Gravel 2021

Caos Gravel, sulla normativa c’è molto da chiarire

14.01.2022
6 min
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La repentina affermazione del gravel sta creando non pochi movimenti in Federazione. Alla vigilia di quella che dovrebbe essere la prima vera stagione agonistica strutturata attraverso un calendario, ci sono alcuni aspetti ancora nebulosi, sulle attribuzioni delle competenze ma anche, anzi soprattutto, sulla struttura stessa dell’attività, figlie di un regolamento internazionale che l’Uci ha realizzato, probabilmente in fretta, lasciando aperta la porta ad interpretazioni, il che significa che le strade possono essere diverse da Paese a Paese.

Andiamo per ordine e partiamo dalla responsabilità tecnica. Inizialmente (quando ancora era in fase di costruzione tutto il settore federale che ha visto numerosi cambi, in primis quello di Bennati chiamato alla guida della strada) era previsto che l’ex cittì del ciclocross Fausto Scotti assumesse l’incarico di gestore dei settori gravel, endurance ed E-bike. Alla resa dei conti, mentre questi ultimi due sono andati al tecnico romano, il gravel è stato accorpato al ciclocross e affidato a Daniele Pontoni.

Martinelli Serenissima 2021
Davide Martinelli alla Serenissima Gravel: la gara di Pozzato era a invito e aperta agli elite di ogni disciplina
Martinelli Serenissima 2021
Martinelli alla Serenissima Gravel: la gara di Pozzato era a invito e aperta agli elite di ogni disciplina

Una normativa lacunosa

Scotti intanto aveva messo mano alla normativa gravel, provando a sviluppare una serie di punti per la gestione dell’attività; d’altronde senza un documento specifico di base che regolamenti l’organizzazione, ogni disciplina non può esistere. Il suo lavoro e i suoi contatti con la Federazione sono stati rallentati dal Covid, che il tecnico romano ha preso in maniera forte, passando le feste natalizie in ospedale e dal quale solo ora si sta riprendendo.

In Fci però non erano rimasti a guardare e la Commissione Fuoristrada guidata da Massimo Ghirotto aveva già redatto una normativa, mutuata direttamente da quella Uci. Normativa che da una parte specifica in maniera molto dettagliata modalità di partecipazione agli eventi da parte dei corridori, divisione delle categorie e via discorrendo. Dall’altra è ancora piuttosto lacunosa su come un evento di gravel debba essere organizzato.

«E’ proprio questo l’aspetto sul quale ho lavorato – specifica Scotti, che appena ripresosi ha in programma di affrontare il tema con i vertici federali – serve una normativa attuativa che non guardi solamente all’agonismo. Non deve essere solo a uso e consumo dei praticanti. Gli organizzatori devono avere un quadro chiaro di come si organizza un evento. Non basta dire che la distanza deve essere fra 50 e 200 chilometri e che l’asfalto non deve superare il 20 per cento del totale».

Scotti Giro d'Italia CC 2021
Scotti, ex cittì del ciclocross, ora responsabile tecnico per endurance ed E-bike
Scotti Giro d'Italia CC 2021
Scotti, ex cittì del ciclocross, ora responsabile tecnico per endurance ed E-bike

La costruzione dei percorsi

Che cosa manca quindi? «Il gravel – prosegue Scotti – è qualcosa di differente sia dalla strada che dal cross country di Mtb: fare un percorso in linea su quelle distanze è molto complicato, significa che devi transitare per più comuni, su strade spesso private dovendo chiedere permessi; inoltre la normativa vigente impone paletti severi, come l’evitare prati, ridurre al minimo i single track, ecc. Il problema principale è il controllo di un tracciato di gara prevedendo velocità maggiori a quelle della Mtb e una marea di incroci. Per certi versi è più facile allestire un circuito, anche di 40-60 chilometri, più gestibile. Senza dimenticare poi che il gravel non è solo agonismo, dobbiamo pensare alla gestione di un movimento legato molto all’escursionismo. Ne parlerò al più presto in federazione».

Ghirotto perentorio

La normativa però c’è già e non si tocca, su questo Ghirotto è stato perentorio. Era fondamentale sentire anche la sua voce e il responsabile della commissione fuoristrada tiene a specificare come il lavoro di redazione della stessa normativa vada inquadrato in un discorso più ampio che coinvolge tutto l’offroad.

«Noi dobbiamo uniformarci ai regolamenti internazionali – dice – ma questo non vale solamente per il gravel ma per tutte le discipline. E’ un lavoro grande ma necessario perché nel corso degli anni le cose sono cambiate in ogni specialità e spesso siamo rimasti indietro. Sul gravel l’Uci sta procedendo velocemente, prima ad esempio si parlava di bicicletta gravel, ora la filosofia è diversa perché bisogna contemplare il territorio, i percorsi di gara».

Ghirotto Serenissima 2021
La nazionale offroad alla Serenissima 2021: con Ghirotto da sinistra il cittì Celestino, Luca e Daniele Braidot, Luca Cibrario e Jakob Dorigoni
Ghirotto Serenissima 2021
La nazionale offroad alla Serenissima 2021: con Ghirotto da sinistra il cittì Celestino, Luca e Daniele Braidot

L’evoluzione del gravel

«In commissione ne abbiamo parlato – riprende Ghirotto – perché definire una gara gravel non è semplice. Qui ad esempio dobbiamo pensare a percorsi prevalentemente ghiaiosi, ma senza trasformarli in qualcosa tipo Strade Bianche perché allora rientriamo nel ciclismo su strada. Poi c’è l’aspetto della partecipazione, pensare a modulare le gare in maniera diversa in base alle categorie (per i più giovani non si possono prevedere le stesse distanze dei grandi) e considerare anche le disposizioni da dare sul comportamento dei partecipanti. C’è tanto da fare, ci rendiamo conto anche noi che la normativa internazionale va ancora perfezionata».

Torna a galla il problema delle distanze, che a lungo ha caratterizzato anche il mondo delle gran fondo di Mtb, esponendo l’Uci a critiche senza che si trovasse una definizione chiara.

«Il regolamento dice che l’asfalto non deve superare il 20 per cento, il che significa che dovrebbero essere costruiti percorsi fuoristrada per l’80 per cento, ma dove li trovi? Forse si può pensare a superare il 50 per cento… Un altro discorso è legato al cambio ruote che fino al 2021 non era possibile. Noi abbiamo mutuato l’esperienza della Mtb e previsto aree tecniche dove poter provvedere. Come detto, è un discorso in evoluzione legato a una disciplina che si sta affermando a una velocità impressionante».

Gravel escursione
L’affermazione del gravel passa principalmente per l’escursionismo (foto Duncan Philpott/Redbull)
Gravel escursione
Ad ora il gravel passa per l’escursionismo (foto Duncan Philpott/Redbull)

La Serenissima Gravel

Un grande peso, anche per verificare sul campo tutto quel che va fatto, lo ha avuto l’esperienza della Serenissima Gravel allestita da Filippo Pozzato.

«E’ stato indubbiamente un bel test – sottolinea Ghirotto – in quel caso ad esempio tutti hanno parlato di gara professionistica, ma non era così. Era una prova elite a invito, tanto è vero che hanno partecipato anche atleti di Mtb come i fratelli Braidot. Noi abbiamo stabilito delle linee guida alle quali gli organizzatori dovranno attenersi e sulla base delle quali verrà sviluppato il calendario della nuova stagione».

Effettivamente molto c’è da fare per un settore ancora in piena evoluzione. Il gravel, dal punto di vista agonistico, può essere un punto d’incontro fra specialisti della strada e della Mtb, ma molti addetti ai lavori sono convinti che a breve termine diventerà una disciplina a sé stante, con propri protagonisti, senza però dimenticare che il ciclismo moderno è fatto anche da gente come Van Der Poel o Pidcock che svaria indifferentemente da una bici all’altra. Questi però sono fattori successivi alla necessità di una regolamentazione chiara e completa, un traguardo che appare ancora lontano.

Il motore per il cross non si fa nelle marathon, parola degli esperti

15.12.2021
7 min
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In Val di Sole ancora una volta abbiamo assistito alla netta supremazia dei crossisti del Nord Europa. E non ci riferiamo solo ai noti fenomeni, ma parliamo piuttosto della “massa” che gravita nelle prime posizioni. I nostri migliori interpreti, Gioele Bertolini e Jakob Dorigoni (foto apertura durante una marathon), sono molto bravi, guidano in maniera eccellente però alla fine il gap di “motore”, e di classifica, è sensibile.

Come e dove si può recuperare? Vediamo che Van Aert, Van der Poel, ma anche Quinten Hermans, per citare un buon nome ma non un extraterrestre, fanno della strada una colonna portante. Noi invece abbiamo visto che Dorigoni, a parte qualche parentesi tra i dilettanti, la scorsa estate ha preso parte alle marathon in mountain bike. Di fronte a tutto ciò una riflessione ci sembra lecita.

E come nel nostro stile queste riflessioni le facciamo con gli esperti. Abbiamo chiamato in causa chi ha esperienza sia sulla strada che nella mtb: Paolo Alberati, Massimo Ghirotto e Claudio Cucinotta.

Jakob Dorigoni e Gioele Bertolini, entrambi della Selle Italia Guerciotti, i più forti crossisti italiani
Jakob Dorigoni e Gioele Bertolini, entrambi della Selle Italia Guerciotti, i più forti crossisti italiani

Alberati: forza assoluta

«Il divario che si è visto in Val di Sole è molto ampio – dice Alberatisi parla sempre di rapporto potenza/peso, ma questo nel cross conta zero. Tanto più che in Val di Sole l’unico tratto di salita si faceva a piedi e in quel caso contano le lunghe leve. Nel cross si è quasi sempre in pianura.

«Facciamo due conti. Prendiamo due corridori che hanno la stessa potenza alla soglia, 6 watt per chilo, ma uno pesa 60 chili e uno 75. Quando quello di 60 chili è a soglia, viaggia a 360 watt, quello di 75 chili ne tocca 450, il che significa 90 watt di differenza! I nostri pagano non meno di 50 watt dai crossisti di vertice. Dunque parliamo di potenza pura.

«Pertanto affidarsi alle marathon come sistema di allenamento non ha senso per il cross. Nelle marathon lavori sul glicogeno, in un cross country o in un ciclcross si fa quasi tutto lavoro anaerobico, due sistemi metabolici differenti. In una marathon hai due (forse) picchi di forza esplosiva: uno in partenza e uno all’arrivo nel caso di volata. Sarebbe molto meglio semmai che Dorigoni partecipasse a gare di cross country, sia per tipologia di sforzo che per tipologia di fibre muscolari chiamate in causa.

«Di certo, rispetto alle marathon, meglio la strada, se non altro perché nelle gare a tappe aiuti ad aumentare la cilindrata del tuo motore ripartendo ogni giorno con il fisico che non ha recuperato al meglio. Sei costretto a spingere.

«E infatti – aggiunge Alberati – io non mi stupirei se Pontoni portasse i suoi crossisti a correre una Coppi e Bartali o un “Giro di Sardegna”. Così come non mi sorprende quando sento che vuole puntare sui più giovani».

Spesso i tracciati italiani sono troppo in stile gimkana per Ghirotto. Bisognerebbe formarsi su altri percorsi
Spesso i tracciati italiani sono troppo in stile gimkana per Ghirotto. Bisognerebbe formarsi su altri percorsi

Ghirotto: qualità e percorsi

E poi c’è Massimo Ghirotto. Il Ghiro di strada e di fuoristrada ne sa come pochi altri in Italia, visto il suo passato come corridore e tecnico.

«In effetti – dice Ghirotto – anche io mi sono posto qualche domanda sui nostri e su Dorigoni domenica scorsa. Siamo sempre lì. Ricordo un quinto posto ai mondiali di Bertolini qualche anno fa e in prospettiva mi dicevo: vedrai che può fare bene. Invece un salto di qualità definitivo non è arrivato. E su Dorigoni più o meno è la stessa cosa.

«In generale servirebbe più qualità. Servono più “cavalli”, perché se facciamo un confronto siamo a minuti. Cosa si dovrebbe fare? Non avrei una risposta, se non quella che bisogna lavorare sui giovani, il che richiede tempo. E vedo che Pontoni si sta allargando al settore giovanile».

«Se le Marathon aiutano nel cross? Non sono un preparatore, ma io non ho mai visto un Absalon preparare uno dei suoi cross country, che durano un’ora e mezza, con un allenamento di resistenza pur facendo lui parecchia strada in allenamento. Più di tanto non serve, serve qualità.

«E servono atleti di peso, nel vero senso della parola. Noi il bestione da 75 chili non ce lo abbiamo. In Val di Sole guardavo Fontana, che ha fatto 15º. Lui è forte, guida davvero bene, ma gli mancano i chili, quelli della vera forza. Ma non è facile, perché Van Aert pesa 75 chili ma poi ti regge i top 10-20 in salita. E che gli fai?

«Mi ricordo della Teocchi. Con quei due europei vinti da juniores dava fiducia, poi come si è approcciata ai grandi livelli internazionale si è ritrovata staccata di minuti. E come lo recuperiamo un gap così? Lavoriamo sul peso, okay. Curiamo la forza, okay… ma si tratta di limare qua e là. E alla fine torniamo a discorso della qualità dell’atleta.

«E poi una cosa che per me deve cambiare in Italia sono i percorsi, servono campi gara con altimetrie differenti e non percorsi stile gimkana. Servono spazi più aperti dove spingere. Perché nei cross internazionali del Nord Europa le prendi sui denti».

Dorigoni assieme ad altri biker ha preso parte in azzurro alla Serenissima Gravel
Dorigoni assieme ad altri biker ha preso parte in azzurro alla Serenissima Gravel

Cucinotta: questioni (anche) economiche

Claudio Cucinotta, coach dell’Astana, riprende sia quanto detto da Alberati, soprattutto, che da Ghirotto.

«Se facciamo riferimento ai soliti big – spiega Cucinotta – Van Aert e Van der Poel andrebbero forte anche se facessero bmx! Il problema non è solo la marathon, ma dipende anche dalle qualità degli atleti stessi. Poi chiaramente c’è un discorso tecnico, un disorso di intensità. Un conto è fare forte una salita nelle marathon, e un conto nei cross country o in un Giro delle Fiandre. Nelle marathon imposti un ritmo massimale ma pensando che la salita dura un’ora, in un Fiandre uno strappo dura molto meno. Dico dei numeri: un corridore di 63-64 chili in un’ora di salita si attesta sui 350 watt, su uno strappo delle Fiandre ne esprime 500».

«Il modello prestativo più vicino al ciclocross è quello del cross country. Si sviluppano intensità molto più alte. Si fa più esplosività. Di contro non so neanche se effettivamente il cross country serva ad aumentare il motore. Senza parlare dei soliti noti, penso alla squadra di Sven Nys (Baloise-Trek Lions, ndr): loro fanno delle gare a tappe, magari di livello basso, le 2.2: ne fanno tre o quattro in un anno di 4-5 giorni ciascuna, e alla fine mettono insieme un buon volume di lavoro».

«Il discorso – riprende Cucinotta – è molto ampio. Bertolini e Dorigoni anche recentemente hanno dimostrato che possono arrivare tra i primi dieci in Coppa se tutto fila perfettamente, ma certo se cerchiamo il campione del mondo non lo avremo a breve. E’ un lavoro di lungo termine».

«I nostri atleti migliori non fanno cross. Sembrerà un po’ brutto da dire, ma è anche una questione economica. Quando arrivi a 19-20 anni chiaramente sei portato ad andare dove ci sono maggiori risorse economiche, tanto più pensando che la vita dell’atleta è abbastanza corta. Cerchi di massimizzare. Noi abbiamo atleti che potenzialmente possono essere adatti al cross, penso ad un Colbrelli, ad un Bettiol, ad un Trentin, ma chi glielo fa fare? Quanto guadagnerebbero nel cross? Mentre su strada ottengono contratti importanti. Non puoi chiedere a Colbrelli, a 31 anni, di iniziare a fare ciclocross.

«Quello che mi auguro è che le nuove generazioni possono essere più coinvolte e stimolate a fare questa disciplina. Ecco, se dovesse diventare una specialità olimpica magari le cose potrebbero cambiare. Io seguo i fratelli Braidot e Nadir Colledani (biker che hanno fatto le Olimpiadi, ndr), loro ormai il cross quasi non lo fanno più se non per allenarsi e puntano tutto sul cross country che è disciplina olimpica».

Toon Aerts in azione al Tour de Wallonie con la sua Trek – Baloise Lion (foto Instagram)
Toon Aerts in azione al Tour de Wallonie con la sua Trek – Baloise Lion (foto Instagram)

Gap tecnico-culturale

Infine consentiteci di aggiungere una nostra valutazione. Va detto che c’è anche un gap “culturale”, nell’approccio al ciclocross in Italia, che poi di fatto si lega a quanto ha detto Cucinotta. Da noi il crossista è il “biker prestato” alla disciplina, all’estero è quasi il contrario: è il crossista che è “prestato” alla strada. E se non è così tra pro’, lo è di sicuro nelle categorie giovanili.

E questo presuppone una formazione atletica e tecnica ben diversa, una formazione che va ad incidere anche sul motore stesso del corridore. Bertolini e Dorigoni sono pertanto più che giustificati se oggi si ritrovano in queste acque. E nonostante tutto mostrano un impegno eccezionale. Questo articolo non è un processo su di loro, ma uno spunto di riflessione. Se in Val di Sole gli azzurri arrivano: 15°, 16°, 17° e 18° nell’arco di 62″ una domanda bisogna porsela.

Meeting dei tecnici Fci: «Più sinergie e competenze specifiche»

16.11.2021
4 min
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Dopo le nomine, si passa ai fatti. Di sicuro si passa al lavoro. La scorsa settimana la Federazione ciclistica italiana ha convocato un importante assemblea di lavoro con tutti i tecnici azzurri e i rispettivi staff.

C’erano i vari settori: pista, strada, offroad… per un totale di 16 cittì. Parafrasando il comico Maurizio Crozza, potremmo dire che si è passati al “foglio del come”, come lavorare, come attuare i proclami. Anche se in questo, sia chiaro, non c’era da ridere: fatti seri e metodologie di lavoro concrete.

Da sinistra: Ghirotto, Celestino e Amadio, team manager delle nazionali
Da sinistra: Ghirotto, Celestino e Amadio, team manager delle nazionali

Collaborazione fra i settori

Tra coloro che hanno preso parte a questo importante incontro tenutosi a Cambiago nel milanese, c’era anche Massimo Ghirotto. Il “Ghiro” è uno dei personaggi con maggior esperienza del nostro ciclismo. Per anni professionista su strada, è stato un team manager nella mountain bike per altrettante stagioni. Il “Ghiro” ha diretto il Team Bianchi e ha collaborato con il Team Trek-Pirelli. Quest’ultima collaborazione è stata una breve parentesi prima di entrare in commissione offroad.

«Programmazione è la parola chiave – dice Ghirotto – si è parlato principalmente di programmazione: del lavoro, della preparazione vera e propria, delle trasferte, delle Olimpiadi…

«Diego Bragato, soprattutto, ci ha parlato di allenamenti. Delle nuove metodologie fornite dalla letteratura scientifica attuale, quindi di nuove tecnologie e metodologie di allenamento. E ci ha ribadito quanto sia importante la collaborazione fra i settori.

«E l’aiuto fra Celestino e Pontoni ne è un esempio. Non ci devono più essere compartimenti stagni. Bisogna comunicare e aiutarsi nella consapevolezza che una disciplina o un atleta può essere di aiuto l’uno all’altra».

Grande attenzione da parte dei tecnici azzurri durante le lezioni
Grande attenzione da parte dei tecnici azzurri durante le lezioni

Sinergie e competenze

Sinergie dunque fra i tecnici. Parola magica voluta dal presidente Dagnoni e fortemente sponsorizzata dal team manager Amadio.  

Ghirotto parla sì di collaborazione e sinergie fra i vari settori, ma anche di competenze sempre più specifiche. E di quanto sia importante che un tecnico possa essere concentrato sul suo lavoro specifico. Insomma niente più “tuttologi”.

«Per esempio – continua Ghirotto – nella Mtb, Celestino oltre all’aiuto di Pontoni, potrà avere il supporto di Andrea Tiberi, fresco ex atleta di livello internazionale (Tibi ha preso parte ai Giochi di Rio 2016), laureato in scienze motorie, esperto, abile comunicatore… Una figura molto importante e preparata che seguirà i giovani principalmente. La sua presenza consentirà a Celestino di essere sgravato di ulteriori impegni. Mirko potrà concentrarsi meglio su altri aspetti. Non poteva controllare il settore cross country, marathon ed eliminator maschile e femminile, elite e giovani da solo».

Le trasferte andranno organizzate con maggior anticipo, per stabilire ancora meglio le esigenze di mezzi e personale
Le trasferte andranno organizzate con maggior anticipo, per stabilire ancora meglio le esigenze di mezzi e personale

Programmazione totale

Prima si è accennato al discorso della programmazione. Programmazione intesa nel suo senso più ampio. Una progettazione a breve (e lungo) termine dei programmi, l’organizzazione di una trasferta, il lavoro in ottica Olimpiadi.

«Si è parlato di allenamenti – spiega Ghirotto – ma anche di organizzazione delle trasferte. Queste per esempio non devono essere più presentate all’ultimo minuto, ma progettate per tempo. Vanno individuate le strutture, i trasporti e il personale che serve con il giusto anticipo. Che poi di fatto si tratta di stabilire un budget e su quello lavorare».

«Riguardo alla parte degli allenamenti è importante guardare avanti. Bisogna pensare alle Olimpiadi. Si è parlato di Parigi 2024, ovviamente, ma anche di Los Angeles 2028».

Insomma la squadra della nuova dirigenza dopo i proclami inizia a passare all’azione. Il progetto Dagnoni prende quota.

Presentato il Tour. Ghirotto: «Decisivi Granon e Alpe»

14.10.2021
6 min
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Appena poche ore fa si sono tolti i veli sul Tour de France numero 109 ed già è scattata la giostra dei commenti. E’ facile, è duro, è il solito Tour, è diverso… Ognuno dice la sua, specie sui social. Noi invece un commento lo chiediamo a Massimo Ghirotto, che di percorsi e di grandi Giri se ne intende, per averli fatti da corridore e dalla moto come commentatore Rai.

Ma prima una panoramica. Da Copenaghen (Danimarca) a Parigi. Si parte con una crono e si affrontano prima le Alpi e poi i Pirenei. Si corre quasi esclusivamente nella metà orientale della Francia. Poche volte si è visto un tale sbilanciamento geografico, ma questo poco conta ai fini tecnici.

Tappe sempre più corte. Pensate solo due frazioni toccano i 200 chilometri: la sesta tappa (Binche-Longwy di 220 chilometri, la più lunga), e la quindicesima (Rodez-Carcassone di 200 chilometri spaccati). Il totale dei chilometri è di 3.328 per una media di 158,5 chilometri a frazione, quattro in meno della passata stagione

La mappa del Tour 2022. Si parte il 1° luglio da Copenaghen e si arriva Parigi il 24 luglio
La mappa del Tour 2022. Si parte il 1° luglio da Copenaghen e si arriva Parigi il 24 luglio

Vento e pavè 

«Ho guardato bene tappa per tappa – dice Ghirotto – e ho anche preso appunti. Per me è un Tour duro. Davvero. Più duro della sua linea normale e di quella vista negli ultimi anni. Bisogna stare sempre molto attenti, a parte la porzione centrale in cui ti puoi rilassare un po’. Anche se al Tour non ti puoi mai rilassare.

«Si parte da Copenaghen e più che la cronometro di 13 chilometri che è un po’ più lunga di un prologo, starei attento al fatto che si è vicini al mare e il vento può fare danni, ma tanti danni. E poi è la partenza: c’è la lotta per stare davanti, la paura di perdere terreno, il nervosismo. Tutto questo ti porta ad essere ancora più attento. E vale anche per la prima tappa in terra francese, la Dunkquerque-Calais».

Nel 2014 Nibali costruì gran parte del suo successo sul pavè
Nel 2014 Nibali costruì gran parte del suo successo sul pavè

Sulle tracce di Nibali

«Nella quinta tappa c’è il pavé. E questa può sconvolgere la classifica. Lo abbiamo visto con Nibali nel 2014. E vedendo la mappa sono quasi tutti settori nuovi, il che peggiora le cose. Non c’è nessuno che te li spiega. E se è brutto tempo? Siamo sempre al Nord. Senza contare che c’è anche la Foresta di Arenberg: una bestia. Lì sai che entri ma non sai se esci! Mi ricordo quando facevamo la riunione prima della Roubaix. Il direttore sportivo ci diceva: state davanti, te Massimo stai vicino a Bontempi… Sì, si ma poi devi anche uscirci bene e devi farle certe cose, perché tutti vogliono stare davanti! Questa per me è una delle tappe da cinque stelle.

«Per il resto poi inizia una parte centrale che invece è più da Tour classico. Frazioni nelle quali va via la fuga e le squadre dei velocisti aspettano gli ultimi chilometri per andarli a prendere. O magari arriva la fuga. Ma gli sprinter non se le lasciano scappare certe occasioni. Almeno non a questo punto di un grande Giro, perché poi con le salite in vista ogni tappa potrebbe essere ultima».

«Attenzione però in questa fase a non dimenticare la Planche de Belle Filles, se non altro perché ci ricorda i nostri successi italiani. Per me infatti, questo muro non segnerà grosse differenze».

Il pavè, la Planche e più avanti Hautacam… sembra di essere al Tour di Nibali e chissà che non sia di buon auspicio per qualche nostro corridore.

Alpi decisive

La prossima estate si affronteranno prima le Alpi e poi i Pirenei. Sono entrambi molto impegnativi, ma forse le Alpi lo sono di più. Si scalano arrivi impegnativi e giganti come il Galibier. E infatti Ghirotto non lesina giudizi netti.

«Per me il vincitore del Tour uscirà dalla doppietta alpina delle tappe 11 e 12. Si scalano salite lunghe e dure tra cui Telegraphe, Galibier ad oltre 2.600 metri, Granon, durissimo. Poi di nuovo Galibier e Croix de Fer, che se fa caldo è micidiale. Infine c’è l’Alpe d’Huez. Questa salita è forse la più impegnativa del Tour, ma in assoluto. Non dà respiro, a parte una brevissima spianata. Il finale è appena più dolce, ma a quel punto i giochi sono fatti. Queste due tappe sono di quelle che quando ti svegli sai che dovrai fare tanta, ma proprio tanta, fatica. Le vere differenze si faranno qui».

Pirenei e cronometro

Secondo l’ex pro’ veneto dunque, gran parte della torta ce la si gioca sulle Alpi. I Pirenei sono sì impegnativi, ma potrebbero incidere meno. E Ghirotto fa un discorso molto interessante. Una volta le differenze maggiori si facevano nel finale, adesso invece sembra avvengano prima.

«La 18ª tappa, quella di Hautacam è durissima – spiega Ghirotto – ma a quel punto ognuno ha il “suo posto”. Ci saranno fatica e stanchezza che livelleranno i valori in campo. Se guardiamo bene, l’anno scorso Pogacar il Tour lo  ha vinto nella prima parte. E’ lì che ha fatto i distacchi grandi. Poi sì, era forte, ma non ha più fatto le stesse differenze. E lo stesso discorso vale per Bernal al Giro. Per me dopo quelle tappe alpine non vedremo più grandi distacchi. Anche perché Hautacam me la ricordo. La presi davanti con un gruppetto e vinse LeBlanc, sì può fare la selezione, ma non per i primissimi, quanto piuttosto per coloro che lottano dal quinto al terzo posto».

«E lo stesso discoro vale per la crono. Questa penultima frazione prima di Parigi inciderà molto meno per chi dovrà guadagnarsi la vittoria. Anche perché oggi poi questi uomini di classifica vanno tutti forte a crono. Si potrebbe dire: okay ma due anni fa Pogacar ci ha ribaltato il Tour. Ma quella è stata un’eccezione (anche per il percorso con arrivo sulla Planche, ndr). Tadej quel giorno ha fatto un qualcosa di straordinario, una prestazione fuori dal comune. E se poi andiamo a vedere gli altri che ha battuto erano gente come DumoulinVan Aert, dei super specialisti»

Infine un occhio, rapidissimo, ai favoriti. Salvo novità, i tre migliori uomini per i grandi Giri attuali, Roglic, Bernal e Pogacar, faranno rotta sulla Grande Boucle.

«Beh – conclude Ghirotto – Pogacar è fortissimo, ma se io fossi il diesse della Ineos porterei Bernal a questo Tour. Dopo la vittoria al Giro credo che Egan non abbia altri sbocchi che ripartire dalla corsa francese».

E se dopo la Roubaix ci ritrovassimo con Sagan sulla gravel?

11.08.2021
4 min
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Immaginate che spettacolo se a casa di Pozzato e Johnny Mole il 15 ottobre si presentassero Sagan e Van der Poel, magari il fresco vincitore della Roubaix e il campione olimpico Pidcock per la prima edizione della Serenissima Gravel? E’ tutto talmente in costruzione e ricco di suggestioni, che sognare non costa molto. Del percorso ci aveva parlato proprio Moletta ai primi di maggio: partenza da Jesolo e arrivo a Piazzola sul Brenta. Pochi corridori per squadra, tre o quattro al massimo, e percorso abbastanza tecnico da risultare credibile. Quella che qualche mese fa suonava come una suggestione ora sta prendendo forma, ma perché funzioni occorre un regolamento tecnico. Una bella gatta da pelare, che al momento è fra le mani di Massimo Ghirotto (responsabile della Commissione fuoristrada) e Gianluca Crocetti (presidente dei giudici di gara). Come si fa una corsa gravel perché non sia una Strade Bianche e insieme una gara di cross country?

Pidcock rivelazione su strada, campione olimpico della Mtb e star del cross: perfetto profilo gravel
Pidcock rivelazione su strada, campione olimpico della Mtb e star del cross: perfetto profilo gravel

Bici gravel o da cross

Per la gara di Pozzato&Mole, che ha tempi stretti, è allo studio ed è in dirittura di arrivo un regolamento speciale, che in qualche modo permetterà di fare la fotografia esatta dell’evento e da quella sarà possibile comporre un regolamento tecnico definitivo.

«Bisognerà che le bici – dice Ghirotto – abbiano certe caratteristiche. Al massimo potrebbero essere bici da ciclocross per i corridori il cui sponsor non avesse la gravel in catalogo. Il percorso dovrà avere una percentuale di fuoristada superiore al pavé della Roubaix o allo sterrato della Strade Bianche».

Van der Poel dovrà farsi perdonare lo svarione di Tokyo, fra mondiale, Roubaix e…
Van der Poel dovrà farsi perdonare lo svarione di Tokyo, fra mondiale, Roubaix e…

Agonismo e poi turismo

La Serenissima Gravel sarà una gara a invito, per cui il fattore imprevedibilità si potrà ragionevolmente tenere sotto controllo, ma in ogni caso nel predisporre il regolamento speciale si è guardato anche a cosa fanno in Australia e negli Stati Uniti, in cui tuttavia simili eventi sono più simili a raduni cicloturistici. Ed è vero che il ritorno turistico è ciò che si augurano Pozzato&Mole, ma prima va predisposta una gara, un numero zero di quello che potrebbe diventare un format destinato a durare. Sul lato commerciale, il gravel tira davvero forte. Ma per fare in modo che la formula agonistica sia convincente, occorre differenziarlo dalla mountain bike e da un certo modo di fare strada.

Assistenza fissa

«Fra gli aspetti che si stanno valutando – spiega ancora Ghirotto – c’è il delicato fronte dell’assistenza tecnica sul percorso. Non è possibile immaginare che il gruppo abbia dietro della ammiraglie. Allora vedo più una soluzione simile a quella che nella mountain bike si usa nelle marathon. Un numero di postazioni fisse di assistenza meccanica e rifornimento, che il personale dei team può raggiungere facendo dei tagli. Niente radioline. E se fori in un determinato punto lontano dalle postazioni fisse, non cambi la bici, ma devi essere in grado di sistemarla. Si deve capire che lo spirito è diverso, deve passare il principio della diversa cultura del fuoristrada, in cui forature e cadute hanno un’incidenza superiore rispetto alla normalità delle gare su strada».

Lachlan Morton, Alex Howes, foto Fsa, Dirty Kanza
Lachlan Morton e Alex Howes nella Dirty Kanza: uno così andrebbe invitato a scatola chiusa…
Lachlan Morton, Alex Howes, foto Fsa, Dirty Kanza
Lachlan Morton e Alex Howes nella Dirty Kanza: uno così andrebbe invitato a scatola chiusa…

Uci alla finestra

E allora, mentre si aspetta la definizione del regolamento speciale (se l’Italia apre la strada, l’Uci sarà ben contenta di mettersi a ruota) e del campo dei partenti, continuiamo a sognare una bella sfida di Sagan contro Van der Poel, con un occhio di riguardo per Pidcock, che magari potrebbe beffarli con uno scatto nel tratto più sconnesso. Ci muoviamo in un regno indefinito fra il ciclocross, la mountain bike e la strada. Dal Covid in avanti, le gravel hanno invaso strade e sentieri. Quando Giancarlo Brocci parlò di Eroica per professionisti tutti storsero il naso, anche i cosiddetti esperti, poi però davanti al successo arrivò Rcs e si prese tutto. Siamo certi che non potrebbe accadere di nuovo?

Ghirotto entra in Fci. A lui la commissione del fuoristrada

16.05.2021
4 min
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Massimo Ghirotto è definitivamente un pezzo importante del ciclismo italiano: corridore, team manager, diesse, radiocronista e adesso anche presidente della commissione fuoristrada della Federazione ciclistica italiana. 

Coerente con la sua serietà, l’ex dirigente Bianchi (nella foto d’apertura con Gerhard Kershbaumer) ha lasciato la Trek-Pirelli, uno dei team italiani di Mtb più in crescita che fa doppia attività marathon e cross country. Massimo vi era entrato circa un anno fa proprio per seguirli in Coppa del mondo. Ma con questa nomina si è chiamato fuori.

Ghirotto in questi giorni è al Giro per commentarlo dalla moto di Radio Rai
Ghirotto in questi giorni è al Giro per commentarlo dalla moto di Radio Rai

L’investitura da Dagnoni

La nomina è arrivata nel consiglio federale che si è tenuto a ridosso del via del Giro d’Italia. Un consiglio che ha visto le prime grandi mosse nel neopresidente Cordiano Dagnoni.

«Non mi aspettavo questa nomina – dice Ghirotto – E’ stata una piacevolissima sorpresa e anzi colgo l’occasione per ringraziare pubblicamente Dagnoni. Chiaramente ne avevamo già parlato. A lui serviva una figura esperta del mondo della Mtb. Voleva sfruttare le mie conoscenze nel mondo del fuoristrada. In più ho la mia esperienza amministrativa di quando ero nel team di Gimondi dove tenevo anche i contatti con le aziende per dire…».

A Verona si è da poco tenuta una gara di Coppa Europa di Bmx
A Verona si è da poco tenuta una gara di Coppa Europa di Bmx

Tante discipline

Ghirotto andrà a sostituire Paolo Garniga, che ha tenuto questa posizione per otto anni. Ma qual è poi nello specifico il ruolo del presidente della commissione fuoristrada?

«E’ un ruolo importante perché abbraccia tutte le discipline dell’offroad che non sono poche: cross country, downhill, enduro, marathon, ciclocross, Bmx, freestyle… è un volume di lavoro enorme. Cosa facciamo? Approviamo le gare, promuoviamo gli eventi, valutiamo le norme attuative… 

«Deve essere un lavoro di squadra e proprio su questo aspetto mi hanno colpito le parole di Dagnoni. Cordiano mi ha detto: credo molto nel lavoro di squadra. Che poi è sempre stato il mio motto. Se tutti tirano nella stessa direzione allora si è forti, se invece ognuno tira dalla parte sua non si va da nessuna parte».

Ghirotto collaborerà a stretto giro con Giancarlo Masini. I nomi della commissione non sono stati resi noti, ma Massimo ci anticipa questo nome. Lui è un azzurro paralimpico e sarà un interlocutore importante per interfacciarsi con tutte le discipline. Enduro, e-bike, Dh sono state accorpate e avranno un referente, cross country e marathon ne hanno un altro. E così le altre.

«Sarà importante – riprende Ghirotto – essere sul campo, assicurare che tutto sia idoneo allo svolgimento della gara ed eventualmente dare un supporto».

La Mtb ha numeri importanti. Quest’anno all’Elba (Capoliveri) si terrà il mondiale marathon
La Mtb ha numeri importanti. Quest’anno all’Elba (Capoliveri) si terrà il mondiale marathon

La difesa della Mtb

Ma poi c’è un altra missione molto importante. Far crescere il movimento, in generale il ciclismo, ma nello specifico di Ghirotto quello del fuoristrada. E qui la fetta più grossa è quella della Mtb che con il ciclocross recita la parte maggiore. Potrà avere il fuoristrada più peso politico in seno alla Federazione?

«Questa è una questione che mi piace. La quota dei tesserati off road sono ben oltre il 50% e bisogna levare gli scudi in favore della Mtb che è la base di tutto.

«Molti ragazzi iniziano con questa bici.  Il settore giovanile al Nord va abbastanza bene, va incrementato anche al Centro e al Sud, anche se poi in Sicilia c’è molta attività. Ma come si fa a far crescere il settore? Organizzando gare. Tutti abbiamo iniziato così. Ci vorrà del tempo, ma questa è la via».

«E poi le strutture – conclude Ghirotto – penso alla Bmx e agli impianti che ci sono a Padova e Verona. Lì si possono organizzare gare di livello nazionale e internazionale. I ragazzi possono avere un campo sicuro. Penso alla pump track, al settore gravel che è in forte crescita. Tanti genitori oggi hanno paura a mandare i loro figli per strada. Sono progetti a lungo termine. Il mio sarà un approccio in punta di piedi, ma mi prendo le mie responsabilità».

Grandi Giri per Van Aert? Gli esperti hanno dei dubbi

18.03.2021
6 min
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Vince in volata, vince a crono, va forte in salita: Wout Van Aert è tutto ciò. Il belga sta riscrivendo le regole del corridore completo e stupisce non poco. Dopo la Strade Bianche aveva detto di puntare alla classifica generale della Tirreno-Adriatico e se non avesse incontrato un altro fenomeno come Pogacar ci sarebbe anche riuscito. Ma questo ci porta a pensare un po’ più là. Van Aert può vincere un grande Giro? Oppure è “limitato” alle corse di un giorno? E ancora: le gare di una settimana sono il suo ideale?

Ne abbiamo parlato con tre ex corridori, di altrettante generazioni: Massimo Ghirotto, Michele Bartoli ed Enrico Gasparotto.

Massimo Ghirotto (59 anni) oggi è commentatore dalla moto per Radio Rai
Massimo Ghirotto (59 anni) oggi è commentatore dalla moto per Radio Rai

Ghirotto dice sì, ma…

Partiamo da Massimo. Lui ha corso tra gli anni ’80 e ’90 e ha visto dal vivo anche gli ultimi super atleti che potevano vincere classiche e grandi Giri con un certa facilità.

«Credo sia la domanda che tutti si pongono nel mondo del ciclismo e credo che una risposta certa non la sappia neanche Wout stesso. Si tratta di un corridore rarissimo che va forte dappertutto, anche nel cross non dimentichiamolo. Il fatto però che sia alto 187 centimetri e pesi 77 chili ci dice che è anche un bel “bestione”. Mi viene in mente Indurain. Lui vinceva i Giri, ma non le classiche. Allora penso a Moser, che vinceva entrambi, però va detto, e lo sostiene Francesco stesso, che i Giri di Moser erano disegnati per lui. C’erano tante crono e pochi arrivi in salita.

«Per cui dico che sì, potrebbe anche vincere dei grandi Giri, ma dovrebbe perdere almeno 2-3 chili, anche se a guardarlo in volto mi sembra già bello scavato, ma lo può fare. In questo caso, in teoria, perderebbe un po’ di spunto veloce per le volate, ma è anche vero che se Van Aert dovesse pensare alla classifica generale immagino non faccia anche gli sprint: il rischio sarebbe alto e dovrebbe dosare le energie.

«Meglio nelle corse di una settimana? Con i se e con i ma non si fa molto, ma alla Tirreno se non ci fosse stato Pogacar avrebbe vinto. A Prati di Tivo Van Aert non aveva neanche un compagno di squadra. In quelle situazioni avere un paio di uomini incide molto.

«I grandi Giri sono sempre più duri: il Giro lo conosciamo, la Vuelta propone arrivi in salita con pendenze incredibili e anche il Tour si sta allineando. Van Aert dovrebbe lavorarci e dovrebbe avere una squadra per lui, ma credo che alla fine per saperlo del tutto debba fare una prova vera. Io per esempio mi dissi: possibile che grande e grosso come sono non posso andare forte a cronometro? Per risolvere il dubbio provai… e la risposta fu no! ».

Bartoli è stato uno dei più grandi interpreti delle classiche, oggi è un preparatore
Bartoli è stato uno dei più grandi interpreti delle classiche, oggi è un preparatore

Bartoli: «E’ più da classiche»

Seguendo l’ordine temporale, passiamo al punto di vista del campione toscano, protagonista delle classiche a cavallo tra gli anni ’90 e 2000.

«Van Aert che vince un Tour la vedo dura. Anche perché ha 26 anni ed è nella maturità o quasi. Sì, potrà crescere ancora, ma poco. Poi magari mi sbaglio e vince tutto! Però non vedo quei margini necessari per diventare un corridore da corse a tappe. Dove può primeggiare alla grande è nelle classiche. E’ un corridore che dà spettacolo e può vincere dalla Sanremo al Lombardia, passando per la Liegi. Lì ci sono salite che durano 10′ e su scalate di quella durata va più forte di altri. Anche al Lombardia può far bene, anche se è la classica più lontana dalle sue attitudini, ma avendo mostrato di andare forte in salita può farcela.

«Una sua caratteristica predominante è la determinazione. Rispetto a Van der Poel è più completo. Mathieu è più spregiudicato, è uno che punta forte su un obiettivo e lo vince. Guardiamo cosa ha fatto nella tappa di Prati di Tivo: si è staccato pensando al giorno dopo. Van Aert quel giorno invece ha mostrato grande concentrazione. Secondo me è andato anche più forte di Pogacar per certi aspetti. Gli scattavano in faccia, si staccava, li recuperava e li staccava a sua volta, ma non lo faceva perché voleva riprenderli, ma per salire con un passo che fosse il più veloce possibile. 

«Il belga nella tappa dei muri ha pagato un po’ rispetto a Pogacar perché lui è meno scalatore e nell’arrivo del giorno prima aveva speso di più, anche per questo dico che non lo vedo nelle tre settimane (situazioni così capitano spesso, ndr). Di contro, è anche vero che l’anno scorso nel finale del Tour è andato forte lo stesso. Però spesso in vista degli arrivi in salita, una volta finito il suo lavoro, si staccava. E questo conta nel risparmio delle energie.

«Chi mi ricorda? A mia memoria nessuno. Magari fra qualche anno dirò: questo corridore mi ricorda Van Aert. No, uno così vincente su tutti i terreni non c’è. Basta poi leggere i suoi numeri: vince le volate a 1.500 watt e tiene sulle salite vere. Wout unisce le due cose in modo incredibile».

Enrico Gasparotto, Saudi Tour 2020
Oggi Gasparotto collabora con il team continental Nippo-Provence e con Rcs come regolatore
Enrico Gasparotto, Saudi Tour 2020
Oggi Gasparotto collabora con il team Nippo-Provence e con Rcs come regolatore

Gasparotto: «Non si snaturi»

E per finire parola al friulano-svizzero, l’unico che tra l’altro con Van Aert ha anche condiviso gare e chilometri in gruppo visto che ha corso fino alla stagione scorsa.

«Se Van Aert può vincere un grande Giro? Io dico di sì, ma devono esserci situazioni favorevoli, come più chilometri a crono e meno arrivi in salita. Mi vengono in mente due esempi, Indurain e Cancellara. Fabian ha vinto un Tour de Suisse. Per dire che se troverà sul suo cammino percorsi ideali ce la può fare.

«Mi ha colpito la sua crescita progressiva. Parlavo con lui quando ancora era nella continental e alternava strada e cross. E’ giovane adesso, all’epoca nel 2016, era un “bimbo”. Sempre educato. Ci siamo anche incontrati qualche volta sul Teide. Sembrava dovesse venire alla Wanty. Negli ultimi anni si è dedicato moltissimo alla cura dei dettagli e il miglioramento è stato continuo. E’ cresciuto nelle tappe di montagna e anche a crono ha fatto passi in avanti. L’altro giorno a San Benedetto nonostante la bici nuova aveva una posizione perfetta ed è stato subito performante: significa che ci lavora.

«Van Aert alla Tirreno ha dimostrato che può vincere una gara di una settimana, magari non facilmente, ma se arrivi davanti a gente come Bernal e Landa che sono scalatori significa che ce la puoi fare. Nei grandi Giri invece subentrano altri fattori. Vero che lo scorso anno ha fatto grandi performance nella terza settimana ma se parti per fare classifica è diverso. Portare a spasso 76-77 chili per tre settimane è diverso che farlo con 59 o per una sola settimana (incidono anche spesa energetica e recupero, ndr).

A noi viene in mente il Tour di Wiggins. L’ex pistard di sua maestà fu costretto ad una grande rivoluzione del suo fisico per centrare la Grande Boucle. E Gasparotto ha la sua idea…

«Fossi in lui preferirei puntare alla “top five” dei cinque monumenti e alle corse a tappe di una settimana, piuttosto che cambiarmi per conquistare un grande Giro. Lui nasce perfetto per queste gare. Se dovesse concentrasi su un grande Giro andrebbe troppo a modificare le sue caratteristiche, ma il fascino del Tour è il fascino del Tour… e qualche corridore non resiste, ci perde la testa! Meglio, per me, mantenersi sui propri standard».

Tao Geoghegan Hart, Ineos-Grenadiers, Milano, Giro d'Italia 2020

«Corsa senza respiro», parola di Ghirotto

24.02.2021
5 min
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Il Giro d’Italia numero 104 è stato presentato da poche ore e già Massimo Ghirotto sfoglia mappe e pensieri. Il percorso proposto quest’anno da Mauro Vegni è davvero più variegato che mai. E la caccia all’erede di Tao Geoghegan Hart (foto in apertura) è già cominciata.

A nostro avviso si tratta di un tracciato più completo anche rispetto a quello della passata stagione: sono soprattutto le tante tappe intermedie a caratterizzarlo. A presentarlo a lettori di bici.PRO è il padovano che i Giri li ha vissuti da corridore e da commentatore per Radio Rai in moto, entrando così anche nelle dinamiche del ciclismo attuale.

Massimo Ghirotto, commentatore per RadioRai dalla moto
Massimo Ghirotto, commentatore per RadioRai dalla moto

Niente respiro

«Da corridore – dice Ghirotto – quando presentavano il Giro guardavo subito le tre settimane. La prima era “tranquilla”, la seconda un po’ più dura e la terza era quella durissima. Stavolta non è stato così. E la prima cosa che ho notato è che non ci sarà tempo per respirare. Una tappa sì e una no, o al massimo due, bisognerà farsi trovare pronti alla guerra. Non so quindi se sia durissimo, di certo bisognerà essere subito abbastanza in guardia e crescere strada facendo, perché comunque non c’è un vero momento di “tranquillità”».

Questa scelta secondo Massimo è figlia anche di un ciclismo moderno, che non può più prevedere i dieci giorni di pianura tipici del Tour. Pertanto lo spettacolo dovrebbe essere assicurato, anche se i primi arrivi in salita, Sestola e Campo Felice, sono “facili”. Tuttavia nella tappa abruzzese prima si sale parecchio. E occhio a quella con arrivo a San Giacomo, da scalare ci sono le salite dei Sibillini che se fatte forti potrebbero far pagare dazio a qualcuno.

Lo Zoncolan fu scalato per la prima volta nel 2003 dal versante meno duro di Sutrio
Lo Zoncolan fu scalato per la prima volta nel 2003 dal versante meno duro di Sutrio

Niente quote elevate

«Altra cosa che mi ha colpito – riprende Ghirotto – è stato vedere che non si va molto oltre i 2.000 metri di quota (la cima Coppi è il Pordoi a 2.249 metri, ndr) e questo svantaggerà i corridori colombiani che a quelle quote si trovano a loro agio. Per me è una scelta saggia di Vegni che forse vuole evitare complicazioni legate al meteo. Il Giro deve arrivare a Milano nella sua interezza…

«Per quanto riguarda le salite, la terza settimana è la più dura, però lo Zoncolan non è lo spauracchio come sempre, poiché si sale dal versante meno duro. Per me la tappa regina è quella di Cortina con Fedaia, Pordoi e Giau. Nel 2012 ricordo che arrivarono in pochissimi. Il Fedaia  con quel rettilineo infinito è terribile. Non finisce mai. Per me è la salita più dura del Giro. Non conosco invece l’Alpe di Mera, mentre è davvero dura, oltre 5.000 metri di dislivello la 20ª frazione, quella dello Spluga. Che salita questo passo! Senza contare che arriva a fine Giro e la stanchezza inciderà».

Non va dimenticato poi l’arrivo di Sega di Ala, altra scalata da non sottovalutare e che viene il giorno dopo il tappone dolomitico.

Filippo Ganna, Giro d'Italia 2020, Valdobbiadene
Filippo Ganna al Giro d’Italia 2020: il piemontese vinse tutte e tre le crono
Filippo Ganna, Giro d'Italia 2020, Valdobbiadene
Ganna al Giro d’Italia 2020: il piemontese vinse tutte e tre le crono

Ganna poco premiato?

«Mi aspettavo più crono, ma sono contento di vederne “poca”. Il giusto, direi. Quella finale di quasi 30 chilometri è una crono del ciclismo attuale. Non è da 60 chilometri come ai tempi di Indurain. Per me in un grande Giro a volte bisognerebbe lasciare spazio anche ai corridori che attaccano, che danno spettacolo e possono far bene così. Poi capisco che il ciclismo attuale imponga il corridore completo».

Forse qualcuno, con Ganna in maglia iridata e il Giro che parte dal suo Piemonte, si aspettava qualcosa di più.

Diego Ulissi, Joao Almeida, Patrik Konrad, Monselice, Giro d'Italia 2020
Tagliati fuori i velocisti, Ulissi vinse a Monselice.
Diego Ulissi, Joao Almeida, Patrik Konrad, Monselice, Giro d'Italia 2020
Tagliati fuori i velocisti, Ulissi vinse a Monselice.

Velocisti e attaccanti

«Io – continua Ghirotto – per gli sprinter ho contato sei tappe, cinque sicure. Quella di Stradella con i “dentini” finali se la dovranno sudare. E non sono poche, credo che in questo Giro ci sia spazio per tutti. Per esempio nell’ottava e nona tappa, il corridore, anche quello di classifica sa che al via dovrà “stringere bene i cinghetti” perché sarà un vera lotta. E lo stesso in quella di Montalcino. Sulle strade bianche può succedere davvero di tutto, come accadde nel 2010.

«Per mezzo Giro, almeno fino allo Zoncolan, io credo che non succederà molto. Okay le tappe intermedie e gli arrivi in salita, ma il corridore di classifica quello vero ed intelligente, si concentra su due o tre tappe, quelle che ritiene essere le più importanti. Altrimenti ogni giorno sprecherebbe energie. Lasceranno andare via le fughe per “addormentare” la corsa e scoraggiare attacchi nel finale. E’ normale, lo faceva già Indurain.

Infine chiediamo a Ghirotto se, visto il poco respiro tra una tappa e l’altra, il Giro numero 104 possa essere anche per un “vecchietto”?

«Eh – sospira Massimo – l’anno scorso Nibali, che tutti sappiamo essere l’uomo della terza settimana, nel finale di Giro disse: “Qui c’è gente più giovane che va più forte di me”. Mi rimetto alle sue parole».

Il parterre comunque è davvero “de roi” e se c’è una cosa che ci ha insegnato il Covid è che le sorprese non mancano. «Vi ricordate – esclama Ghirotto – che lo scorso anno al via dell’ultima tappa c’erano due corridori con lo stesso tempo?».