mondiale gravel 2025 donne, Lorena Wiebes, Marainne Vos, Silvia Persico, podio

A Maastricht Wiebes regina, ma sul podio c’è anche Persico

11.10.2025
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MAASTRICHT (Olanda) – Shirin van Anrooij passa sotto al triangolo rosso dell’ultimo chilometro con 10” di vantaggio. Sembra fatta. Resta uno “zampellotto” di 150 metri e poi lo sterrato, più che altro un ghiaino su fondo in cemento, che scende fino all’arrivo. Il problema per lei è che in quei 150 metri Lorena Wiebes e Marianne Vos volano. Fanno il diavolo a quattro e alla loro ruota, come un francobollo, c’è Silvia Persico.

Quattrocento metri, trecento… Shirin è lì. Duecento metri ancora avanti. Cento metri: la prendono e la saltano a velocità quadrupla. E’ la dura legge del ciclismo. Sul traguardo spesso è tutto o niente. Per “noi”, e quel “noi” sta per Silvia Persico, è bronzo. Per Lorena Wiebes è oro, per Marianne Vos argento. La povera Shirin Van Anrooij è niente. Finisce addirittura quinta, scavalcata dall’altra orange Yara Kastelijn.

Per il Limburgo del Sud è stata una vera cartolina pubblicitaria. La zona si presta ottimamente al gravel (foto SWpix)
Per il Limburgo del Sud è stata una vera cartolina pubblicitaria. La zona si presta ottimamente al gravel (foto SWpix)

Pontoni? L’aveva vista giusta

Il cielo è plumbeo nel Limburgo del Sud. Non piove. Ed già è una notizia. La corsa parte e la selezione, come aveva previsto Daniele Pontoni, non arriva da subito ma da dietro. Per quasi due terzi di gara le ragazze restano compatte. Un paio di volte si muove Vos e Persico la segue. Solo a un certo punto si crea un buco…

«Un buco di 4 secondi», racconta Pontoni. Siamo a circa 50 chilometri dall’arrivo e deve succedere qualcosa., qualcosa che non vediamo bene neanche dai monitor. All’improvviso davanti si ritrovano in cinque. Persico è nel gruppo dietro, a oltre 40 secondi. Il tira e molla va avanti a lungo. Le fuggitive restano lì, ma il buco non si chiude. «La situazione non era facile. Nelle feed zone successive fortunatamente il distacco è sceso e le ho detto di provarci. Ai -15, persa per persa, le ho detto di tirare e chiudere, e Silvia l’ha fatto».

«Questo podio non è una maglia iridata ma vale come un titolo – aggiunge Pontoni – l’ho detto anche ad Amadio. Oggi di più non si poteva fare. Le ragazze sono state brave. Ne avessi avuta qualcuna in più… Alla fine era una corsa su strada, e lo sapevamo. E le olandesi non hanno corso da nazionale, e sapevamo anche quello. Abbiamo giocato benissimo le nostre carte».

Scelte tecniche differenti

Mentre le ragazze salgono sul podio e Van Anrooij, seduta in disparte, si tiene la testa fra le mani – la delusione cocente è comprensibile – abbiamo modo di osservare le bici del podio. Quante scelte diverse.

In particolare la Colnago G4X di Persico montava gomme Continental tassellate da 40 millimetri, mentre Wiebes optava per pneumatici da 45 ma molto lisci. Una via di mezzo per Vos: posteriore da 42 millimetri liscio al centro e tassellato ai lati, e 45 tassellato all’anteriore. Manubrio da strada per Persico e Wiebes, manubrio da gravel per Vos. Monocorona per Wiebes (48 denti) e Vos (46 denti), doppia 50-34 per Persico, che racconta di aver usato più del previsto quel 34. Tutte e tre, invece, con pedali da strada: esattamente come aveva suggerito Pontoni. Il tecnico si era studiato alla grande questo mondiale, curando ogni particolare.

Il grande assente è stato il vento, dato forte alla vigilia ma quasi nullo in corsa. La media oraria di 33 all’ora conferma quanto il tracciato fosse scorrevole. Qui si stima che domani, nella prova maschile, gli uomini potranno arrivare a 42.

Coltelli che volano…

L’arrivo è posto in una zona ampia e periferica della splendida Maastricht. All’inizio non c’è molta gente, ma poi arriva il mondo. Quassù il ciclismo non tradisce mai. Gli olandesi si godono le imprese delle loro “orange”. Sono in netta superiorità numerica e anche in quanto a qualità non scherzano: Vos, Wiebes, Van Anrooij, ma anche Rooijakkers, Bredewold e tante altre.

Tuttavia lo spirito di squadra non è stato ideale, come ha sottolineato Van Anrooij dopo la gara, alquanto contrariata soprattutto con l’allungo di Kastelijn. Wiebes che ringrazia pubblicamente la compagna di squadra, ma non di nazionale, Kopecky. Vos che in mix zona, ma dice e non dice e si limita a commentare che allo sprint Wiebes era troppo più forte di lei. Il segreto di Pulcinella. Lorena è l’incubo delle velociste, figuriamoci di chi sprinter non lo è.

E il tecnico della nazionale olandese, Laurens Ten Dam che a Wielerflits ha detto: «Non dovevamo permettere che la situazione si riducesse a un problema di giochi di squadra. Mi dispiace per Van Anrooij, meritava lei il titolo per come ha condotto la gara. Capisco che 9 delle prime 12 sono tutte olandesi e tutte volevano vincere, ma non hanno corso come una vera squadra. Non hanno fatto domenica scorsa agli europei».

E un bronzo che brilla

Silvia, invece in mezzo a tutto questo tatticismo non si è fatta prendere dalla foga né dal panico. In zona mista la sua medaglia brilla come fosse oro, e quel mazzo di fiori si sposa benissimo con l’azzurro della maglia.

Silvia, per chi sono questi fiori?

Non lo so, per me! Non so neanche se li porterò sull’aereo stasera.

Come è andata? Un finale incredibile…

Ho dato tutto quello che avevo perché volevo davvero una medaglia. A circa 20 dall’arrivo ho chiesto un po’ di collaborazione perché le prime erano a 10-15 secondi. A quel punto ho chiuso io su Wiebes e Vos, poi sono tornate le altre e ha attaccato van Anrooij. Poi si è messa a tirare Julia Kopecký…

In effetti l’unica della Repubblica Ceca si è messa a tirare e guarda caso è compagna di club della Wiebes. Possiamo dire che le olandesi non hanno corso da squadra?

E per fortuna! Erano 26 al via, troppe. Noi in cinque e ho fatto quasi tutto da sola per stare davanti. Mi ha aiutato un po’ all’inizio Maria Giulia Confalonieri. Non abbiamo mai parlato in gruppo, ma nel finale era importante stare attente: dovevo solo rimanere a ruota. Nel finale hanno spinto in modo incredibile.

Ti abbiamo vista molto aggressiva in curva, “cattiva”. E’ così?

Le mie compagne mi dicono sempre che sono troppo buona, ma oggi, su questo tipo di terreno, un terreno sul quale mi trovo a mio agio, ho guidato bene. Insomma, dove potevo limare… ho limato.

Lo splendido bronzo di Silvia Persico, che è anche la medaglia numero 23 conquistata da Pontoni da quando è commissario tecnico
Lo splendido bronzo di Silvia Persico, che è anche la medaglia numero 23 conquistata da Pontoni da quando è commissario tecnico
Cosa è successo quando mancavano circa 50 chilometri all’arrivo e da gruppo pressoché compatto ti abbiamo vista nel gruppetto dietro?

Loro sono andate via. Hanno preso qualche secondo e poi nessuna voleva più collaborare. Ho provato un sacco di volte a rientrare, però alla fine nessuno voleva darmi una mano. Alla fine sono rientrata io sulle prime due, quando mancavano 15 chilometri.

L’altro momento chiave è stato il finale…

Nell’ultimo chilometro e mezzo si andava fortissimo, ma credo che van Anrooij fosse un po’ cotta, perché era fuori da tanto. Il timore di non chiudere c’era stato prima, quando davanti erano in cinque con dentro Wiebes e Vos. Nel finale, quando ho visto che dopo Kopecky che tirava è partita Kastelijn, ho detto: “E’ fatta”. E infatti…

In generale, Silvia, come stai?

Bene direi. Alla fine è stata una stagione lunga, sono molto stanca, non vedo l’ora di recuperare sinceramente. L’off-season è vicina. Prima però vediamo di vin… di fare bene mercoledì al Giro del Veneto Women.

Ferrand-Prevot, la strada dell’Inferno oggi luccicava

12.04.2025
6 min
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ROUBAIX (Francia) – Pauline Ferrand-Prevot arriva dopo aver vinto la corsa del pavé e si siede con la faccia fresca e allegra di chi ha passato una bella giornata, ma senza particolare trasporto. Forse si può spiegare col fatto che aver vinto le Olimpiadi sia al di sopra di ogni emozione sportiva, ma la spiegazione vera la fornisce lei ridendo spensierata.

«La Roubaix non era nel mio programma – dice divertita e un po’ stupita – normalmente a quest’ora sarei dovuta essere in altura per tre settimane. Dopo la Strade Bianche e la Sanremo, ho parlato con il mio coach e gli ho chiesto di fare il Fiandre. Loro hanno parlato e mi hanno autorizzato a farlo. Una settimana più tardi gli ho chiesto di lasciarmi fare la Roubaix ed è stata davvero una decisione dell’ultimo momento. Mi hanno accontentato di nuovo ed è quello che mi piace della squadra. Ho un ruolo libero e vado avanti come voglio. In questa prima stagione, ho dovuto scoprire cosa potevo fare. Anche se l’obiettivo principale è vincere il Tour de France, penso che Fiandre e Roubaix siano stati un’ottima gara di allenamento per imparare a tenere le posizioni in gruppo. Sappiamo infatti che le prime tre tappe del Tour saranno abbastanza tecniche e io voglio allenarmi per difendere la mia posizione. Penso che questa gara sia stata il migliore allenamento».

Vigilia con la febbre

Ci sono ragazze là fuori, affrante e sfinite sui loro pullman, che darebbero una mano per essere qui al suo posto, con il pavé e i fiori del vincitore. Invece lei che la Roubaix l’ha appena vinta al primo assalto ha l’atteggiamento quasi irriverente di chi è abituato a vincere su traguardi più importanti. Le domande si susseguono: dal racconto dell’attacco al dispositivo Gravaa per gonfiare e sgonfiare i tubeless sulla sua Cervélo che a sentirla le hanno salvato la vita.

«Non mi sentivo molto bene negli ultimi giorni – racconta – alla Strade Bianche ero caduta e ho dovuto prendere a lungo gli antibiotici. Non ho mai recuperato del tutto, tanto che ieri ho dovuto sospendere l’allenamento perché non mi sentivo bene. Questa mattina non avevo più la febbre, per cui ci siamo detti di provare soltanto per aiutare Marianne (Vos, ndr). Non ero sicura delle mie condizioni, ma in gara ho cercato di dare il 100 per cento. L’obiettivo era di rendere la gara più dura possibile per stancare le velociste e portare Marianne fino allo sprint. E’ ciò che ho fatto».

Nonostante la Roubaix sia il suo sogno, Vos abbraccia Ferrand-Prevot: un gesto di grande classe
Nonostante la Roubaix sia il suo sogno, Vos abbraccia Ferrand-Prevot: un gesto di grande classe
Il tuo attacco era funzionale alla vittoria di Marianne?

Così doveva essere. Mi ha chiesto lei se potevo attaccare sul settore di pavé. Le ho detto che erano tutte già a tutta, quindi forse era più intelligente aspettare un po’ e attaccare sull’asfalto. E’ ciò che ho fatto e ho approfittato del fatto che dietro non si siano organizzate. Ho cercato di far funzionare il piano, non avevo in mente di vincere la gara, ma volevo lavorare per la squadra.

Hai raccontato di aver usato il dispositivo per sgonfiare i tubeless sul pavé e rigonfiarli sull’asfalto: ne puoi parlare?

E’ stato davvero utile poter abbassare la pressione sulle pietre, mi sentivo più comoda, saltavo di meno e avevo maggiore aderenza nella ruota posteriore. Essere poi in grado di rigonfiarlo sull’asfalto è stato ugualmente utile. Tornavo a 4 bar e riuscivo a fare una buona velocità. Lo avevamo già provato al Fiandre, è 400 grammi più pesante e non mi era sembrata una buona idea, invece per la squadra non c’è stato da parlarne e alla fine credo che siamo stati fortunati ad averlo. Credo che dal prossimo anno tutti vorranno usarlo, ma forse noi per allora avremo più margine.

In azione solitaria: Ferrand Prevot ha messo a frutto l’esperienza da fuoristradista e tutta la tecnologia possibile
In azione solitaria: Ferrand Prevot ha messo a frutto l’esperienza da fuoristradista e tutta la tecnologia possibile
Come sceglievi i punti in cui cambiare la pressione?

Mi piace molto studiare il percorso, soprattutto su VeloViewer, dove puoi vedere tutto. Mi piace sapere dove passeremo e negli ultimi giorni ho studiato un po’, sono tornata a scuola. Per cui ho deciso che avrei sgonfiato in alcune curve, mentre nei tratti successivi su asfalto avrei rigonfiato. Siccome l’operazione richiede un po’ di watt, ho cercato di usarlo nei tratti più lunghi, per non sprecare troppe forze. Quindi bisogna studiare il percorso per sapere dove conviene avere meno pressione e dove riportarla in alto. Sicuramente negli ultimi 15 chilometri ci ha aiutato molto avere 4 bar, mentre sul pavé si scendeva a 2.1-2-2: una grande differenza.

Adesso il Tour?

E’ il prossimo grande obiettivo della mia carriera. Vincere le Olimpiadi a casa l’anno scorso è stata la più bella vittoria che abbia mai avuto. Ora mi sono divertita a tornare in su strada, a lavorare come squadra insieme alle miee compagne ed è stupendo. Sulla mountain bike vincevo solo per me, ora non ci sono solo io al centro. Non ho più pressione, mi sento così bene e sono felice. Però adesso dobbiamo rendere la squadra più forte per poter vincere su altri fronti e anche io devo lavorare per superare meglio le salite più lunghe. Questo sarà il prossimo passaggio.

Questa la Cervélo S5 con cui Ferrand-Prevot ha vinto la Roubaix: monocorona e i mozzi con il sistema Gravaa
Questa la Cervélo S5 con cui Ferrand-Prevot ha vinto la Roubaix: monocorona e i mozzi con il sistema Gravaa
Qualcuno può pensare che sia troppo facile. Vinci in mountain bike, vieni qui e vinci la Roubaix: è davvero così facile?

Se mi aveste visto l’anno scorso al mondiale su strada, avreste capito che non c’è stato niente di facile. Durante l’inverno c’è stato tanto lavoro da fare. Ho dovuto essere paziente, avere fiducia nel processo. Il ciclismo su strada è uno sport completamente diverso, quindi ho dovuto riabituarmi a tutto. Ora mi sento abbastanza comoda nel gruppo. Ma ad esempio al Fiandre non ho avuto la fiducia in me stessa per attaccare.

Mentre oggi?

Oggi l’ho avuta. Ogni settimana è un passo verso l’alto, è un bel processo. Sinceramente non ho mai pensato di vincere e non volevo mettermi in una situazione in cui mi chiedessero di vincere. Ho solo chiesto di poter lavorare al massimo. Quando sono entrata nel velodromo, ho pensato a quello che mi stava succedendo, a quello che dovevo fare. Ed è stata una sensazione piuttosto strana.

Niente da dire: la foto dell’arrivo è venuta proprio bene…
Niente da dire: la foto dell’arrivo è venuta proprio bene…
Tu nell’ultimo giro e il gruppo che entrava…

Sono andata in crisi (ride, ndr). Ho pensato che rischiavo di avere la foto dell’arrivo con loro dietro, mentre io volevo una bella foto. Però in realtà è venuta davvero bene. E ora pensiamo alle prossime corse, con la testa sono già alla Vuelta, più ancora che alle classiche delle Ardenne. Quella settimana in Spagna servirà per costruire la squadra del Tour. E la cosa mi incuriosisce molto.

Fidanza studia gli sprint in stile Visma e impara dalla Vos

07.12.2024
7 min
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Lo stupore di Martina Fidanza dopo la prima visita nel quartier generale della Visma-Lease a Bike è stato quasi ridicolizzato dopo il mini-ritiro fatto in Olanda per foto e team building. Questa volta l’atleta bergamasca ha avuto la sensazione di gigantismo che spesso coglie coloro che si trovano coinvolti nelle dinamiche dello squadrone. E così, in attesa che il training camp della prossima settimana inauguri la stagione 2025, siamo tornati da lei per capire come proceda l’inserimento. Non sono stati tanti gli atleti italiani coinvolti negli anni nel team di Richard Plugge. Il primo fu Enrico Battaglin. Poi è toccato a Edoardo Affini. Ci sono Belletta e Mattio nel devo team, però mai nessuna donna era stata ingaggiata: Martina Fidanza è la prima.

«La prima volta ero da sola – racconta – per fare delle visite e vedere il magazzino. Invece venerdì eravamo tutti. Siamo andati in una sede diversa, ci hanno parlato dei loro valori e poi abbiamo fatto anche delle attività di gruppo. C’eravamo noi donne, la WorldTour degli uomini e gli under 23. In più c’era anche tutto lo staff, praticamente un’enormità di persone. Eravamo in 350 ed è stata una cosa incredibile. Venerdì ho capito veramente dove fossi e cosa stessi facendo. In più ti vedevi passare accanto ovviamente Van Aert e Vingegaard, non capita tutti i giorni. Io ero nel gruppo con Jonas e abbiamo fatto dei giochi insieme e intanto mi chiedevo: “Ma dove sono finita?”. Mi sembrava davvero un altro mondo. Vingegaard è un tipo alla mano, lo sono tutti. Ma sono anche super competitivi. Erano giochi di squadra, quindi non si concedeva niente a nessuno…».

La realtà Visma-Lease a Bike è così grande che la vendita di fine anno diventa un immenso black friday (immagine Instagram)
La realtà Visma-Lease a Bike è così grande che la vendita di fine anno diventa un immenso black friday (immagine Instagram)
Nel frattempo hai ricominciato ad allenarti?

Da tre settimane, più o meno. Le cose sono un po’ cambiate, perché vengo seguita dal preparatore della Visma e tutto il resto dello staff viene dalla squadra. Rispetto a come ero abituata, ripartivo facendo delle ore in bici senza troppi lavori, cercando soltanto di fare medio e fondo. Ora siamo partiti un po’ più tranquilli a livello di ore, c’è meno carico in bici e un po’ più di palestra. Quindi durante la settimana faccio meno chilometri al medio, però più lavori tipo partenze e alta intensità per tenere un po’ la brillantezza.

Questo perché si pensa che partirai presto nella stagione oppure è il loro metodo di lavoro?

Secondo me è un richiamo che vogliono fare per arrivare pronti al training camp e poter caricare con ore in più quando saremo là. Dato che in Spagna il meteo è migliore, possiamo fare il volume di lavoro necessario per la preparazione di dicembre.

Come va sul piano della comunicazione?

Ero già in una squadra internazionale, però ero seguita da staff italiano. Avevo il mio preparatore, avevo la mia nutrizionista italiana, quindi anche a livello di comunicazione e di inglese c’è qualcosa che devo migliorare. Ho fatto il primo mini-ritiro settimana scorsa e ho visto che comunque ci capiamo bene e loro sembrano molto disponibili ad aiutarmi, mi sembra un bel gruppo.

Abbiamo capito che continuerai a lavorare in pista.

La stagione avrà altri ritmi, ma qualcosa rimane. La nazionale non ha fatto il solito raduno a Noto, che di solito si faceva a novembre. Ma io sto continuando ad andare in pista: giovedì per esempio mi sono allenata a Montichiari. La squadra è d’accordo che la mantenga, mentre bisogna capire per i programmi. L’europeo di Zolder sarà immediatamente dopo il Uae Tour, l’idea sarebbe di farceli stare entrambi. Penso che la squadra sia abbastanza d’accordo, ma dobbiamo capire se sia effettivamente fattibile. Bisogna parlare e capire perché comunque dietro c’è un bell’impegno.

Il nuovo preparatore ti segue per i lavori da fare in pista?

No, in realtà no. Vado in pista, faccio quello che mi dice la nazionale e lui lo considera come un giorno di alta intensità e gestisce la settimana di conseguenza.

Sarai la velocista della squadra, dovrai vedertela con Wiebes, Balsamo, Kool, come ti senti al riguardo?

Ci proviamo e sono contenta di poterlo fare con una squadra a fianco che mi dà sicurezza e mi mette nella migliore condizione possibile. Ci sono dinamiche da creare, però mi sembrano un bel gruppo, molto tranquillo, disposte ad aiutare. Mi piace e mi ci trovo bene. La Wiebes per ora è imbattibile, almeno sembra. Per il resto non è facile, il livello internazionale delle velociste è molto alto.

Tra Wiebes e Kool, le due velociste con cui Martina Fidanza dovrà misurarsi
Tra Wiebes e Kool, le due velociste con cui Martina Fidanza dovrà misurarsi
La sensazione è che Wiebes vinca perché dotata di una struttura fisica imponente, allo stesso modo Lotte Kopecky. Dovremo abituarci all’idea di Martina Fidanza che metterà su massa per contrastarle?

No, penso che rimarremo con la Martina che conosciamo. La struttura fisica è soprattutto una questione di fibre. E’ vero che Wiebes ha messo tanta massa anche nella parte superiore, però penso che lei sia un caso eccezionale. E’ comunque un peso che bisogna portarsi dietro in salita, per cui è meglio che ognuno cerchi il suo equilibrio. Magari lei va forte ugualmente, ma non è detto che se metto su 5 chili di muscoli, riesco a fare ugualmente la differenza.

Elisa Balsamo dice che il modo di battere la Wiebes è provare ad anticiparla.

Condivido la stessa idea di Elisa. Lorena ha uno spunto velocissimo appena parte, quindi se accelera che è già davanti, seguirla è impossibile per chiunque. Se invece si riesce a partire avvantaggiati, si ha una possibilità. Anticiparla è l’idea giusta, ma le volate sono sempre più caotiche e lei ha alle spalle una squadra che la mette nelle condizioni migliori. Diciamo che la teoria è valida, la pratica va esercitata. La Lidl-Trek sta formando un bel treno per Elisa, quindi magari è qualcosa che stanno pensando di fare e magari ci riusciranno.

Ci sarà un treno per Martina Fidanza?

Dobbiamo ancora parlarne, ma bisognerà prima mettere a posto i calendari. Farò parte della stagione con l’altra velocista che abbiamo in squadra e abbiamo avuto modo di confrontarci e siamo ben disposte ad aiutarci. Magari qualche volta dovrò supportarla io, altre volte toccherà a lei. L’obiettivo è tirare fuori il meglio di noi per fare il meglio per la squadra e penso che lei sarà il mio principale supporto.

Consonni e Fidanza: azzurre, velociste e bergamasche. Ed entrambe cambiano squadra
Consonni e Fidanza: azzurre, velociste e bergamasche. Ed entrambe cambiano squadra
Che cosa significa per te che hai 25 anni correre accanto a Marianne Vos che ne ha 12 di più e un palmares così impressionante?

Lei è sempre stata è uno dei miei idoli, forse il più grande. Quando ero piccola guardavo le gare in cui c’era lei, ma purtroppo il più delle volte arrivava seconda. Ai mondiali però era sempre lì e quindi l’ho sempre vista come un’atleta con tanta classe, un’atleta che mi piace in tutto. Trovarla nel ritiro è stato un po’ strano. Ho cercato di superare il fatto di considerarla un idolo, una persona inarrivabile, provando a trattarla solamente come una compagna di squadra e penso che l’abbia apprezzato. Ho notato che un po’ tutti hanno verso di lei una sorta di rispetto estremo e questo talvolta porta a isolarla. Mentre se le si parla normalmente, è molto tranquilla e disponibile. E per questo cercherò di osservarla e vedere come si comporta, cosa fa. Proverò a seguirla e cercare dei consigli da parte sua. Sarà un aiuto prezioso.

Per finire, cosa ti pare della nuova Cervélo?

Ho già iniziato a usarla e mi pare una bellissima bici. Mi c’è voluto un attimino per abituarmici, perché ha delle geometrie un po’ diverse rispetto a come ero abituata. Però mi sto trovando bene, è una bella bici. Non ho ancora provato le ruote da gara, lo faremo in Spagna. Ho quelle da allenamento e davvero non ho niente da ridire. Penso anche che continueremo a usare coperture Vittoria, con cui già correvo e penso siano fra le migliori al mondo, quindi mi trovo benissimo. Per la bici e dei feedback approfonditi mi serve ancora un po’. Va bene se ci risentiamo dopo il primo ritiro?

Ten Dam in nazionale per portare ordine fra le olandesi

09.11.2024
4 min
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A Zurigo l’hanno fatta troppo grossa perché qualcosa non accadesse. Le olandesi sono sempre state solite corrersi contro, gli esempi non mancano. Ma la tattica suicida di Demi Vollering agli ultimi mondiali, con Marianne Vos e Rejanne Markus intrappolate dietro nonostante la possibilità di arrivare in volata, ha fatto sì che Loes Gunnewijk sia stata sostituita. E spiega anche come mai l’ex atleta olandese si fosse rifiutata di rispondere alle nostre domande sul tema. Il nuovo commissario tecnico della nazionale olandese è l’ex professionista Laurens Ten Dam, ritirato nel 2019 dopo 16 anni di carriera.

Nuovo cittì olandese

Lo ha raggiunto il quotidiano belga Het Nieuwsblad, che lo ha intercettato in Spagna durante le riprese di un film sui Lagos de Covadonga ispirato al suo podcast Live Slow, Ride Fast. E la prima domanda che gli hanno fatto è se troverà il tempo per il nuovo incarico. Ten Dam infatti è anche il tecnico della nazionale gravel e ha guidato Van der Poel alla vittoria di ottobre.

«Trovare il tempo – ha risposto l’olandese – è la caratteristica delle persone impegnate. Che pensano sempre: “Sì, ce la posso fare”. Ma avete ragione: ho una vita frenetica, ecco perché non posso fare il direttore sportivo in una squadra WorldTour per 150 giorni all’anno. Invece il tecnico della nazionale femminile prevede ogni anno un campionato europeo, un campionato del mondo e ogni quattro anni i Giochi Olimpici. A parte il Tour de France, sono gli obiettivi più grandi che si possono avere nel ciclismo».

Il barbecue e il Wolfpack

La federazione olandese è arrivata a lui in una serata dell’ultimo Tour, quando si è ritrovato accanto al direttore tecnico. All’epoca Ten Dam era già tecnico del gravel, quindi ha detto che ci avrebbe pensato. La decisione di accettare è venuta dopo aver seguito la gara su strada ai mondiali di Zurigo e aver guidato l’Olanda in quelli gravel che si sono corsi in Belgio. Proprio lassù, racconta l’olandese, ha sentito la mancanza di una sfida adrenalinica come quella di guidare Marianne Vos nella sfida con Lotte Kopecky.

«Sicuramente gravel e strada sono due cose completamente diverse – ha spiegato – ma penso di poter gestire la differenza. Sono stato un professionista su strada per 16 anni, ora sono un professionista del gravel. Conosco entrambi i mondi e come muovermi al loro interno. Quindi sicuramente non organizzerò un barbecue per i mondiali su strada, come ho fatto per quelli gravel. Allo stesso tempo, l’intenzione è che l’esperienza dei mondiali su strada sia ugualmente divertente. Professionale e divertente. Guardate il Wolfpack: una cosa del genere. Però so essere anche severo: chiedetelo ai miei figli. So che dovrò prendere decisioni difficili e non riuscirò ad accontentare tutti. Tutto inizia con patti chiari. Io dico chi voglio portare e cosa mi aspetto che faccia. Ti sta bene? Sei a bordo. Ma se non svolgi il tuo compito, l’anno prossimo non sarai più qui. L’equità sarà un obiettivo importante».

Il giro dei ritiri

Il mondo del ciclismo femminile si è talmente evoluto che discorsi come questo possono attecchire ben più di quanto sarebbe accaduto qualche anno fa, quando le regine olandesi del gruppo avevano diritto a un posto a prescindere dal loro rendimento e dalla loro lealtà. E’ ancora negli occhi l’inseguimento di Annemiek Van Vleuten ad Anna Van der Breggen lanciata verso la vittoria di Imola 2020.

«Per questo dico che bisognerà parlare – ha spiegato Ten Dam – e ci sono incontri già pianificati. In linea di principio visiterò tutti. E se necessario, lo farò una seconda volta. A dicembre andrò nei loro ritiri in Spagna. Indicherò chiaramente in quali gare sarò presente e quale ruolo vedo per ciascuna di loro nelle prove che dovremo affrontare. Non sarà certo il caso di incontrarci per la prima volta in aeroporto e volare subito in Rwanda per i mondiali. Bisognerà preparare tutto prima. L’intenzione è vincere, battendo Lotte Kopecky e le straniere più forti. Se abbiamo fatto tutto bene e loro vinceranno comunque, tanti complimenti a loro. Però ci arriveremo in modo diverso e rilassato. E quello che succederà in corsa non sarà legato solo all’improvvisazione».

Ghiaccio bollente: la storia da film di Faulkner, oro di Parigi

05.08.2024
5 min
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PARIGI (Francia) – Ghiaccio bollente. Non è Grace Kelly, peraltro figlia di un canottiere tre volte oro olimpico (Jake Kelly, due ori ad Anversa 1920 e uno a Parigi 1924), ma la vittoria di Kristen Faulkner è un film. Ghiaccio che si stacca, come lei ha staccato Marianne Vos, Lotte Kopecky e Blanka Vas, andando a vincere una prova cui non doveva nemmeno partecipare. E’ entrata in squadra un mese fa solo perché Taylor Knibb ha preferito nuotare nell’acqua della Senna e dedicarsi al triathlon. D’altra parte entrare a corsa già iniziata non spaventa Kristen, che lo aveva già fatto a suo tempo per entrare nel mondo del ciclismo.

Un arrivo inatteso per tutti, forse anche per Faulkner, incredula sulla linea
Un arrivo inatteso per tutti, forse anche per Faulkner, incredula sulla linea

Una scelta di vita

Ha iniziato nel 2017, a 25 anni, senza però lasciare il suo lavoro nel private equity. La sua storia racconta che in quel periodo a New York per la prima volta lei, ingegnere con laurea conseguita ad Harvard, prova una bici da competizione. Ottiene i primi risultati e arriva la decisione di lasciare il lavoro e di provarci seriamente. Non torna indietro neanche dopo una caduta con commozione cerebrale nel 2022, una tibia fratturata e un coagulo di sangue in un polmone dopo essere stata investita da un’automobile nel 2023.

Non era una sedentaria, aveva praticato nuoto e canottaggio (come il padre di Grace Kelly), ma da lì a diventare ciclista professionista troppo ghiaccio doveva sciogliersi sotto i ponti dell’Alaska. Invece ce l’ha fatta ed è campionessa olimpica.

Sul podio, l’oro di Kristen Faulkner, davanti all’eterna Marianne Vos e l’iridata Lotte Kopecky
Sul podio, l’oro di Kristen Faulkner, davanti all’eterna Marianne Vos e l’iridata Lotte Kopecky

L’importante è rischiare

«A 8 anni guardavo le Olimpiadi di Sydney in tv – racconta – e mi dicevo che volevo esserci anch’io». L’importante è partecipare, ma cosa si prova a vincere una medaglia d’oro? «Non lo so, ditemi voi cosa è successo», dice in conferenza stampa con gli occhi che le brillano. «Sto ancora guardando il tabellone con la classifica. E mi chiedo come sia possibile che il mio nome stia lì».

E’ possibile perché è stata fredda come il ghiaccio, attaccando nel momento giusto e dopo alcune cadute. Solo che stavolta non è rimasta coinvolta nell’incidente che a 45 chilometri dall’arrivo ha spezzato il gruppo e condizionato la gara di alcune favorite, tra cui la compagna di squadra Chloe Dygert. E dopo l’ultima scalata di Montmartre, dove erano appostati i suoi genitori, Kristen ha colto il momento giusto per lasciarsi indietro tutte. E così, quarant’anni dopo la vittoria di Connie Carpenter-Phinney a Los Angeles 1984 (madre a sua volta di Taylor Phinney, a lungo corridore professionista), l’oro torna agli Stati Uniti.

E’ stata Faulkner a riportare Kopecky sulle prime: si vedeva che avesse una marcia in più
E’ stata Faulkner a riportare Kopecky sulle prime: si vedeva che avesse una marcia in più

L’attacco giusto

Fredda come il ghiaccio, si diceva: «Sapevo che dovevo attaccare in quel momento, dopo aver ripreso le due che erano in testa. Con me c’erano ragazze veloci, che non erano disposte a collaborare tra loro. Se avessi preso un piccolo vantaggio probabilmente loro sarebbero rimaste a lottare per il secondo posto». Così è stato, si è staccata come un pezzo di ghiaccio e se n’è andata. Non s’è mai voltata indietro e per tenere la concentrazione: «Ho contato fino a 10 per 10 volte, finché non ho raggiunto il traguardo».

Non ha fatto gesti eclatanti alla Evenepoel, «perché troppe volte ho visto atlete perdere gare quando pensavano di averle già vinte». Poco dopo l’ha raggiunta anche la sfortunata compagna di squadra Dygert, ma ha pensato solo a Kristen: «Ha fatto un ultimo giro fantastico. Quest’anno ha dimostrato più volte di essere brava a vincere con queste azioni. Sono super felice per lei, è grandioso. Se l’è meritata, se riesce a fare queste cose è frutto del suo lavoro in pista».

Con la famiglia e l’oro olimpico ai piedi della Tour Eiffel, per l’immaginario americano un quadro indimenticabile
Con la famiglia e l’oro olimpico ai piedi della Tour Eiffel, per l’immaginario americano un quadro indimenticabile

Adesso il quartetto

Già, la pista. Era questo il motivo per cui Kristen doveva essere a Parigi, per partecipare all’inseguimento a squadre. Le era stato detto di non stancarsi troppo in strada, a meno che non ne valesse la pena. Eccome se ne valeva. Tra pochi giorni la rivedremo nel quartetto americano, a caccia di un altro oro. E magari questi diventeranno i Giochi in cui chi vince la prova in linea vince pure un altro oro. Lei ci proverà, come ci ha provato a Montmartre, rischiando.

«Ho lavorato nell’alta finanza – sorride – so che il rischio può portare a grandi vittorie. E il mio percorso mi ha insegnato che non è mai troppo tardi per buttarsi in qualcosa».

Il passato è ancora dentro di lei e il passato, come diceva un altro Faulkner, lo scrittore William, non è mai passato. E il futuro, oltre il ciclismo? «Voglio scalare l’Everest e trascorrere tempo con i monaci buddisti». Prima o poi lo farà, perché non è mai troppo tardi per avverare i sogni. «Ma questo, l’oro olimpico, era il mio sogno più grande e finalmente si è avverato».

Per inseguirlo, ha rischiato. E forse qualche anno fa, quando ha deciso, non è stata fredda come in gara, come il ghiaccio. «Ma mi sono resa conto che lo scenario peggiore non era essere al verde o senza lavoro», ha raccontato nel podcast Choose the Hard Way nel 2023. «Lo scenario peggiore era avere 80 anni e pensare: “Peccato non averci provato”». E quando l’ha pensato il ghiaccio dell’Alaska è diventato bollente.

Scopriamo Karlijn Swinkels, un’altra olandese che va forte

29.07.2024
6 min
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In una nazione come l’Olanda che domina il ciclismo femminile e sforna talenti a ripetizione che vincono ovunque, diventa difficile spiccare, ma c’è una ragazza che si sta ritagliando il proprio spazio. Karlijn Swinkels quest’anno ha mostrato una crescita ed una costanza di risultati che la pongono in cima alla lista delle atlete da seguire con più attenzione.

La venticinquenne della UAE Team ADQ finora ha conquistato sei podi più altre nove top 10 con molte prestazioni da protagonista. Le è mancata solo la vittoria per mettere la ciliegina sulla torta, ma Swinkels non è una che si arrende, soprattutto ora che sta diventando consapevole dei suoi mezzi. Le stimmate della campionessa sono uscite da junior quando nel 2016 è diventata iridata della cronometro, senza tuttavia mantenere le attese, a parte il sigillo tre anni dopo in una tappa della Vuelta a Burgos. Per vari motivi sembrava essersi un po’ smarrita (situazione che per altro capita a molti), invece nel finale dell’anno scorso in Belgio si è decisamente ritrovata. La tripletta centrata in maglia Jumbo-Visma al Tour de la Semois è stata la svolta per vedere la Swinkels di adesso. E noi abbiamo cercato di conoscerla meglio.

Al Fiandre Swinkels è sempre stata nel gruppo di testa, lavorando per Persico e chiudendo poi decima
Al Fiandre Swinkels è sempre stata nel gruppo di testa, lavorando per Persico e chiudendo poi decima
Karlijn che tipo di corridore sei? Che caratteristiche hai?

Sono un corridore a tutto tondo. Credo che le gare che mi si addicono di più siano quelle di media difficoltà. Mi piacciono le salite brevi e incisive. Sono abbastanza veloce in un gruppo ristretto dopo una gara dura. D’altra parte, mi piace molto anche aiutare le mie compagne di squadra a raggiungere la vittoria o il podio. Penso di poter essere di supporto in ogni tipo di gara.

L’anno scorso dopo la tua vittoria al Tour de la Semois sembri esserti sbloccata ed entrata in una nuova dimensione. E’ corretta questa impressione?

Sento che in questa stagione ho fatto un deciso passo in avanti. Sono felice di potermi migliorare passo dopo passo e che la squadra mi abbia lasciata libera di scoprire meglio i miei punti di forza.

Quest’anno hai fatto molti podi. Come giudichi la stagione finora?

Sono davvero soddisfatta di ciò che ho fatto. Avrei firmato per questo prima della stagione. Essere stata nei momenti decisivi dei finali delle classiche ed aver conquistato più podi in tutti i tipi di percorsi mi fa credere di poter vincere le corse. Questa conferma è davvero bella da ottenere dopo un duro lavoro.

Quali sono le gare in cui pensavi di vincere? Hai qualche rammarico?

Mi sono giocata la vittoria in più gare, ma passo dopo passo ho imparato di più. Non mi è capitato molte volte nella mia breve carriera, quindi ogni giorno continuo ad imparare. Anche recentemente al Thuringen Tour sono andata molto vicina alla vittoria, ma… non sono riuscita a chiudere abbastanza la porta (dice sorridendo, ndr). Sto cercando di trovare la mia strada verso il gradino più alto. Credo che questo obiettivo posso centrarlo anche in questa stagione.

Terza piazza per Swinkels (dietro a Jackson e Vas) nella seconda tappa della Vuelta. Uno dei tanti podi stagionali
Terza piazza per Swinkels (dietro a Jackson e Vas) nella seconda tappa della Vuelta. Uno dei tanti podi stagionali
C’è qualcuno che vuoi ringraziare per la tua crescita?

Naturalmente voglio ringraziare la mia famiglia che mi è sempre stata vicina e mi ha sostenuto in tutto quello che ho fatto fino a oggi. Senza di loro non sarebbe stato possibile essere dove sono ora. Inoltre, apprezzo molto Giorgia (Bronzini, la sua compagna, ndr) perché mi sta rendendo una persona migliore. Mi ha insegnato a essere più presente nel momento e a godermi quello che sto facendo. Infine, ma non per questo meno importante, voglio ringraziare l’UAE Team ADQ per aver creduto in me come ciclista e come persona. I miei allenatori Luca Zenti ed Enrico Campolunghi sono fantastici.

Hai qualche idolo in particolare?

Onestamente non ho un idolo, però mi piace imparare da chi è più bravo di me in qualcosa per poter crescere.

Doha 2016, Swinkels si fa conoscere al mondo vincendo la crono iridata juniores su Morzenti e Labous
Doha 2016, Swinkels si fa conoscere al mondo vincendo la crono iridata juniores su Morzenti e Labous
Qualcuno ha detto che hai un grande potenziale e che ricordi la “prima” Marianne Vos. Cosa ne pensi?

Penso che Marianne Vos sia una ciclista con cui non posso paragonarmi. È unica e ha vinto tanto in carriera. Penso solo di essere brava in gare simili a quelle adatte a Marianne. Spero di poter vincere un giorno gare come importanti come ha fatto lei.

Quali sono quindi le gare dei tuoi sogni?

Ne ho più di una. Mi piacerebbe vincere l’Amstel Gold Race, la Strade Bianche, il Fiandre o una tappa a Giro, Tour o Vuelta.

Swinkels è un’atleta che si trova a suo agio nelle corse a tappe. Al Thuringen Tour ha vinto la classifica a punti
Swinkels è un’atleta che si trova a suo agio nelle corse a tappe. Al Thuringen Tour ha vinto la classifica a punti
Che obiettivi ha Karlijn Swinkels per il finale di stagione e per il futuro?

Il mio obiettivo sarà quello di vincere una gara con i colori della UAE Team ADQ. Oltre a questo voglio continuare a correre con il cuore. Ho appena terminato il mio training camp in altura come avvicinamento al Kreiz Breizh (domani, ndr), al Tour Femmes e poi a Plouay. Spero di continuare a essere costante nel resto della stagione e di ottenere altri podi per la squadra.

Amstel Gold Race: Pidcock l’ha vinta, Wiebes l’ha buttata

14.04.2024
6 min
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A Berg en Terblijt si respira l’aria della festa mentre Tom Pidcock si sbaciucchia il cane Chestnut. L’Amstel Gold Race è finalmente sua, dopo la beffa che nel 2021 lo relegò alle spalle di Van Aert, a capo di un fotofinish che ancora oggi lascia qualche dubbio. Il britannico della Ineos Grenadiers ha fatto pace con la corsa dei mastri birrai e con una stagione che non voleva saperne di prendere la strada giusta.

«Adesso mi sento bene – dice – quest’anno è stato davvero duro. All’inizio ho dovuto fare grandi sacrifici, stando tanto a lungo lontano da casa. Quindi adesso alzare le mani al cielo significa molto. Questa è una gara che ho sempre amato, è piuttosto speciale. Oggi la squadra era totalmente dalla mia parte. “Kwiato” sta andando davvero bene, ma si è impegnato completamente a mio favore. Riuscire a ripagarli è davvero speciale.

«C’è stato il momento in cui tutti si guardavano e io ho attaccato: non è sempre una questione di gambe, serve anche scegliere il giusto tempo. Per come erano messe le mie mani dopo la Roubaix, avevo paura che avrei avuto difficoltà a sprintare. Quindi non ero così fiducioso, ma è andata bene. E ora che la pressione è allentata, possiamo semplicemente andare a correre e finalmente a divertirci alla Freccia e alla Liegi».

Il gruppo dell’Amstel Gold Race fra ali di tifosi: la passione è straripante
Il gruppo dell’Amstel Gold Race fra ali di tifosi: la passione è straripante

Le mani di Pidcock

Le sue mani alla vigilia dell’Amstel sono state l’oggetto di una dichiarazione a metà fra l’ironico e lo scaramantico, rilasciata venerdì da Pidcock.

«Le mie mani sono ancora doloranti – ha detto – immagino che sia una lezione che dovevo imparare. Ora so che non si può semplicemente andare alla Parigi-Roubaix senza preoccuparsi anche di questo. Normalmente non ho problemi con queste cose, ma di recente non sono andato in mountain bike e non ho fatto nessun’altra corsa sul pavé. Quindi le mie mani sono un po’ più morbide del solito. L’Amstel è una gara fantastica, poi verranno le Ardenne, un mio grande obiettivo fin dall’inizio dell’anno. Quindi non vedo l’ora di mettermi in gioco, insieme alla squadra. Questo è un periodo dell’anno davvero bello».

Van der Poel sotto tono

Il fatto è che quando Pidcock ha attaccato, la gente guardava fisso alle sue spalle, cercando di capire quando Van der Poel avrebbe attaccato per andarsi a prendere la corsa di casa. Dopo il Fiandre e quella Roubaix, ci si abitua alle imprese. E il fatto che il campione del mondo non si fosse ancora mosso, si riconduceva forse al volersi risparmiare per la Liegi o al correre più accorto in una corsa che non si risolve solo con grandi attacchi. Invece Mathieu questa volta è rimasto indietro, chiudendo anonimamente oltre la ventesima posizione.

«In effetti non avevo delle super gambe – ha detto dopo l’arrivo – anche se in generale non ci siamo comportati male con la squadra. Forse c’è mancato qualcuno per il tratto tra Fromberg e Keutenberg, dove tutti hanno iniziato ad attaccare. E lì ho fatto una scelta tattica, perché se avessi attaccato, gli altri sarebbero saltati. Se in questa corsa metti troppo preso le carte in tavola, vieni punito. Perciò abbiamo mantenuto un ritmo alto e speravo che saremmo rientrati, ma i primi erano davanti per un motivo ben preciso: erano semplicemente i più forti.

«Non potete aspettarvi che vinca ogni fine settimana, tanto più che le corse più adatte a me sono passate. Oggi c’era una probabilità maggiore di perdere rispetto a quella di vincere. E’ una corsa diversa con altri corridori, sono abbastanza realista da sapere che non posso vincere tutto. E così sarà anche la prossima settimana. La Liegi è ancora un grande obiettivo e ci riproverò, anche se ci sarà in corsa un certo Tadej Pogacar. Oggi parto per la Spagna per riposarmi un po’ e godermi il bel tempo».

Prma del via, Van der Poel con Leo Van Vliet, organizzatore dell’Amstel
Prma del via, Van der Poel con Leo Van Vliet, organizzatore dell’Amstel

Il colpaccio di Marianne

Poco prima, nella gara delle donne, si è consumata la beffa più grande ai danni di Lorena Wiebes per mano di quella splendida volpe di Marianne Vos. L’olandese del Team SD Worx-Protime ha fatto tutto bene, prendendo la ruota di Elisa Longo Borghini che ha lanciato lo sprint. Si è destreggiata fra le altrui gambe e quando ha visto arrivare la riga, ha buttato lo sguardo verso destra ed ha allargato le braccia, convinta di aver ormai finito il lavoro.

«Ho visto che Lorena si è alzata e ha iniziato a sperare – ha raccontato Marianne Vos – e sapevo per esperienza che in quei casi si può perdere molta velocità. Io ero molto lanciata e ho deciso di sprintare fino al traguardo, anche se non avrei mai pensato di poter vincere. E’ un tipo di errore che fortunatamente non mi è mai capitato e che a Lorena non capiterà più. Le ho parlato brevemente, ma non potevo fare altro che dirle che un giorno tornerà per vincere. Anche a me è dispiaciuto per lei, mi rendo conto che si sentisse davvero a terra».

L’ironia di Wiebes

Per fortuna Wiebes l’ha presa abbastanza bene, consapevole che per un po’ sarà lo zimbello delle colleghe e delle stesse compagne di squadra.

«Demi Vollering – ha raccontato nella conferenza stampa – mi ha detto che tornerà a questa corsa con ancora più fame. Ma so che per questo gran finale non dormirò bene per qualche notte, anche perché la squadra ha fatto un ottimo lavoro. Quando ho capito che non avevo vinto? In realtà abbastanza rapidamente. Non ho visto arrivare Marianne, è stato solo uno stupido errore. E’ la prima volta che mi succede e spero davvero che sia l’ultima. Metterò da parte la bici per qualche giorno e cercherò di godermi la vita».

La corsa delle donne è stata falsata dalla caduta di un poliziotto in moto. La gara è stata fermata e dopo un’ora di sosta, il gruppo è stato guidato in convoglio fino al traguardo. Qui è stata data una seconda partenza. La gara così rimodulata è stata lunga appena 55 chilometri e questo ha impedito che ci fosse l’attesa selezione.

Ora la carovana punta il naso verso le salite delle Ardenne. Mercoledì la Freccia Vallone, domenica la Liegi. Prima che inizi la stagione dei Grandi Giri, gli appassionati e i corridori hanno ancora davanti delle sfide pazzesche.

A Ninove subito festa Visma: prima Tratnik e poi Vos

24.02.2024
6 min
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Come si apre la campagna del Nord? Con una doppietta della Visma-Lease a Bike, tanto per mettere le cose in chiaro. Jan Tratnik vince tra gli uomini e un’oretta dopo Marianne Vos fa la stessa cosa fra le donne.

Questa classica, chiaramente parliamo della Omloop Het Nieuwsblad, si conferma terreno di caccia dei gialloneri. Con quella di oggi sono tre anni che vincono tra gli uomini.

L’azione potente di Affini, decisivo per i suoi compagni e nel cuore della corsa per due terzi di gara
L’azione potente di Affini, decisivo per i suoi compagni e nel cuore della corsa per due terzi di gara

Due più uno

L’intenzione, neanche troppo celata, è quella di riprendersi quanto prima lo scettro di prima squadra del WorldTour. Scettro che lo scorso anno gli ha tolto la UAE Emirates.

«Doppietta? Io direi tripletta – racconta un raggiante Edoardo Affini – mettiamoci anche la vittoria di Jonas Vingegaard al Gran Camino.

«Che dire: spero che dalla tv vi abbiamo offerto un bell’intrattenimento. Quando arrivi al traguardo, ti volti e vedi che sul tabellone c’è in testa il nome di un tuo compagno fa sempre piacere. Se poi ce n’è anche un altro sul podio e un altro appena sotto, allora capisci che hai fatto un buon lavoro».

Affini già qualche giorno fa ci aveva detto del buon lavoro svolto dalla squadra durante l’inverno. Sia sul fronte personale, che su quello del gruppo.

I Visma erano arrivati in Belgio attraverso strade differenti: chi aveva già corso, chi veniva dall’altura, chi da qualche apparizione nel cross, ma tutti volevano essere al meglio per la Omloop Het Nieuwsblad. L’intento insomma era partire bene. Ci sono riusciti alla grande.

Tutto facile?

Vedere tanti gialloneri davanti, vedere quel forcing sul Wolvenberg, ad oltre 50 chilometri dall’arrivo, sparigliare il gruppo con una superiorità piuttosto marcata, ha fatto pensare che tutto fosse facile per Affini e compagni. Anziché subire l’assalto degli altri, come paventava Affini, sono stati loro a prendere in mano la situazione.

Van Aert pedalava spesso a bocca chiusa. Parlava e controllava. Pidcock per restare attaccato ai sei che erano scappati da quel muro, è stato costretto a fare le volate.

«Proprio facile non direi – prosegue Affini – è andata come doveva andare, secondo le condizioni di vento che c’erano. Sapevamo tutti che in quelle situazioni ci sarebbero stati dei punti importanti, dei punti cruciali, dove c’era la possibilità di creare dei ventagli e di sfruttarli a nostro favore. E così abbiamo fatto. 

«Mi spiace solo che ad un certo momento ho subito una foratura e dal primo gruppo e mi sono trovato ad inseguire. Però almeno sono riuscito a rientrare e a dare una mano a Jan Tratnik, che poi ha vinto, e a Dylan Van Baarle».

Tratnik precede Politt, che ha tirato di più. Lo sloveno giocava di rimessa, con Van Aert nel gruppetto inseguitore
Tratnik precede Politt, che ha tirato di più. Lo sloveno giocava di rimessa, con Van Aert nel gruppetto inseguitore

Rischio (quasi) calcolato

Il rimescolamento è una costante in queste corse. Ma c’è stato anche un momento in cui la Visma, nonostante ne avesse tre su sei davanti, ha rischiato di perdere la corsa dopo l’affondo di Jorgenson, uno dei sei. A quel punto, i cinque rimasti rallentano. Dietro intanto Tim Wellens fa un’azione potente e si porta dietro il gruppo. Da qui, dopo una serie di scatti, ne escono appunto Tratnik e Politt, compagno di Wellens e guarda caso della UAE Emirates.

Dei tanti uomini veloci che hanno in Visma, si ritrovano davanti uno dei corridori (Tratnik) che allo sprint dà meno garanzie. Van Aert è in agguato, ma non si può muovere. Laporte anche, ma il rischio è alto. Sono in due. E’ un 50-50.

«Io – va avanti Affini – ho visto bene la corsa finché sono stato davanti. Poi dopo la foratura ho pensato a dare più supporto ai compagni che avevo vicino. So che tra i più pericolosi che c’erano De Lie e Philipsen. E sono rimasti anche dopo i ventagli. Però è anche vero che siamo sempre stati in vantaggio numerico e potevamo giocarcela in maniera diversa», come di fatto poi è stato.

Affini parla comunque di una corsa nervosa. Lui e i compagni si cercavano spesso, specie in prossimità di quei punti nevralgici. «Dove sei?». «Ti ho perso». «Ragazzi, qui cambia il vento». Sono queste le frasi che ci ha riportato Affini. «Non abbiamo parlato molto a dire il vero: poche parole, c’era da “menare” più che altro!».

Festa chiama festa

Sul bus Affini e gli altri attendevano Tratnik, impegnato tra interviste e premiazioni, e come prima cosa hanno seguito il trionfo di Vingegaard alla tv, mentre la gara delle donne stava per arrivare.

Dalla tv Affini capisce Vos che gioca molto d’astuzia. Di esperienza. Di classe. La corsa delle donne è spaccata e delineata da una grande Elisa Longo Borghini, alla quale va un doppio applauso. Uno per la corsa e uno per come si è ripresa dopo l’inverno tumultuoso.

«Dopo aver visto la vittoria di Jonas – dice Edoardo – abbiamo girato canale e ci siamo gustati il trionfo di Marianne. Credo proprio che stasera in hotel sarà…  champagne! Un brindisi non mancherà. Ma giusto un bicchiere perché domani c’è la Kuurne-Bruxelles-Kuurne, anche se io non la farò».

Sono andate via in quattro: Marianne Vos, Lotte Kopecky, Shirin Van Anrooij ed appunto Elisa. Le due della Lidl-Trek (Van Anrooij e Longo Borghini) scattano a ripetizione, prima una poi l’altra. Kopecky è la più forte e chiude sempre. Vos la francobolla e non le dà un cambio. E’ la mossa giusta.

Sul rettilineo di Ninove, che tira, eccome se tira, l’olandese ha una gamba nettamente più fresca e va a prendersi la Omloop Het Nieuwsblad, siglando così la doppietta per la Visma-Lease a Bike per la prima classica del Nord.

Un colpo di esperienza in un’atmosfera piacevole in casa Visma. «Ieri sera era – conclude Edoardo – era il compleanno di Jan. In hotel gli abbiamo cantato tanti auguri e lui nel suo discorso ha detto di essere come il vino: “Più invecchio e più miglioro”. Non si era sbagliato».

Tappa a Consonni, rosa a Van Vleuten e l’addio di Bastianelli

09.07.2023
6 min
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OLBIA – Baci, abbracci e lacrime, per fortuna anche di gioia. Così finisce il Giro Donne dominato da Annemiek Van Vleuten, così finisce la carriera di Marta Bastianelli. Ed è un finale di carriera scritto da uno sceneggiatore benevolo, che fa specchiare sul mare di Olbia il sorriso di Chiara Consonni, compagna di squadra e di camera della trentaseienne laziale con i bordini iridati sulla maglia della Uae Adq.

Come già lo scorso anno a Padova, Chiara Consonni conquista l’ultima tappa del Giro Donne
Come già lo scorso anno a Padova, Chiara Consonni conquista l’ultima tappa del Giro Donne

Da Chiara con affetto

La bergamasca aveva vinto l’ultima volata anche nella scorsa edizione e ci scherza su: «Le faccio aspettare sino all’ultimo. Però sono contentissima perché c’erano tante tappe dure e non sono riuscita a dire la mia neppure in quella piatta. Ma oggi sono soddisfatta, anche perché è l’ultima gara di Marta. E anche se è mia e non sua, credo che questa vittoria se la ricorderà per sempre. Sicuramente è dedicata a lei».

E Marta, poco più in là precisa: «Oggi eravamo tutti per Chiara, lei è quella veloce. Siamo state dieci giorni assieme in camera, abbiamo lavorato tanto perché potesse arrivare a questa tappa in buona condizione. Oggi è stata molto dura anche per lei – racconta – si è staccata in varie salite, l’abbiamo sempre aspettata e motivata. Ho corso attaccata alla radiolina, spiegandole passo dopo passo quello che doveva fare e spero che mi abbia ascoltato e faccia tesoro di questi consigli anche per il prosieguo della sua carriera».

Un viaggio a 55 stelle

Con la piccola Clarissa, 9 anni, sul palco a far festa con tutta la Uae e il marito Roberto a guardarla dal basso, Marta non può che essere una donna appagata. La sua carriera («Conclusa con 55 vittorie», puntualizza) era iniziata con il botto, con quel mondiale vinto a Stoccarda che avrebbe potuto anche schiacciarla, ma che ha avuto la funzione di indicarle la strada. «Da lì è partito tutto, la mia carriera e la consapevolezza di poter diventare una grande atleta. Da allora ad oggi di sicuro è cambiato anche il ciclismo».

Nel frattempo Marta pedalava, tra un contrattempo e una vittoria, con tanti sacrifici che non bastano solo le tante vittorie a ripagare. Ci deve essere dell’altro. «Si fa sempre tutto con un obiettivo, diventare grandi atlete, essere sempre al top del top, all’altezza del nome della nostra squadra e della nostra bandiera».

E le squadre sono state tante, con tantissime compagne con le quali il rapporto è stato anche stretto: «Molte di loro sono state anche amiche. Bisogna farsi voler bene in questo mondo. Credo che anche in questi giorni ci sia stata la dimostrazione che sono benvoluta in gruppo e questo mi rende felice più che una vittoria».

Voglia di normalità

L’amicizia più grande, anzi il grande amore è stato con la bicicletta. Spesso queste relazioni sono condite da piccoli grandi tradimenti. Non quella di Marta: «Tradimenti miei nei suoi confronti o suoi nei miei non ce ne sono stati. Però ci sono state tante sconfitte, che mi hanno portato a essere ancora più forte nel corso della mia carriera».

Qualcuna delle tante bici usate ce l’ha ancora: «Ho tenuto quelle delle squadre con le quali ho vinto le gare più importanti. Certo un po’ di spazio serve».

Nel suo futuro, invece, per cosa ci sarà spazio? «Per la vita di tutti i giorni. Voglio mettere in pratica tutto ciò che il ciclismo mi ha insegnato per avere una vita migliore». E non vede l’ora di «stare a casa, semplicemente e non vedere aeroporti per un po’».

E se deve completare la frase: non c’è una grande ciclista senza! Lei aggiunge sicura: «Senza una grande donna! E poi anche una grande famiglia. Io ho avuto la mia squadra a casa che mi ha aiutato e mi ha sostenuto in ogni momento della mia carriera».

Il sogno olimpico

E’ serena Marta, non ha grandi rimpianti, anche se ammette: «Qualche classica che mi sarebbe piaciuto vincere c’è. Di sicuro l’Olimpiade è sempre stata una gara nella quale mettere al collo una medaglia che mi avrebbe reso felice».

Ma ormai è fatta. Cavendish potrebbe continuare un altro anno per provare ad avere un’altra chance di vincere la trentacinquesima tappa al Tour: «Io non lo farei. Ho preso questa decisione adesso perché credevo che fosse il momento più bello. Voglio vivere le mie vittorie, tutti i miei successi in maniera tranquilla. Il ciclismo è cambiato molto, sicuramente in meglio. Il livello è altissimo è ha bisogno di una grande attenzione».

Il saluto di Marianne Vos, finita seconda dietro Marta sia ai mondiali 2007 sia agli europei 2018
Il saluto di Marianne Vos, finita seconda dietro Marta sia ai mondiali 2007 sia agli europei 2018

L’abbraccio di Marianne

Passa Marianne Vos, che ha sfiorato il bis del successo del 2022 qui a Olbia, si guardano, si abbracciano. Sono praticamente gemelle (14 giorni di differenza d’età), hanno combattuto tante battaglie, c’è un enorme rispetto.

«Lei è uno dei grandi nomi del ciclismo femminile – dice la fuoriclasse olandese della Jumbo-Visma – abbiamo corso tanto insieme e naturalmente voglio augurarle tutto il meglio per la sua vita futura. E soprattutto mi voglio congratulare per una grande carriera della quale deve andare fiera».

Campionessa d’Italia, d’Europa, del Mondo: smette una delle migliori cicliste italiane del ventunesimo secolo. Con qualche lacrima, con un grande sorriso.