Tour of the Alps 2025

Via i veli al Tour of the Alps: cinque tappe per scalatori e attaccanti

13.11.2025
8 min
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Da pochissimi minuti si sono alzati i veli su quella che è la terza corsa a tappe italiana per importanza, ma forse anche qualcosa in più per fascino: parliamo del Tour of the Alps. E sarà un’edizione speciale, la 49ª se si considera il vecchio Giro del Trentino, la decima da quando c’è stata la firma del protocollo d’intesa che ha sancito la nascita dell’evento simbolo dell’Euregio Tirolo-Alto Adige-Trentino. La prova si disputerà dal 20 al 24 aprile, con partenza da Innsbruck e arrivo a Bolzano.

La presentazione ufficiale si è svolta oggi a Milano, presso la prestigiosa Areapergolesi Events, davanti alle autorità. Noi ve la raccontiamo con l’aiuto di un trentino DOC, Maurizio Fondriest, che su alcune di queste strade non solo ci è nato e vive, ma ha anche vinto quando era corridore.

Prima di entrare nel merito con Fondriest, diamo uno sguardo rapido al tracciato del Tour of the Alps 2026. Cinque tappe, da Innsbruck a Bolzano. La prima, da Innsbruck a Innsbruck, sarà per “velocisti”, con due virgolette grosse così. Poi si va da Telfs in Val Martello, unico arrivo in salita. La terza frazione porterà gli atleti da Laces ad Arco, la quarta da Arco a Trento e la quinta, infine, unirà i due capoluoghi di provincia, Trento e Bolzano. In tutto sono previsti 760,2 chilometri e 14.620 metri di dislivello, pari a una media di 152 chilometri e 2.924 metri di dislivello al giorno.

La planimetria generale del Tour of the Alps 2026
La planimetria generale del Tour of the Alps 2026
Maurizio, cosa te ne pare del Tour of the Alps 2026? Ne ha fatta di strada da quando era il Giro del Trentino…

Mi sembra molto diverso rispetto a quando era il Giro del Trentino. E’ stata la scelta giusta quella di unire queste tre grandi regioni: è la strada obbligata per riuscire a far diventare la corsa più importante. Prima avevamo il Giro del Trentino e il Trofeo Melinda, ma con il ciclismo attuale e il suo calendario, soprattutto il Melinda, non aveva più grande senso. Tolti i grandissimi obiettivi, o hai un gruppo di corse, come magari a settembre propongono Toscana ed Emilia-Romagna, o il Trittico di Lombardia, oppure è dura avere un parterre di livello. In questo modo invece l’appeal cambia, tanto più che c’è in vista il Giro d’Italia.

E del percorso cosa ti sembra?

Mi piace. E’ duro ma aperto a più opzioni. Il primo giorno, anche se non conosco bene quei due strappi finali, mi sembra adatto alle ruote veloci.

Ruote veloci, relativamente a una corsa alpina…

Ovviamente. Non troviamo gli sprinter puri qui. Pertanto mi aspetto un arrivo in volata di un gruppo numeroso. Tra l’altro avevo sempre consigliato una tappa simile: era quella che mancava, altrimenti erano tutti arrivi in salita, tutte tappe dure con gli stessi corridori a giocarsi le vittorie. Questo primo giorno a Innsbruck per me è un bell’inizio, impegnativo ma non troppo, dove magari si può arrivare anche in volata.

Maurizio Fondriest (classe 1965) è originario della Val di Non. Oggi pedala ancora forte (foto Chris Auld)
Maurizio Fondriest (classe 1965) è originario della Val di Non. Oggi pedala ancora forte (foto Chris Auld)
La seconda tappa invece?

E’ molto importante: si arriva in Val Martello. Però non arrivano proprio su in cima, perché ho visto che si fermano prima.

Sì, in località Trottla, dove c’è un centro sportivo sulla destra. Si scollina circa 500 metri prima, a quota 1.160…

Esatto, ma è una salita vera, perché parliamo di una scalata di 8 chilometri con tratti anche al 10 per cento (pendenza media 7,5 per cento, ndr). Però se guardo il complesso della frazione, non è impossibile. Il Passo Resia dal versante austriaco non è affatto duro e poi è subito in partenza. Però l’arrivo della Val Martello resta un bell’arrivo in salita.

Terza tappa da Laces ad Arco: ti passano sull’uscio di casa, giusto?

Sono le mie strade, vero. Il Passo Castrin è molto duro, ma arriva dopo 40 chilometri o poco più. Poi si imbocca la selvaggia Val d’Ultimo ma è un continuo scendere fino a Cles e ancora più giù, fino all’imbocco di Andalo, che è una salita di 10 chilometri, assolutamente impegnativa. E lo stesso vale per il Passo Ballino prima della planata su Arco. Anche questa tappa diventa interessante.

Perché?

Perché è dura, il dislivello è tanto, ma con salite pedalabili ci sono più corridori che possono lottare per la vittoria e non solo i pochi che vanno superforte in salita. Qui ci possono essere altri corridori forti in salita ma non top, che però possono rientrare in classifica attaccando. Mentre in Val Martello arriveranno quelli che faranno la generale, questa può mischiare le carte in tavola.

Da un punto di vista tecnico, pensando alla preparazione, una tappa del genere cosa dà al corridore?

E’ dura e “veloce”. Hai sempre tanto dislivello. Però dalle prime tappe non abbiamo ancora visto una salita da 40-50 minuti, Castrin a parte, che arriva a inizio tappa. Può dare molto di più a chi prepara il Giro la prima delle due scalate di San Genesio. Anche il Bordala nella quarta tappa è in partenza e non ha pendenze proibitive.

In qualche modo hai già lanciato le ultime due frazioni. Partiamo dalla quarta…

Vale un po’ il discorso di prima verso Arco, però c’è il Redebus, che invece è lungo e impegnativo e nel finale diventa duro, con un chilometro al 10-12 per cento. Anche questa non è una tappa dove solo i più forti possono fare la corsa. Il finale è ondulato e veloce, tende a scendere. Per questo dico che la seconda tappa è quella che potrebbe davvero decidere la classifica. Anche se quella di Bolzano…

Appunto, cosa ci dici dell’ultima frazione Trento-Bolzano?

Il finale è difficile e si possono fare differenze. Due volte San Genesio, due salite ravvicinate. La prima scalata parte da molto in basso e potrebbe essere una classica salita da 40 minuti almeno. Poi planata finale su Bolzano, in centro. Sarà uno spettacolo.

Ai fini della preparazione per il Giro d’Italia, come giudichi il percorso?

E’ una buona rifinitura perché le tappe non sono esageratamente lunghe, ma sono impegnative. Mi piace anche l’idea di non aver inserito mega salitoni, sia per lo spettacolo che per la preparazione. Ad aprile, se metti un arrivo a 2.000 metri e poi per maltempo viene annullato, ci perdono tutti. Così invece al massimo si arriva a 1.500 metri, poco oltre i 1.000 nel finale sopra Bolzano. Anche in caso di maltempo riesci sempre a correrle.

Conosci la salita di San Genesio?

Sì, è abbastanza regolare. Ha pendenze un po’ più dure della Mendola, che è la salita di riferimento della zona. Quella si fa in 35 minuti, questa potrebbero farla anche in 40′.

E’ un marchio di fabbrica del Tour of the Alps avere tappe non troppo lunghe: giusto?

E’ fondamentale. Una corsa a tappe deve essere dura, ma non eccessivamente, e dare ai corridori il tempo di recuperare. Quando arrivi presto in hotel, senza trasferimenti, è un vantaggio enorme. Per esempio, quella di Arco arriva e riparte dallo stesso luogo: ottimo per la gestione dello sforzo.

Anche l’aspetto logistico incide, quindi?

Molto. Una gara di preparazione come questa ti dà modo di rilassarti di più dopo la tappa, perché come detto arrivi presto in albergo e hai tempo per recuperare come detto. Nei Grandi Giri non succede più. Anche la lunghezza delle tappe, giusta pur con un paio di giornate “lunghette”, contribuisce alla costruzione della condizione.

Insomma, la Sportiva Alto Garda, organizzatrice, è stata brava?

Sì. Quando organizzi devi sempre trovare un equilibrio tra chi sovvenziona partenze e arrivi, e non è semplice. Questo percorso mi piace: è duro ma aperto a più corridori. Direi voto più che positivo.

Lo scorso il Tour of the Alps andò a Storer. Chi sarà il suo erede?
Lo scorso il Tour of the Alps andò a Storer. Chi sarà il suo erede?
A livello paesaggistico, c’è un punto che ti piace di più?

La tappa che arriva ad Arco è spettacolare: facendo la Val d’Ultimo, dal Passo Castrin scendi e percorri tutta la Val di Non, poi Andalo, Ponte Arche e infine il Lago di Garda. Si attraversano le Dolomiti di Brenta. Sì, probabilmente è la più bella, anche se sono molto affezionato alla Valle dei Mocheni.

A quale tappa ti riferisci?

Alla quarta, nella zona del Passo Redebus. Ai suoi piedi c’è Canezza: questa è la porta della valle. Ci sono due strade che la percorrono, una a destra e una a sinistra, e in fondo si uniscono. La Valle dei Mocheni ha una storia antica e una forte tradizione. Lì parlano il Mocheno, un antico dialetto tedesco. Le genti del Nord, di origine tedesca, avevano colonizzato la valle attratte dalle miniere d’argento. Si sono stabilite lì e, essendo rimasta una zona poco frequentata, ancora oggi si parla questo dialetto.

Dei tanti punti che abbiamo nominato, c’è un aneddoto che ricordi?

Sì! Nella tappa di Trento, in particolare sul Passo Bordala. Era il 1989, ero in maglia di campione del mondo. Conoscevo questa salita e questa discesa. Appena iniziata la discesa mi passa Konyshev, dovevamo recuperare una quarantina di secondi. Io andavo forte, ma lui mi passa al doppio. Penso: «Ma dove va questo?». C’è una “S” che inganna: sembra che la strada vada dritta e invece gira eccome! Insomma, lui va dritto e io dietro a lui… siamo finiti in un campo. Non siamo caduti, ma mi è uscito il tubolare dalla ruota. C’è una vecchia foto, credo di Remo Mosna, in cui si vede il papà di Mariano Piccoli che seguiva la corsa con la macchina del cambio ruote e mi aiuta a sistemare la bici.

Marco Andreaus, Bahrain Victorious Development Team 2025, Sibiu Tour 2025 (foto Instagram)

Marco Andreaus: l’anno peggiore e il futuro incerto

22.10.2025
5 min
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La quarta e ultima stagione tra gli under 23 di Marco Andreaus si è conclusa con il secondo posto nel campionato italiano cronometro a squadre. Il trentino insieme ai compagni della Bahrain Victorious Development: Thomas Capra, Bryan Olivo e Alessandro Borgo, è stato battuto dai ragazzi della Technipes #InEmiliaRomagna. Ora il più grande dei due fratelli Andreaus si sta godendo qualche giorno di svago sulle montagne di casa prima di partire per le vacanze (in apertura foto Instagram).

«Andrò a Cuba insieme alla mia fidanzata – ci dice Marco Andreaus – staremo poco meno di due settimane. Sarà la prima volta che esco dall’Europa, un’esperienza che mi mancava. Fino ad adesso il volo più lungo che ho mai fatto è stato quello per Tenerife, di quattro ore. Per arrivare a Cuba ne serviranno il doppio, devo trovare il modo di passare il tempo, anche perché di dormire in aereo non se ne parla. Non ci riesco proprio».

Marco Andreaus, campionato italiano crono a squadre, Bahrain Victorious Development Team 2025
Marco Andreaus alla partenza del campionato italiano crono a squadre di domenica scorsa (Photors.it)
Marco Andreaus, campionato italiano crono a squadre, Bahrain Victorious Development Team 2025
Marco Andreaus alla partenza del campionato italiano crono a squadre di domenica scorsa (Photors.it)

Un anno difficile

Marco Andreaus quest’anno ha affrontato una delle stagioni più complicate, con diversi stop e tanti momenti difficili da mettere alle spalle.

«Penso sia stata l’annata peggiore della mia carriera – racconta – perché ho iniziato a correre in Grecia e dopo due gare mi sono ammalato. Ho perso due settimane di allenamento, una volta rientrato sentivo di non essere in condizione. La squadra però aveva bisogno di un corridore per il Trofeo Piva e sono andato. Nell’ultima discesa il corridore davanti a me è scivolato, io non sono riuscito ad evitarlo e nel cadere mi sono rotto la scapola. Altri due mesi fermo.

«Volevo ripartire – prosegue Marco Andreaus – e così sono andato in ritiro insieme ai compagni che preparavano il Giro Next Gen, giusto per allenarmi con qualcuno. A giugno avevo solamente quattro giorni di gara e la condizione era ben lontana dall’essere al meglio. Di conseguenza non ho corso tanto, sono andato spesso a tappare dei buchi o a tirare per i miei compagni».

Marco Andreaus, CTF Victorious 2024
Marco Andreaus è entrato nel progetto di Roberto Bressan e Renzo Boscolo quando ancora era Cycling Team Friuli nel 2022
Marco Andreaus, CTF Victorious 2024
Marco Andreaus è entrato nel progetto di Roberto Bressan e Renzo Boscolo quando ancora era Cycling Team Friuli nel 2022
Forse l’unica gara dove potevi fare bene era proprio il campionato italiano cronosquadre…

Sì, avevo aspettative più alte del secondo posto finale. Però era l’ultima gara dell’anno e a metà ottobre. Gli altri miei compagni avevano quasi il doppio dei miei giorni di corsa, quindi le motivazioni erano diverse. Ci tenevo a vincerla perché era l’ultima chance per indossare la maglia tricolore, da under 23. L’ho sfiorata da allievo e due volte nel campionato di cronometro a squadre visto che anche nel 2024 siamo arrivati secondi.

Il prossimo anno cosa farai?

Sono un elite, e le squadre continental vogliono gli under 23. Non so ancora nulla, il futuro è incerto. Una cosa è sicura: gli elite non li vogliono, sembra che nel giro di un mese sia diventato vecchio. Eppure, ho fatto 22 anni lo scorso settembre.

Fino alla stagione 2023 la crescita di Marco Andreaus è stata costante, in quell’anno vinse anche due gare (photors.it)
Fino alla stagione 2023 la crescita di Marco Andreaus è stata costante, in quell’anno vinse anche due gare (photors.it)
Dove stai cercando?

Ne ho parlato con il mio procuratore, Maurizio Fondriest, che per rilanciarsi è meglio cercare una continental estera. Ce ne sono di interessanti in Austria, ma ormai anche quelle preferiscono avere gli under 23. Sinceramente da quando mi sono rotto la scapola mi è caduto il mondo addosso. Alla fine per un corridore come me le gare importanti erano a inizio stagione, sarebbe stato importante vincere nei primi mesi dell’anno.

Che momento è?

Strano, non so cosa farò. Fondriest mi ha detto di andare in vacanza e di non pensarci, lui intanto lavora per cercare una soluzione. Quando tornerò da Cuba capiremo. Mi piacerebbe continuare per riscattare l’ultimo anno e mezzo dove non ne è andata bene una. Non ho mai avuto la sensazione di essere al meglio. Poi sapendo di andare alle corse per tirare non alza il morale, ecco. Credo che la mia generazione sia una di quelle maggiormente penalizzate, perché quando ero junior non c’era questa esasperazione. Mentre ora devi fare tutto bene ed entrare nelle devo da fenomeno, così da fare un cammino lineare.

Stefano Casagranda, Marco Andreaus
Stefano Casagranda insieme a Marco Andreaus, entrambi di Borgo Valsugana, il giovane ciclista ha corso fino agli allievi al Veloce Club Borgo
Stefano Casagranda, Marco Andreaus
Stefano Casagranda insieme a Marco Andreaus, entrambi di Borgo Valsugana, il giovane ciclista ha corso fino agli allievi al Veloce Club Borgo
Poi c’è stata anche la scomparsa di Stefano Casagranda, anche lui di Borgo Valsugana e con il quale hai corso tanto…

Ero molto legato a lui, e sono tanto amico dei suoi figli Niccolò e Andrea. Ci conosciamo da quando avevamo cinque anni.  Con Stefano ho corso al Veloce Club Borgo, team del quale era il presidente, da quando ero G1 fino agli allievi. E’ stato un punto sicuro per tutti questi anni e ci sentivamo spesso.

Com’era?

Uno forte. Sapevamo da anni che fosse malato, ma non si è mai fatto abbattere. Dallo scorso febbraio gli avevano dato poche settimane di vita, invece lui ha tenuto duro. Lo vedevi andare a caccia e in bici. Condividevamo le stesse passioni, oltre alla bici. Anche a lui piaceva tanto la montagna e sciare. Mi dispiace, avrei voluto dedicargli una vittoria, per questo ci tenevo tanto al campionato italiano crono a squadre.

Marco Andreaus, montagna, sci alpinismo (foto Instagram)
Marco Andreaus durante una delle sue uscite invernali sulla neve, la montagna era una passione comune con Stefano Casagranda (foto Instagram)
Marco Andreaus, montagna, sci alpinismo (foto Instagram)
Marco Andreaus durante una delle sue uscite invernali sulla neve, la montagna era una passione comune con Stefano Casagranda (foto Instagram)
Che rapporto avevate?

Stretto. Da quando è venuto a mancare mio padre, nel 2017, Stefano ha ricoperto un po’ quella figura. Parlavamo tanto, sia della bici ma anche di molti aspetti umani legati al ciclismo. Lui in me credeva tanto, mi diceva sempre che avevo il potenziale per diventare un corridore e di stare tranquillo. Per questo ci tengo a continuare, vorrei dimostrargli che aveva ragione.

Segatta alla Visma, per Alberati un punto di partenza

21.06.2025
6 min
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Dal prossimo anno Fabio Segatta (in apertura, Photors) sarà uno dei ragazzi del devo team della Visma-Lease a Bike. Il trentino approda a uno dei principali team del WorldTour senza aver mai vinto una corsa e la cosa suona apparentemente strana. Eppure parliamo di un corridore che ha una particolare capacità, quella di esserci sempre nei momenti che contano. Non a caso è finito nella top 10 nel 90 per cento delle corse disputate quest’anno, a prescindere da percorsi, climi atmosferici, tattiche e non è certo cosa comune.

Segatta insieme al suo preparatore Paolo Alberati, che lo ha portato in Olanda
Segatta insieme al suo preparatore Paolo Alberati, che lo ha portato in Olanda

Gibo Simoni garantisce per lui

Volevamo saperne di più, così abbiamo chiamato il suo preparatore Paolo Alberati che ci ha aperto un mondo perché la storia di Segatta e del suo ingaggio è qualcosa che riguarda un po’ tutto il ciclismo attuale: «Io lo seguo dallo scorso ottobre – racconta – vedevo gli ordini di arrivo dello scorso anno e notavo che la sua presenza c’era molto spesso. Oltretutto è un trentino come il mio amico Simoni al quale Maurizio Fondriest, con cui collaboro, ha chiesto subito lumi su questo ragazzo e GIlberto gli ha dato molte rassicurazioni sul suo valore. Così l’ho chiamato per fare un test gratuito e capire con chi mi trovassi davanti e sono rimasto sbalordito dai dati.

«Fabio è un ragazzo di 1,84 con un fisico asciutto, magro ma tonico. Io pensavo di trovarmi di fronte a uno scalatore, i suoi dati mi davano buoni riscontri in tal senso, ma erano quelli sull’esplosività che erano straordinari, da velocista puro. Gli ho chiesto se avesse mai fatto volate e mi ha detto di no, se aveva paura e mi ha detto ancora di no, così ha cominciato a buttarsi dentro e i risultati si sono visti subito. Uno che in salita non lo stacchi e in volata se la gioca è una vera rarità, che fa gola a tanti…».

Durante i test, Segatta ha mostrato inconsueti valori relativi all’esplosività per uno scalatore
Durante i test, Segatta ha mostrato inconsueti valori relativi all’esplosività per uno scalatore

Sui muri fiamminghi non lo stacchi…

Alberati si è fatto quindi un’idea precisa su che corridore sia, ma non solo lui: «Io penso che sia l’ideale per le classiche, uno che sul Kwaremont è in prima linea e non cito questo muro a caso perché è andato a correre nel GP Harelbeke di categoria e per due volte su quel muro è transitato tra i primissimi. Mi aspettavo di vederlo nell’ordine di arrivo, ma poi è caduto all’ultima curva e i sogni sono svaniti, ma la sua prestazione non è sfuggita a chi c’era.

«Pochi giorni dopo infatti ci hanno contattato i dirigenti della Visma-Lease a Bike e il loro interesse era tangibile, tanto è vero che ci hanno pagato il viaggio verso ‘s-Hertogenbosch. Ci hanno immerso nella loro straordinaria realtà, con il palazzo diviso per piani in base alle squadre (WorldTour uomini, donne, devo team). Hanno fatto un bike checking a Fabio e anche loro sono rimasti stupiti: loro hanno un particolare software che analizza le stagioni su trainingpeaks e distingue le prestazioni fra resistenti ed esplosivi. Segatta era esattamente nel mezzo e questo per loro è un valore enorme. Tanto è vero che ci hanno subito fatto un’offerta per due anni e non c’è voluto molto per accettarla…».

Nelle stanze della Visma-Lease a Bike, davanti alle foto di tanti campioni. Dal 2026 ci sarà anche lui
Nelle stanze della Visma-Lease a Bike, davanti alle foto di tanti campioni. Dal 2026 ci sarà anche lui

Un corridore davvero completo

Parliamo quindi di un ragazzo che spicca per la sua duttilità: «E’ uno che sa correre su ogni percorso, in salita come in pianura. Anche all’Eroica si è distinto, ma ha anche una bella capacità di fare gruppo, di essere parte di un team e questo dai responsabili dell’Unione Sportiva Montecorona me l’hanno confermato. E’ uno che va forte anche a cronometro. Molti mi chiedono: perché allora non vince? Io rispondo che preferisco che prenda aria in faccia, che sia davanti, che sia sempre nel vivo dell’azione piuttosto che guadagnare vittorie, poi se arrivano meglio ancora, ma non è fondamentale».

Uno così però non rischia di essere un piazzato, che fa punti, ma non vince e quindi resta nel gruppo di una squadra di spicco, relegato a ruoli di contorno? «Faccio mia la risposta di Pellizzari: non mi sembra che un direttore sportivo freni un ciclista che mostra di avere i mezzi per emergere. E’ così anche per Fabio, ne siamo sicuri. Mettiamo in chiaro un punto: il vero cammino di Fabio inizierà il prossimo anno, quando si troverà in quel consesso, dove dovrà dimostrare pian piano quel che vale. Ora deve lavorare in quella funzione, per questo i risultati di quest’anno hanno un valore relativo».

L’ultima vittoria del trentino è stata nel 2024 al Trofeo Commercio Industria e Artigianato (foto team/Facebook)
L’ultima vittoria del trentino è stata nel 2024 al Trofeo Commercio Industria e Artigianato (foto team/Facebook)

Un lavoro appena iniziato

Ma dal prossimo anno, quando Segatta sarà in un team dove ci saranno propri preparatori, con un contratto di due anni, che apporto potranno dare Fondriest e Alberati? Il loro lavoro è finito nei suoi confronti? «Finito? E’ appena cominciato. Possiamo anche mettere le carte in tavola: noi prendiamo una commissione del 5 per cento sui suoi contratti futuri, ma per ora non prendiamo nulla. Abbiamo fatto anche noi un investimento,, quindi significa che continueremo a seguirlo, con un contatto stretto. Non so se ricordate il film “Jerry McGuire” con Tom Cruise che seguiva un giovane talento del football americano. Per noi è così, se Segatta cresce, è nostro interesse ma perché avvenga dobbiamo stargli vicino».

Farlo passare in un team italiano sarebbe stato più semplice? «No, la realtà per un team italiano professional è lo stesso, è proprio il ciclismo che funziona così come un vero sport di squadra. Un procuratore deve seguire tantissime cose, anche della vita di tutti i giorni come una trasferta, una visita medica. E’ il nostro lavoro».

Lo sprint al Giro del Friuli. Su 16 gare quest’anno, il trentino è andato in Top 10 ben 13 volte (foto team/Facebook)
Lo sprint al Giro del Friuli. Su 16 gare quest’anno, il trentino è andato in Top 10 ben 13 volte (foto team/Facebook)

Esplosività enorme e particolare

Prima si parlava di Simoni e chiaramente, essendo Segatta trentino, il riferimento a Gibo viene naturale. Che differenze ci sono? «Simoni era uno scalatore puro, ma aveva la legnata in salita, lo scatto bruciante. Fabio ha un tipo di esplosività diversa. Ad esempio il suo VLA Max è 0,55, Simoni aveva, presumo, lo 0,3. Io conoscevo perfettamente il suo preparatore Camorani che è stato un mentore per me. Segatta può emergere dappertutto, deve solamente imparare e prenderne coscienza. Noi l’aiuteremo in questo».

Egidio Fior, la Zalf e una favola lunga 43 anni

18.05.2025
6 min
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C’è voluto tempo, per assorbire il colpo. Anche se l’addio era nell’aria da tanto, mettere la parola fine a 43 anni di storia non è facile, anche per un uomo di lunga navigazione nel mare ciclistico come Egidio Fior, l’uomo che ha portato la Zalf in giro per il mondo facendone una colonna portante del ciclismo giovanile italiano. Fa un certo effetto girare per le varie gare italiane ed estere e non vedere più quelle divise tricolori, quelle scritte ben evidenti, soprattutto quei ragazzi entusiasti che grazie alla sua creatura hanno assaporato il professionismo nelle sue varie epoche.

C’è voluto un po’ per mettere ordine nei ricordi e per accettare di mettersi comodi a parlare, a rimembrare tutto quel che è stato. Oggi c’è l’hotel-ristorante da cui tutto è partito e al quale bisogna dare attenzione, perché quell’impresa dà da mangiare a tante famiglie. La passione ciclistica c’è sempre, ma ora è relegata al semplice ruolo di hobby per il tempo libero.

Egidio Fior (a sinistra) dopo 44 stagioni vissute sulla strada ha deciso di chiudere la sua avventura con la Zalf
Egidio Fior, 78 anni. Dopo 44 stagioni vissute sulla strada ha deciso di chiudere la sua avventura con la Zalf

Metti una sera a cena…

«Il bello è che nacque tutto in maniera abbastanza casuale», racconta Fior. «Una sera si presentò qui al ristorante Giuseppe Beghetto (oro olimpico nel tandem e e tre volte iridato nella velocità negli anni Sessanta, ndr) e parlando mi suggerisce l’idea di creare una squadra per fare pubblicità al ristorante. Io seguivo sì il ciclismo, ma giocavo al calcio e ero più dedito a questo. Qui però passavano tanti ciclisti, quindi pensai che fosse una buona idea. Ne parlai con mio fratello Giancarlo e partimmo.

«Inizialmente ci dedicammo ai cicloturisti, ma vedemmo subito che non avevamo da soli le forze per seguire e far crescere il team, soprattutto se volevamo (e lo volevamo!) dare un’impronta agonistica. Già allora i costi non erano pochi, serviva un forte sostegno da parte di uno sponsor e lo trovammo nel mobilificio Euromobil dei fratelli Lucchetta. Erano quattro fratelli, tutti si dissero entusiasti all’idea, così nel 1984 partimmo con i dilettanti, presentando quella maglia con verde sopra e strisce bianco-rosse sotto che è rimasta fino all’ultimo».

La sala del ristorante Fior, dove sono passati tutti i grandi nomi del ciclismo italiano degli ultimi 40 anni
La sala del ristorante Fior, dove sono passati tutti i grandi nomi del ciclismo italiano degli ultimi 40 anni

Si parte e subito si scala il mondo…

Sin dall’inizio la squadra si distingue nel calendario italiano, ma soprattutto si dimostra una splendida palestra per nuovi talenti. Già nella sua formazione iniziale, composta da 8 ciclisti, ci sono nomi che si costruiranno una carriera di primo piano anche fra i professionisti, come Gianni Faresin e Flavio Vanzella. L’anno dopo la rosa sale a 10 e fra i nuovi spunta un ragazzo trentino che avrà una carriera molto fortunata: Maurizio Fondriest. I successi di quest’ultimo, a cominciare dal titolo mondiale del 1988, calamitano sul team l’attenzione generale.

«Il mio rammarico è che non sono riuscito a seguire quegli anni come avrei voluto – afferma Fior – ai mondiali c’ero, qualche gara la seguivo, ma nel complesso gli impegni di lavoro mi tenevano lontano dalle corse e dai ragazzi. Cercavo di esserci quando avevo spazio. Quelli sono stati anni magici: la vittoria di Mirco Gualdi al mondiale su strada del ’90 ci consentiva di avere nelle nostre fila il campione iridato con la maglia Zalf. Due anni dopo lo stesso fece Daniele Pontoni nel ciclocross. Intanto nel 1991 era arrivato l’ex pro’ Luciano Rui come diesse a dare una nuova impostazione al team».

La prima grande gioia internazionale per Fior: la vittoria di Maurizio Fondriest al mondiale di Renaix, era il 1988
La prima grande gioia internazionale per Fior: la vittoria di Maurizio Fondriest al mondiale di Renaix, era il 1988

La squadra, la casa: una famiglia

Nel ripensare a quegli anni, Egidio si scioglie un po’: «Per me sono stati anni speciali non solo per i risultati. Eravamo diventati una famiglia. Avevamo comprato una casetta a una cinquantina di metri dal ristorante e i ragazzi del team erano sempre qui a mangiare. Noi eravamo un po’ i “surrogati dei genitori”, soprattutto per quelli che erano lontani da casa, per gli stranieri che cominciavano a entrare nel team. Con quei ragazzi si è formato un rapporto che è andato avanti negli anni. Gualdi viene ancora a trovarci, Fondriest e Pontoni sono rimasti in contatto. Significa che avevamo seminato bene».

Quella formula è rimasta valida negli anni e dalle parti della Zalf è passato un po’ tutto il gotha del ciclismo italiano: Salvato, Figueras, Cunego, Salvoldelli, Basso, Scarponi ma l’elenco sarebbe davvero troppo lungo e lo stesso Fior c’interrompe: «Volete sapere quanta gente attraverso di noi è passata professionista? 180 ragazzi. Abbiamo vinto in tutto 8 titoli mondiali e 35 italiani, abbiamo avuto stagioni dove superavamo le 40 vittorie stagionali, roba da UAE, nel 2013 sono state addirittura 59».

Battistella, Dainese e Zurlo, tre dei tantissimi ragazzi proiettatisi verso l’attività pro’ (Photors)
Dainese e Zurlo, due dei tantissimi ragazzi proiettatisi verso l’attività pro’ (Photors)

Il ricordo delle parole di Lanfranchi

Tra tante vittorie difficile trovare quella che l’ha più esaltato, il momento più bello, ma anche in questo caso Egidio ci spiazza: «Un giorno, al Giro d’Italia, eravamo a Jesolo. Paolo Lanfranchi venne intervistato da Adriano De Zan, io ero al suo fianco e Paolo mi lasciò senza fiato: “Vedete questo signore? Devo dire grazie a lui se sono qui, perché se non ci fosse stato Egidio a credere in me, nelle mie possibilità, a quest’ora ero un bravo operaio e guardavo il Giro in tv. Invece mi sto costruendo una vita”. Non c’è vittoria che tenga di fronte a quello che è un successo di vita».

Parlavamo prima di stranieri: «Ne sono passati non pochi, ricordo ad esempio Arvesen, che vinse un mondiale e ora è un affermato diesse del WorldTour, oppure gli sloveni Pavlic e Cerin, quest’ultimo diventato procuratore di ciclisti. Tutti hanno ancora un bel ricordo degli anni trascorsi da noi».

L’ultima vittoria della Zalf sulle strade del mondo, con Zamperini al GP Kranj 2023 (Photors)
L’ultima vittoria della Zalf sulle strade del mondo, con Zamperini al GP Kranj 2023 (Photors)

Il disagio e lo stop

Poi, come tutte le belle storie, arrivano le ultime pagine, fino alla parola “fine”: «Non abbiamo mollato per ragioni economiche. Dopo 43 anni la Euromobil ha deciso di dire basta, di fare altre scelte. Fare l’attività continental costa tanto e ti restituisce molto poco. Ripeto, non sono le ragioni economiche che ci hanno spinto a mollare, è più una sorta di disagio, di inadeguatezza a un ciclismo che è profondamente cambiato e che per vecchie menti come le nostre è ormai troppo lontano.

«A me piaceva di più il sistema di prima: facevi la tua attività da dilettante, se avevi i valori giusti passavi, a qualsiasi età. Ora va tutto di fretta, tutti vogliono andare subito nel WorldTour, non so dove si finirà perché i campioni di oggi mi sembra che brucino tutto troppo presto. A un certo punto ho capito: ho 78 anni, il mio contributo l’ho dato, ora è tempo che ci pensino gli altri. A me restano i ricordi e l’affetto della gente».

Gambe, testa e squadra: indagine su Van Aert

17.04.2025
6 min
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Un campione, uno psicologo e un direttore sportivo al capezzale di Van Aert. Negare che ci sia un problema sarebbe miope, quello che possiamo fare è cercare di capirlo con il contributo di Maurizio Fondriest, Marina Romoli e Giuseppe Martinelli: ciascuno per il suo ambito.

Quarto al Fiandre e alla Roubaix, secondo nello sciagurato giorno di Waregem, il bottino è magro se sei partito per vincere. Van Aert ha lavorato tutto l’inverno per recuperare dalla caduta della Vuelta. C’è riuscito. E’ tornato nel cross. Ha partecipato a due corse a febbraio per dire di esserci. E poi è sparito in altura preparando le classiche del pavé che lentamente si sono trasformate per lui in ossessione. E gli esiti sono sotto gli occhi di tutti.

Vincere: necessità o condanna?

FONDRIEST: «Ha bisogno di vincere, anche una corsa minore. E’ entrato in un loop niente affatto bello. E’ capitato anche a me nel 1995. Secondo alla Tirreno, secondo alla Sanremo, secondo alla Gand-Wevelgem, secondo alla Freccia Vallone. Tutti mi chiedevano di fare come gli anni prima e io invece andavo alle corse e speravo che andasse via la fuga, in modo che non ci fosse più in ballo la vittoria. Van Aert ha bisogno di vincere per sbloccarsi, perché al Fiandre e alla Roubaix non è saltato e non ha perso il talento, solo non ha più lo smalto potente di prima».

ROMOLI: «Qualcuno dice che lo ha visto bloccarsi in gara. Potrebbe avere semplicemente dei pensieri intrusivi in testa. Sei in overthinking, continui a pensare e a ripensare e le tue energie mentali ti distruggono. “Devo vincere a tutti i costi, voglio zittire tutti”: questo ti mette ancora più in difficoltà. Sicuramente ha bisogno di vincere e speriamo per lui che ci riesca il prima possibile, perché più il tempo passa e più i pensieri negativi e svalutativi che ha nei confronti di se stesso si rafforzano. Sicuramente alimentati dalle critiche dei giornali e dei giornalisti che sono molto più pesanti se sei un corridore in Belgio e Olanda».

MARTINELLI: «Deve ritrovare la serenità e correre libero. Alla UAE Emirates hanno capito che lasciando fare a Pogacar quello che gli piace, va tutto meglio. Con questi campioni bisogna avere la forza di lasciarli liberi di fare e lui è uno così. Il giorno che hanno perso a Waregem, anche il più tonto dei direttori avrebbe saputo come mettere in mezzo Powless. Invece Van Aert si è imposto e a quel punto, a meno che il direttore non volesse fare la voce grossa perché la squadra doveva vincere a tutti i costi, hanno fatto bene ad assecondarlo. Voleva vincere, ne ha bisogno. Solo che si sono portati per 10 chilometri a ruota uno forte, non un pinco pallino qualunque. Poteva starci che perdessero e così è stato».

Van Aert non è tanto lontano da Van der Poel, ma si capisce che manchi ancora qualcosa
Van Aert non è tanto lontano da Van der Poel, ma si capisce che manchi ancora qualcosa

L’incubo Van der Poel

FONDRIEST: «Credo che per Wout la rivalità con Van der Poel sia un problema psicologico e non lo ha aiutato il fatto che mentre lui era in altura ad allenarsi, l’altro abbia vinto la Sanremo. Van der Poel ha vinto tre Roubaix, due Fiandre, due Sanremo e 7 campionati del mondo di ciclocross: chiaro che il confronto pesi. In più la stampa la pompa, lo mettono in mezzo e di certo sulla mente di un atleta questo ha un peso. Senza accorgerti, entri in un circolo vizioso. Lui ha bisogno di tornare a fare tante corse come prima, quelle giuste e prima o poi torna, perché Van Aert di certo non è finito. Per questo secondo me hanno fatto bene a dargli fiducia a Waregem, anche se poi è arrivato secondo. Volevano che vincesse, purtroppo gli è andata male».

ROMOLI: «Temo che possa avere l’autostima in pezzi. L’atto di egoismo che ha fatto a Waregem era dato dal fatto che Wout ha la grande paura di non tornare più quello che era prima. Specialmente perché negli ultimi anni è stato deludente per via dei tanti infortuni. Forse tutto questo ha radici profonde e anche i crampi per cui avrebbe perso quella volata potrebbero essergli venuti perché è andato in panico, quindi a livello nervoso. Voleva vincere a tutti i costi e magari non sopportava più tutte le aspettative, nel momento in cui il suo avversario di sempre vive un periodo di grazia. Se poi pensiamo che ora accanto a Van der Poel è arrivato anche Pogacar, è facile capire che la pressione sia aumentata ulteriormente».

MARTINELLI: «Partiamo dicendo che è un campione: non dico come Van der Poel e Pogacar, ma in questo momento non è molto lontano da loro. Però deve ritrovarsi e prendere un po’ di morale. Sarebbe facile dire che deve vincere una corsa, ma spesso le sbaglia con delle tattiche troppo esuberanti. Probabilmente la caduta della Vuelta l’ha condizionato anche nell’inverno. Forse quei due o tre cross che ha fatto hanno accelerato qualcosa? Perché se sbagli d’inverno, poi te lo porti dietro. E secondo me lui lì si è fatto prendere la mano dal vedere Van der Poel vincere tutti i cross. Avrà pensato di andare a vedere di persona se fosse così forte, ma a cosa gli è servito?».

L’inverno nel cross ha tolto a Van Aert il tempo per ricostruire la condizione su strada?
L’inverno nel cross ha tolto a Van Aert il tempo per ricostruire la condizione su strada?

Il ruolo della squadra

FONDRIEST: «Credo che la sua squadra, a differenza di quanto sta facendo Van der Poel, non abbia puntato sul miglioramento graduale. Lui ha fiducia nel progetto, ma se sei Van Aert non puoi andare al Tour a fare il gregario per Vingegaard, tirando quando rimanevano 15 corridori in salita. Aiutare un po’ va bene, ma il troppo è un errore. Tanto che poi arriva agli appuntamenti importanti e li fallisce. Ai mondiali del Belgio era il corridore più forte in circolazione, eppure quel giorno non andava avanti ed era arrivato secondo nella crono. Qualcosa hanno sbagliato nella gestione di gare e allenamenti? E quest’anno può essere accaduto lo stesso?».

ROMOLI: «Deve lavorare su se stesso e cercare le radici profonde di questa mancanza di autostima. E poi deve togliersi la pressione di dosso, tornare a essere uno della squadra. Deve lavorare proprio sul fatto di lasciar andare le cose come vanno. Dare il suo meglio e non guardare agli altri. Deve tenersi stretti i compagni. Dopo la volata sbagliata di Waregem ha chiesto scusa, gliene va dato merito, non so quanti altri sportivi di vertice lo avrebbero fatto. Ma ai compagni, che hanno sempre poche occasioni, sarà bastato? E poi deve tornare a divertirsi, come quando faceva i suoi attacchi anche sconsiderati. Al pari di Pogacar, che magari non vince sempre, ma lo vedi che si è divertito».

MARTINELLI: «Credo che in passato abbiano sbagliato a fare di lui un gregario, per me il campione deve correre da campione. E’ sempre stato così con quelli che ho avuto, da Pantani a Nibali, passando per Contador. Ho qualche dubbio invece su come si è preparato per il Nord. A meno che non abbiano quale strategia sul Giro, era meglio che corresse invece che fare 60 mila metri di dislivello sul Teide. Perché lì si fanno quei numeri, se ogni giorno per tre settimane devi risalire dal mare ai 2.200 metri dell’hotel. Quel tipo di lavoro ti condiziona l’allenamento e quando vai alle corse, ti mancano il ritmo e anche lo sprint. Sarà per questo che ha perso malamente quella volata? Solo che adesso non gli cambierei i piani, anche se una corsa a tappe prima del Giro, fosse anche il Turchia, gliela proporrei. Van Aert deve arrivare in Albania e vincere subito, perché sono tappe adatte a lui. Però deve arrivarci al 100 per cento. Non è Roglic che deve uscire alla fine. In più, arrivarci avendo vinto, sarebbe la cosa migliore».

La Sanremo cucita addosso: due maglie speciali firmate Q36.5

31.03.2025
3 min
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Abbiamo ancora fissi negli occhi i chilometri finali della Milano-Sanremo corsa sabato 22 marzo, poco più di trenta minuti vissuti al cardiopalma con rimescolamenti che ci hanno accompagnati fino agli ultimi metri della Classicissima. Ma gli appassionati di ciclismo, che si ricorderanno sicuramente di questa edizione, possono rivivere i momenti salienti di due edizioni, quella del 1993 e del 2018. Lo potranno fare grazie a Q36.5 che ha voluto rendere indelebili i ricordi che i due protagonisti ci hanno regalato. Stiamo parlando di Maurizio Fondriest e Vincenzo Nibali

Le nuove maglie personalizzate, chiamate, Fondriest Jersey e Nibali Jersey, sono state sviluppate dai tecnici di Q36.5 a partire da un capo iconico della collezione del brand: la maglia Gregarius Pro. La particolarità di queste due magliette è la scelta di stampare sul tessuto una foto simbolo delle due edizioni. 

Fondriest e Nibali hanno indossato le magliette durante una ricognizione della Sanremo insieme a Pidcock (foto Chris Auld)
Fondriest e Nibali hanno indossato le magliette durante una ricognizione della Sanremo insieme a Pidcock (foto Chris Auld)

Omaggio 

In una corsa dove a vincere non è sempre il più forte, e per questo entra di diritto nei cuori di tutti gli appassionati, quello che rimane scolpito è il gesto atletico. Per trionfare sul traguardo di Sanremo è necessario unire forza, fortuna e astuzia. Il marchio bolzanino ha voluto omaggiare in questo modo l’estro e la classe di due campioni che, anche grazie al successo ottenuto alla Classicissima, sono entrati di diritto nell’Olimpo del ciclismo

Le maglie Q36.5 in edizione speciale Milano-Sanremo sono state lanciate alla vigilia dell’edizione appena conclusa e saranno disponibili online sul sito del brand e nei negozi. 

I dettagli tecnici

Le due magliette, che nascono dal modello Gregarius Pro si basano sulle caratteristiche tecniche di quest’ultimo. Il taglio dato è estremamente aerodinamico, con una mappatura del corpo che garantisce al ciclista una vestibilità ottima anche quando si pedala ad alte intensità. La scelta di posizionamento dei pannelli di tessuto e delle cuciture alza al massimo le prestazioni. Anche le cuciture sono state realizzate in modo da evitare irritazioni sul corpo ed evitare resistenza aerodinamica. 

Nella zona delle maniche il tessuto a coste leggere permette una grande libertà di movimento in tutte le situazioni. Il pannello posteriore, invece, in rete a nido d’ape, si estende dalla nuca fino alla parte superiore delle tasche e assicura una vestibilità perfetta e una traspirabilità ottimale. Cucite sopra il pannello posteriore troviamo le tre tasche che risultano capienti senza però aumentare l’ingombro.  

Il peso della Nibali Jersey e della Fondriest Jersey è estremamente contenuto: solamente 112 grammi, in questo modo risulta un prodotto ideale per le uscite estive ad alta intensità.

Prezzo: 130 euro cadauna.

Q36.5

Van der Poel cannibale nel cross. E ora lo aspetta la Sanremo

07.02.2025
5 min
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Mathieu Van der Poel ha letteralmente dominato la stagione del ciclocross, chiudendola con l’ennesimo titolo mondiale, il settimo per la precisione. Il tutto con una superiorità imbarazzante. Ma ora? Ora arriva la strada, le grandi classiche, la Milano-Sanremo che sarà il suo primo grande obiettivo stagionale su asfalto.

Come si presenterà il fuoriclasse olandese? Sarà sempre super competitivo? Gli avversari lo aspetteranno più agguerriti o spaventati? Per capire meglio le dinamiche di questo passaggio dal fango alla strada, abbiamo parlato con Maurizio Fondriest, che vinse la Sanremo nel 1993 e grande conoscitore delle classiche.

Marzo 1993, Maurizio Fondriest vince la Sanremo
Marzo 1993, Maurizio Fondriest vince la Sanremo
Maurizio, Van der Poel arriva dalla stagione devastante e trionfante del cross, come gestirà questo passaggio?

Ormai si conosce bene e sa come affrontare la transizione. Da diversi anni segue questo schema, quindi il suo allenatore e il suo staff riescono a programmare il periodo di stacco e la ripresa in maniera ottimale. Il ciclocross e la strada vanno quasi a braccetto per lui: gli sforzi violenti del cross gli tornano utili nelle classiche, e non per questo trascura il lavoro di fondo e il volume nei periodi giusti.

Ma lo può fare perché è Van der Poel? Cioè perché è più forte degli altri?

Sicuramente perché è forte e quando sei così forte a correre ti diverti, ma anche perché ormai come detto si conosce e sa gestirsi.

L’anno scorso la sua prima gara è stata la Classicissima ed è sembrato brillante, ma non brillantissimo. Sul Poggio non fece la differenza come alla Sanremo dell’anno precedente, quando veniva da Strade Bianche e Tirreno: quest’anno sarà diverso?

Lo scorso anno ha avuto un avvicinamento simile e, anche se non era straripante come nel 2023 quando vinse, arrivò comunque davanti. Non possiamo sapere se fosse al top o meno, anche perché lavorò per Jasper Philipsen.

Un momento chiave della passata Sanremo. Giù dal Poggio Philipsen dice che è poco dietro a VdP. Lui lo aspetta, gli tira la volata e Jasper vince la Classicissima
Un momento chiave della passata Sanremo. Giù dal Poggio Philipsen dice che è poco dietro a VdP. Lui lo aspetta, gli tira la volata e Jasper vince la Classicissima
E hai toccato un tasto centrale: la convivenza con Philipsen…

Se avesse corso per vincere, probabilmente sarebbe stato uno degli ultimi a resistere in testa con Pogacar o magari sarebbe arrivato da solo. Quest’anno vedremo che strategia adotteranno: se la Alpecin-Deceuninck punterà su di lui o ancora su Philipsen. Quelle poi sono scelte di squadra. Una cosa è certa: se resterà davanti con Pogacar e non rientrerà nessuno da dietro, può provare a vincere di nuovo.

Magari quest’anno vuol tornare a vincere…

Van der Poel ha vinto Amstel, Fiandre, Roubaix, Sanremo. Quindi ha già vinto tutte le classiche che sono alla sua portata. Gli manca la Liegi, che potrebbe essere un po’ troppo dura, anche se ci si è già piazzato bene. Questo per dire che la sua concretezza lo porta a concentrarsi sulle corse in cui sa di poter vincere.

Forse, Maurizio, è così dura anche per gli interpreti che si è ritrovato. Magari in un’altra epoca avrebbe avuto vita più facile anche alla Doyenne…

L’anno scorso è arrivato terzo nel gruppetto subito dietro Pogacar, quindi senza alcuni di quei corridori potrebbe anche riuscire a vincerla. Il Lombardia invece sembra davvero fuori dalle sue caratteristiche. Per lui conta puntare sulle corse in cui sa di poter fare la differenza. Pensiamo al mondiale: quest’anno il percorso su strada è troppo duro per lui, quindi punta su quello di mountain bike. E se lo vincesse, gli mancherebbero solo le Olimpiadi per completare un palmares straordinario. La sua polivalenza gli permette di scegliere gli obiettivi più adatti e massimizzare il rendimento nelle discipline in cui eccelle.

La Sanremo come prima corsa non è un rischio, anche per uno come lui? Posto che poi quest’anno, forse memore di quanto accaduto l’anno passato ha detto di voler prendere parte alla Tirreno o alla Parigi-Nizza…

Non più di tanto è un rischio. Van der Poel ha già corso gare di ciclocross fino a poche settimane prima, quindi gli sforzi violenti non gli mancano. Il volume lo sta costruendo ora con allenamenti specifici, magari anche dietro moto o con il team. La Sanremo è una corsa che si decide nel finale con uno sforzo esplosivo e quello lui lo ha già nelle gambe.

Come sostiene Fondriest, l’olandese ha effettuato delle distanze anche durante la stagione del cross. Eccolo in Spagna a pochi giorni dall’ultimo iride (foto Instagram)
Come sostiene Fondriest, l’olandese ha effettuato delle distanze anche durante la stagione del cross. Eccolo in Spagna a pochi giorni dall’ultimo iride (foto Instagram)
Come si affronta mentalmente un passaggio così netto dal cross alla strada?

Quando hai una superiorità così marcata nel cross, gareggiare diventa un divertimento, come detto. L’attenzione e la pressione sono minori, anche se l’impegno resta massimo. Avere questa consapevolezza aiuta a rendere meglio in corsa, come si è visto nei suoi risultati. Se sai di essere superiore e hai una squadra forte, corri più sereno e questo fa la differenza.

Insomma, sembra quasi che Van der Poel abbia fatto una preparazione al contrario: prima l’intensità, poi il volume?

Non è proprio così. Lui le distanze le avrà fatte sicuramente anche durante il cross. In più faceva quegli sforzi violenti in gara. E comunque anche nei mesi invernali io stesso facevo intensità, la facevo con lo sci di fondo già da dicembre. Oggi si sa che non serve fare solo volume, ma bisogna bilanciare le due componenti. Van der Poel non ha certo problemi di intensità e la Sanremo ci darà conferma del suo stato di forma.

Insomma, Maurizio, Van der Poel sarà pronto per la Sanremo?

Non sarà pronto, sarà super.

Ronse e Gand: i ricordi di Fondriest diventano biciclette

16.07.2024
4 min
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Il marchio Fondriest si amplia e accoglie due nuovi modelli dedicati al mondo della strada: Ronse e Gand. Due nomi che nella carriera di Maurizio Fondriest, il quale ha messo la sua firma anche in questi due nuovi gioielli, hanno significato molto. A Ronse in Belgio, Renaix, nel 1988 Fondriest si è laureato campione del mondo. Mentre Gand, altra cittadina belga, è legata ad un ricordo diverso: alla sconfitta nella Gand-Wevelgem del 1995.

«Il modello Ronse – spiega lo stesso Maurizio Fondriest – è legato ad un ricordo molto piacevole della mia carriera. Con la città ho sempre avuto un rapporto speciale, tanto da aver lasciato al Comune una bici che è stata appesa nel palazzetto. Al contrario Gand è associata ad una sconfitta, quella della Gand-Wevelgem, persa in volata per un centimetro. Ho voluto comunque chiamare così questo modello per testimoniare la voglia di non mollare mai».

Due modelli di bici tanto belli quanto diversi, la Ronse ha una geometria All Road, mentre la Gand è pensata per ciclisti che cercano il massimo dell’aerodinamica e della velocità.

Con i suoi 840 grammi di telaio il modello Ronse è il più leggero dei due proposti
Con i suoi 840 grammi di telaio il modello Ronse è il più leggero dei due proposti

Ronse

Una bici, come appena anticipato, dedicata alla ricerca della performance su ogni terreno che sia una strada bianca o una salita impegnativa. Un telaio superleggero, realizzato in fibra di carbonio premium T700 + T800 e M40J, costituisce l’anima di questo modello. Il peso è di solamente 840 grammi nella taglia 54. La larghezza della forcella e del carro posteriore sono pensate per ospitare copertoni fino a 32 millimetri, a testimonianza dell’animo All Road di questa bici. Il passaggio cavi è totalmente integrato e i gruppi utilizzabili sono quella della serie Di2 di Shimano e AXS di SRAM. Le ruote, realizzate anch’esse in carbonio, sono tubeless ready. 

«Le fibre utilizzate per questa bici – spiega Fondriest – sono le più leggere disponibili e maggiormente avanzate a livello tecnologico. La Ronse rappresenta l’ultima generazione di bici, pensata per tutti i terreni. Anche la verniciatura è stata posizionata in maniera diversa, infatti nella parte posteriore è stato lasciato il carbonio a vista, per apprezzare maggiormente la costruzione.

La Gand è dedicata a chi ricerca una maggiore aerodinamicità e velocità
La Gand è dedicata a chi ricerca una maggiore aerodinamicità e velocità

Gand

Il secondo modello presentato da Fondriest ha un design aerodinamico ben marcato e moderno, con geometrie dedicate a ciclisti veloci. Anche in questo caso il telaio è realizzato interamente in carbonio, del tipo T600 con finitura in UD e passaggio cavi integrato. La massima dimensione dei copertoni che si può montare è sempre 32 millimetri. La Gand ha sempre la possibilità di montare gruppi della serie Di2 e AXS. 

«In questo caso – spiega ancora Fondriest – il carbonio risulta più spesso, vista anche la differenza di prezzo. Le qualità rimangono uguali ma sono stati applicati più strati rispetto alla Gand. Le geometrie si sposano bene con esigenze diverse risultando aerodinamiche ma allo stesso tempo comode. La Gand è l’unico modello che permette di montare anche un gruppo meccanico, il 105 di Shimano».

«La componentistica – conclude – risulta comunque di ottima qualità visto che utilizziamo prodotti FSA Vision, mentre le ruote sono Fulcrum. Anche i dettagli sono importanti quando si vuole fornire un prodotto da grandi prestazioni».

Fondriest

Maurizio Fondriest entra nella squadra Q36.5

12.02.2024
3 min
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Un nuovo campione del ciclismo si aggiunge alla squadra di Q36.5. Si tratta di Maurizio Fondriest. L’ex iridato di Renaix 1988 è diventato di recente nuovo Ambassador del marchio bolzanino, andando ad affiancare in questo ruolo Vincenzo Nibali.

Il benvenuto di Luigi Bergamo

Ad accogliere Fondriest nel simbolico ruolo di “padrone di casa” non poteva che essere Luigi Bergamo, CEO e Responsabile Ricerca e Sviluppo Q36.5 (in apertura a destra, insieme a Maurizio Fondriest).

«Un altro grande atleta si unisce al gruppo di Ambassador di Q36.5 – ha dichiarato Luigi Bergamo – Conosco Maurizio da quarant’anni. Quando da ragazzo ho iniziato a pedalare, mi allenavo insieme a lui sulle strade della Val di Non, successivamente l’ho seguito con grande ammirazione durante tutta la sua carriera. Sono onorato di poter oggi intraprendere questa nuova collaborazione. Maurizio rimane, oggi come allora, oltre che un grande campione, un grande appassionato di ciclismo. Attento e meticoloso ad ogni aspetto tecnico legato allo sport che più ama. Leggendaria risulta la sua cura per la posizione in sella, alla ricerca della geometria perfetta. Su questo argomento siamo in grande sinergia. Sarà un piacere poter ricevere da Fondriest feedback preziosi per sviluppare e rendere ancora più innovativi i nostri capi e i nostri prodotti».

Maurizio Fondriest è entrato a far parte della famiglia di Q36.5
Maurizio Fondriest è entrato a far parte della famiglia di Q36.5

I consigli del campione

Come anticipato dallo stesso Luigi Bergamo, Maurizio Fondriest non sarà solo Ambassador del brand, ma con i suoi consigli potrà contribuire a sviluppare nuovi prodotti. Il primo passo della collaborazione fra Fondriest e Q36.5 prevede la prova dei capi della nuova stagione primavera/estate 2024. Tra i prodotti di punta della nuova collezione i nuovissimi pantaloncini da ciclismo Dottore Pro e le innovative scarpe Dottore Clima. Si tratta di prodotti che saranno lanciati sul mercato nella seconda metà del mese di febbraio.

Tre Punti di Contatto

Q36.5 ha studiato un sistema di prodotti che permette di supportare i “Tre Punti di Contatto” più sensibili e importanti del corpo del ciclista con la bicicletta: sella, manubrio e pedali. Durante gli studi compiuti dall’azienda è stata analizzata la profonda correlazione tra questi tre punti e tutte le variabili che possono influenzare la posizione del ciclista sulla sella, e quindi il comfort e le prestazioni. Tra le variabili prese in esame i diversi tipi di selle, di scarpe o pedali, così come l’anatomia del corpo e la posizione di pedalata dell’atleta. La ricerca ha dimostrato la necessità di una soluzione adattiva che possa ridurre al minimo la differenza di comfort con tutte queste variabili. Lo studio e la sperimentazione hanno portato Q36.5 allo sviluppo di una nuova tecnologia di fondelli proprietaria chiamata Q36.5 Chamois Adaptive Technology, applicata a tutti i nuovi pantaloncini da ciclismo della prossima stagione estiva.

L’ex professionista trentino sarà un ambassador del brand bolzanino
L’ex professionista trentino sarà un ambassador del brand bolzanino

Il parere del campione

Sentita l’azienda attraverso le parole di Luigi Bergamo non potevamo non riportare le prime dichiarazione di Maurizio Fondriest, neo Ambassador Q36.5.

«La ricerca della perfezione in sella – ha dichiarato Fondriest – è sempre stata una priorità per me. Il corretto assetto in bici permette di sentirsi bene, concentrarsi sulla performance o semplicemente godersi la pedalata. L’abbigliamento e le scarpe che si indossano sono in tal senso un elemento chiave, anche se spesso sottovalutato. Q36.5 è un marchio che seguo da diversi anni ed ammiro per l’alta qualità e tecnicità dei suoi capi ed in particolar modo per l’attenzione che il marchio dedica al sostegno di un concetto unico: quello dei Tre Punti di Contatto, che ha come obiettivo il comfort complessivo del ciclista».

Q36.5