«Devo tantissimo a Marco Villa, mi ha dato un sostegno enorme fin da junior, mi ha accompagnato per tutto il percorso fino a qui e spero che di strada da fare ce ne sia ancora tanta… anzi di pista». Davide Boscaro è uno dei nuovi talenti del movimento italiano: si è parlato spesso di chi ci sia dietro i Moschettieri che hanno portato all’Italia l’oro olimpico e mondiale nell’inseguimento, di quei ragazzi che dovranno garantire la continuità del progetto negli anni e il corridore padovano è uno di questi.
Il portacolori della Colpack Ballan, uno dei millennial più in vista nel panorama italiano dei velodromi, si è distinto fin dagli inizi. Spesso raccontando i corridori sentiamo dire di padri, zii, fratelli che li hanno instradati verso il ciclismo. Per Davide no, non è stato così, nessuno in famiglia nutriva questa passione. «Ero semplicemente un ragazzino andato in un negozio con il padre per comprare una bici e imparare ad andarci. Proprio da quel negozio, visto che andare in bici mi piaceva, mi proposero di iniziare a fare qualche gara fra i più piccoli, per il GC Noventana. Andavo bene, mi piaceva, così ho continuato e ci ho preso sempre più gusto».
Subito dopo Davide ci dice una frase che fa capire molto di come sia vissuto il ciclismo nel nuovo millennio: «Quello che fai nelle categorie giovanili non conta nulla, è adesso che bisogna emergere, che bisogna dare tutto, ma io sono fiducioso».
Dalla velocità fino all’inseguimento
Non potrebbe essere altrimenti. Nell’entourage azzurro sono pronti a scommettere su questo ragazzo di 1,82 metri per 77 chilogrammi, che da sempre abbina la strada alla pista: «Nei velodromi ci sono praticamente nato. Andavo ogni settimana al Monti di Padova per allenarmi, ho visto subito che avevo le doti giuste per poter far bene, ero soprattutto veloce. La cosa curiosa è che nelle categorie giovanili non ho mai provato l’inseguimento a squadre, facevo soprattutto velocità. Sicuramente però quella base mi è servita».
Si parla di inseguimento e il pensiero non può non andare alle vittorie di Ganna e compagni. Davide le ha vissute in maniera differente: «Le Olimpiadi le ho viste da casa, è chiaro che avevo un particolare pathos addosso perché ho vissuto con loro parte della preparazione, i ritiri, so che cosa c’è dietro quella medaglia d’oro. Poi sono entrato nel gruppo per gli Europei e i Mondiali, non ho fatto parte diretta dei tornei, ma in allenamento ho spesso lavorato con loro, ero lì, l’oro mondiale l’ho sentito anche mio perché sentivo di far parte di quel gruppo».
La grande responsabilità del lancio
Non solo, ma su Davide le aspettative sono tante. Quando parlammo con Fabio Masotti, non nascose che lo staff tecnico vede in lui l’uomo perfetto per il lancio, un ruolo molto delicato: «Sono sempre stato il primo nei quartetti che ho fatto, nelle categorie junior e U23. Io sento molto la responsabilità del ruolo, è come se l’intero quartetto fosse sulle mie spalle, lanciarlo bene significa accrescere le possibilità di un buon risultato. Anche per questo, a livello individuale gareggio nel chilometro da fermo, proprio per specializzarmi sempre più sulla partenza: agli Europei sono arrivato 7° ed ero abbastanza soddisfatto, a Roubaix ho mancato di poco la finale, ma su quella pista non avevo gran feeling».
A tal proposito, su un concetto Davide è molto chiaro e fa ben capire quanto sia concentrato sul suo futuro: «Quando lanci un quartetto, viaggiare a oltre 60 chilometri orari è uno sforzo che ti resta nelle gambe, ma io voglio sempre e comunque dare il mio apporto anche dopo, faccio di tutto per resistere e non staccarmi, anche nel finale è durissima. E’ chiaro che devo ancora migliorare tanto, ma il futuro passa anche per la resistenza al dolore e quando vesti la maglia azzurra, sopporti ogni cosa perché hai un grande onore. La cosa che mi piace di più è che a fine gara spesso i compagni sono venuti a ringraziarmi per il lavoro svolto, per come li ho lanciati, per me è una grande gratificazione».
Uno sprinter utile per molti team
Fin qui abbiamo parlato di Boscaro pistard, e su strada con chi abbiamo a che fare? «I primi anni non sono stati facili, quando sono passato di categoria non stavo bene, ma dopo il Covid sono riuscito ad ingranare e quest’anno sono arrivati anche risultati importanti, ad esempio il 7° nella prima tappa dell’Adriatica Ionica Race. I percorsi che prediligo sono chiaramente quelli di pianura, ma anche su tracciati leggermente vallonati mi difendo bene».
Boscaro è un velocista puro, di quelli che non ha paura di buttarsi nella mischia: «Le mie tre vittorie le ho ottenute tutte allo sprint, ma sono in grado anche di lavorare per gli altri e tirare la volata come ultimo uomo del treno, mi è capitato e quando il compagno ha vinto è stato come se l’avessi fatto io, perché il ciclismo è questo, è condivisione, almeno per come lo intendo io».
Caratteristiche che potrebbero farne un elemento interessante anche per qualche grosso team. L’idea non dispiace a Boscaro, se dovesse andare all’estero lo farebbe un po’ obtorto collo, perché il suo pensiero primario è condividere strada e pista e non tutti i team sono favorevoli: «Non ho l’ossessione del professionismo, a me interessa continuare sulla strada intrapresa, perché so che su pista posso togliermi grandi soddisfazioni. Io mio sogno è andare alle Olimpiadi, non so se per Parigi 2024 troverò posto visti i campioni che ci sono davanti, ma l’età è dalla mia parte, l’importante è poterle vivere un giorno da protagonista».