Bronzini-Barbieri, la scommessa ormai è vinta

29.08.2022
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Quando la LIV-Xstra Cycling affidò l’ammiraglia a Giorgia Bronzini e le chiese i nomi di atlete da inserire, fra i primi indicati dalla piacentina ci fu quello di Rachele Barbieri. La modenese (in apertura in un’immagine da Instagram) usciva da due anni corsi da individuale, con vittorie su strade e in pista, ma certo farla salire al livello WorldTour poteva sembrare una scommessa. Tuttavia Giorgia andò dritta e in questo scorcio d’estate dopo gli europei di Monaco, dalle sue parole affiora il senso di un lavoro ben fatto.

L’obiettivo di fine stagione sono certamente i mondiali su pista, poi il meritato riposo
L’obiettivo di fine stagione sono certamente i mondiali su pista, poi il meritato riposo

La testa e le gambe

Le raccontiamo di aver parlato di Rachele con il suo allenatore Stefano Nicoletti. Le riferiamo soprattutto le sue parole sulla tranquillità ricevuta nella nuova squadra, anche e soprattutto grazie alla sicurezza trasmessa proprio da Giorgia.

«Stefano mi piace tanto – ringrazia Bronzini – anche se ci conosciamo prevalentemente tramite il telefono. Hanno fatto un ottimo lavoro, non mi aspettavo che Rachele arrivasse subito a questo livello. L’ho sempre reputata una guerriera, che non molla mai. Però pensavo che non avesse ancora il livello WorldTour, visti gli ultimi due anni in cui si poteva pensare che non fosse cresciuta come poteva. Invece la componente mentale è arrivata a bilanciare la parte fisica. L’ho sempre pensato e detto che la testa fa l’80 per cento e il resto sta alle gambe…».

Giorgia Bronzini guida la LIV da quest’anno, dopo 3 anni alla Trek (foto LIV Xstra)
Giorgia Bronzini guida la LIV da quest’anno, dopo 3 anni alla Trek (foto LIV Xstra)
Che effetto ti fa sentire che parte del merito sia tuo e del clima che hai creato in squadra?

Soprattutto sono orgogliosa del fatto che abbia riposto fiducia nel nostro progetto. Quando Rachele è arrivata, abbiamo valutato che Stefano fosse una persona in gamba e che il percorso proposto fosse il migliore per lei. Parallelamente abbiamo portato avanti la collaborazione con Villa, senza darle troppi stress. In questo modo ci sono stati appuntamenti in pista che hanno esaltato le sue doti veloci e che si sono rivelate utili anche su strada.

Il doppio impiego fra strada e pista come l’avete gestito?

Ho mantenuto un dialogo continuo con la nazionale. Sangalli ci ha lasciato la porta aperta, soprattutto per gli europei, dove Rachele sarebbe arrivata con la condizione migliore. Ci siamo confrontati sul percorso migliore per arrivarci. Poi è chiaro che Elisa (Balsamo, ndr) avrebbe avuto la responsabilità della squadra, per le sue qualità, il carisma e la maglia che porta, ma Rachele ha fatto un ottimo lavoro. Lei sa bene che è una ruota che gira e che magari il futuro le riserverà un ruolo diverso. Una leadership che intanto ha già avuto in pista.

I risultati di quest’anno possono dare una svolta alla prossima stagione?

Spero che finisca il 2022 con il mondiale su pista, portando magari a casa qualcosa di buono. Poi le ritiro la bicicletta e la chiudo in uno stanzino, perché deve assolutamente staccare. Va bene essere entusiasti, ma bisogna recuperare. Anche perché il programma sarebbe di cominciare la stagione a gennaio in Australia, quindi dovremo fare un bell’inverno. C’è di buono che dopo una stagione così lunga, se lo stacco non è troppo lungo, la gamba torna su bene. E credo che a dicembre ci sarà già un ritiro bello esigente.

I lavori di qualità che l’hanno resa vincente in pista sono utili anche su strada
I lavori di qualità che l’hanno resa vincente in pista sono utili anche su strada
Come viene vista in squadra l’attività su pista, che si fa con una bici diversa e con sponsor diversi?

Se lo chiedete al mio team manager, magari darà una risposta diversa. Per me invece la pista è un’attività necessaria e complementare. Permette di allenarsi bene e di non stufarsi. Le corse si sono allungate e di conseguenza anche gli allenamenti, così spesso lavorare solo per la strada diventa noioso. Se ogni tanto riesci a staccare e andare in pista, cambiano i ritmi e i tipi di lavoro, cambiano gli stimoli e ottieni quello che su strada ti servirà negli ultimi 20-30 chilometri. Io stessa ho fatto così e sono riuscita a sopravvivere a lungo. Hai una migliore guida della bici, il colpo d’occhio e un ritmo di pedalata che altre non hanno. Non è un caso che tutte le italiane più forti vengano dalla pista. Sapete cosa hanno detto le mie altre atlete a Monaco?

Che cosa?

Hanno raccontato che nel finale il treno italiano è spuntato dal nulla a velocità doppia e non sono riuscite a infilarsi.

Cosa manca a Rachele Barbieri per vincere una gara WorldTour?

Basta poco. Nell’ultima tappa del Giro vinta da Consonni, è stato un attimo. In più Chiara era certamente al massimo, mentre Rachele era in preparazione verso Tour ed europei. E poi mettiamoci che per lei si trattava del primo grande Giro a tappe, per cui alla fine poteva essere meno fresca e lucida. Le volate si vincono e si perdono per sfumature, Rachele ha tutto quello che serve.

Quartetto, omnium, madison, strada: a Monaco Barbieri ha mostrato grande condizione
Quartetto, omnium, madison, strada: a Monaco Barbieri ha mostrato grande condizione
Avrà anche un treno?

Avevamo in mente di lavorarci lo scorso inverno, ma il Covid ci ha impedito di farlo. Abbiamo fatto qualche prova in gare più piccole, dove è stato possibile e che abbiamo vinto proprio con Rachele. L’idea per il 2023 è di rimetterci mano. E se non riusciremo a contrastare le squadre più forti, lavoreremo per mettere Rachele al posto giusto. Del resto a Monaco, neppure la Wiebes aveva il treno, però ha vinto. Sarà importante che Rachele capisca.

Che cosa?

Che la squadra sarà lì per lei. E’ importante non peccare di presunzione e muoversi per ottenere il miglior risultato possibile.

Bronzini decisa: nelle volate la squadra è tutta per Barbieri (foto LIV Xstra)
Bronzini decisa: nelle volate la squadra è tutta per Barbieri (foto LIV Xstra)
Senti, pecchiamo di presunzione invece… Cosa prova Giorgia Bronzini quando un’intuizione come aver preso Barbieri in squadra inizia a pagare così?

Sono molto contenta e orgogliosa (sorride, ndr) del fatto che tanti mi aspettassero al varco per la scommessa persa, invece la sensazione è che la stiamo vincendo. C’è da lavorare, ma questo non ci fa paura. Spero che Rachele possa continuare su questa strada, credendo nei nostri progetti. E’ molto giovane, ha tanto da dare. E’ impulsiva, sennò non sarebbe vincente. Quando parte, la lascio parlare e poi le spiego. Sa ascoltare, ha i piedi per terra. Se riesce a capire bene la parola pazienza, potrà ottenere ancora tanto.

Altura, dietro moto e pista: la strada di Rachele verso l’oro

26.08.2022
7 min
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Quello che ha fatto Viviani agli europei resterà forse nel libro dei record, ma Rachele Barbieri non è stata da meno. Dopo due ori europei in pista infatti, nell’omnium e nella madison, e l’argento nel quartetto, la modenese ha corso su strada e conquistato il terzo posto, dietro Wiebes e Balsamo, cui ha tirato la volata.

Rachele ve l’abbiamo presentata e raccontata più volte e questa volta vogliamo sottolineare come alla base di tanti risultati ci sia un’atleta tosta e volitiva, che non ha paura della fatica e anzi la cerca.

Un’atleta in evoluzione

Dopo due anni in una piccola squadra cucita attorno a sé, quest’anno Barbieri è approdata nel WorldTour con la Liv-Xstra e la sua crescita è proseguita. La curiosità era capire se la ragazza abbia dei margini e come abbia lavorato per raggiungere un livello livello così alto su pista e su strada. Ragione per cui questa volta abbiamo bussato alla porta di Stefano Nicoletti: il preparatore che Rachele ha ringraziato dopo gli europei di Monaco e dopo ogni bel risultato.

Nicoletti, modenese classe 1967, ha alle spalle un percorso di formazione diverso dal solito. Nasce infatti Massofisioterapista e Osteopata, ma avendo da sempre la passione per la bici, si è messo a studiare di preparazione e dintorni, diventando un riferimento per gli atleti della zona. Quella di allenatore, precisa, non è la sua attività primaria, ma a sentirlo parlare probabilmente è la preferita. 

Nel lavoro di allenatore ha importato un concetto tipico dell’osteopatia: non esiste un trattamento che vada bene a tutti alla stessa maniera, idem per il tipo di preparazione.

Che cosa vogliamo dire per aprire il capitolo Barbieri?

Seguendo la vostra curiosità, penso che margini ne abbia. Un po’ perché è nell’età dell’evoluzione sportiva e un po’ perché avendo fatto fino allo scorso anno prevalentemente pista, ha curato poco gli aspetti di endurance, quindi è poco sfruttata. Dalla sua inoltre ha anche l’entusiasmo. Essendo un’atleta poliedrica, non ha mai avuto fasi di apatia. E’ molto entusiasta, per cui affronta ogni cosa pronta a mettersi in gioco.

Come fanno a convivere strada e pista?

Quest’ano ha dovuto ridurre l’aspetto anaerobico, concentrandosi maggiormente sulla resistenza e i lavori per migliorare su strada. Solo che non abbiamo mollato quelli ad alta intensità, volendo fermamente mantenere la sua esplosività. Per cui non capita mai che faccia 4 ore al medio e basta, oppure 6 ore al 70 per cento della soglia. In ogni seduta inseriamo una parte anaerobica. E’ capitato che al termine di un allenamento su strada abbia fatto delle sessioni di palestra per unire resistenza, forza e alta intensità. Oppure che faccia ore dietro moto in pianura e salita, con lavori ad alta intensità all’interno di uscite in cui faceva soprattutto volume.

Il lavoro fatto dietro moto in salita con suo padre l’ha aiutata sulle salite del Giro d’Italia
Il lavoro fatto dietro moto in salita con suo padre l’ha aiutata sulle salite del Giro d’Italia
Qual è stato l’obiettivo con cui avete iniziato la prima stagione nel WorldTour?

Aumentare la resistenza aerobica per soffrire di meno sulle salite, mantenendo però la punta di velocità. Per questo abbiamo dovuto rinunciare al ciclocross, che a Rachele piace e in cui si diverte. Purtroppo il 2021 è finito a ottobre e già a novembre abbiamo iniziato a lavorare per non arrivare al primo ritiro a corto di condizione, col rischio di pagarla.

Avete temporizzato il tipo di lavori da fare?

Endurance a novembre e dicembre, senza mai trascurare la parte anaerobica. E tanto lavoro in palestra, due o tre volte a settimana, cercando di mediare fra le richieste della squadra e quelle della nazionale. E questo è stato il mio compito.

Dopo il Tour, in allenamento dietro moto con il padre, sulla via degli europei (foto Instagram)
Dopo il Tour, in allenamento dietro moto con il padre, sulla via degli europei (foto Instagram)
Come hai fatto?

Non c’è stata una preparazione magica che ha reso possibile essere competitivi su entrambi i fronti. La squadra chiedeva di fare ore, la nazionale voleva i lavori ad alta intensità in pista. Credo di essere riuscito a pianificare ogni cosa perché arrivasse pronta ma mai troppo carica agli appuntamenti, stando alla larga dal rischio di overtraining. Un grande aiuto l’ha dato suo padre.

Nel fare cosa?

Hanno preso uno scooter. Lui si è preparato a dovere e poi, avendo su il power meter di Rachele, gestiva l’andatura dietro moto. Abbiamo fatto dei lavori a piramide inversa sulle salite. Doveva fare la prima parte ad alta intensità, poi un po’ mollare come succede in corsa e fare una progressione nel finale. E’ stato utile per adattarsi ai ritmi di gara senza subirli troppo. Ed è stato utile anche aver iniziato a lavorare bene sull’alimentazione.

Inserire lavori ad alta intensità anche negli allenamenti su strada ha mantenuto la sua esplosività
Inserire lavori ad alta intensità anche negli allenamenti su strada ha mantenuto la sua esplosività
Per essere a posto con il peso?

Finalmente Rachele ha trovato il suo equilibrio. Lavoriamo insieme dal 2017 ed è passata da 3,78 watt/kg dei primi tempi a 4,60 di adesso. Un processo lento, durante il quale è anche cresciuta la potenza alla soglia ed è sceso il peso senza scombussolare i suoi equilibri e mantenendo la sua capacità anaerobica su pista. In tutto questo ha inciso positivamente avere un tecnico come Giorgia Bronzini che le ha dato tranquillità. Responsabilità senza caricarla di stress.

Che cosa ha fatto Rachele nel poco tempo fra le gare in pista a Monaco e quella su strada?

Avrebbe dovuto fare palestra due giorni dopo l’ultima gara in pista, ma non c’era la possibilità. Così ha lavorato in camera, facendo squat e balzi, per ottenere dei richiami di forza esplosiva, visto che la gara sarebbe finita in volata. Per il resto ha recuperato. In questi casi non conta cosa fai il giorno prima, ma cosa hai fatto nei due mesi precedenti. E a proposito di dedizione ed entusiasmo…

Che cosa?

Rachele lavora molto bene in altura. Per cui prima del Giro è andata per 20 giorni a Livigno. Ha lavorato bene sull’endurance, ma lassù non è tanto il caso di fare i lavori di intensità. Allora sapete cosa ha fatto? Ha sfruttato un passaggio e a metà ritiro si è trasferita a Montichiari per tre giorni. Ha fatto tutti i lavori di intensità in pista, poi essendole saltato il passaggio per tornare a Livigno, il quarto giorno è ripartita da sola fra treno a pullman. Un giorno di viaggio da sola, a conferma della sua determinazione. E in altura è tornata anche fra Giro e Tour. Una decina di giorni, poco per qualsiasi protocollo di preparazione. Ma in pianura c’erano 40 gradi e andare su le è servito per stare più al fresco. Se non è entusiasmo questo…

Consonni, la fatica di un anno storto e le birre della Barbieri

24.08.2022
5 min
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Dice Consonni di aver corso le ultime prove dell’omnium di Monaco, chiuso con la medaglia d’argento, più di testa che di gambe. E alla fine quel malessere che, assieme alla compagna Alice, aveva spiegato come lo sballottamento dopo i tanti viaggi, ha preso la forma di un tampone positivo che l’ha costretto a fermarsi ancora. Dalla Tirreno in poi, non c’è stato mese nella stagione di Simone che non abbia avuto qualche intoppo. E quando è così, diventa anche difficile mantenere i buoni propositi.

«Sarei voluto andare ad Amburgo – ammette – ma la stagione non vuole lasciarmi tranquillo. Così sono stato a casa per una settimana senza andare in bici e ieri ho fatto la prima ora e mezza, che sembrava di essere ripartito a novembre. Devo ricostruirmi ancora. Ho fatto tante pause. E se tutto va bene riprendo dall’11 settembre a Fourmies. Mi sarebbe piaciuto anche fare la Vuelta, per avere un grande stimolo, ma la squadra ha detto di no per il problema dei punti…».

Consonni è rientrato al Polonia (qui con Cimolai), ma dopo 5 tappe è stato mandato in Belgio e Francia
Consonni è rientrato al Polonia (qui con Cimolai), ma dopo 5 tappe è stato mandato in Belgio e Francia
Proviamo a ricominciare da qualcosa di più allegro. Dice Rachele Barbieri che deve offrirti qualche birra per averle fatto cambiare rapporto agli europei…

Dai, facciamoci una risata. Ero sui rulli, perché dopo le ragazze toccava a me e mi stavo giocando l’europeo. Quando però sono scese di pista per la caduta, ho smesso di riscaldarmi e sentivo che nel box c’erano Villa e Rachele che parlavano di cambiare rapporti. Dicevano che così accorciata, la corsa sarebbe stata quasi una prova di scratch.

Quindi?

Anche io venivo da grandi ragionamenti sul rapporto da usare e m’è venuto di getto, senza pensarci tanto: «Allora perché non mettete un rapporto da scratch?». Mi hanno guardato come se avessi avuto l’intuizione del secolo e alla fine l’hanno cambiato. Secondo me un dente non fa grande differenza, per me vinceva lo stesso, anche per come l’ha fatto.

Non dirglielo, sennò non ti paga da bere…

Ha avuto sicuramente vantaggio sul piano psicologico (sorride, ndr). Rientrare sapendo di avere un rapporto più lungo ti fa sentire forte.

Il secondo posto nell’omnium di Monaco è un buon risultato, ma c’era già qualche segnale negativo
Il secondo posto nell’omnium di Monaco è un buon risultato, ma c’era già qualche segnale negativo
Villa si è detto molto soddisfatto del tuo omnium.

Ci teneva a farmelo fare. Mi sono liberato all’ultimo, perché la squadra è piuttosto concentrata in questa caccia ai punti, quindi non ero sicuro di poter lasciare la strada e nemmeno troppo della mia condizione.

Sei rientrato al Polonia e prima non correvi dai campionati italiani, giusto?

Giusto, ma dopo 5 tappe in Polonia usate per riprendere ritmo, mi hanno fatto ritirare per andare a Leuven, dove ho fatto decimo e ritrovato fiducia, e al Circuit Franc Belge. Quando uno sponsor investe tanto come Cofidis, l’idea di retrocedere non va tanto giù. Comunque mi sono liberato, ho fatto una scappata il venerdì a Montichari e ho lavorato con la bici del quartetto che era rimasta in Italia. E poi sono andato a Monaco.

Che tipo è Grondin che ti ha battuto nell’ultimo sprint?

Chiuso, introverso. Sembra che se la tiri, ma è un tipo alla mano. Ha un grande motore. Mi raccontava Benjamin Thomas che erano in caccia in una madison e non riuscivano a prendere il giro. Finché Grondin gli ha chiesto se volessero prenderlo, oppure c’era un motivo in quello stare nel mezzo. E quando Ben gli ha detto che bisognava prenderlo, l’altro ha accelerato e in meno di cinque giri l’hanno guadagnato. Altrimenti restavano nel mezzo per tutta la corsa…

Il terzo posto di Reggio Emilia, dietro Dainese e Gaviria, è stato il miglior risultato al Giro
Il terzo posto di Reggio Emilia, dietro Dainese e Gaviria, è stato il miglior risultato al Giro
In teoria ti servono 50 punti per qualificarti ai mondiali.

Nel quartetto ci sono, perché la qualifica è per Nazioni. Per l’omnium mi mancano 50 punti, ma voglio capire bene cosa faremo. Stiamo parlando della specialità di Elia (Viviani, ndr), che ha annunciato di puntare forte sui mondiali. Se lui ha in testa altre prove, allora ne possiamo ragionare.

Siamo in balia dei punti, insomma. Peccato che quelli della pista non valgano su strada…

Già ci si lamenta perché nelle corse di un giorno se ne fanno più che vincendo tappe di un grande Giro. Da una parte potrebbe essere giusto per premiare chi fa più specialità e magari non partecipa ai Giri, ma la vedo complicata. Però il sistema nelle gare su strada non mi convince. A inizio anno l’Arkea venne a una corsa con tre velocisti. Ognuno fece la sua volata, si piazzarono nei 10 e andarono a casa con un baule di punti. Io sono abituato che si corre per vincere, non per piazzarne più che puoi.

Cambiano gli scenari.

E cresce lo stress. Le corse sono tutte più tirate e nessuno molla. Si fa la volata anche per il 60° posto e si lima all’inverosimile. E badate, lo dice uno che ha sempre limato tanto. Adesso tenere le posizioni è diventato snervante.

L’oro olimpico del quartetto a Tokyo è il momento più alto nella carriera di Consonni, primo a destra
L’oro olimpico del quartetto a Tokyo è il momento più alto nella carriera di Consonni, primo a destra
Forse ti aspettavi una stagione diversa?

Decisamente. Fino alla Tirreno ero stato perfetto, poi si è ammalata mia nonna e insieme è venuto fuori il problema al ginocchio. Ho sempre saputo di non essere un corridore da 15-20 vittorie l’anno, ma aver avuto un percorso tutt’altro che lineare non ha aiutato. Quest’anno mi sono rimesso in gioco, puntando su me stesso, cercando tempi e occhio nelle volate. Spero che servirà a raccogliere l’anno prossimo. E spero che vada come nel 2021, in cui gli altri si sono presi i vari titoli in palio e io sono arrivato alla fine con le Olimpiadi.

Gli europei della pista alla lente di Villa, fra progetti e tradimenti

22.08.2022
6 min
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Il medagliere azzurro degli europei di Monaco su pista parla di 11 medaglie: 3 ori, 6 argenti e 3 bronzi. Si tratta di un bilancio certamente positivo, nella cui lettura tuttavia è possibile fare dei distinguo, su cui Marco Villa ha ragionato a lungo. In altri anni, avremmo preso il fagotto e saremmo scappati dandoci alla pazza gioia, oggi il tecnico azzurro è alle prese con altre considerazioni. Si va a braccio, cercando il varco da cui srotolare la matassa.

Un bel bilancio, anche per il ritorno della velocità e malgrado qualche infortunio di troppo. Ti è piaciuto tutto?

Mi è piaciuto tanto. Bello l’omnium di Consonni, ma se la bilancia la fa il quartetto, allora c’è da fare qualche distinguo. A livello prestazionale, a Montichiari avevamo fatto 3’52” e può capitare che nel giorno della gara non stai bene. Quello che contesto è che potevano dirmi di non avere una grande giornata, avrei sostituito gli elementi meno brillanti. Si dava la possibilità ad altri, non è che mi mancassero i giovani da inserire. Certi quartetti si finiscono in quattro.

Qualcosa che avevamo già visto?

Era già successo a Grenchen, agli europei 2021, ma lì almeno eravamo in finale per il primo e secondo posto. Quello che non mi piace è vedere che il quartetto si è sfaldato. Fare due tirate e poi spostarsi è servito a Tokyo e c’era un motivo tecnico ben preciso, non può diventare una moda. Qua dovevano arrivare in quattro. Chi non se la sentiva doveva chiamarsi fuori, perché se restiamo in due, qualcosa non va. Non mi è piaciuto.

Ne avete parlato?

Certo, immediatamente. Ho parlato subito con Lamon e Bertazzo, ma il risultato è che adesso sulla fiducia non riesco più ad andare avanti, perché mi sono scottato. Bertazzo è uno che in allenamento non dà mai tutto e dice che poi in gara non delude. Stavolta invece è successo. Il fatto che a Montichiari sia stato un po’ al di sotto poteva essere un campanello, ma d’ora in avanti dovranno farmi vedere di andare forte la settimana prima. Ci sono giovani che sono rimasti fuori perché hanno davanti campioni del mondo e campioni olimpici, non è detto che sarà così per sempre.

Hai parlato di Consonni e il suo omnium…

Ha fatto un’ottima prova, persa solo all’ultimo sprint, battuto ancora una volta da un francese. Di fatto Simone si è allenato a Montichiari solo due giorni, mentre noi eravamo già a Monaco. E’ arrivato tardi l’okay della squadra, perché dopo il Giro d’Italia e i campionati italiani si è fermato per una settimana che poi si è prolungata perché non stava tanto bene. A quel punto hanno voluto che facesse il Polonia. Ha sofferto, ma è venuto ugualmente. E spero che questo risultato gli dia fiducia per i prossimi mesi. Non ha vissuto momenti facili quest’anno su strada.

Argento per Consonni nell’omnium degli europei, preceduto dal francese Grondin
Argento per Consonni nell’omnium degli europei, preceduto dal francese Grondin
E intanto cresce la velocità.

Predomo aveva già fatto secondo ai mondiali juniores e ha proseguito nella crescita ad Anadia. Ora va ad aggiungersi a Bianchi, Napolitano e Tugnolo e magari possiamo giocarci un posto a Parigi per la velocità olimpica. Le qualifiche iniziano l’anno prossimo. Siamo lontani da alcune Nazioni, ma possiamo avvicinarci ad altre più alla nostra portata.

E’ un obiettivo raggiungibile?

Ci proviamo. E ci proviamo anche con le donne, dove Miriam Vece non è più da sola. Quaranta ci sta mettendo tanta passione e mi toglie una bella fetta di lavoro. Ora l’impegno deve essere cercare talenti come Tugnolo.

Ecco, parlando di te, riesci a gestire tutto ora che ci sono anche la velocità e le donne?

Direi di sì. C’è comunque una bella struttura con Quaranta, Bragato e Masotti. Il sistema di lavoro è collaudato, si tratta di insegnarlo a tutti. Lo stiamo facendo anche con le ragazze.

Agli europei di Monaco, per Matteo Bianchi l’argento nel chilometro e il record italianio nel keirin
Matteo Bianchi ha preso l’argento nel chilometro e ha fatto il record italianio nel keirin
Cosa state insegnando?

Che non servono tante giornate di lavoro in pista, ma è importante che vengano sistematicamente. Quando qualcuna ha fatto lunghe assenze per la stagione su strada, ci siamo accorti che ha avuto bisogno di più tempo per fare i richiami necessari. Spero che questo modo di lavorare lo apprendano presto.

Che cosa significa venire con regolarità?

Almeno ogni 10 giorni e paga tanto, soprattutto quando prepari gli eventi, sapendo che alla fine farai dei ritiri in cui si finalizzerà il lavoro delle settimane precedenti.

Barbieri e Zanardi hanno raccontato di aver vinto la madison senza essersi mai allenate insieme.

Rachele aveva vinto la corsa a punti in Coppa del mondo, Zanardi aveva vinto l’americana con Vitillo ad Anadia. Faccio le coppie miste anche con gli uomini, perché siano tutti intercambiabili e competitivi, lo faccio anche con le donne. E poi devono perdere l’abitudine che qualcuno prima del via gli dica cosa dovranno fare. Se succede qualcosa di inatteso, sono loro a dover decidere e trovare la soluzione. Come ha fatto bene la Barbieri nell’omnium a 8 giri dalla fine, quando ha osato. Io ero dall’altra parte della pista, non potevo dirle niente.

Il metodo di lavoro da insegnare alle ragazze prevede la capacità di improvvisare, avendo nelle gambe il lavoro giusto
Il metodo di lavoro da insegnare alle ragazze prevede la capacità di improvvisare, avendo nelle gambe il lavoro giusto
Rachele ha raccontato anche del cambio di rapporto suggerito da Consonni, che sarebbe stato decisivo…

Ne avevamo parlato anche prima, ma era stanca. Prima di scendere in pista ha chiesto due gel, doveva recuperare. Poi c’è stata l’interruzione per la caduta in cui è rimasta coinvolta anche Letizia Paternoster e a quel punto c’è stato il cambio di rapporto che è servito per fare quel bell’attacco deciso. Rachele ha corso tanto, ma ha una bella condizione che l’anno scorso non aveva mai raggiunto (ieri l’emiliana ha centrato il bronzo nella prova su strada, ndr).

Uno che ha corso tanto è stato anche Ganna, non pensi che varrebbe la pena di dosarne l’impiego?

Non credo che abbia sofferto troppo a fare la strada e poi la crono. Mentre tornavamo sull’ammiraglia, si è sentito al telefono con Lombardi (Giovanni Lombardi, suo agente, ndr) ed era contento. Se non avesse fatto la crono, avrebbe dovuto riprendere ad allenarsi a casa. Quando giovedì siamo arrivati a Montichiari, si è allenato dalle 10 alle 14,30, lavorando sulla forza come nel primo secondo di carico. Aver fatto la crono il mercoledì, ha sostituito il primo giorno di lavoro.

Quali sono ora i programmi del tuo gruppo?

Fino ai primi di settembre li lascio tranquilli, poi andremo a fare un po’ di altura e di lì andremo a Montichiari cominciando a pensare ai mondiali. Non sarebbe male partecipare a qualche classe 1 e spero che riescano a correre su strada. Ci sarebbe la Tre Sere di Aigle dal 29 agosto al primo settembre, che sarà utile soprattutto per le prove di gruppo. Consonni ad esempio ha bisogno di fare punti per la qualifica ai mondiali. Ha preso 200 punti agli europei, ma ne servono 250. Quindi può farli a Aigle, oppure ai campionati italiani che si fanno a San Vincenzo al Campo. Quelli darebbero 200 punti, ma bisogna farli e soprattutto vincerli.

Dopo il bronzo della crono agli europei, Ganna ha ripreso a lavorare sulla forza a Montichiari
Dopo il bronzo della crono agli europei, Ganna ha ripreso a lavorare sulla forza a Montichiari
Siamo andati via da Monaco con l’infermeria al gran completo…

E questo mi dispiace. Ecco perché facciamo il nostro in bocca al lupo a Paternoster e Consonni, che purtroppo si sono rotte la clavicola e la spalla cadendo. E anche a Martina Alzini, che si è fatta male in ritiro, e a Martina Fidanza, che non è stata tanto bene. Insomma, il gruppo c’è e speriamo che torni presto al completo. Ci sono altre ragazze che si sono fatte vedere, cui vorrei dare spazio. E poi per i mondiali torna la Balsamo. C’è tanto su cui lavorare…

Da Anadia a Monaco, fiutando l’Australia. Bentornata Zanardi

19.08.2022
5 min
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Silvia Zanardi s’è cavata fuori dal buco nero in cui s’era cacciata e nell’ultimo mese e mezzo ha raddrizzato la stagione. Il 2022 infatti era partito bene, poi s’era un po’ arenato in qualche insicurezza di troppo. Ma dagli europei U23 di Anadia, la musica è cambiata e con essa sono tornati i sorrisi giusti, le vittorie (una in Ungheria, una al Tour dei Pirenei e due ori ad Anadia in pista) e le giuste prestazioni. Il trionfo nella madison di Monaco insieme a Rachele Barbieri è un’altra delle ciliegine di cui si va arricchendo la torta.

«Da un mesetto e mezzo a questa parte – conferma la piacentina – ho fatto andare le cose come volevo io. Sono entrata in condizione tardi rispetto al programma. Volevo fare bene agli europei su strada, raccogliere di più (Silvia aveva vinto il titolo continentale U23 lo scorso anno a Trento e ad Anadia è stata quarta, ndr), ma alla fine sono uscita fuori lo stesso. Nella madison di Monaco, Barbieri ed io eravamo entrambe riserve, ma per una serie di problemi ci siamo ritrovate a correre, anche se non avevamo mai provato insieme. Villa ha sempre parlato chiaro: prove o no, dobbiamo sempre farci trovare pronte. E così è stato. Io sono in condizione, Rachele è in condizione. Ci siamo dette: proviamo, non abbiamo nulla da perdere…».

I cambi con Rachele Barbieri si sono andati via via affinando: Villa le ha fatte lavorare tanto sulla tecnica
I cambi con Rachele Barbieri si sono andati via via affinando: Villa le ha fatte lavorare tanto sulla tecnica

Trionfo in extremis

Silvia e Rachele hanno mostrato sin da subito di avere ottime gambe, pur subendo inizialmente la superiorità della Francia nei primi due sprint. Poi è stata la Gran Bretagna a guadagnare il giro, con la Polonia che si è unita al tentativo. Erano sempre Italia e Francia a lottare per gli sprint e seppure le francesi abbiano iniziato a perdere brillantezza, la classifica è stata a lungo affar loro. La corsa ha svoltato finalmente a a 10 giri dalla fine. Approfittando dell’attacco della Danimarca, Italia, Francia e Gran Bretagna sono partite in contropiede, con la classifica che le vedeva tutte nello spazio di un punto. La svolta c’è stata quando Rachele Barbieri ha guadagnato pochi metri e Silvia Zanardi ha deciso di insistere. Nello sprint finale, che le azzurre hanno chiuso al secondo posto, sono arrivati i punti per l’oro.

Partenza in sordina, poi un grande recupero?

Siamo partite un po’ sotto tono, un paio di cambi li abbiamo fatti proprio piano. Ma ci eravamo dette di non saltarne mai uno e così siamo arrivate alla fine, senza sapere davvero chi avesse vinto. Guardavamo il tabellone e non c’era mai scritto Italia. Poi Rachele ha guadagnato quel piccolo vantaggio e abbiamo tirato dritto.

A Monaco Silvia aveva già conquistato l’argento nella corsa a punti dietro Kopecky e prima di Berteau
A Monaco Silvia aveva già conquistato l’argento nella corsa a punti dietro Kopecky e prima di Berteau
Una vittoria figlia della capacità di leggere la corsa?

Decisamente, ma di aver vinto l’abbiamo capito dopo un giro e mezzo. Prima guardavamo Villa e non capivamo niente, poi è uscita la classifica sul tabellone ed è cominciata la festa. Ascoltare Marco è stato molto utile per tutta la gara.

Cosa ti diceva?

Ad esempio di prendere le volate in testa, perché la pista di 200 metri rende più difficile farle di rimonta rispetto a una di 250. E io sono una che ama fare le volate da dietro.

Nonostante con Barbieri non aveste mai provato insieme, l’intesa è parsa notevole.

A metà gara siamo riuscite a scambiarci, in modo che fossi io a fare le volate. Rachele è stata bravissima a lasciarmi nei punti giusti e con i cambi giusti. E’ stato utile fidarsi di Villa, ha fatto un quantitativo di madison infinitamente più alto di noi. Le ha viste tutte…

I consigli di Villa da bordo pista sono stati preziosi
I consigli di Villa da bordo pista sono stati preziosi
Clima sereno in azzurro, clima sereno anche in squadra?

Adesso sì. Abbiamo vinto a ripetizione – Vitillo, Basilico ed io – per cui il clima è disteso. Ci sono state discussioni, ma alla fine sono contenta di come lavoriamo. E sono contenta anche degli scambi di vedute con Walter (Zini, team manager della BePink in cui corre Silvia Zanardi, ndr). Lui riesce a darci sempre la valutazione giusta delle nostre prestazioni. Ha il suo modo di fare, spesso viene a dirci le cose a caldo dopo la corsa. A qualcuno dà fastidio, a me sta bene.

Tante ragazze italiane migrano verso il WorldTour, lo farai anche tu?

Anche io voglio fare il salto, questo è certo. Ma al momento è segreto. Non ho un procuratore, di queste cose si parlerà semmai quando e se arriverà un annuncio ufficiale. Non prima.

Che cosa manca a Silvia per essere la Zanardi che vorresti?

Un po’ di convinzione. Prima della madison avevo paura di non essere all’altezza e di conseguenza di penalizzare anche Rachele. Mi sentivo inferiore, invece ero pronta e si è visto. E poi devo fare ancora esperienza, correre ancora, perché le cose si imparano meglio sulla strada.

Zanardi e Barbieri si sono rese conto di aver vinto solo un giro dopo il fine gara
Zanardi e Barbieri si sono rese conto di aver vinto solo un giro dopo il fine gara
Secondo te convinzione e condizione vano di pari passo?

Forse sì. Nei periodi bui, guardi le cose e ti sembrano negative. Ora mi sembra di vederle meglio, con una lucidità diversa.

Cosa prevede ora la stagione?

Ora inizierò una preparazione specifica per il mondiale su strada, ci tengo tanto. Anche perché quest’anno si assegna per la prima volta anche la maglia delle U23. Quindi correrò su strada e poi metterò nel mirino i mondiali su pista. Non è il momento di mollare. Sarà che l’ho raddrizzata da poco, ma questa stagione ha ancora tanto da dire…

Reusser poi Bissegger, Svizzera signora del tempo

17.08.2022
5 min
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I treni rossi non sono solo quelli del Bernina. La Svizzera ne ha altri due, anzi tre. I rossocrociati hanno dominato le due cronometro individuali di Monaco 2022. Marlene Reusseur tra le donne e Stefan Bissegger tra gli uomini. Ma il podio maschile vede anche il secondo posto di Stefan Kung.

Ai campionati europei di Monaco i corridori “di Berna” si confermano i padroni incontrastati. E sempre questa competizione resta “proibita” (per ora) a Filippo Ganna. Il campione del mondo è terzo.

Prima la Reusser…

Ma riavvolgiamo il nastro. Alle 15,58, Marlene scatta dalla rampa di Furstenfeldbruck, tipica cittadina bavarese con i gerani al balcone e le insegne dei locali in ferro battuto, a 25 chilometri a nord-ovest di Monaco. 

La sua potenza è subito messa in risalto dal veloce percorso (lo stesso degli uomini) che attende le ragazze. Anzi, quasi subito… I primissimi metri infatti sono in salita. E Marlen si difende.

Per Marlene quella rampa di 600 metri circa sembra una sorta di completamento del riscaldamento. Non appena arriva in pianura si spiana sulla sua Specialized e tormenta i pedali. In breve, lei e la Van Dijk aprono il divario con le altre. Ma la vera locomotiva è lei. Taglia il traguardo in 31’00 e bissa il successo di Trento 2021.

«Un anno dopo – dice la Reusser – ho rivinto questa prova e sono felice di poter prolungare questo titolo. Il passaggio al Team SD Worx è stato determinante, dal punto di vista dei materiali. Ho ottenuto una bici Specialized Shiv TT Disc che con lo squadra e lo staff della Federazione svizzera abbiamo messo a punto al meglio.

«Abbiamo studiato ogni parte del percorso, quindi questo titolo è davvero una prestazione di squadra».

Il livello di questo europeo non era stellare, ma il podio è di tutto rispetto. Nell’ordine: Bissegger, Kung e Ganna
Il livello di questo europeo non era stellare, ma il podio è di tutto rispetto. Nell’ordine: Bissegger, Kung e Ganna

Svizzera regina

E squadra è davvero la parola magica di questa giornata per la Svizzera. Una manciata di ore dopo ecco che a dare l’assalto alla maglia bianco, blu e azzurra sono i colleghi uomini.

I ragazzi di Edi Telser, cittì altoatesino della Svizzera, hanno puntato il dito su questa prova. Tra di loro c’è stato un grande scambio d’informazioni dopo la ricognizione. E già uno del loro staff aveva fatto un sopralluogo sul percorso tedesco. 

Nessuna sorpresa dunque. Sembra abbiano scoperto il tracciato prima degli altri. In effetti hanno guidato in un modo magistrale.

Derby svizzero

I favori del pronostico sono ancora per Stefan Kung. Il bestione della Groupama-Fdj aveva preparato a dovere questo appuntamento. Partito come un fulmine, all’intermedio Stefan è in testa. Ma il vantaggio è risicatissimo e alle sue spalle non c’è Filippo Ganna, bensì il connazionale Bisseger.

La differenza tra i due la fa il dente avvelenato. Kung, come la Reusser era il campione in carica, l’altro aveva fame di riscatto. Tanto più che al Tour nella crono di Copenhagen, dove era dato in super forma, era caduto ben tre volte. Voleva dimostrare al mondo tutto il suo valore. 

I due svizzeri volano. Ciò che colpisce è la cadenza e la cattiveria con cui affrontano le poche curve dell’anello di Furstenfeldbruck. Bisseger soprattutto viaggia ben al di sopra delle 110 pedalate.

Quando taglia il traguardo, alle 18:31 è nettamente primo. Quando lo taglia Kung alle 18,45 è ancora primo ma per soli tre decimi di secondo. Il cuore per un attimo si ferma, poi è la gioia totale. 

«Finalmente – ha detto Bissegger dopo l’arrivo – posso dire che sono al top, che ci sono arrivato. Negli ultimi otto chilometri ho capito che andavo davvero forte e guidando in quel mondo ho capito anche che avrei potuto vincere. Certo, mi “scuso” con Stefan che è mi arrivato davvero vicino».

Anche per Ganna stile impeccabile. Anche se scivolava un po’ troppo spesso sulla punta di sella
Anche per Ganna stile impeccabile. Anche se scivolava un po’ troppo spesso sulla punta di sella

Bronzo di speranza

L’unico che poteva interrompere la festa svizzera era Filippo Ganna. Pippo era in linea all’intermedio, ma poi “perdeva” terreno. I suoi 8 secondi di ritardo sembravano un’eternità in confronto ai due della Svizzera.

Ganna ha deciso all’ultimo di prendere il via nella gara contro il tempo. Un cambio in corso d’opera ponderato con tutto il suo staff, quello della squadra e quello azzurro, con un solo scopo: la terza maglia iridata… sempre a crono.

E infatti dopo l’arrivo Ganna è sorridente: «E’ andata bene – dice – ho sviluppato 10 watt in più di quanto previsto. Non ho vinto perché c’è chi è andato più forte di me. Punto. La bici non scorreva come volevo, ero io che non riuscivo a mantenere alta la velocità.

«Ma io sono contento. Non toccavo la bici da crono dal Tour e questo appuntamento è stato un ottimo test in vista dei mondiali».

Da qui a Wollongong l’unica crono, se così possiamo chiamarla, sarà il prologo al Giro di Germania. Ma si tratta di uno sforzo di 2,7 chilometri, pertanto non troppo indicativo per la corsa iridata che ne misurerà oltre trenta.

Le fatiche di Jakobsen, dal calvario del Tour all’oro di Monaco

17.08.2022
5 min
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Fabio Jakobsen non è il velocista più resistente del gruppo, i suoi 78 chili gli rendono indigesta la salita. Tuttavia al momento è indiscutibilmente il più veloce. Il perché soffra così tanto le montagne ha una spiegazione ben precisa. Fabio ha 25 anni e tutto ciò che riguarda la sua maturazione si è fermato contro l’incidente del Polonia. Anziché lavorare per migliorarsi, Jakobsen ha infatti trascorso l’ultimo anno e mezzo a ricostruirsi da quella caduta. E’ facile intuire che i suoi margini siano ampi, ma serve ancora tempo. Ai campionati europei di Monaco conquistati con una volata quasi di sufficienza, a tenerlo in apprensione sono state addirittura le salitelle del tratto in linea.

«Mi sono sentito bene – ha detto dopo la vittoria – sono sopravvissuto sulla prima salita, poi ho faticato un po’ sulle pendenze della seconda, ma l’ho superata mentre la squadra si assicurava di tenere sotto controllo il vantaggio della fuga. Negli ultimi 200 metri ho solo dovuto fare il mio sprint e sono felicissimo di questa vittoria, della medaglia d’oro e di avere questa bella maglia sulle spalle per i prossimi dodici mesi».

A Monaco una volata autorevole tirata da Van Poppel, nonostante le difficoltà in avvio
A Monaco una volata autorevole tirata da Van Poppel, nonostante le difficoltà in avvio

La lezione del Tour

Nella sua testa il Tour ha lasciato un segno profondo, come capita la prima volta che ti spingi oltre il limite. Se l’olandese non è riuscito a sprintare a Parigi, è stato per l’immensa fatica dei Pirenei. Impossibile dimenticare infatti il giorno di Peyragudes, quando Fabio tagliò il traguardo con appena 15 secondi di margine sul tempo massimo. Fu a suo modo un’impresa, sia pure a 36’48” da Pogacar, vincitore di giornata.

Era il 20 luglio e sul traguardo dell’aeroporto in quota si era radunata una piccola folla, composta da compagni di squadra e tifosi. Mentre lui, con grande dignità e il cuore in gola, si arrampicava precedendo il camion scopa, fino a crollare sulla transenna dopo il traguardo.

Penultimo già all’Alpe d’Huez, ma nel tempo massimo per oltre 4 minuti
Penultimo già all’Alpe d’Huez, ma nel tempo massimo per oltre 4 minuti

Un giorno da martire

La tappa non era lunga, appena 129,7 chilometri e quattro salite da leggenda. Ma come ogni giorno nell’ultima Boucle, è stata affrontata a tutto gas sin dai primi chilometri, vista la voglia di Pogacar di riguadagnare terreno su Vingegaard.

Brutta vita in questi casi per i velocisti, soprattutto se il caldo è un carico supplementare. Era il giorno in cui sarebbero andati a casa Majka, Wellens e Felline. Il limite era stato fissato al 18 per cento, per cui essendo andati tutti molto forte, il margine per i velocisti sarebbe stato poco superiore ai 37 minuti.

Giorni prima il team belga aveva perso Morkov, l’uomo che forse a Parigi avrebbe potuto guidare Jakobsen a un piazzamento migliore. Questa volta invece rischiava di perdere proprio il velocista. I suoi compagni Lampaert, Sénéchal e Honoré si sono avvantaggiati, tagliando il traguardo fra 32’03” e 32’16” di ritardo. Poi, raggiunto il traguardo, si sono fermati per aspettare il compagno. 

«Ho visto dalla sua faccia mentre saliva – ha raccontato Senechal con gli occhi rossi – che era davvero messo male. Davvero non si arrende mai. Lui è mio amico. Sono stato con lui oggi, come cerco di fare sempre. Voglio dare il massimo per lui. Gli ho detto di spingersi ai suoi limiti per la famiglia e per i suoi compagni di squadra. Questo è il Tour. Ora Fabio potrà correre sugli Champs Elysées».

Ecco il famoso arrivo di Peyragudes, con Jakobsen salvo dal tempo massimo per appena 15 secondi
Ecco il famoso arrivo di Peyragudes, con Jakobsen salvo dal tempo massimo per appena 15 secondi

Un fatto di grinta

La corsa contro il tempo massimo fa parte dell’essere un velocista e non più tardi di un anno fa la dura legge del cronometro colpì Arnaud Demare nella tappa di Tignes e quella volta finì a casa anche Guarnieri, che non si sognò di lasciare solo il suo capitano.

«Oggi Fabio è andato per tutto il giorno al massimo – ha commentato Tom Steels – non c’era da fare molti calcoli. Ha pedalato sempre al limite. Ora sappiamo su cosa lavorare per migliorare. Fabio ha molto carattere e oggi lo ha dimostrato. Riuscire a stare nel tempo massimo era qualcosa di cui aveva bisogno. Ha messo tanta grinta per recuperare dall’infortunio e ora l’ha dimostrata anche nel sopravvivere nelle tappe di montagna».

Nel Tour del debutto, Jakobsen ha vinto la seconda tappa. Nei giorni successivi ha pagato la durezza della corsa
Nel Tour del debutto, Jakobsen ha vinto la seconda tappa. Nei giorni successivi ha pagato la durezza della corsa

La gabbia Quick Step

Forse essendosi accorti del rischio, il giorno dopo verso Hautacam la Quick Step-Alpha Vinyl ha costruito una gabbia attorno al suo velocista. E appena Jakobsen si è staccato, Bagioli, Cattaneo, Honoré, Lampaert e Sénéchal si sono sfilati dal gruppo e si sono stretti intorno all’olandese.

«Questa mattina non sapevo cosa aspettarmi dopo le due dure giornate precedenti – ha commentato Jakobsen – non sapevo come avrebbe reagito il fisico. Ma sono rimasto calmo e fiducioso, sapendo di poter contare su questa squadra incredibile. Abbiamo lottato ancora duramente e siamo riusciti a superare un’altra dura prova. Non ce l’avrei fatta senza di loro. Come velocista, non sei niente senza una squadra, quindi devo tutto a questo gruppo».

Il prossimo inverno e le fatiche della stagione saranno cruciali per i miglioramenti di Jakobsen
Il prossimo inverno e le fatiche della stagione saranno cruciali per i miglioramenti di Jakobsen

Grazie a Van Poppel

Anche a Monaco, Jakobsen ha ringraziato la squadra, soprattutto Danny Van Poppel, che lo ha pilotato nel finale, servendogli la volata sul piatto d’argento.

«Non ci capita spesso di correre insieme – ha detto – ma ognuno ha fatto il suo lavoro per mettermi in una buona posizione. Danny Van Poppel è stato l’ultimo uomo a fare un ottimo lavoro per farmi superare Merlier. Danny ha dimostrato di essere uno dei migliori leadout del gruppo. E io sono incredibilmente felice! Essere campione d’Europa è qualcosa che sognavo solo. Tutti nel team olandese hanno fatto un lavoro straordinario e mi hanno messo in una posizione perfetta per l’ultimo chilometro, un grande sforzo per il quale sono grato a tutti i ragazzi».

Nutella, thè, gel e tanta testa: la ricetta di Viviani per Monaco

16.08.2022
6 min
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«Oggi in bici ho avuto un giorno di down – dice Viviani – abbiamo fatto 50 minuti in pista per provare i rapporti della madison, ma non ne avrei avuto per fare di più».

E’ il pomeriggio dopo l’eccezionale accoppiata fra la prova su strada e l’oro europeo nell’eliminazione. Viviani parla con tono sereno e ancora rimugina sul settimo posto nella volata di Monaco. Il prossimo impegno è l’americana di oggi con Scartezzini, ma la curiosità sulla domenica di Elia è ancora tanta. Soprattutto in relazione a come abbia fatto per recuperare dopo le 4 ore e mezza su strada, prima di scendere finalmente in pista.

Viviani è stato schierato su strada per sostituire Nizzolo, dolorante per una caduta
Viviani è stato schierato su strada per sostituire Nizzolo, dolorante per una caduta

Pane, Nutella e thè

«Il giorno prima della corsa su strada – racconta Viviani – ho chiesto a Diego Bragato (responsabile azzurro della performance, ndr) se fosse fisiologicamente possibile sostenere il doppio impegno. Quando mi ha detto di sì, è scattato il piano. Perciò finita la corsa, abbiamo fatto il debriefing sul pullman e in quelle fasi, invece di mangiare come si fa dopo una corsa, ho bevuto acqua e zuccheri. Poi sono salito in macchina con Amadio e sono andato nell’hotel vicino alla pista. Siamo partiti alle 16 e arrivati alle 16,30. Massaggio alle 17, per cui in quella mezz’ora, ho mangiato quel che ho trovato. Un toast. Una fetta di pane e Nutella e due biscotti. E ho bevuto del thè».

Dopo l’allenamento alla vigilia, Viviani ha chiesto a Bragato se fosse possibile il doppio impegno strada-pista (foto FCI)
Dopo l’allenamento alla vigilia, Viviani ha chiesto a Bragato se fosse possibile il doppio impegno strada-pista (foto FCI)

Da Montichiari a Monaco

Bragato si aggancia al discorso e spiega perché abbia risposto di sì alla domanda di Elia sulla fattibilità del doppio impegno. Dimostrando che spesso al dato oggettivo si debba sommare la personalità dell’atleta.

«La settimana scorsa – dice – avendo saputo che Elia non avrebbe corso su strada, a Montichiari abbiamo lavorato per l’eliminazione. Abbiamo ricreato le situazioni di gara, lui in bici e io in moto. Soprattutto abbiamo simulato le dinamiche di corsa. L’eliminazione non è il computo dei watt medi, ma il modo in cui si ottengono. E’ molto particolare da allenare, per questo si studiano i dati. E devo dire che Elia stava molto bene. Tanto che quando mi ha chiamato Bennati, per chiedermi se fosse in condizione per correre su strada, io gli ho risposto che era pronto.

«Da quel momento, Viviani si è concentrato sulla strada, mettendo l’eliminazione nel cassetto. Solo il giorno prima, come ha detto, ha cominciato a pensare all’accoppiata. Gli ho detto che se la corsa su strada non fosse stata particolarmente dura, piena di scatti e di attacchi, allora avrebbe avuto il tempo per recuperare. Una situazione che in qualche modo mi ha ricordato quello che si fa nei turni fra un quartetto e l’altro. Fisiologicamente l’eliminazione non era da fare. Ma quando uno così si mette in testa di volerlo fare, tutto diventa possibile. Il campione è fatto così!».

La corsa di Monaco ha avuto un andamento regolare e questo ha reso possibile il recupero di Viviani
La corsa di Monaco ha avuto un andamento regolare e questo ha reso possibile il recupero di Viviani

Le cosce doloranti

Elia prosegue nel racconto, facendo sembrare appunto assolutamente normale quel che al pubblico e agli addetti ai lavori è parso davvero sorprendente.

«Aver fatto quella settimana in pista – racconta – è stato decisivo, ma sono certo che se non fosse stata l’eliminazione, ma ad esempio la madison, probabilmente non avrei corso. L’eliminazione è una gara breve, era forse l’ultima occasione di mettere la maglia iridata e sarebbe stata la prima maglia di campione europeo per l’Italia in questa edizione.

«Per cui, dopo aver mangiato, sono andato ai massaggi. Sentivo di avere in particolare le cosce affaticate, per cui ho chiesto che con il massaggio si lavorasse di più lì, confidando nel fatto che poi avrei avuto i rulli per sciogliere. E intanto ho riguardato per dieci volte la volata, massacrandomi per capire che cosa avremmo potuto fare di diverso. Alle 18,30-18,40 sono arrivato in pista».

Bragato gli ha confermato che il doppio impegno fosse fisiolgicamente possibile e Viviani ha deciso di provare
Bragato gli ha confermato che il doppio impegno fosse fisiolgicamente possibile e Viviani ha deciso di provare

L’incubo dei primi giri

Bragato lo ha lasciato in hotel mentre iniziava a reintegrare, con la raccomandazione di darci dentro con i carboidrati. Non era il pasto di uno che deve recuperare, ma la base di uno che doveva correre ancora.

«E’ arrivato in pista un’oretta prima di correre – spiega il tecnico veneto – anche per vedere la pista, che non aveva mai provato. Si è vestito, è salito sui rulli e a quel punto ha iniziato a fare mente locale sulla gara, perché fino a quel momento aveva continuato a parlare della corsa su strada. Di sicuro era stanco, le gambe erano provate. Gli ho detto che avrebbe dovuto tenere duro nei primi 10-15 giri. Ed ero convinto che se fosse riuscito a… scollinarli, avrebbe potuto vincere. I primi giri, anche quelli a vuoto, sono così veloci che possono diventare una trappola. Se Elia aveva la gamba, con quella motivazione non c’era nulla che in pista potesse fermarlo.

«Ma confermo che aver girato in pista la settimana prima lo abbia aiutato per abituarsi al colpo di pedale e al rapporto della pista. A parti invertite, cioè uno stradista messo in pista senza preparazione specifica, non avrebbe tirato insieme nulla. I lavori specifici hanno pagato. E anche se nei primi giri non ci ha capito molto, aver fatto il punto con Villa sugli avversari è stato utile. Senza contare che nell’eliminazione erano gli altri a doversi preoccupare di lui».

I primi giri velocissimi potevano essere il punto debole per Viviani, che invece ha stretto i denti
I primi giri velocissimi potevano essere il punto debole per Viviani, che invece ha stretto i denti

Le scale di corsa

Viviani completa il racconto. E’ ormai nel velodromo e ha indossato il body. Le gambe fanno ancora un po’ male e sono il grosso punto interrogativo.

«Prima di salire sui rulli – racconta – dovevo andare al bagno e c’erano le scale. Le ho fatte di corsa per capire le mie sensazioni. Poi sono salito sui rulli e ho fatto 30 minuti di riattivazione e lavoro sulla cadenza. Non ho mangiato niente di più. Trattandosi di uno sforzo di 10 minuti, ho preferito arrivarci leggermente vuoto. Così ho preso un gel prima di iniziare a girare sui rulli e uno 15 minuti prima di correre.

«Nei primi giri, più che la fatica, mi sono sentito confuso dallo stare in pista. Ho rischiato a girare in basso, ma ho risparmiato tante energie. Ho corso con il 60×16 e sicuramente sono riuscito ad adattarmi grazie ai lavori fatti prima a Montichiari. E alla fine è andata bene. Avrei preferito vincere su strada, ma siamo contenti lo stesso. Pronti per la madison e poi per Amburgo».

L’adattamento al 60×16 della bici da pista è stato possibile grazie ai lavori specifici della scorsa settimana
L’adattamento al 60×16 della bici da pista è stato possibile grazie ai lavori specifici della scorsa settimana

Un settembre caldissimo

La classica tedesca è saltata nelle ultime due edizioni a causa della pandemia e Viviani ne è stato il vincitore nelle tre stagioni precedenti.

«Mi piacerebbe che fosse la corsa del ritorno a un certo livello – sorride – poi andrò a Plouay, anche se è un po’ dura. E poi c’è da capire se andrò al Tour of Britain. Quello per noi della Ineos Grenadiers è come il Tour de France, il posto bisogna guadagnarselo. Per cui il programma di settembre sarà da vedere. Andrò là oppure farò le classiche italiane e magari anche il mondiale. E soprattutto farò ancora tanta pista. A ottobre ci sono i mondiali, un altro momento molto caldo della mia stagione…».

Il bronzo di Vece nei 500 metri, antipasto del mondiale

15.08.2022
3 min
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«No, non ho rimpianti. So che fare la velocista è stata la scelta migliore – dice Miriam Vece – e quella che mi si addice di più. Brucia un po’ perdere l’argento per così poco. Mancano due mesi al mondiale di Parigi e ho tempo per preparare la rivincita».

Le parole dell’azzurra arrivano da Monaco dopo il bronzo nei 500 metri ai campionati europei. Il podio rappresenta un altro tassello importante nella sua scalata ai vertici della specialità. E se nei giorni scorsi Diego Bragato confermava come nel maschile ci sia da vincere ancora la resistenza della strada, parlando con Miriam è evidente l’orgoglio per la scelta che l’ha portata via da casa

Il bronzo ha dato soddisfazione nell’immediato, poi si è trasformato in un bel… rodimento
Il bronzo ha dato soddisfazione nell’immediato, poi si è trasformato in un bel… rodimento

Argento sfumato

Vece ha 25 anni, viene da Crema ed è tesserata per la Valcar-Travel&Service. Il suo bronzo nei 500 metri è venuto con il tempo di 33”434, che non è bastato per battere l’ucraina Olena Starikova, argento con 33”403, e la tedesca Emma Hinze, campionessa europea con 32”668. 

«Sono arrivata agli europei in buona forma -conferma – forse mi aspettavo di più dalla velocità, ma il ciclismo è anche questo. Non ho fatto molte di tappe in preparazione, solo le due Coppe delle Nazioni e una gara in Germania».

L’obiettivo di Vece sono ora i mondiali di Parigi che si correranno a ottobre
L’obiettivo di Vece sono ora i mondiali di Parigi che si correranno a ottobre

Supporto alla FCI

Il racconto di Bragato sull’aiuto della lombarda all’impostazione del settore velocità azzurro trova conferme nelle parole di Miriam, che ad Aigle vive a tempo pieno la dimensione del velocista.

«Sono orgogliosa e contenta – conferma fra un turno e l’altro degli europei – del nuovo gruppo che si sta creando in Italia con i velocisti. Posso solo esserne contenta e sono super fiera di tutti loro. Per quanto io possa aiutare Ivan (Quaranta, ndr) e Diego (Bragato, ndr), se hanno bisogno di qualsiasi consiglio sanno che possono contare su di me. Quindi certo, ho dato e sicuramente darò ancora una mano a entrambi».

Sul podio dei 500 metri, Vece è terza dietro Starikova e Hinze
Sul podio dei 500 metri, Vece è terza dietro Starikova e Hinze

Il test di Parigi

I mondiali di Parigi si svolgeranno a metà ottobre nel velodromo di Saint Quentin en Yvelines, in una sorta di test nel velodromo che ospiterà le Olimpiadi del 2024.

«C’è tempo per lavorare – prosegue Miriam Vece – con l’obiettivo di scendere sotto i 33 secondi. Negli ultimi 12 mesi tante cose sono cambiate e soprattutto è cresciuta la consapevolezza dei mezzi che ho! Niente di nuovo quanto a rapporti e bici, sono sempre gli stessi! Questo podio soddisfa, ma non al 100 per cento. Quando si è così vicini, si vuole sempre di più e quell’argento sfumato per 0.034 brucia, molto. Ma so anche che per l’oro bisogna lavorare molto. Emma Hinze si è confermata la regina anche di questa specialità».