Diego Rosa

Diego Rosa c’è ancora. E pensa alle classiche

13.12.2020
6 min
Salva

«E’ stato più complicato il mese dopo la frattura che la rottura della clavicola stessa. Avevo un braccio legato e con l’altro cullavo mio figlio appena nato», la scena fa un po’ sorridere. Una scena che aveva come protagonista Diego Rosa.

Il corridore piemontese negli ultimi anni era un po’ sparito dai radar. E pure era uno degli scalatori più forti, sempre in prima linea per i suoi capitani e a volte anche per se stesso. Tre anni nella Ineos-Grenadiers (nei primi due era ancora Sky) però si sono rivelati un boomerang. Ma andiamo con ordine e cerchiamo di capire come è andata con l’ex biker.

Diego, partiamo da dove ci siamo lasciati questa estate e cioè dalla caduta del Tour…

Eh, ho rotto la clavicola in cinque parti e il recupero è stato più lungo del previsto. Mi hanno operato a Torino e mi hanno messo la classica staffa di metallo. Adesso però sto bene. Con una stagione molto corta è bastata una caduta e ho finito prima. E poi, ragazzi, era la prima volta che mi rompevo. E’ successo a 31 anni.

Diego Rosa alla Strade Bianche 2020
Diego Rosa
Diego Rosa alla Strade Bianche 2020
Hai parlato di tuo figlio, quanto incide nella vita di un corridore? Quanto lo fa maturare?

Quello di cui ho parlato era Noah, il secondo, ne ho anche un altro, Elia. All’inizio avevo un po’ paura e invece devo dire che si compensa bene con la vita da atleta. Prima pensavo solo al mio lavoro e alla bici, adesso invece non ho più tempi morti. Sì, togli qualcosa al riposo ma lo fai con piacere. Poi devo dire che mia moglie Alessandra ha capito al 110% che mestiere faccio e mi ha aiutato molto, la notte si alza lei. Allenarsi dopo le notti in bianco non è il massimo.

Come sei arrivato all’Arkea-Samsic?

Tramite il mio procuratore Acquadro. Lui che seguiva Nairo (Quintana, ndr) mi disse di questo progetto. A me è sembrato interessante per rilanciarmi. Nel team dov’ero andavo a scendere anziché a salire. E poi volevo una squadra dove la mia voce avesse peso, dove fossi ascoltato. Ho parlato con i manager della Arkea, ho visto che avevamo le stesse idee e dopo mezz’ora ci siamo stretti la mano. 

E quali erano queste idee?

Tornare ad avere qualcuno che mi desse fiducia e responsabilità. Loro avevano molti giovani cercavano qualcuno più esperto e la cosa mi stuzzicava.

Hai parlato di rilanciare. Ma cosa è successo in quei tre anni alla Sky/Ineos?

E’ una squadra piena di campioni e non ho reso come dovevo. Ho seguito i loro metodi, ho fatto quello che mi hanno chiesto, ma evidentemente con me non ha funzionato. Io non riuscivo ad adeguarmi. Non era il mio ambiente. Avevo poco spazio e quando c’era dovevo sgomitare con gli altri per andare alle corse. Così mi sono ritrovato a fare il quintultimo uomo in salita, quando ero abituato a fare l’ultimo. E man mano la squadra perdeva fiducia in me, così alla fine tiravo in pianura e nelle corse meno importanti.

Cosa intendi quando dici che hai seguito il loro metodo? Che non era il tuo ambiente?

Il ciclismo è tutto globalizzato, ma c’è chi si allena in un modo e chi in un altro. Italiani e spagnoli hanno un approccio molto più tranquillo, gli inglesi sono metodici, diversi. Noi facciamo la base, tanto medio, la soglia e i fuorigiri. Io stando a Monaco uscivo tutti i giorni con la squadra, in pratica era come se fossi sempre in ritiro. E non capivo gli allenamenti, totalmente diversi dai nostri: lunghissimi a ritmo super blando, uscite brevi e intense… Non li capivo e soprattutto non credevo in quello che facevo. Poi ripeto, non dico che non funzionino, guarda tutto quello che vincono! Dico che non hanno funzionato con me, che non mi sono adattato. Inoltre non parlavo troppo l’inglese all’inizio e il mio preparatore era australiano, vi lascio immaginare come comunicavamo… Adesso all’Arkea mi hanno affidato ad un ds, Yvon Caer, che parla italiano convinti che io non sapessi il francese, ma, stavolta li ho fregati io!

Scusa ma Cioni non ti poteva aiutare?

Ero con altri preparatori, quando sono arrivato da lui ormai era tardi. La squadra non mi vedeva più. Negli ultimi anni non ho più fatto un grande Giro, non avevo neanche più un programma. E io stesso avevo perso fiducia.

Diego Rosa
Diego Rosa e Davide Formolo, i due sono vicini di casa
Diego Rosa
Diego Rosa e Davide Formolo, i due sono vicini di casa
Insomma tre anni brutti…

Più che brutti, un’esperienza direi…

E cosa ti ha lasciato questa esperienza?

Che mi sono ritrovato in un team di giovani e con Quintana in maglia di leader in queste gare più piccole francesi e loro non sapevano come fare per gestire la corsa, come chiudere le fughe. E così io ho preso in mano la situazione.

Oggi chi ti segue?

Un preparatore della Arkea. Mi piace: io gli dico le mie idee e lui mi corregge.

La cosa sembra funzionare: sei partito bene a Majorca e avevi colto una top ten alla Strade Bianche…

Sì, ho ripreso da corse di un livello un pelo più basso per ripartire a tutta. Poi ci hanno fermato e… ciao! La seconda parte di stagione era tutta incentrata sul Tour de France e infatti il decimo posto alla Strade Bianche era molto buono. Al Tour avrei dovuto fare la prima settimana a salvare la gamba, per dare tutto nella terza, invece non ho concluso neanche la prima. Ma quel che conta è che in corsa finalmente ero presente, il morale c’era. La squadra mi ha dato responsabilità e io ho ritrovato il piacere di correre e fare la vita.

Com’è il rapporto con Quintana?

Ci siamo conosciuti l’anno scorso quando abbiamo saputo che avremmo corso insieme. Siamo stati tre settimane da lui in Colombia con tutta la famiglia. Siamo stati benissimo. In gara è molto esigente, vuole stare davanti, ma è sempre rispettoso. Ho corso con quasi tutti i capitani del gruppo e ormai so cosa vogliono.

Senti ma in Colombia siete stati anche in Mtb, visto che Nairo laggiù la usa spesso?

No, cavolo! Sapete, sono due anni che non tocco una Mtb. L’ultima volta sono rientrato a casa con la maglia stracciata tanto che mi vergognavo ad attraversare Montecarlo in quelle condizioni! Il fatto è che ho ancora la testa da biker, ma non ho più la stessa sensibilità e m’impunto su ogni roccia. Così no: sai come andavi, vedi come vai e vorresti buttarla al mare! La riprenderò quando potrò andare come dico io.

Cosa hai fatto dopo lo stop al Tour e nel recupero?

Un mese di poltrona. Potevo dormire solo così. Vedevo la tv fino alle 4 del mattino. Successivamente è arrivato il mio fisioterapista, Carlo Ranieri che lavora nell’atletica, e con lui in 10 giorni abbiamo fatto di tutto. Poi sono andato a correre, a nuotare… Ogni giorno uno sport diverso, adesso però solo bici, altrimenti sarei diventato un triatleta!

Potevi andare a nuotare con Formolo…

Davide è nella porta qui accanto alla mia. Mi ha detto di andare insieme. Io sono agli inizi, lui va forte. Per fortuna il mare è diventato grosso e non si può nuotare! 

Che 2021 ci possiamo aspettare?

Il calendario lo definiremo a breve. Una riunione su Zoom però l’abbiamo fatta. Dovrei essere leader per le classiche di un giorno e poi si vedrà per le gare a tappe. Ma non abbiamo un programma definitivo, anche perché dobbiamo attendere gli inviti nei grandi Giri. Mi piacerebbe fare bene le Ardenne e la Strade Bianche. E anche San Sebastian che per un motivo o per un altro non ho mai corso.

E se dovessero invitarvi al Giro, ti piacerebbe tornare? Oppure meglio il Tour?

Preferisco centomila volte il Giro