Boscaro racconta col suo sguardo la Vuelta a San Juan

02.02.2023
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Si è appena conclusa la Vuelta a San Juan, la corsa a tappe argentina che ci ha aperto uno spiraglio su un mondo poco conosciuto. Al caldo della Regione di San Juan ha corso anche la nazionale italiana, guidata da Marco Villa. Tra gli azzurri era presente Davide Boscaro, giovane del Team Colpack Ballan alla sua prima esperienza su strada così lontano dall’Europa. Attraverso il racconto del veneto ricostruiamo il suo viaggio tra le strade argentine

Gli azzurri a San Juan hanno messo nelle gambe un bel carico di lavoro in vista degli impegni su pista
Gli azzurri a San Juan hanno messo nelle gambe un bel carico di lavoro in vista degli impegni su pista

Un viaggio infinito

Boscaro è atterrato questa mattina a Venezia, dopo un giorno intero di viaggio, il ritorno non è stato agevole ma ne è valsa la pena. 

«Siamo partiti – racconta il giovane pistard – martedì mattina alle 4:30 da San Juan e con un volo di un’ora e trenta siamo arrivati a Buenos Aires. Una volta atterrati nella Capitale abbiamo aspettato cinque ore in aeroporto prima di prendere il diretto per Roma. Siamo sbarcati in Italia alle 6:30 di mercoledì e poi ho preso il volo per Venezia. All’andata abbiamo fatto le stesse tappe ma al contrario. E’ stato un bel girare ma ne è valsa la pena. Avevo già fatto trasferte così lunghe per le gare di coppa del mondo su pista, ma per correre su strada mai».

I corridori hanno attraversato paesaggi incredibili come il deserto
I corridori hanno attraversato paesaggi incredibili come il deserto

Giorni dilatati

Le differenze, per forza di cose, ci sono. Correre su strada e pista, almeno a livello di fatica e di adattamento al clima, non è la stessa cosa. 

«E’ stato un po’ stressante (racconta da casa Boscaro, mentre il suo cane gli dà il bentornato in sottofondo, ndr). Si partiva sempre molto tardi, verso mezzogiorno e arrivavamo intorno alle otto di sera. Compreso il trasferimento si arrivava in hotel sempre intorno alle ventidue, come tempistiche non era il massimo. Spesso non avevamo il tempo di fare i massaggi perché bisogna farli prima di cena, così è capitato di rimandare alla mattina successiva. In pista è capitato di finire così tardi ma essendo gare più corte inizi prima la fase di recupero. Per arrivare ad essere competitivi con questi ritmi ci vuole allenamento, non è semplice perché il corpo deve adattarsi ad un nuovo modo di lavorare».

I ritmi durante le sette tappe sono stati frenetici, le tappe arrivavano intorno alle 20
I ritmi durante le sette tappe sono stati frenetici, le tappe arrivavano intorno alle 20

Fuso orario e caldo

Le temperature in Argentina, complice anche il fatto che dall’altra parte del globo ora è estate, erano davvero proibitive. I corridori risentono di questi cambiamenti, e se a questo si somma anche il fuso orario…

«Non è stato semplice – conferma il pistard – adattarsi al clima, ci sono quasi quaranta gradi di differenza tra casa e San Juan. In teoria saremmo dovuti arrivare qualche giorno prima in Argentina per lavorare in pista ma non abbiamo potuto. Sarebbe stato parecchio utile, anche perché avremmo avuto più tempo per adattarci al grande caldo. I primi giorni l’ho sentito parecchio. Nella prima tappa, che era abbastanza corta (144 chilometri, ndr), abbiamo affrontato uno strappetto non molto duro ma mi è rimasto un po’ nelle gambe. Capivo di non essermi adattato bene al caldo i primi giorni anche dalle “risposte” del cuore, i battiti salivano subito».

Il nuovo impianto

E’ uscita mercoledì l’intervista con il Governatore, attraverso le sue parole abbiamo cercato di capire la crescita che può avere il Paese con il grande investimento fatto sugli impianti sportivi. Ci è sembrato tuttavia giusto chiedere anche un parere a chi la pista la frequenta tutti i giorni come atleta.

«Ci hanno portato a vedere il velodromo appena costruito – racconta Boscaro – in realtà sarà inaugurato a maggio. E’ impressionante, ne sono rimasto piacevolmente sorpreso, soprattutto se vado a pensare che l’Argentina non ha corridori di spicco nel settore pista. In Italia abbiamo i campioni olimpici in carica e tanti atleti di fama mondiale ed abbiamo un solo velodromo: quello di Montichiari (che spesso è soggetto a lavori e inagibile, ndr). Si capisce come questo investimento sia fatto per avvicinare le persone al ciclismo, o in generale allo sport, visto che la struttura è polivalente. Mi piacerebbe tornare qui anche l’anno prossimo per avere la possibilità di provarlo».

Il pubblico si è riversato numeroso sulle strade argentine, qui il saluto di Richeze alla sua gente
Il pubblico si è riversato in massa sulle strade, qui il saluto di Richeze alla sua gente

Pubblico e paesaggi

Nel corso della Vuelta a San Juan i corridori si sono ritrovati a correre attraverso paesaggi suggestivi. Si è passati dal deserto fino alla cima dell’Alto de Colorado, situato a 2600 metri sul livello del mare. 

«Non ero mai arrivato così in alto – racconta ancora Boscaro – quella dell’Alto del Colorado tuttavia non era una salita proibitiva. La grande difficoltà era l’altitudine, ma personalmente l’ho gestita andando del mio passo senza strafare. Del deserto mi ha colpito la nudità del paesaggio, pedalare in mezzo al nulla è stato quasi strano. Un altro particolare che mi ha impressionato in positivo è il pubblico: alle partenze ed agli arrivi c’era tantissima gente. L’ultima tappa, che partiva ed arrivava da San Juan, aveva un circuito sulla circonvallazione di sedici chilometri. Ai bordi delle strade non c’era uno spiraglio libero, il percorso era contornato di persone. Poi hanno un calore incredibile, chiedevano un sacco di foto o borracce a tutti i corridori. Ci tengo a ringraziare la Federazione per questa grande occasione».

Volate a San Juan: chi voleva il 58, chi sognava il 54

30.01.2023
6 min
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E’ nato tutto da un’osservazione intercettata nel gruppo alla Vuelta a San Juan, quando uno dei velocisti ha fatto un ragionamento su Nizzolo. Dato che Giacomo non ha un treno che lo lanci, questo il senso del discorso, per le volate ha scelto di usare una corona anteriore da 56. In questo modo farà le sue volate da solo, partendo da dietro e cercando di rimontare. Se la strada è piatta o tende a scendere, non avrà difficoltà a lanciarsi, come gli successe quando vinse a Verona al Giro del 2021. Se invece il finale ha continui rilanci e lui non può prendere velocità, rischia di rimanere chiuso nelle retrovie e di non arrivare neppure in zona podio. La volata di ieri si è svolta proprio secondo questo copione.

Lo stesso concetto sull’uso dei rapporti più lunghi del solito nelle volate lo aveva approfondito Viviani nei giorni successivi. E mentre ci accingevamo a parlarne con Nizzolo, dal box della squadra italiana ci è giunto il caso opposto. Gli azzurri in gara, essendo in Argentina per acquisire base e ritmo in vista degli europei su pista, hanno usato per tutto il tempo il 53. E Pinazzi, decimo nella volata della sesta tappa, a un certo punto avrebbe spinto volentieri qualcosa di più lungo.

Nizzolo ci ha spiegato il suo criterio di scelta dei rapporti, preparandosi per una tappa a San Juan
Nizzolo ci ha spiegato il suo criterio di scelta dei rapporti, preparandosi per una tappa a San Juan

La volata lunga

Giacomo lo troviamo nel box della Israel-Premier Tech mentre si prepara per la tappa. Le gambe infilate nella maglia e i due numeri dorsali da fissare con le spille. Ascolta il tema. Solleva lo sguardo in modo interlocutorio. E poi spiega.

«Qualcosa di vero c’è – dice – prediligo davvero le volate arrivando da dietro e poi di testa. Nel senso che mi piace lanciare lo sprint da dietro e poi comunque fare una volata lunga. Non sono un velocista che viene fuori negli ultimi 50 metri, non lo sono mai stato. Invece il discorso del 56 è nato tempo fa, ho iniziato a usarlo nel 2016, quando ci feci tutto l’anno, non solo le volate».

Nizzolo spiega che il 56 gli dà una pedalata più rotonda in pianura
Nizzolo spiega che il 56 gli dà una pedalata più rotonda in pianura
Quali vantaggi ti dà?

Credo che sia anche un discorso di rotondità della pedalata, mi trovo sostanzialmente bene così. E poi la mia qualità in volata non è certo la cadenza, ma è più la forza. Allora provo a sfruttare quel rapporto. Ma vi dico che molti corridori lo usano sempre di più. Addirittura c’è anche chi usa il 58.

Se avessi un treno sarebbe la stessa cosa?

Sì, perché come dicevo, è proprio un discorso di caratteristiche fisiche. Piuttosto che l’agilità, preferisco sfruttare la forza.

Ci sei arrivato per vari step? Ad esempio hai provato anche il 58?

Non ce l’ho, altrimenti lo userei. Chiederò se c’è la possibilità di averlo. In realtà tutti pensano che il 56 sia qualcosa di durissimo, ma non è così impossibile.

Nizzolo utilizza pedivelle da 172,5, anche con una corona anteriore più grande
Nizzolo utilizza pedivelle da 172,5, anche con una corona anteriore più grande
Si riesce sempre bene a lanciarsi nelle volate o si rischia di restare chiusi?

Direi di sì, anche perché comunque al massimo si può giocare coi rapporti dietro, se le volate salgono leggermente. Resta però il beneficio che mi dà durante la tappa. E’ chiaro che in volata mi dà qualcosa in più, per come interpreto lo sprint. Però lo trovo comodo anche durante il giorno.

Monti il 56 anche sulla bici da allenamento?

Esattamente. E anche a casa ritrovo le stesse sensazioni. E chiaro che qui le velocità sono più alte, per cui il 58 mi avrebbe fatto comodo. Ad esempio, il primo giorno avevo il 55 perché avevamo pensato che ci fosse vento e invece mi sono messo le mani nei capelli, perché ero proprio fuori cadenza. Lo stesso Morkov ha detto che anche lui era fuori cadenza e aveva il 56. Quindi figurate io che di solito ho anche meno cadenza di lui. 

Nella prima tappa a San Juan, che aveva qualche curva nel finale, Nizzolo si è piazzato al terzo posto
Nella prima tappa a San Juan, che aveva qualche curva nel finale, Nizzolo si è piazzato al terzo posto

Gli azzurri con il 53

E gli azzurri? I corridori di Villa, che a un certo punto è ripartito per seguire le ragazze a Montichari, lasciando la squadra a Mario Scirea, sono venuti in Argentina per fare la base e certo non per inchiodarsi le gambe. Al rientro infatti li attendono tre giorni a Montichiari prima di partire per gli europei di Grenchen. Per questo, il tecnico azzurro ha stabilito che tutti corressero con il 53. Ecco il motivo per cui nella volata della sesta tappa, Pinazzi ha chiuso al decimo posto con la sensazione che un paio di denti in più non ci sarebbero stati male.

«Sono giovane e siamo qui per fare la gamba – spiega il corridore di Parma – ma in effetti il 54 lo avrei girato bene. La sensazione è che sei lì che già frulli, vuoi buttare giù altri due denti e non puoi. Allora fai il massimo per stare lì con loro, ma quando poi raggiungono un’altra punta di velocità, tu rimani lì.

«Già a due chilometri dall’arrivo, quando si sono messi davanti i treni, io avevo già il rapporto massimo. Quindi potete già immaginare dopo, quando hanno aumentato ancora di più, quanto girassi le gambe. Allo sprint avevo 120-130 pedalate. Detto questo, poco male: fra gli U23 corro sempre con il 53, casomai dovessi passare, si potrebbe valutare diversamente».

Il salto fra i pro’

Il suo obiettivo è passare professionista, con la pista come valore aggiunto per le prestazioni ed il curriculum. L’anno scorso sono venute due vittorie, alla Vicenza-Bionde e a Misano, e il secondo al Circuito del Porto.

«Il primo passaggio – spiega – è far bene ai prossimi campionati europei su pista. E poi vorrei una bella stagione su strada, essendo all’ultimo anno da under 23. L’obiettivo è far bene, vincere tanto e passare. Ho cominciato la stagione così, un buon decimo posto, un piccolo grande risultato e speriamo di continuare così

Scartezzini: la via di Parigi passa per San Juan

24.01.2023
5 min
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Ognuno qui a San Juan ha il suo scopo. I velocisti puntano alle volate. Gli scalatori aspettano l’Alto del Colorado. C’è chi lavora per gli uni e chi per gli altri. E poi c’è chi, come i pistard azzurri, macina chilometri e ritmo per l’obiettivo degli europei su pista che si svolgeranno a Grenchen dall’8 al 12 febbraio.

La macchia azzurra è più nutrita rispetto a quello che si vede nelle foto, perché nella Ineos Grenadiers, Ganna e Viviani corrono per lo stesso scopo, così che alla fine Marco Villa si ritrova ogni giorno a visionare una bella fetta del suo gruppo. Rispetto ai quartetti olimpionici e iridati manca solo Jonathan Milan, che debutterà il 30 gennaio al Saudi Tour.

Gli azzurri in Argentina, una foto prima dell’allenamento e si va
Gli azzurri in Argentina, una foto prima dell’allenamento e si va

Tutto in mezzo anno

Fra gli azzurri, Michele Scartezzini sa già che d’ora in avanti non ci saranno più appuntamenti interlocutori e che questa corsa gli permetterà di costruire la base su cui poggiare gli europei, ma anche le prove di Coppa del mondo (Jakarta il 23 febbraio, il Cairo 14 marzo, Milton 20 aprile) che, assieme alla sfida di Grenchen e ai mondiali di agosto, costituiranno la base della qualificazione olimpica.

Per alcune di quelle date, gli stradisti non ci saranno perché impegnati nelle classiche e il peso dell’azzurro poggerà su altre spalle.

«La qualifica olimpica prima di tutto», dice. «Siamo qui a San Juan per fare un bel volume e iniziare il 2023 al massimo. Sarà fondamentale per questa stagione che inizia con i campionati europei. Poi ci saranno queste tre Coppe abbastanza vicine e il mondiale di agosto. Succederà tutto in mezzo anno…».

A San Juan anche Viviani: 6° nella prima tappa, con un occhio anche alla pista
A San Juan anche Viviani: 6° nella prima tappa, con un occhio anche alla pista
Diciamo che avere la panchina lunga dovrebbe permettervi di tenere alta l’asticella, giusto?

Sicuramente penso che Marco (Villa, ndr) abbia, tra virgolette, la fortuna di avere sempre a disposizione comunque una metà del gruppo, perché gli altri saranno appunto a fare le classiche. Nei giorni scorsi parlavo con Elia (Viviani, ndr), che dovrebbe venire al Cairo se non dovesse fare la Parigi-Nizza. Sarebbe una bella cosa.

L’abbondanza, lo abbiamo detto spesso, è per metà un vantaggio e per metà un grattacapo nel fare le selezioni.

Sicuramente è difficile gestirla. Il problema sta anche nelle scelte del CIO che ha tolto un ulteriore posto (anziché i 6 corridori previsti alle ultime Olimpiadi, i team saranno composti da 5 atleti che dovranno partecipare a tutte le specialità qualificate, ndr). Per Marco era stato difficile a Tokyo, ora sarà anche peggio. Abbiamo già fatto i conti con queste scelte dure e sofferte, però funziona così. E se qualcuno del quartetto non dovesse stare bene, cosa che chiaramente non auguro a nessuno, abbiamo la fortuna di avere pedine valide per sostituirlo.

Michele Scartezzini è nato nel 1992 a Isola della Scala. Corre nella Arvedi Cycling e fa parte delle Fiamme Azzurre
Michele Scartezzini è nato nel 1992 a Isola della Scala. Corre nella Arvedi Cycling e fa parte delle Fiamme Azzurre
Lo scorso anno ci raccontasti che la tua è ormai una preparazione da pistard: cambia qualcosa quest’anno?

No, diciamo che bene o male adesso la mia linea è quella: la strada per fare volume e lo specifico invece che viene fatto in pista. E’ quello che ci serve. Parlo di me, almeno, di Lamon e anche di Boscaro, perché appunto siamo con le Fiamme Azzurre. Adesso c’è questo progetto, quindi il nostro obiettivo è quello olimpico.

Balsamo e Longo Borghini sono uscite dalle Fiamme Oro, per voi specialisti il corpo militare resta una risorsa?

Certamente, perché diciamo che con il nostro sistema a livello maschile, si sapeva già che senza questi corpi e non essendo professionisti, non avremmo avuto possibilità. Invece fra le donne è arrivato il professionismo, applicano ormai tutti i criteri del World Tour, quindi capisco che fra di loro ci sia qualcuno cui conviene uscire dal corpo. Sono scelte che bisogna affrontare valutando quale sia quella migliore.

Manlio Moro, ultimo innesto del quartetto, a San Juan con la nazionale
Manlio Moro, ultimo innesto del quartetto, a San Juan con la nazionale
Che effetto fa vedere Montichiari strapieno, adesso anche con i velocisti?

E’ una cosa bellissima, anche per noi ragazzi. Non ci siamo più solo noi dell’endurance, ma vedi i velocisti: sono tanti e cominciano ad andare anche forte. Non è che si allenano e basta. Li vedi che fanno palestra, sono una realtà che finora pensavamo fosse limitata ai bestioni olandesi e inglesi. Adesso anche i nostri stanno crescendo in quel modo, quindi mi fa davvero piacere vederli girare.

Fare le Coppe del mondo vuol dire anche provare a vincerne qualcuna?

Sicuramente dopo gli ultimi anni, quando vado in una Coppa del mondo, sta diventando non dico obbligatorio ma quasi, fare almeno un podio. Non vado lì dicendo che voglio fare il miglior risultato possibile. Già dagli europei, se avrò la possibilità di fare l’americana, vado per vincere, non per dire che puntiamo a fare un podio. E’ arrivato il momento di puntare sempre al massimo.

In Argentina c’è Guardini: fa il meccanico della nazionale

21.01.2023
4 min
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Andrea Guardini ha appena finito di gonfiare la ruota davanti della Dogma di Lamon. Il box della nazionale italiana è il primo, la luce sulle teste è forte. Villa è in un angolo a parlare con Luigino Moro, mentre il velocista che ha smesso un anno fa prende le misure col nuovo incarico.

«Quando ho letto l’avviso che cercavano un meccanico per una trasferta di venti giorni in Argentina – sorride Guardini – ho mandato lo screenshot a mia moglie e le ho chiesto se potevo dare disponibilità. Lei ha risposto subito: cosa aspetti? Se ti prendono vai…».

Andrea è uscito dal gruppo con l’amaro in bocca, convinto di meritare ancora una chance. Invece di colpo si è fermato tutto. Fine delle gare, dei voli, della frequentazione del gruppo in cui aveva vissuto per una vita, con il Covid di mezzo a rendere tutto più difficile. Per cui immaginate la sorpresa nel trovarlo seduto su un muretto davanti all’hotel di San Juan in cui alloggiano le WorldTour e la nazionale italiana.

Andrea Guardini è nato a Verona nel 1989. E’ stato pro’ dal 2010 al 2021
Andrea Guardini è nato a Verona nel 1989. E’ stato pro’ dal 2010 al 2021
Come sei diventato meccanico?

Ho imparato da autodidatta, anche guardando i video di GCN, perché hanno il potere di spiegare le cose in modo molto semplice. Poi in realtà la passione della meccanica l’ho sempre avuta da fin da ragazzino. Mi ricordo che da G2-G3 smontavo le rotelline del cambio per pulirle bene e le rimontavo. Tante volte magari facevo anche dei danni, ma la volta dopo ci riprovavo.

La nazionale come è arrivata?

E’ arrivata tramite Carlo Buttarelli (già meccanico della pista azzurra, ndr), che mi aveva parlato della possibilità di lavorare a giornata e che la nazionale comunque aveva bisogno di qualcuno in pista. Metti insieme meccanica e pista, le mie due passioni, impossibile non accettare.

Hai corso anche tu in pista, hai una consapevolezza speciale, no?

Dall’officina riesci a capire tutte le dinamiche che ci sono dietro, anche in una gara su pista e anche negli allenamenti, che da fuori è difficile capire. L’ambiente è cambiato tantissimo da quando c’ero io da ragazzino. I rapporti, la tecnologia, la pista al coperto. Però è proprio bello vedere l’evoluzione della pista e il settore velocità che sta rinascendo.

Lo stesso Villa ha convenuto sul fatto che un ex pro’ con esperienza su pista potrebbe essere utile al suo gruppo
Lo stesso Villa ha convenuto sul fatto che un ex pro’ con esperienza su pista potrebbe essere utile al suo gruppo
Ti rivedi magari in un corridore com Predomo?

Mi rivedo sì, Predomo è un ragazzino com’ero io, magari fossi nato in questi stessi anni. Ho avuto a che fare con loro da settembre, mentre avevo incominciato a fare giornate a Montichiari da giugno. A settembre, ottobre e fino a dicembre ho fatto i vari raduni. E Giovanni Carini, che è il meccanico responsabile della nazionale, mi ha dato la certezza che farò di sicuro un certo numero di giornate, perché alla fine non siamo poi in tanti

Hai detto che ti senti come tornato a casa.

Ritrovare le facce che vedevi tutti i giorni, l’ambiente, il tuo ambiente, anche se non sei più corridore. E’ come sentirsi a casa dall’altra parte del mondo. Tutto questo mi mancava tanto, soprattutto viaggiare. In due anni di pandemia, tra l’altro, ci avevano già bloccato a casa senza poter girare il mondo. A mia moglie l’ho detto subito. La prima cosa che ho pensato quando c’è stata l’opportunità di venire qui è stata: “Okay, vado al caldo, riprendo un volo di 14 ore che è da una vita che non lo faccio e ritorno a respirare il mio ambiente”.

La chiamata in nazionale è arrivata grazie all’imbeccata di Cottarelli
La chiamata in nazionale è arrivata grazie all’imbeccata di Cottarelli
Hai detto anche che pensavi di saper lavare una bici, invece…

Lo dovete chiedere ai maestri. E comunque bisogna lavarle bene e velocemente. Bisogna capire anche come fare. Quindi piano piano sto imparando anche tutti i trucchetti del mestiere.

Non potresti ambire a un ruolo tecnico in pista?

E’ la prima cosa che mi ha chiesto Quaranta. Se avessi il secondo livello, potrei aiutarlo negli allenamenti con derny. Ho sempre detto che non avrei mai fatto il direttore sportivo, ma il tecnico della pista è un’altra cosa. Ho il primo livello, cercherò di lavorare anche su questo. E chissà che prima o poi non ci scappi qualcosa…

Pistard azzurri in Argentina, Bertazzo fa gli onori di casa

19.01.2023
5 min
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Caldo pomeridiano da 35 gradi e molta umidità. Così l’Argentina ha accolto la nazionale italiana di Marco Villa, in vista della Vuelta a San Juan che il tecnico italiano della pista ritiene essere un passaggio fondamentale per alcuni suoi ragazzi, nella rincorsa alla forma migliore per gli Europei di febbraio. Il posizionamento così anticipato della rassegna continentale ha costretto chi punta alla pista ad anticipare i tempi e il lavoro su strada è fondamentale. Una squadra, quella azzurra, che è un mix di esperienza e gioventù: da una parte Lamon, Bertazzo e Scartezzini, dall’altra Boscaro, Moro e Pinazzi.

Nei propositi la trasferta, che la squadra italiana aveva anticipato di una settimana rispetto all’inizio della corsa, doveva prevedere un programma diverso: «Ci eravamo trasferiti prima perché avevamo in programma di lavorare nella nuova pista di San Juan – racconta al telefono Bertazzo – ma l’impianto non era più disponibile. Questo ha quindi costretto a rivedere un po’ i piani: prima di imbarcarci per l’Argentina abbiamo quindi svolto i nostri lavori a Montichiari attraverso sedute molto intense. Prima della partenza della gara invece sono in programma sedute su strada, che serviranno per affinare la gamba».

Gli azzurri in allenamento sulle strade argentine. Sono arrivati lunedì, lavoro sin dal giorno dopo (foto Instagram)
Gli azzurri in allenamento sulle strade argentine. Sono arrivati lunedì, lavoro sin dal giorno dopo (foto Instagram)
Villa vi ha chiesto qualcosa di particolare per la gara?

E’ difficile anche pensare a che cosa poter fare. Questa è la prima gara dell’anno, è un po’ un’incognita per tutti. Sappiamo che al via ci sono corridori stellari come l’iridato Evenepoel, ma credo che anche per gli altri sarà tutta una scoperta. Nessuno sa realmente in che condizioni è, la gara è tutta un’altra cosa. Noi corriamo pensando alle nostre necessità, l’obiettivo è stare in gruppo senza troppe difficoltà, guardando molto alle nostre sensazioni. Se poi ci sarà la possibilità lavoreremo per la volata di Pinazzi.

Voi d’altronde avete impegni importanti anche prima degli altri…

E’ una stagione strana per chi lavora prevalentemente per la pista. Abbiamo subito gli europei, poi tre tappe di Coppa del Mondo fino ad aprile e sono tutti eventi importanti perché ci si gioca una fetta importante delle qualificazioni olimpiche quindi dovremo essere pronti. Ognuno dovrà farsi trovare pronto e a me questo sta bene.

Bertazzo con Villa. In vista degli Europei, sarà uno degli osservati speciali dal cittì
Bertazzo con Villa. In vista degli Europei, sarà uno degli osservati speciali dal cittì
Hai rivincite particolari da prenderti?

Diciamo che il 2022 non è stato un’annata così positiva per me, gli errori commessi agli europei hanno pesato, mi è spiaciuto non andare ai mondiali. Sull’altro piatto della bilancia ho visto che lo scorso anno sono migliorato molto su strada, non ho mai fatto un’attività così intensa, ma questo non basta a compensare le delusioni. E’ tutto carburante che ho messo nell’approcciarmi a questo nuovo anno.

In Argentina sarà presente quasi tutta la nazionale italiana su pista, considerando anche chi è nelle altre formazioni…

Effettivamente a parte Consonni e Milan ci siamo tutti. Ganna e Viviani correranno nel loro team, ma avremo modo di confrontarci ogni giorno e questo è molto importante, soprattutto per capire realmente come stiamo l’un l’altro. Abbiamo impegni importanti all’orizzonte, è importante che ne parliamo insieme e continuiamo a far gruppo.

Bertazzo aveva già corso in Argentina nel 2015, al Tour de San Luis sempre con la nazionale (foto Instagram)
Bertazzo aveva già corso in Argentina nel 2015, al Tour de San Luis sempre con la nazionale (foto Instagram)
Tu hai già corso in Argentina?

Qualche anno fa ho fatto il Tour de San Luis, era il 2015, ma era una gara in un territorio diverso, quindi non so che cosa aspettarmi come caratteristiche tecniche delle tappe. Rispetto alle gare australiane sono corse meno frenetiche, forse perché non c’è l’appartenenza al WorldTour, ma è anche vero che ci sono quasi tutte le squadre della massima serie e poi ci sono le formazioni locali, per le quali questo è come un mondiale. Per questo vengono sempre fuori gare molto combattute, probabilmente proprio perché tutti vogliono testarsi.

Una volta le prime gare della stagione servivano per affinare la condizione, ma oggi è un lusso che non potete permettervi…

No, assolutamente. Non puoi essere in una condizione insufficiente, non andresti avanti. Per questo dicevo che si tratta di un ciclismo più o meno frenetico. Anche nel nostro caso devi comunque essere in forma anche solo per stare nel gruppo senza soffrire, che è uno degli obiettivi che abbiamo.

Per il veneto un 2022 un po’ amaro, anche se ha aumentato le sue presenze su strada
Per il veneto un 2022 un po’ amaro, anche se ha aumentato le sue presenze su strada
Che cosa ti aspetti allora a livello personale?

Di dimostrare di avere raggiunto già una buona forma al punto da essere utile agli altri e convincere Marco che agli europei posso dare il mio contributo. Voglio correre ogni tappa senza subirla, soffrire il giusto accumulando quei chilometri necessari per migliorare la condizione ed essere poi pronto quando le corse avranno ben altra valenza. Gli europei sono alle porte e io voglio esserci.

Grenchen è dietro l’angolo. L’avvicinamento di Villa

19.12.2022
5 min
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Da Grenchen a… Grenchen, la rotta della nazionale di Marco Villa verso l’europeo è appena cominciata. A poco meno di due mesi dalla rassegna continentale su pista, una parte della pattuglia azzurra è stata impegnata due giorni fa sull’anello del Tissot Velodrome nel Track Cycling Challenge, gara di classe 1 che assegna punti per il ranking in vista del mondiale (in apertura foto Jasmin Honold).

Un’altra parte del gruppo italiano, guidato da Ivan Quaranta era invece in Portogallo ad Anadia per una prova di classe 2 col medesimo obiettivo. Prima di queste due corse, il cittì Villa aveva radunato a Calpe undici uomini e sei donne per gettare le basi all’appuntamento svizzero. Il programma di avvicinamento appare intenso. L’8 febbraio, data di inizio degli europei, non è poi così lontano. Interessante quindi fare il punto della situazione col tecnico cremasco.

Il cittì Villa seguirà un programma dettagliato per gli europei 2023
Il cittì Villa seguirà un programma dettagliato per gli europei 2023
Marco come sono andate queste ultime settimane di lavoro?

Bene, ma dobbiamo crescere. In Spagna abbiamo pedalato solo su strada perché il velodromo di Valencia non ce lo hanno potuto dare a causa di lavori di manutenzione. A Montichiari invece si è allenato il gruppo dei velocisti. Nelle prove di questi giorni abbiamo ottenuto risultati in linea con il nostro stato di forma. Sono comunque gare che bisognava fare. E sono tutti punti necessari per mantenere o migliorare il nostro posizionamento internazionale.

Abbiamo visto qualche nome nuovo…

Sì, esatto. Il gruppo è consolidato, ma volevo fare degli inserimenti. Tra gli uomini c’erano Ursella, Delle Vedove e Colosio, mentre tra le donne ho chiamato Basilico e Vitillo.

Cosa prevede la preparazione d’ora in poi?

Tra Natale e Capodanno faremo dei richiami a Montichiari. A gennaio torneremo in Spagna per un’altra sessione su strada con donne e under 23 uomini, poi nuovamente lavori in pista. Nel frattempo il 10 gennaio partiremo per l’Argentina dove correremo la Vuelta San Juan dal 22 al 29. Aggregati a noi ci saranno anche Viviani e Ganna che poi faranno la gara con la Ineos. Abbiamo scelto di partire presto perché avremo la possibilità di lavorare in pista. Laggiù grazie alle conoscenze di Giovanni Lombardi, potremo girare sul nuovissimo anello di San Juan, che deve essere ancora inaugurato. Abbiamo fatto un programma ben dettagliato e non è stato semplice allestirlo.

Qual è stata la difficoltà maggiore?

Far incastrare tutto è sempre più complicato. I nostri ragazzi, uomini e donne, sono sempre più patrimonio delle squadre di club ed è normale che alcuni team non vogliano privarsi per troppo tempo dei loro atleti. Per fortuna ed anche per merito, il nostro sistema è ormai collaudato e riusciamo ad organizzare sempre tutto al meglio.

Dopo quasi tre anni, per effetto del covid, si torna a correre a febbraio una manifestazione importante. E’ cambiato qualcosa nella preparazione?

E’ normale che ci siano meno riferimenti. Fino a 15/20 giorni fa avevamo atleti ancora in vacanza. Per il momento infatti non abbiamo ancora guardato i tempi sul cronometro. Di buono c’è che per gli europei tutte le nazionali partiranno alla pari. Fino al 2020 a febbraio c’erano i mondiali e ti dovevi scontrare con nazionali, tipo le oceaniche, asiatiche e sudamericane, che avevano sfruttato la loro estate per prepararsi. Quindi per noi il lavoro e di conseguenza i risultati erano molto più difficili da fare.

Cosa rappresentano per la nazionale di Marco Villa questi europei?

Tanto. E’ la prima prova di qualifica olimpica. Le altre saranno le tre prove di Nations Cup ed infine il mondiale di Glasgow il prossimo agosto. Per Tokyo 2020 avevamo dieci prove mentre ora non puoi permetterti di sbagliare quasi nulla. In Europa poi c’è una maggiore concorrenza rispetto agli altri continenti. Germania, Gran Bretagna, Svizzera, Danimarca, Francia, Belgio e probabilmente me ne dimentico qualcuna, sono tutte nazionali che sanno come si vincono medaglie. E’ per questo che non stiamo lasciando nulla al caso. Vogliamo fare bene all’europeo.

Ad oggi come vedi il tuo gruppo?

Eh (breve sospiro tipico di Villa, accompagnato da un sorriso, ndr). Ve lo dirò a gennaio, quando vedremo come staremo.

Dal quartetto agli sprint: la metamorfosi di Moro

24.11.2022
5 min
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Stefano Moro in mezzo ai velocisti è una novità così fresca, che anche lui a volte si guarda intorno e si chiede dove siano i compagni di prima. Quelli del gruppo endurance, di cui ha fatto parte fino ai mondiali, quattro settimane fa. Stefano ha 25 anni e nel 2019 si era portato a casa anche qualche bella corsa su strada, come il Trofeo Lampre, Sant’Urbano e il Circuito del Termen, poi la pista ha prevalso.

Quando Ivan Quaranta ha detto di essere in cerca di velocisti in ogni dove, suonando ai campanelli e reclutandoli nelle palestre, ha omesso di dire (forse era superfluo) che per prima cosa ha cercato in casa. E così si è accorto che il corridore delle Fiamme Azzurre, in forza come inseguitore al gruppo di Villa e su strada alla Arvedi Cycling, da allievo e da junior aveva fatto esperienza nelle discipline veloci, vincendo titoli italiani nel chilometro e nella velocità olimpica. Non gli serviva altro.

«Me l’ha proposto al mondiale – racconta fra lo stupito e il divertito (nella foto di apertura, Moro sta provando una partenza proprio con Quaranta) – io ero là come riserva. Mi ha offerto di intraprendere una strada nuova: diventare un velocista. Io subito ho parlato con Villa e Masotti (tecnico delle Fiamme Azzurre, ndr). Mi sono confrontato con loro e ho ascoltato i consigli, poi ho rimandato per due settimane. Nel frattempo, finita la stagione, sono andato in vacanza e ho continuato a pensarci. Finché sono tornato, ho sentito nuovamente Villa e Masotti e abbiamo preso la decisione di provarci».

Nessun rimpianto

Che il gruppo degli inseguitori inizi ad avere problemi di abbondanza è ormai cosa nota. Per cui probabilmente il ragionamento di Villa è stato quello di lasciar andare una delle sue riserve (agli europei di Plovdiv, Moro ha fatto parte del quartetto d’argento, ndr) per consegnare a Quaranta un elemento di esperienza in vista delle qualificazioni olimpiche per la velocità a squadre. 

«Le mie perplessità – spiega – erano dovute all’aver seguito un percorso per le discipline di endurance sin da quando ero junior. Sempre grazie all’endurance, sono riuscito a entrare nelle Fiamme Azzurre. Anche se ero nell’ombra di grandi campioni, ero un po’ titubante a intraprendere una strada nuova, perché voleva dire cambiare completamente vita a 25 anni. Però poi ho cominciato a pensare che, comunque vada, non vorrei ritrovarmi quando sarò molto più grande, a dire: “Cavolo però, pensa se ci avessi provato…”. Insomma, può andare bene o male, però non volevo avere dubbi. Ci proviamo e basta. E dico grazie alle Fiamme Azzurre e ad Arvedi Cycling per essermi stati accanto anche davanti a questa scelta».

Moro e Fidanza: coppia bergamasca in nazionale, sia pure (da pochissimo) in settori diversi
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Tricolore keirin

Non è un salto nel buio, ma anche per Moro il terreno da recuperare è parecchio. Aver fatto il velocista sette anni fa non rende scontato che il passaggio sarà agevole. Sarebbe potuto restare nel gruppo endurance, vincere i suoi campionati italiani e restare forse nell’ombra nei grandi appuntamenti: così invece il bergamasco si gioca un posto alle Olimpiadi. Questa è la fase della scoperta, che un po’ intriga e un po’ rende nervosi.

«Il mio primo titolo italiano – ricorda – l’ho vinto da allievo nella velocità. Quest’anno sempre agli italiani, Quaranta così per scherzo mi ha proposto di correre il Keirin. Io non volevo, ma alla fine sono partito e l’ho vinto. E da lì è nata l’idea. Così ho lasciato il gruppo degli inseguitori, ma nessuno ha fatto battute. Finora ho incontrato solo Lamon, ci scherziamo su e io gli dico che adesso diventerò grosso…». 

Lavori sulla forza

In palestra lo abbiamo osservato a lungo, mentre faceva esercizi con il bilanciere sulle spalle, controllando i movimenti del ginocchio e costruendo una forza che altrimenti non sarebbe necessaria. Bragato, osservandolo con noi, faceva notare che Moro dovrà soprattutto dare maggior consistenza alla parte superiore del corpo, mentre le sue di velocità verranno fuori quasi da sé. 

«Generalmente andavo in palestra una volta a settimana – sorride Moro – invece da quando sono arrivato in ritiro ho iniziato la prima settimana con tre sedute, mentre in questa ne abbiamo in programma quattro. E’ tutto un altro modo di allenarsi, devo imparare da loro che sono molto più giovani. Quanto agli obiettivi, adesso inizio ad allenarmi e a capire come va, dopo vedremo. Punto solo a migliorare e diventare competitivo, per partecipare ai keirin, alla velocità e così via…».

La qualifica olimpica di Lamon è già iniziata

22.11.2022
5 min
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Forse non è per caso che dei quattro campioni di Tokyo, l’unico che in questi giorni sta lavorando a Noto sia Francesco Lamon. Il veneto fa da chioccia ai giovani convocati da Villa, ma intanto costruisce la condizione per difendere il suo posto. Il quartetto azzurro si è popolato di colpo di fior di campioni. Grandi specialisti che contemporaneamente corrono o correranno nel WorldTour, con innegabili vantaggi sul fronte del livello atletico. Per restare al top, Lamon ha solo una soluzione: dare il massimo in ogni occasione possibile. Consapevole del fatto che quando inizierà la stagione su strada, gli altri cambieranno marcia. Vedere lo spostamento di Jonathan Milan nel “suo” ruolo di primo uomo del quartetto non può averlo lasciato indifferente.

«Se bisogna guardare i risultati – dice in un momento di pausa nel velodromo di Noto – direi che il 2022 è stato un anno parzialmente positivo. Dopo l’europeo andato storto, a me in primis premeva dimostrare che comunque era stato solo un passaggio e un episodio sgradevole. Le responsabilità, ovviamente, come ha sempre detto anche Villa, era la nostra. Quindi ci siamo rimboccati le maniche e al mondiale siamo arrivati in buona forma, nonostante i vari appuntamenti degli altri ragazzi. Se ogni anno si riesce a essere nei primi tre del campionato del mondo, vuol dire che ci siamo. Questo di base è già positivo».

La nazionale sarà in ritiro a Noto fino a domenica: clima mite e tanto lavoro ben fatto
La nazionale sarà in ritiro a Noto fino a domenica: clima mite e tanto lavoro ben fatto

«Ovviamente da adesso – prosegue Lamon – inizia la qualifica olimpica. In ogni appuntamento, dato che sono pochi, bisognerà essere non dico al 100 per cento, ma almeno al 99. Per essere tranquilli e non qualificarsi per il rotto della cuffia. Quindi daremo il massimo già da questo ritiro. Sono mentalizzato sui campionati europei di febbraio, primo appuntamento del 2023 e primo passaggio per qualificarci».

L’arrivo di Milan

“Lemon” non si piange addosso. Quando arrivi tanto in alto, sai che il solo modo per restarci è vincere la concorrenza interna. Villa su questo è sempre stato chiaro. E anche se per i suoi ragazzi d’oro ha sempre avuto un occhio di riguardo, il passaggio a vuoto agli europei di Monaco ha in qualche modo spostato gli equilibri. Il Lamon dei mondiali era sicuramente più incisivo, ma nulla è più scontato. Ammesso che lo sia mai stato.

«Vedere Milan che fa le partenze – ammette – serve da stimolo per tirare fuori Il 150 per cento. Jonathan lo definisco un fuoriclasse per quello che fa in pista, ma anche su strada. Essendo anche un ragazzo molto giovane, è riuscito ad arrivare a questi livelli in un paio d’anni, mentre io ci ho messo non dico una carriera, ma quasi. Una sana competitività interna giova a tutti, perché si arriva agli appuntamenti con il gruppo più forte. Il bisogno di riconfermarsi ogni volta lo vedo come uno stimolo, anche perché comunque stiamo andando verso un’Olimpiade. Chi va più forte sarà dentro e non ci sarà nessun rancore, da parte mia in primis. Però intanto lavoriamo bene per dimostrare che ci siamo ancora».

Il gruppo endurance, donne e uomini, ha lavorato prevalentemente su strada, con brevi apparizioni in pista nel pomeriggio
Il gruppo endurance, donne e uomini, ha lavorato prevalentemente su strada, con brevi apparizioni in pista nel pomeriggio

Livello altissimo

Fa strano vederli girare in pista con le bici da strada. A un certo punto, proprio Lamon è arrivato a velocità altissima sul rettilineo e ha smesso di pedalare e la prima reazione, pensando alla bici col fisso, è stata di paura. Mentre i velocisti provano le loro partenze in sfide parallele che fanno venire il mal di gambe, le ragazze e i ragazzi del gruppo endurance sono usciti di mattina su strada e sul cemento di Noto provano a loro volta degli allunghi e delle partenze con le bici da strada. Quelle da pista sono rimaste in magazzino.

«Più che il livello mondiale – riprende Lamon – secondo me il livello che si sta alzando è quello all’interno del nostro gruppo. In generale abbiamo visto che, Olimpiadi a parte, i tempi dei quartetti si sono abbastanza livellati. La differenza in casa nostra è che se fino a 3-4 anni fa un determinato tempo lo facevamo in cinque, adesso possono farlo in 8-9, quindi da un lato questo ci dovrebbe permettere di lottare per la qualifica a livello molto alto, dall’altro guadagnarsi il posto da titolare è più difficile».

Ai mondiali di Parigi, chiusi con l’argento, le prime prove “vere” di Milan nel ruolo di lanciatore
Ai mondiali di Parigi, chiusi con l’argento, le prime prove “vere” di Milan nel ruolo di lanciatore

Calo mentale

Parla con tono sereno, il cronometro non mente. Forse la chiave di lettura del 2022, per lui che non corre su strada come gli altri tre azzurri di Tokyo, sta proprio nel fatto di aver fatto più fatica a lasciarsi dietro quell’oro. Le Olimpiadi e poi il successo al mondiale. A quel punto l’attività WorldTour che ha risucchiato Ganna, Milan e Consonni ha rimesso tutto a posto, mentre Lamon e gli altri specialisti sono rientrati in una routine non sufficientemente serrata.

«L’anno post olimpico – riflette – è stato un anno come tutti gli altri. Se però devo guardare gli appuntamenti, forse ci sono arrivato un po’ più stanco mentalmente. I sei mesi di avvicinamento a Tokyo sono stati molto tosti, quindi è stato un calo più mentale che fisico. Ovviamente quando esci da un appuntamento preparato in quel modo, era più da staccare di testa. Per questo penso e spero che andrà meglio. Quest’anno niente vacanze. Ho preferito restare in Italia cercando casa, anche se non l’abbiamo trovata. Dovrei correre la Vuelta San Juan in Argentina. Non lo so ancora per certo, ma in vista degli europei una corsa a tappe, a me in primis, fa bene perché aumenta la resistenza su cui durante l’anno faccio fatica a lavorare, facendo le gare con i dilettanti. Sarà un anno più concentrato rispetto agli altri, perché i campionati del mondo ci saranno ad agosto».

Una fase di recupero accanto a Stefano Moro, appena passato alle discipline veloci
Una fase di recupero accanto a Stefano Moro, appena passato alle discipline veloci

«Devo colmare quel gap che ho rispetto anche ad altri professionisti che fanno la stagione su strada – ragiona Lamon – programmando il lavoro nel modo più preciso possibile anche con Villa e Bragato. E al riguardo vorrei anche ringraziare sia la Arvedi Cycling, che è la mia squadra di appoggio per le gare su strada, sia ovviamente il gruppo sportivo delle Fiamme Azzurre, che mi concede di fare tutto questo e dandomi sempre l’appoggio di cui ho bisogno. Sono sereno. Ho la tranquillità di cui ho bisogno per fare un bel 2023».

Velocità tornata di moda? La ricetta di Quaranta

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«L’altro giorno eravamo qui in palestra e ho visto due ragazzetti di 14-15 anni. Qui in Sicilia hanno il culto del body building e tanti ragazzi passano il tempo in palestra. Così gli ho chiesto se fossero capaci di andare in bicicletta. E quando hanno detto di sì, li ho invitati a venire in pista. Se quelli che fanno velocità non vai a cercarli, non li trovi. E io quasi quasi vado in giro a suonare i campanelli…».

Il gruppo della velocità davanti alla Cattedrale di Noto: una foto che non poteva mancare
Il gruppo della velocità davanti alla Cattedrale di Noto: una foto che non poteva mancare

La chiamata di Dagnoni

Ivan Quaranta è a Noto con gli azzurri della pista. Con lui, lo staff performance della FCI. Fino a ieri Michelusi, oggi invece è arrivato Bragato. Mattina palestra, pomeriggio pista. Certi giorni anche strada, perché il fondo comunque serve. Il gruppo della velocità è numeroso e agguerrito, le cose si stanno muovendo.

«E’ iniziato tutto – racconta Quaranta, in apertura alla pressa con Matteo Bianchi – quando mi ha chiamato Cordiano Dagnoni. Serviva una persona in più accanto a Marco Villa, che seguisse le discipline veloci. Qualcosa s’era già fatto negli anni precedenti, perché Predomo aveva preso un bronzo nella velocità e Bianchi era stato terzo nel chilometro da junior. Serviva un tecnico che ci mettesse la testa al 100 per cento. E’ nato tutto da passione, competenze e tempo, dopo una prima fase di studio».

Napolitano lavora allo squat, per ora con carico leggero
Napolitano lavora allo squat, per ora con carico leggero
Studio?

In trent’anni è cambiato tutto, le velocità, la tattica, i rapporti, i materiali, le preparazioni. All’inizio è stato molto importante Marco Villa, perché girando vedeva quel che facevano gli altri. Poi Diego Bragato. Alle prime Coppe del mondo, soprattutto a Glasgow, sembravo un paparazzo. Andavo in giro con la macchina fotografica a spiare le altre Nazioni. Ho fatto un miliardo di foto e filmati e prendevo i tempi mentre si allenavano. Ho fatto settimane in pista dalla mattina alla sera. La seconda fase è stata quella del reclutamento.

Come ti sei mosso?

Sono andato a parlare con la società e in particolar modo con la Campana Imballaggi-Geo&Tex, che aveva già tesserato Predomo e Bianchi. Ho parlato con Napolitano, che va forte e detiene il record italiano juniores sulla velocità. Ho iniziato a prendere contatto con i corridori, per non entrare in modo troppo diretto. Ho parlato con le famiglie, con i genitori che pretendono di allenare i figli, per fargli capire che sono preparato. Poi abbiamo iniziato a lavorare seriamente, questi ragazzi sono atleti al 110 per cento.

Sono venuti subito i risultati?

Abbiamo fatto il record italiano nel team sprint alla prima gara. Bianchi si è migliorato sul chilometro, abbiamo vinto subito delle Classe 1 e Classe 2. Li ho portati in giro per fare esperienza, avevano bisogno di correre. Un velocista corre poco, 5-6 competizioni in un anno, quindi più corrono e meglio è. Quando sono arrivati i primi risultati, sono arrivate anche le motivazioni. E si è messo in moto questo meccanismo, che ci ha portato a vincere quattro campionati europei e due titoli mondiali.

Ti aspettavi così presto?

Ora posso dire che su Predomo avrei scommesso. Vincere un mondiale è difficile. Fino a che sei in Europa, vedi chi vince i titoli nazionali e che tempi fanno, quindi sai cosa ti aspetta. Però non puoi sapere chi c’è dall’altra parte del mondo. Malesia, Cina, Burkina Faso. Il record del mondo ce l’ha un atleta di Trinidad e Tobago. E’ diventato tutto più difficile, ma Predomo aveva già fatto terzo lo scorso anno, quindi in un podio ci credevo.

Quaranta con Bianchi e Napolitano: si parla dei lavori da fare
Quaranta con Bianchi e Napolitano: si parla dei lavori da fare
Se lo aspettavano anche loro?

Ho cercato di non far trapelare questa fiducia per tenere alta la tensione. Però vedevo che miglioravano giorno dopo giorno. Siamo lontani dagli elite, ma dobbiamo confrontarci con quelli della nostra età. Per ora la cosa principale è stata aver creato un bel gruppo di lavoro. In primis però ci vogliono i cavalli buoni, perché sennò puoi essere il miglior tecnico del mondo, ma non va da nessuna parte. 

Con Villa come va?

Marco ci appoggia. Lo stresso 24 ore al giorno, per una bicicletta o una ruota in più, per andare a fare una gara, convocare un corridore, fare due giorni in più di ritiro. Lui deve rendere conto, ma alla fine lo convinco sempre. Vede che stiamo lavorando bene ed è felice del nuovo gruppo che sta crescendo.

Moro è appena approdato nel gruppo della velocità: per lui è tutto nuovo
Moro è appena approdato nel gruppo della velocità: per lui è tutto nuovo
Cosa si può dire del Quaranta tecnico?

Cerco di essere più serio, perché ormai ho 48 anni, ma il carattere è sempre lo stesso. I corridori vedono in me uno che la pensa come loro. Questa è una delle più grandi qualità che ha un ex ciclista, anche se non è detto che un buon ex corridore diventi un buon tecnico. Devi studiare, applicarti, dobbiamo essere aggiornati.

La velocità sta diventando attraente per i giovani?

Vedendo i risultati, ci sono anche allievi che passano juniores, che chiedono di venire in pista. Anche qualche junior che passa da primo a secondo anno. Una bella mano ce la sta dando Tommaso Lupi, cittì della BMX. E’ il segno di un movimento che diventerà competitivo in tutto il mondo. Se oggi dovessimo fare un’Olimpiade under 23, saremmo sicuramente da podio in tutte le discipline. Perciò se non sarà per Parigi, sarà per quelle dopo.

Gli azzurri si allenano nella palestra Star Gym di Noto
Gli azzurri si allenano nella palestra Star Gym di Noto
E le ragazze?

Vivono una fase di transizione. Il WorldTour è nato da poco, quindi la ragazzina veloce pensa di fare il Giro d’Italia o il Tour de France. Una grossa mano possono darcela i corpi militari. Chi più chi meno, questi ragazzi si sistemeranno tutti, nell’Esercito, nella Polizia di Stato, nelle Fiamme Azzurre, che sono i tre corpi che più credono nel ciclismo. Se i ragazzi e le ragazze vedono che facendo velocità in pista ti sistemi per tutta la vita, allora anche noi diventiamo interessanti.

Qualcuna c’è…

C’è Miriam Vece, molto motivata a rientrare in Italia. Per lei sarà importante allenarsi con gli uomini, perché tecnicamente può migliorare, soprattutto nel keirin. Tutti abbiamo qualche paura, la sua è quella di fare le volate di gruppo. Poi c’è Fabiola Ratti, che ha fatto quinta al mondiale dei 500 metri. C’è un bel gruppetto di ragazzine, come Paccalini, Bertolini, e Bolognesi. Poi c’è anche Giada Capobianchi. Lei corre a livello internazionale e ha fatto dei buoni piazzamenti nelle Classe 1 e potrebbe essere importante, per esempio in un team sprint come prima frazionista. Alla fine è tutto un fatto di lavoro. E in questo i miei ragazzi non hanno paura di far fatica.