Guardando i risultati professionistici, ma soprattutto giovanili, abbiamo notato come stiano emergendo spesso nuovi talenti norvegesi, soprattutto con caratteristiche piuttosto diverse da quelle della tradizione locale, che attraverso Edward Boasson Hagen e Alexander Kristoff ha ottenuto grandi risultati soprattutto nelle prove con conclusione in volata. Le imprese di Tobias Foss protagonista al Giro d’Italia, Tobias Johannessen vincitore dell’Avenir (nella foto di apertura) e Odd Christian Eiking a lungo in maglia roja alla Vuelta sono solo la punta dell’iceberg.
Quello norvegese è un ciclismo in trasformazione, come ci ha confermato Kurt Asle Arvesen, ex pro’ e prima iridato nei dilettanti, che ha corso a lungo dalle nostre parti. E facendo proprio tesoro delle esperienze maturate in Italia sta facendo crescere la Uno-X, principale squadra norvegese della quale è direttore sportivo: «E’ un team ancora giovane, entrato fra le continental nel 2017 e fra le professional nel 2020. Veniamo da una buona stagione, dove abbiamo affrontato grandi sfide anche grazie a una vera pioggia di wild card arrivateci anche da gare di spessore, molto più di quanto ci aspettavamo, in molte prove della lunga Campagna del Nord ma anche all’Amstel Gold Race».
Come mai prima nel ciclismo norvegese emergevano soprattutto velocisti e ora invece il panorama è più completo?
Secondo me è stata soprattutto una coincidenza, avere due grandi sprinter nello stesso periodo ha dato un’impressione parziale del nostro movimento. E’ vero anche però che il ciclismo norvegese si sta evolvendo seguendo un po’ le tracce della società, dove la bicicletta è sempre più usata e il ciclismo sta diventando una vera alternativa allo sci di fondo, che con il calcio è il nostro sport nazionale.
La Norvegia ha sempre avuto però una tradizione maggiore nella mountain bike…
E’ vero, ma le cose stanno cambiando. I praticanti aumentano, ci sono gare sempre più qualificate come il Giro di Norvegia, soprattutto il ciclismo su strada offre sempre maggiori attrattive ai giovani, che prima erano più intrigati dalla mountain bike, ma molti dei nostri migliori prospetti hanno comunque una radice nell’offroad.
Alcuni anni fa ci si sorprese per l’affermazione prepotente della Norvegia nello sci alpino, perché si diceva che non c’erano grandi montagne per voi. Non è che nel ciclismo sta avvenendo lo stesso, un’evoluzione a dispetto di una sfavorevole situazione geografica?
In Norvegia le montagne ci sono, certo non sono le Dolomiti, ma ci sono salite lunghe, altezze comunque importanti. Non siamo come Danimarca o Olanda dove davvero il terreno è piatto. Sono salite che si stanno dimostrando un’ottima palestra. Poi non va dimenticato che in Norvegia ci sono 5 milioni abitanti con una cultura sportiva molto diffusa, a qualsiasi livello e qualsiasi età. Le gare ciclistiche sono molto seguite in Tv, c’è stato negli ultimi 10 anni un enorme sviluppo.
Chi sono i giovani sui quali fate affidamento?
Difficile fare qualche nome, abbiamo molti giovani che stanno lavorando con le migliori strutture disponibili, abbiamo preparatori e mental coach a loro disposizione, io credo che i risultati arriveranno. Quest’anno, relativamente al nostro team, Tobias Halland Johannessen ha portato a casa il Tour de l’Avenir succedendo a Tobias Foss, poi Rasmus Tiller e Idar Andersen, entrambi di 22 anni, hanno già vinto a livello elite e il secondo è entrato nella Top 100 del ranking. Insomma i giovani ci sono, devono solo avere il tempo di crescere, ma su di loro stiamo investendo molto.
Che ricordi hai della tua esperienza italiana?
Meravigliosi. L’Italia è la mia seconda casa, ci ho vissuto 10 anni, sul Lago di Garda. Vissi l’esperienza dell’Asics-CSA con Davide Boifava, mi legai profondamente a Luciano Rui e Ivan Basso con il quale ci incontriamo spesso ora da dirigenti sportivi. Sono molto legato all’Italia, ho imparato tanto e cerco ora di trasmetterlo agli altri.