunya e niente Tirreno. Poi altura sul Teide, quindi Trentino e Giro insieme a loro.
Al Giro del 2019 attacca con Capecchi verso Pinerolo, ma non trova collaborazioneAl Giro 2019 poca collaborazione di Capecchi verso Pinerolo
Pensi di aver lasciato delle occasioni lungo la strada?
Non rimpiango niente. Qualche volta, soprattutto negli ultimi anni, sono andato forte, ma non sono riuscito a concretizzare. All’Emilia del 2018 ho bucato all’ultimo chilometro, quando stavo per riprendere De Marchi che ha vinto. Nella tappa di Pinerolo al Giro del 2019 si poteva arrivare, ma Capecchi ha corso per perdere. Se ci penso altri 5 minuti trovo un altro mazzetto di occasioni perdute. La fortuna sarà cieca, ma la sfortuna ci vede benissimo. Eppure la sensazione di poter andare ancora forte mi dà la motivazione per migliorare ogni anno.
Nel 2020 sei sembrato molto in palla.
E’ stato l’anno in cui mi avete visto più tirato, anche se poi al Giro è successo il patatrac. A volte mi rendo conto solo io che vado forte, perché non faccio risultato. Quest’anno compio 34 anni, il tempo passa, vado verso al maturità.
Nel 2020 corre il Giro dell’Appennino con Nibali in maglia azzurra. C’è anche MosconNel 2020 corre l’Appennino con Nibali. C’è anche Moscon
Mi sono allenato qualche volta con lui a Monaco e va forte. Nel 2019 l’ho trovato subito dopo il Giro, avevo una bella gamba e preparavamo entrambi il campionato italiano che ha vinto Formolo. Abbiamo fatto la salita di Seborga e andavamo forte, tanto che in cima abbiamo fatto la volata. Non c’è stato verso di staccarlo. E’ un personaggio umile, molto serio sul lavoro e come persona. Fa ciclismo in modo totale, addirittura porta con sé barrette che prepara da sé.
Rebellin dice di aver cambiato molte cose, dalla preparazione all’alimentazione.
Essere curioso fa parte anche del mio carattere, c’è sempre da imparare. Questo mi dà voglia di fare fatica e rende accettabile la lontananza da casa durante i ritiri. Per contro devo dire che il ciclismo ormai è il mio ambiente, sarebbe difficile fare senza. Non correrò fino a 50 anni, ma mi piacerebbe fare qualcosa nell’ambiente. Già adesso provo a fare la mia parte, parlando con i più giovani, ma sanno già tutto. Alcuni ascoltano, però certe volte sembra davvero di gettare parole al vento.
Il Giro 2020 di Brambilla prende una brutta piega con la caduta di Vieste e il colpo al ginocchioIl Giro 2020 compromesso dalla caduta di Vieste
Poco fa hai parlato di famiglia, ricordiamo la dedica dopo la tappa di Arezzo alle tue “due bambine…”.
Asia ha ormai 4 anni e mezzo e sono felicissimo. Il post allenamento è più impegnativo dell’allenamento, perché rientri e hai da giocare per altre due ore. La fatica inizia lì, ma non me la perderei per nulla al mondo. Con lei c’è sempre Cristina, la mia ragazza, ma quando ci sono cerco di essere un padre presente. Per fortuna il lockdown l’abbiamo passato in Italia, altrimenti in appartamento saremmo impazziti.
A proposito di lockdown, nonostante tu abbia 33 anni, sei fra i pochi usciti bene da quel periodo…
Ho fatto il giusto, non troppo. Sui rulli al massimo un’ora al mattino e una il pomeriggio. Non avevamo neppure un obiettivo, non serviva fare di più. Non è stato un bel periodo. Ne ho approfittato per togliere una ciste che mi ha fatto perdere 10 giorni prima di andare al primo ritiro a San Pellegrino. Ho ripreso a correre un po’ indietro, ma dalla Tirreno ero a posto. Non so come abbiano fatto gli altri ad avere la testa per stare tutto quel tempo sui rulli…
Corsa da campionessa a Plouay ed Elisa Longo Borghini aggiunge una perla al suo palmares. Era la prima corsa dopo l'altura. Ora Vuelta ed europei a Trento
E’ l’ultimo dell’infornata di ragazzini che, scaduto il blocco olimpico del 1992, si riversarono in gruppo. Rebellin si affacciò al professionismo assieme a Casartelli e Pantani, Bartoli e Casagrande, Belli e Lombardi. Ma mentre gli anni e il destino hanno inesorabilmente esaurito le loro parabole, Davide è pronto a riattaccare il numero anche nel 2021, che il 9 agosto lo vedrà compiere 50 anni.
Il viso non ha più la freschezza che ai francesi suggerì il paragone con Tin Tin, ma in fondo al suo sguardo si riconosce il ragazzo cui sfuggì d’un soffio il mondiale di Stoccarda del 1991 e che nel 2004, un pochino più grande, portò a casa il filotto Amstel, Freccia e Liegi, perle in un bottino di 50 vittorie.
La sua carriera subì tuttavia un brusco stop a Pechino 2008, con la medaglia d’argento strappata per una discussa positività all’antidoping. Scontata la squalifica, Davide è tornato e ha colto 16 vittorie, malgrado la lettera scarlatta cucita sul petto. Nessuna grande squadra ha infatti voluto riprenderlo, come anche in seguito è accaduto invece con altri. Da Basso a Riccò, passando per Di Luca.
Così all’Amstel del 2004, Rebellin batte Boogerd allo sprint: a seguire vincerà Freccia e LiegiCosì nel 2004, Rebellin batte Boogerd all’Amstel
Si hanno umori contrastanti davanti alla sua abnegazione. Da un lato viene spontaneo associarsi ai cori di ammirazione, dall’altro viene da chiedersi il perché. E così, in questo inizio del nuovo anno, abbiamo pensato di chiederlo proprio a lui. Al ragazzino classe 1971 che quest’anno correrà con la Cambodia Cycling Academy.
Quasi 30 anni da professionista e si riparte…
Un’altra stagione. Stavolta la squadra è di qui, il fondatore è francese. Ho corso con lui alla Sovac, poi ha creato questa continental in cui mi avrebbe voluto già l’anno scorso. Fanno un bel calendario, non solo in Oriente, ma anche europeo.
Dove trovi la voglia?
Sono motivato, mi diverto. Allenarmi e avere degli obiettivi mi stimola e fa parte della mia quotidianità. Ho un calendario meno intenso di una volta, ma lo stesso se sto due giorni senza pedalare, ne sento il bisogno. Non è una droga, ma aiuta a stare bene. Insomma, se mi vedo competitivo, continuo.
Con Bettini e per Bettini a Salisburgo: Rebellin fra gli azzurri che scortano Paolo al primo irideCon Bettini e per Bettini: gli azzurri scortano Paolo al primo iride
E’ cambiato tutto, sei cambiato anche tu?
Il modo di correre è diverso, il ciclismo è diverso. Ora curo molto più la qualità che il volume. Faccio ancora le 7-8 ore, perché mi piace, ma soprattutto faccio lavori di forza ed esplosività, che si tende a perdere con gli anni. Lavori brevi e intensi, perché penso di avere già la resistenza.
Hai un preparatore?
Faccio io e in aggiunta alleno qualche corridore, fra cui Johan Le Bon che l’anno scorso si è operato due volte all’arteria iliaca. La Vital Concept non lo ha confermato, ma siccome è un ragazzo di talento che da junior ha vinto il mondiale, verrà in squadra con me, in modo che io possa seguirlo meglio. Metto a frutto quello che ho imparato sulla strada e anche da Zenoni (il suo tecnico di sempre, nella nazionale dilettanti e poi al Team Polti, ndr).
L’argento di Pechino, dietro Samuel Sanchez: l’anno dopo per Rebellin, la tegola della positivitàL’argento di Pechino, ma nel 2009 la tegola della positività
Fare il preparatore sarà il tuo futuro?
Mi piacerebbe, facendo però a modo mio. Non guardo il misuratore di potenza, parto dalla frequenza e dalle sensazioni. Voglio avere un rapporto diretto con il corridore, senza spedire tabelle. Poi sto lavorando a qualche camp con gli amatori, i RebelCamp che facciamo a Gran Canaria. L’idea era di farne uno a febbraio a Monaco, che ora abbiamo spostato. Accompagnare i cicloturisti e trasmettere loro la passione, rispondere alle loro domande…
Che cosa ti chiedono?
Principalmente di allenamento e alimentazione, cercando di carpire i miei segreti. Ma anche di gare. Della Liegi e della Freccia, dell’atmosfera di quelle gare.
A proposito di alimentazione: hai cambiato qualcosa?
Saranno 4-5 anni che mi sono spostato verso i vegetali. A casa ho eliminato la carne, ogni tanto mangio le uova o il pesce. Sento di recuperare meglio. Alle corse è differente, perché non sempre si trovano in giro ceci e altri vegetali proteici, né posso portarmi una valigia piena. Però credo si possa fare attività ad alto livello anche così e credo che questa sarà una tendenza. La carne ha le sue proprietà, ma anche tante tossine.
Con la maglia dell’Androni, nel 2009 prima della squalifica, Rebellin piega Schleck e vince la 3ª Freccia ValloneNel 2009 con la maglia dell’Androni, vince la 3ª Freccia Vallone
La tua carriera è divisa in due da Pechino.
E’ stato un momento di snodo. Prima c’è stata la carriera dei risultati migliori e delle grandi squadre. Dopo ho rincorso un contratto per partecipare alle corse più adatte a me e un calendario normale. E’ stato sempre più difficile trovare una maglia. Solo la CCC Polkowice, crescendo, mi ha permesso di fare l’Amstel.
Credi di essere riuscito a dimostrare la tua teoria?
Ho avuto l’assoluzione dalla giustizia ordinaria, ma per riavere la medaglia dovrei fare causa al Comitato Olimpico Internazionale davanti a un tribunale svizzero. Sarebbe una spesa enorme, che non mi sento di fare. Sento mia la medaglia. L’assoluzione un po’ ha dimostrato che quella positività non fu chiara, ma certo questa storia me la sono portata dietro troppo a lungo.
Nel 2011 Rebellin corre nella Miche continental e vince da solo la Tre Valli VaresineCorre nella Miche continental e vince la Tre Valli del 2011
Perché non c’è stata clemenza nei tuoi confronti?
Probabilmente perché è accaduto alle Olimpiadi. Ancora non ho avuto risposte su quel test e penso che non le avrà mai. Sono stato discriminato, mi sono state chiuse in faccia tante porte. Ero ancora competitivo e le squadre che avrebbero voluto prendermi non hanno potuto farlo. Ho continuato a correre anche per quello. Forse se avessi potuto riprendere nel modo giusto, mi sarei fermato già da 10 anni.
Come va in gruppo con colleghi che hanno la metà dei tuoi anni?
Non conosco nessuno. Al massimo qualche ragazzo che vive a Monaco. Nel WorldTour l’ambiente è chiuso e ci si conosce tutti, nelle continental no. Questi ragazzini potrebbero essere miei figli, sono cresciuti guardando le mie gare e così vengono a conoscermi. Una volta si avvicinavano per le mie vittorie, adesso c’è anche la curiosità di vedere come sia fatto un cinquantenne che fa ancora il professionista.
Nel magico 2011 con la Miche, Rebellin vince anche il Trofeo MelindaNel magico 2011 con la Miche vince anche il Trofeo Melinda
Ci avresti mai creduto?
Io forse no, ma Zenoni me lo disse: «Potresti andare avanti fino a 50 anni, tenendo il tuo livello, se soltanto avrai le motivazioni per stare ancora lì ad allenarti e correre».
I corridori erano pagati un milione (di lire) a punto e tu chiudevi le stagioni sempre fra i 1.500 e i 2.000 punti Uci. Com’è economicamente adesso?
Adesso bisogna quasi pagare per andare a correre. Non lo faccio per questo, altrimenti avrei smesso. Ho sperato di trovare una squadra che potesse pagarmi, perché credo di essere ancora un buon investimento. Potrei essere un direttore sportivo in corsa, porterebbe molto interesse. Starei accanto ai corridori giovani e allo stesso tempo sarei una bella pubblicità per chi compra bici da 15mila euro e ha la mia età. Non ho problemi di soldi, altrimenti non potrei vivere a Monaco. Su quel fronte sono a posto.
Gli anni passano, Rebellin non si piega: nel 2014 a 43 anni vince il Giro dell’EmiliaGli anni passano, Rebellin non si piega: nel 2014 vince l’Emilia
Ti manca non aver avuto figli?
Non ci pensiamo. Se arrivassero sarebbe bello, ma non li abbiamo mai cercati in altro modo. I figli sono la vita, nulla contro, ma così sono libero di coltivare la mia passione.
Torni spesso in Italia?
A volte, approfittando delle visite in alcune aziende con cui collaboro, passo una settimana con i miei genitori. Mio papà ha venduto il negozio 8 anni fa, ma uno spicchio l’ha tenuto mio fratello Carlo, che dopo aver smesso di correre ha aperto un bar, L’Ultima Tappa, che lavora bene. Invece l’altro fratello, Simone, dopo gli anni con la Liquigas, ha aperto il suo studio di osteopata proprio lì vicino. In Italia mi alleno spesso anche quando sono a Monaco, anche se ora non fanno passare a causa del Covid.
All’Agostoni del 2015, Rebellin piega Nibali tricolore e BonifazioAgostoni 2015, Rebellin su Nibali tricolore e Bonifazio
Sai già quando comincerai?
Se tutto viene confermato, il 31 gennaio al Gp la Marsellaise, poi l’Etoile de Besseges e da lì andremo avanti con i vari inviti, sperando che si possa correre.
Cosa vuoi dimostrare?
Parto sempre per vincere, non per farmi vedere. Mi alleno per arrivare al meglio, ho sensazioni di alto livello ed è questo che mi spinge ad andare avanti. Dopo la squalifica ho vinto le mie belle gare. L’Agostoni, l’Emilia, il Melinda. Vivo alla giornata, avrei già proposte per il 2022, ma andiamo avanti un passo per volta. Potrei fare un altro anno o fermarmi a metà di questo, se mi vedessi in coda al gruppo a fare troppa fatica…
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Il condominio in cui vivono insieme Valerio Conti, Davide Formolo e Tadej Pogacar sta in un quartiere di Monaco che si chiama Fontvieille e si allunga verso la Francia. Il romano, che combatte ancora con la lussazione della spalla ma è ugualmente in partenza per il primo ritiro, giura che è stato quasi per caso, ma che su quelle scale si è creata una piccola enclave della Uae Team Emirates che darà certamente i suoi frutti anche in corsa. Nel condominio a rendere il quadro più variopinto, vivono anche Diego Rosa e sua moglie Alessandra.
Il Natale ad esempio l’hanno passato in sei. La famiglia Formolo, con mamma Mirna e la piccola Chloe. E con loro Valerio, la sua compagna Michela e il cane Zoe. Pogacar non c’era, è tornato nel condominio da un paio di giorni e ha trascorso le Feste in Slovenia.
«Sarei rientrato volentieri a Roma – ammette Conti – ma avrei dovuto fare due settimane di quarantena. E a quel punto, tornare per restare chiuso in casa non aveva troppo senso. Nel frattempo ho tolto il tutore e mi sforzo di tenere la spalla vicina al corpo. Da un paio di giorni pedalo sui rulli e fra una settimana vorrei tornare in bici».
Valerio Conti ha corso il Giro d’Italia 2020 in appoggio a Diego Ulissi Conti ha corso il Giro 2020 per Ulissi
Valerio è stato stretto da un’auto contro la scarpata e gli è andata anche bene, perché invece di rompersi la spalla ha avuto la blanda lesione di un legamento, che continuerà a fargli male e a condizionarlo psicologicamente, ma alla lunga andrà perfettamente a posto.
Come va nel condominio?
I primi siamo stati Formolo e io, dato che Michela è amica di Mirna. Poi sono arrivati Tadej e la sua compagna Urska. Stiamo bene. Pur avendo allenatori diversi riusciamo a fare i nostri giri insieme e questo è importante anche per farsela passare meglio. In più spesso usciamo a cena insieme. A Natale e a Capodanno invece siamo stati insieme a Formolo, perché non si poteva uscire. Proprio come in Italia.
Com’è la zona?
Si chiama Fontvieille e sta proprio alla fine del Principato di Monaco. Due pedalate e siamo in Francia. Si esce subito da casa e non c’è traffico. Si fa una galleria che sale quasi a chiocciola e si prende la strada per allenarsi, che corre lungo il mare e porta verso il Col d’Eze verso Nizza, oppure verso l’Italia.
Mai freddo e sempre sole?
Il clima è spettacolare, meglio che a Roma. Da noi d’inverno può fare caldo, ma in certe zone dei Castelli c’è ombra e fa comunque molto freddo. Qua in un’ora di bici hai tutto quello che serve per fare i lavori specifici ed è sempre in pieno sole. Forse c’è poca pianura, ma giusto questo.
Fontvieille, ultima propaggine di Monaco verso la Francia: il condominio in cui vivono i tre si trova quiIl condominio si trova a Fontvieille, propaggine di Monaco
Quindi si può uscire di buon’ora non dovendo aspettare che l’aria si scaldi?
A dire il vero, non mi piace partire troppo presto. Diciamo che le 9,30-10 sono un orario congruo.
Di fatto da quelle parti vive mezzo gruppo del WorldTour…
E’ bello per quando ti alleni e per le cose burocratiche. Si mettono insieme tutte le esperienze e questo per la quotidianità fa una grande differenza. Ci sono parecchi compagni di squadra. Trentin sta proprio a Monaco, mentre a Bordighera ci sono Oliviero Troìa e Stake Laengen che però ha la residenza da qualche altra parte, non a Monaco e nemmeno in Norvegia.
Come va la quasi convivenza con Pogacar?
E’ semplicissima e non lo dico perché siamo compagni di squadra. Gli piace divertirsi, non fa vita di clausura. Del resto, ha 22 anni! Gli viene tutto facile. Dire che potesse vincere il Tour era un azzardo, ma visto quante tappe dure aveva vinto nel 2019 alla Vuelta? E al Tour non ha mai perso il filo della corsa e ha vinto praticamente senza squadra.
Sai già quale sarà il tuo programma di gare?
Non è ancora ben definito. Dovrei fare il Giro e Tadej il Tour, mentre saremo insieme ai Paesi Baschi. In realtà non mi dispiacerebbe fare il Tour, ma non entrambi perché sono troppo ravvicinati e a giugno avrei in programma il Giro di Slovenia. Il mio calendario fino al Giro sarà bello pieno.
Davide Formolo e Tadej Pogacar: a detta di Conti due pianeti completamente diversiFormolo e Pogacar, due pianeti diversi
Dici che in corsa aiuterà questo buon vicinato?
Al 100 per cento. Già ti impegni sempre, ma per un amico ti impegni di più. Lo vedo quando corro con Ulissi. Credo che anche stare a ruota di uno che conosci sia un vantaggio.
Nel condominio c’è anche Formolo.
Altro buon amico, ma con un’altra testa. Davide cambia idea in continuazione su tutto. E anche in corsa, il rendimento va di pari passo con il carattere. Formolo parte sempre a bomba nelle prime tappe e poi cala. Pogacar ha un gran motore, come ce ne sono altri. Ma ha un recupero straordinario, come in giro non ce ne sono. La sua forza è quella, nell’ultima settimana va sempre più forte e sapete anche perché? Perché si stressa talmente poco, che non butta via energie in pensieri e ansie.
Chi ha cucinato a Natale?
Le signore. E devo dire che si sono date da fare. A Capodanno invece hanno un po’ tirato i remi in barca. Abbiamo ordinato un hamburger enorme al ristorante romano che si chiama “Ai tre Scalini” e loro hanno fatto i dolci e le lenticchie.
Il 2021 è ricominciato sui rulli?
Ma non tantissimo. Faccio 40 minuti la mattina e 40 il pomeriggio. Ora posso poggiare la mano sul manubrio, ma sto già facendo le valigie. Vado in ritiro. E tra una settimana voglio tornare su strada.
Gilbert passa tutte le mattine sul lungomare e poi si avventura verso l’interno. Monaco in questi giorni è un crocevia di campioni che approfittano delle temperature ancora miti per portarsi avanti con il lavoro. La maggior parte delle squadre ha rinviato il ritiro di dicembre e quelle che l’hanno mantenuto hanno rigorosamente tenuto le porte chiuse e chiesto ai corridori di stoppare l’attività social per evitare polemiche su eventuali mancanze di distanziamento sociale. Così tanti si sono arrangiati da soli. Anche la Lotto Soudal ha rimandato tutto a gennaio: un problema per i corridori che sono rimasti ad allenarsi a casa, un po’ meno per chi, come Philippe, vive al tiepido sole della Costa Azzurra. I suoi due figli, Alan e Alexandre, gli dicono che è tempo per lui di vincere di nuovo, il terzo arriverà invece a fine febbraio.
Nel 2020 purtroppo il sorriso di Gilbert si è visto soltanto a sprazziNel 2020 per Gilbert pochi motivi per sorridere
Come sta il ginocchio?
Mi sto allenando di nuovo da quattro settimane. Il ginocchio fa ancora male, ma meno di pochi mesi fa.
Il dolore c’è ancora?
Si fa sentire. Spero di poter correre senza dolore entro giugno, nella migliore delle ipotesi ad aprile. Questo almeno è il normale corso degli eventi. Quando ho avuto lo stesso infortunio due anni fa, sentivo ancora dolore dopo sette mesi e ce ne sono voluti molti altri prima che fossi a posto al 100 per cento. Per cui sette mesi sono un periodo ragionevole.
Hai sbagliato a voler riprendere al Lussemburgo?
Non lo definirei un errore. Ho provato a tornare rapidamente, due settimane dopo la caduta, per concedermi un’altra possibilità alle Classiche di ottobre, ma non ha funzionato (la foto di apertura si riferisce proprio alla corsa che si è svolta alla metà di settembre, ndr). Non mi pento di quella scelta, anche perché il mio infortunio non è peggiorato. Il ginocchio ha dimostrato di non essere ancora pronto per correre, ma io non avrei potuto accettarlo se non ci avessi provato.
Che voto ti daresti per la scorsa stagione?
Cinque. Se invece dovessi basarmi sui risultati, direi uno. Nonostante in Algarve mi sia ammalato, ho comunque concluso 8° nell’Het Nieuwsblad. Al Tour de Wallonie sono stato boicottato da un commissario di gara, che mi ha penalizzato per essere passato su una ciclabile. Però mi rendo conto che gli infortuni sono stati la causa principale della mancanza di risultati. Non è che non abbia lavorato sodo o che io stesso abbia commesso degli errori. A Nizza, sono caduto con altri venti, quel giorno c’era poco da fare al riguardo.
Per il primo anno in maglia Lotto Soudal si poteva sperare in meglioGilbert sperava debutto migliore con la Lotto
Nel 2020 hai corso appena per 34 giorni…
Sì, non credo di aver così poco neanche quando ero dilettante. Perciò da un lato si potrebbe pensare che avrò più energie, dall’altro che niente fa stare meglio del ritmo gara. Di sicuro ho grande voglia di vincere.
Tornerai al Tour?
In Francia sono stato sfortunato per tre anni. Sono caduto nel 2018 e nel 2020 e non sono stato selezionato nel 2019. Sarebbe un peccato se la mia storia con la Grande Boucle finisse così. Voglio tornarci. Voglio salutarvi con stile e preferibilmente con un buon risultato. Il Tour 2021 inizia in Bretagna su percorsi adatti a me.
Per sedici anni consecutivi hai vinto almeno una gara a stagione. Per la prima volta, questo non è successo…
Non ho nemmeno avuto il tempo di esprimermi, non sono mai stato al 100 per cento. E’ stato un peccato. Non sono mai andato dietro alle vittorie, ma aver vinto almeno ogni anno fino al 2019 è motivo di orgoglio. Perché ho sempre privilegiato la qualità alla quantità. Ho ottenuto l’85 per cento dei miei successi nelle gare del World Tour.
Alla Strade Bianche, per il belga un 25° posto sulla via per la SanremoAlla Strade Bianche, 25° in un giorno torrido
Ultimamente si è parlato molto della sicurezza dei corridori. E’ questa la prossima sfida per l’Uci?
Forse, ma penso che l’abbiano capito, che tutti abbiano capito che ci sono cose che non si possono più vedere. Come la prima tappa del Tour a Nizza, dove il gruppo ha dovuto correre su una vera pista di pattinaggio. Non è accettabile, perché quella tempesta di ghiaccio estiva era annunciata da giorni. Come alla Milano-Sanremo, quando ci viene chiesto di passare dentro gallerie non illuminate.
Ci sono state polemiche anche per la caduta di Evenepoel al Lombardia
La colpa non dovrebbe essere sistematicamente imputata agli organizzatori. Sappiamo che il ciclismo rimarrà uno sport molto pericoloso. Per vincere, i corridori rischiano, a volte troppo. Remco è il principale responsabile della sua caduta. Ha commesso un errore. Se la curva è molto difficile, devi accettare di rallentare. E’ meglio perdere qualche secondo che avere un incidente.
E’ stato utile partecipare alla riunione Uci sulla sicurezza?
Solo due corridori hanno pensato che valesse la pena: Trentin e il sottoscritto, peccato! Il sindacato dei ciclisti Cpa chiede regolarmente ai corridori di partecipare, ma di solito nessuno si presenta.
Hai 38 anni. Potresti anche farne a meno…
Infatti non è per me che ho partecipato. In linea di principio, i corridori ventenni dovrebbero impegnarsi, ma a quanto pare non hanno tempo. Si lamentano per un anno intero sui media, ma non serve a niente. Se vuoi cambiare qualcosa, devi anche avere il coraggio di aprire bocca nei momenti dedicati a tale scopo, come l’incontro con l’Uci.
All’Het Nieuwsblad di febbraio un 8° posto che faceva ben sperare in vista delle ClassicheHet Nieuwsblad, febbraio: 8° al traguardo
A proposito di ventenni, Evenepoel fa parte della generazione che ha dato un segno al 2020.
Remco, è il signor 100 per cento. E’ molto teatrale nella sua comunicazione e lo capisco, anche se sta iniziando a far innervosire molte persone. Ha bisogno di questo riconoscimento, per far parlare di sé. Anche Pogacar è eccezionale, ma sta nel suo spazio. Sono la faccia di un ciclismo pieno di brio. E’ bello vederli. Nel complesso, raramente le corse sono state belle come quest’anno.
Anche Van Aert ha brillato. Alcuni dicono che dovrebbe puntare alla classifica in un grande Giro …
Per questo, dovrebbe buttare giù qualche chilo. Quindi rischierebbe di perdere esplosività. Al suo posto proverei a vincere prima tutte le classiche, perché, a parte forse il Giro di Lombardia, può vincere ovunque.
La Lotto Soudal si è molto ringiovanita. Pensi che dovrai fare il baby sitter?
Tanti davvero non li conosco, ma non è necessariamente un disastro. Guarda il Team Sunweb. Anche quella era una squadra molto giovane, ma hanno ottenuto risultati magnifici. La tendenza è che giovani come Pogacar, Hirschi ed Evenepoel raggiungano rapidamente i migliori risultati. Sono fenomeni, magari ne abbiamo uno anche noi. Per questo sarà importante condividere con loro la mia esperienza.
Un’ultima cosa, la Milano-Sanremo…
Non voglio parlarne adesso, non voglio parlarne più. Porta male, anche se ce l’ho conficcata in un angolo della testa…