Indagine con Cataldo sulle frenesie del gruppo

15.12.2022
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Proprio alla fine dell’intervista, il discorso con Dario Cataldo ha imboccato una direzione imprevista. Dopo aver definito il suo ruolo alla Trek-Segafredo, di cui evidentemente vi racconteremo in un prossimo articolo, l’abruzzese ha cominciato a ragionare su cosa ci sia di diverso da due anni a questa parte nelle dinamiche del gruppo. E su quale possa essere il suo futuro, dato che l’ultimo rinnovo di contratto lo porterà fino ai 39 anni.

L’hotel Diamante Beach è il solito andirivieni di corridori e appassionati, che in queste due settimane che conducono al Natale trasformano la Costa Blanca nel più grande raduno di team professionistici. Il Peñon de Ifach, lo sperone roccioso che sovrasta la spiaggia, è come un campanile: lo vedi da qualunque direzione arrivi.

«La vera differenza è che si corre in modo molto più aggressivo – spiega Cataldo – serve più esplosività, si va tutta dall’inizio alla fine. Si corre quasi come degli under 23, un modo di interpretare la corsa molto diverso. Ovviamente quando sei più giovane, questa brillantezza ce l’hai. Per questo si vedono i corridori giovani che partono in modo molto spavaldo, se hanno motore vanno. Il problema per un corridore più maturo è che diventa diesel. Ha più fondo, più resistenza, più recupero. Quindi con questo modo di correre fatica di più, è difficile mettersi in mostra e far vedere quello che sai fare. Per questo, se nel ciclismo di 4-5 anni fa era pensabile arrivare fino ai 40 anni, adesso è molto complicato. Passati i 35, il motore inizia a cambiare. Quindi o sei un Valverde che ha un motore fuori dal comune e quindi compensi, altrimenti diventa dura».

Il Peñon de Ifach domina la scena di Calpe, spezzando la spiaggia in due
Il Peñon de Ifach domina la scena di Calpe, spezzando la spiaggia in due
E’ un caso che queste differenze, questa svolta sia venuta fuori nel 2020 del Covid?

Secondo me sì. Già prima del lockdown era iniziato un approccio diverso alla gara, solo che nessuno ci ha fatto caso, visto quello che sarebbe successo di lì a poco. Già nelle prime gare che feci nel 2020, tipo la Valenciana, si notava che si correva in modo più aggressivo, poi con la riapertura dopo il lockdown, certe cose si sono accentuate. Si è creata una combinazione di fattori. La stagione è diventata cortissima. Chi era in scadenza di contratto doveva sparare tutte le cartucce in quei tre mesi, per cui erano tutti preparati al massimo del massimo. I più giovani in quell’andare a tutta e in modo nervoso si sono ritrovati facilmente e hanno portato il loro modo di correre più spavaldo (Cataldo allarga le braccia, ndr). Hanno cominciato ad attaccare a 70-100 chilometri dall’arrivo. E da lì sono iniziate a cambiare anche le dinamiche di corsa.

Ogni giorno come una tappa del Tour, più o meno?

I primi tempi, con quel modo di andare, la gara si accendeva subito e quindi serviva più tempo perché andasse la fuga. Era difficile prenderla. La fuga va quando c’è un rilassamento del gruppo, invece se si va sempre a tutta, le cose cambiano. Ci vuole più tempo. In quel momento che veniva dopo il lungo stop del Covid, i corridori più maturi erano in sofferenza. Al corridore giovane basta poco per tornare subito brillante. Uno più grande ha bisogno di correre, di tenere di più il motore aperto per poter rendere. Nel 2020 è stato così, poi progressivamente è andato cambiando ancora. Già da quest’anno i valori sono tornati vicini alla normalità.

Con Elvio Barcella, massaggiatore, Calabresi e Casarotto di Enervit hanno portato al team le ultime novità
Con Elvio Barcella, massaggiatore, Calabresi e Casarotto di Enervit hanno portato al team le ultime novità
Ad eccezione di qualche caso, sono diminuite anche le fughe pazze.

Tante volte partivano dei corridori a 100-150 chilometri dall’arrivo. Allora quelli come Cataldo (sorride, ndr) facevano i loro conti, con l’esperienza si riesce a farlo. Vedevi quanti corridori erano, il tipo di percorso, sentivi il vantaggio da radio corsa e stabilivi che per riprenderli si sarebbe dovuti andare a una certa velocità per un tot di tempo. Sapevamo già come sarebbe andata a finire. Invece i primi tempi non funzionava più. Iniziavi a tirare, si iniziava ad andare veloce, poi velocissimo, eppure quelli in testa non perdevano vantaggio. Da quando si è capito questo, non lasci più tanto vantaggio. E’ iniziato un processo di revisione, si può dire così. E alla fine, dato che il gruppo è sempre più folto perché il livello si è alzato, per fare delle grandi differenze devi partire da tanto lontano, altrimenti la situazione è più sotto controllo.

Che cosa significa che il livello si è alzato?

In gruppo ci sono più energie e secondo me questo cambio è dovuto molto all’alimentazione. Le teorie legate al mangiare in corsa e fuori sono cambiate tanto. Prima si mangiava meno per ingrassare meno, adesso si mangia tantissimo, per bruciare di più e consumare di più. In gara il serbatoio deve essere sempre pieno. Si sta tutti con le bilance per mangiare il giusto dopo la gara o prima della gara, mentre in corsa si mangia l’impossibile. Si mandano giù quantità impressionanti. Io certe volte non riesco a starci dietro. C’è da prendere 90-120 grammi di carboidrati all’ora. Cioè, facciamo il calcolo, quanti piatti di riso sono in cinque ore di gara? Poi magari lo dividi tra i gel e le borracce, però è tanto e tante volte non ci stai. Prima questa gestione non c’era.

Gli automobilisti della Costa Blanca sono abituati ai ciclisti, ma la prudenza non guasta mai
Gli automobilisti della Costa Blanca sono abituati ai ciclisti, ma la prudenza non guasta mai
E’ scomparsa la crisi di fame?

Se vai in crisi di fame, è perché hai cercato di alimentarti, ma ci sono delle condizioni che non ti permettono di farlo. Magari perché fa freddissimo, si va talmente a tutta che non hai tempo di mettere le mani in tasca. Oppure le hai congelate e non riesci a prendere da mangiare. E mentre tu sei così, gli altri continuano ad andare forte perché sono riusciti ad alimentarsi. Stando così le cose, prima per arrivare a una crisi di fame dovevi aver consumato tutto, adesso basta avere un calo minimo e sei fuori. Perché gli altri sono ancora a gas aperto. Questo è quel che sta facendo la differenza. E’ come in Formula Uno. Le macchine, il motore, gli ingegneri che calcolano la benzina, la qualità della benzina, la quantità. Quanti giri fai con un pieno. E’ diventato così anche nel ciclismo. L’aerodinamica, i watt, le proteine, i carboidrati. Fondamentalmente siamo dei motori biologici.

Non è un po’ troppo?

Secondo me è giusto che sia così, opinione di Dario Cataldo, insomma. Lo sport comunque è ricerca della perfezione. E il ciclismo è uno sport dove riesci a mettere insieme sia la parte biologica, come accade anche nella maratona, la parte tattica, la parte tecnica nel senso delle abilità, la parte tecnica nel senso di meccanica, aerodinamica, resistenze meccaniche, leggerezza e peso. Dall’unione di queste cose, crei quasi la macchina perfetta. Sicuramente è molto più stressante, non è più il ciclismo eroico di prima. Anche in Formula Uno una volta rompevano il volante e finivano la gara con la chiave inglese che reggeva il piantone dello sterzo. Oggi sarebbe impensabile, no?

Prima dell’uscita con Tiberi e Mads Pedersen, uomo veloce per cui Cataldo ha spesso lavorato
Prima dell’uscita con Mads Pedersen, uomo veloce per cui Cataldo ha spesso lavorato
Hai detto “macchina quasi perfetta”.

Perché nonostante tutto, alla fine hai comunque a che fare con degli umani e trovi quello che rompe gli schemi, anche se è sempre più difficile. Non è tutto matematica, l’aspetto psicologico conta tantissimo. Ad esempio, alla Vuelta abbiamo vinto una tappa con Pedersen, a Talavera de la Reina, che a livello personale è stata bellissima. La squadra era contentissima.

Che cosa è successo?

Era una tappa corta, di 138 chilometri, difficilissima da controllare. Si faceva due volte un circuito con una salita, era impossibile tenere chiusa la corsa, perché al primo giro ci avrebbero tirati scemi attaccando. Idem al secondo e poi gruppo in pezzi. Invece De Jongh (diesse del team, ndr) ha detto subito che ce la potevamo fare. Era convintissimo e vederlo così ci ha motivato tantissimo. Siamo partiti con un’aggressività spaventosa. La fuga è andata via subito, ma abbiamo lasciato il margine giusto. Abbiamo iniziato a chiudere, abbiamo fatto stancare quelli dietro con delle frustate in discesa. Abbiamo aggredito tanto la gara che gli altri non sono arrivati nel finale con le forze giuste. Eravamo sfiniti, di tutta la squadra erano rimasti solo due dei nostri. Bastava che tre o quattro si fossero svegliati un attimo e avrebbero lasciato il gruppo al vento.

Invece?

Abbiamo ammazzato così tanto psicologicamente il gruppo, che nel finale siamo riusciti ugualmente a fare il treno e lanciare Mads alla vittoria. Ci sono delle situazioni in cui aggredire la corsa o fare qualcosa che gli altri non si aspettano, può cambiare le cose. Ogni corsa è una storia, ma su queste teorie si potrebbe scrivere un libro.

Il giorno di Talavera la Reina è per Cataldo un capolavoro tattico della Trek
Il giorno di Talavera la Reina è per Cataldo un capolavoro tattico della Trek
Quindi alla fine la differenza la fanno sempre il modo di interpretare la corsa e un direttore con la visione giusta?

Per quanto tu possa spingere al massimo la prestazione della persona, nel ciclismo ci sono troppe variabili in più rispetto alla Formula Uno. Le discese, le condizioni, la pioggia, il freddo… Troppe cose che non si riesce a calcolare. E poi la bici ha un’altra cosa che fa la differenza rispetto alle auto da gara.

Quale?

La cosa bella del ciclismo è che le corse sono una cosa, la bici e il suo fascino un’altra. Magari un giorno smetterò di essere corridore, ma non smetterò mai di essere ciclista, di amare la bici. Mi succede spesso di essere saturo, di tornare a casa e dire che non voglio vederla più neanche in fotografia. Il giorno dopo invece arriva uno, indica la mountain bike e ti invita a fare un giro nei boschi. Accetti subito, magari sei stanchissimo eppure ti fai cinque ore. Perché della bici sono innamorato e non me ne stancherò mai.

Ganna inventa e Pedersen conclude nell’afa di Saint Etienne…

15.07.2022
6 min
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A fugare il dubbio che Pedersen abbia fatto una furbata ad attaccare mentre cercava di prendere qualcosa dalla tasca ha pensato lo stesso Ganna, abituato a dire le cose come stanno.

«Volevamo andare in fuga anche oggi – dice il piemontese dopo l’arrivo – e fare una bella cosa per il secondo giorno consecutivo dopo la vittoria di Pidcock. Per questo sono partito, ma quando Pedersen ha attaccato, non ne avevo più tanta. Al momento del suo scatto avevo la mano in tasca per prendere un gel, ma non credo che se l’avessi avuta sul manubrio, sarei riuscito a stargli dietro».

Pippo che tira per i suoi leader alla Ineos Grenadiers. Pippo che manda giù la crono sfumata e si infila nelle fughe. Poi Pippo che punta all’ultima crono, ma forse non gli basta. Infine Pippo che nel primo Tour prende le misure e porta via la fuga con la stessa sicurezza con cui fino a ieri l’ha fatto Van Aert. Pippo che ancora non ha detto tutto.

Un Tour incredibile

E così Mads Pedersen, corridore di 26 anni in maglia Trek-Segafredo, fa sventolare la bandiera danese sul traguardo del Tour, unendosi alla maglia gialla Vingegaard. Lo fa con un’azione che ci ha ricordato i mondiali di Harrogate. Ma mentre in quell’occasione si nascose e puntò sull’effetto sorpresa, questa volta ha indossato i panni del favorito. Ha scremato la fuga. Ha rintuzzato gli allunghi di Houle e Wright e poi li ha staccati in volata. A conferma che gli arrivi ristretti sono il suo forte. Come imparammo a spese di Trentin (e anche nostre, avendoci creduto tanto) in quel mondiale fradicio di tre anni fa.

«E’ un Tour incredibile – dice il vincitore – e vincere questa tappa lo è di più. Sapevo di essere in buona forma e di aver perso alcune opportunità nella prima settimana. Non c’erano molte altre opportunità, per questo è davvero bello essere sul gradino più alto. Non solo per me, ma anche per tutta la squadra. Siamo venuti qui solo con cacciatori di tappe e ora ci siamo riusciti».

La Trek family

La squadra è il filo conduttore. Per questo nei giorni scorsi l’annuncio del rinnovo del contratto è stato celebrato quasi come una vittoria.

«Questa squadra – ha detto nei giorni scorsi – mi ha dato l’opportunità di salire al livello WorldTour. Questo è il mio sesto anno con la Trek-Segafredo e ne ho aggiunti altri tre. Stare con una squadra per nove anni è speciale e questa per me è una seconda famiglia. Ecco perché sono voluto restare. Il nostro gruppo per le classiche si rafforza ogni anno. Aiutare la squadra a migliorare è per me importante».

Partendo da Copenhagen, era lecito aspettarsi che Pedersen pensasse di lasciare il segno. Tuttavia la cifra del Tour 2022 è la follia di certi giorni e di certe andature e occasioni per lui non si sono presentate.

Ganna e Kung, due dei motori più potenti del Tour hanno portato via la fuga
Ganna e Kung, due dei motori più potenti del Tour hanno portato via la fuga

La scelta giusta

Oggi Pedersen ha approfittato del grande forcing di Ganna e Kung, poi ha chiesto a Quinn Simmons di farsi portare nel tentativo e di tirare fino a che ne avesse. E quando il ragazzone di Durango si è spento sull’ultima salita che ha tagliato definitivamente fuori le chance dei velocisti, Pedersen si è ricordato d’essere stato campione del mondo e ha fatto da sé.

«Se la fuga fosse stata composta da più di quattro persone – ha spiegato – il piano era che ci fossimo anche noi. Che ci fossi io. Non sapevamo come le altre squadre avrebbero affrontato l’ultima salita a 45 chilometri dal traguardo e se fossi stato nel gruppo con gli altri velocisti, magari sarei rimasto staccato. Per parecchi chilometri ho pensato che fosse un errore essere in fuga, perché avevamo solo due minuti, ma alla fine si è rivelata la scelta giusta».

La resa di Caleb

I poveri velocisti infatti hanno alzato presto bandiera bianca. Il solo che avrebbe potuto tenere era Caleb Ewan, che però è caduto.

«In realtà oggi mi sentivo davvero bene – dice dopo l’arrivo – avevamo mandato avanti due uomini per controllare la fuga. Poi non so cosa sia successo in quella curva. Non ho potuto evitare la caduta, quindi adesso mi fanno male il ginocchio e la spalla. Ho capito subito che non ce l’avrei fatta. Finora ci sono stati solo due sprint di gruppo, non è sicuramente un buon Tour per i velocisti. In più metteteci la sfortuna! Sono certo che mi riprenderò e speriamo che il vento cambi».

Ewan è caduto e affranto: il Tour non sorride agli uomini veloci
Ewan è caduto e affranto: il Tour non sorride agli uomini veloci

La voce del padrone

Il colpo di grazia agli altri due Pedersen l’ha dato prima attaccando e poi nella volata, anche se Trentin da casa con un messaggio in risposta al nostro ha sottolineato che gli altri due non lo abbiano attaccato davvero a fondo. Forse è vero, forse semplicemente non ne avevano più.

«Non volevo arrivare con troppi corridori – dice – perché altrimenti sarebbe stato troppo difficile controllarli, quindi ho provato ad attaccare e per fortuna il gruppo di testa si è spezzato. Eppure non sono stato sicuro di vincere finché non ho tagliato la linea».

Per Pedersen all’arrivo anche il numero rosso di più combattivo
Per Pedersen all’arrivo anche il numero rosso di più combattivo

Nel segno di Jaja

E mentre nei 31 gradi di Saint Etienne si festeggia un velocista nel giorno in cui i velocisti sono usciti di scena, gli sguardi degli uomini di classifica sono puntati sulla tappa di domani, piena zeppa di salite. Con questo caldo che squaglia l’asfalto e fa scappare le ruote e dopo le fatiche alpine, il giorno di Mende promette di fare male. In quei 3 chilometri al 10 per cento di pendenza media, su cui il 14 luglio del 1995 si impose Laurent Jalabert, l’esplosività di Pogacar potrebbe vedere la prima rivincita su Vingegaard. Anche domani, ragazzi, ci sarà ben più di un motivo per seguire la Grande Boucle.

Questa è la nuova Trek Madone SLR generation 7

30.06.2022
8 min
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Vista e fotografata, immaginata e in parte già raccontata, vi presentiamo ufficialmente la nuova Trek Madone SLR della settima generazione. Ancora più aerodinamica e leggera, ancora più rivoluzionaria nel design e nelle soluzioni che da sempre caratterizzano questo progetto. La nuova Trek Madone SLR introduce la tecnologia IsoFlow e abbandona il dissipatore IsoSpeed. Entriamo nel dettaglio del progetto.

Pedersen con la nuova Madone alla cerimonia di apertura del TDF
Pedersen con la nuova Madone alla cerimonia di apertura del TDF

Quegli scatti rubati

Le prime annotazioni e i primi quesiti che ci siamo posti risalgono ai mesi invernali, nel periodo in cui i team svolgono i primi ritiri collegiali in Spagna. Un frame-kit bianco, senza scritte e senza loghi, pronto per essere montato. Non un semplice “gesso”, ma una bici da nascondere e non far fotografare. Da tenere nell’ombra e comunque pronta all’uso. Nessuna informazione precisa, bocche cucite ovunque e la nostra volontà di non spoilerare un prodotto.

Le prime notizie della Trek Madone SLR risalgono a quel periodo. Poi sono arrivate le corse che anticipano il Tour de France, il Delfinato in questo caso, gli scatti rubati e comunque ufficiali, le prime indiscrezioni di una bicicletta che è stata completamente ridisegnata, capace di offrire un vantaggio (risparmio di tempo) di 60 secondi su un’ora di gara (a 45 chilometri orari), se comparata con le versione precedente.

Frame e forcella, tra Quinn Simmons eJacopo Mosca, visti e fotografati a dicembre ad Altea
Frame e forcella, tra Quinn Simmons eJacopo Mosca, visti e fotografati a dicembre ad Altea

L’aerodinamica e il peso ridotto

Il progetto è stata sviluppato grazie al contributo dei corridori del Team Trek-Segafredo, in particolare con Mads Perdersen.

«Quando mi è stato chiesto di fornire delle indicazioni – dice l’iridato di Harrogate – le prime richieste sono state rivolte al mantenere l’efficienza aerodinamica della Madone, scendendo con il peso. Avere una bicicletta reattiva e capace di aumentare la velocità rapidamente nelle fasi più importanti dei cambi di ritmo».

Il tessuto OCLV800

Trek Madone SLR 7 generation è più leggera di 300 grammi, un valore enorme se pensiamo che il carbonio utilizzato è l’OCLV800, il medesimo utilizzato per la generazione numero 6. La riduzione del valore alla bilancia, non è stato ottenuto grazie all’introduzione dell’IsoFlow, ma anche grazie all’ottimizzazione delle diverse prospettive di frame e forcella.

Il design e i volumi dei profilati sono completamente variati rispetto al passato. Inoltre l’abbandono dell’IsoSpeed ha obbligato a non snaturare in maniera eccessiva una bicicletta tanto performante e veloce, quanto comoda e stabile. Un punto di riferimento per le competizioni e per i corridori potenti, ma anche per un impiego meno estremizzato.

Mads Pedersen in Norvegia durante una fase di test (foto Tyler Wiles Trek)
Mads Pedersen in Norvegia durante una fase di test(foto Tyler Wiles Trek)

Si parte con l’IsoFlow

Non è soluzione comparabile alla precedente IsoSpeed, perché è completamente differente nello sviluppo e nel funzionamento. IsoFlow non si basa su delle tubazioni sdoppiate e sulla resa tecnica al pari di un dissipatore. E’ una tecnologia maggiormente integrata, che sfrutta la laminazione e le proprietà elastiche del carbonio. Permette al piantone di flettere creando una sorta di compressione: non è regolabile. Il risultato è una guida fluida, confortevole e stabile sulle asperità, che non sacrifica gli aspetti legati alla reattività.

L’asola centrale, quella tra l’orizzontale, il piantone e i foderi obliqui hanno anche una funzione aerodinamica ben precisa, che aiuta a sfruttare l’energia prodotta dalla massima efficienza delle penetrazione dello spazio. E poi si risparmia molto peso, anche se il processo di laminazione è stato complicato. E’ la sezione più complessa della bicicletta, non tanto per il suo design, ma per quello che ha richiesto in fatto di utilizzo e applicazione delle pelli di carbonio.

Come si presenta

Se la osserviamo frontalmente, la forcella e la tubazione dello sterzo nascondo il resto della bicicletta, ma c’è anche un nuovo cockpit integrato. Quest’ultimo è più efficiente ed ha un design con una evidente svasatura nella parte bassa. Ovvero, se prendiamo ad esempio la misura 42, nel punto degli shifters il manubrio ha una larghezza di 39 centimetri, fattore che riduce in maniera esponenziale il drag del corridore nella posizione più aggressiva e nelle fasi di spinta più concitate. Però, grazie ad un rinnovato design della zona dello sterzo, la bicicletta può essere montata anche con uno stem e una piega tradizionali.

La forcella è full carbon, con profili anteriori risicati e piuttosto ampi nelle sezioni laterali. Il profilato dello sterzo è rastremato nel mezzo, con linee più marcate dove si trova l’innesto con i due tubi maggiori, orizzontale e obliquo. L’orizzontale prosegue dritto fino al punto di inserzione del nodo sella, il secondo ha una vistosa maggiorazione nei pressi della scatola del movimento centrale. In questo punto il “grande” volume è funzionale alla rigidità e a sfruttare al massimo l’aerodinamica, dei tubi e del posizionamento delle due borracce.

La zona bottom bracket è larga 86,5 millimetri e usa le calotte del tipo T47, una soluzione mutuata da Emonda e dalla precedente Madone. E’ stato mantenuto il chain keeper 3S di concezione aero.

Da qui si emerge il piantone e adotta una sorta di rientranza fino alla sezione mediana, per allargarsi dove si trova IsoFlow e l’incrocio con gli obliqui. Questi ultimi sono più ampi sopra e si sfinano leggermente man mano che vanno in basso, pur mantenendo costantemente un profilo marcatamente aero di natura Kammtail (abbondante lateralmente, magro frontalmente)

Una veduta posteriore della sezione IsoFlow
Una veduta posteriore della sezione IsoFlow

Cambia anche il seat-post

Il seat-tube si interrompe; c’è il “tunnel” IsoFlow e sopra c’è l’orizzontale con la “pinna” del seat-post. Qui un’altra soluzione tutta nuova.

Il reggisella vero e proprio si innesta nel telaio e può essere regolato e piacere, con un serraggio che avviene tramite una bussola interna e una feritoia esterna. La bussola interna può essere posizionata con due orientamenti differenti, aumentano il range di utilizzo di un solo seat-post.

Infine la geometria, che è comune alla Emonda ed è di matrice H1.5. Questa è definita il compromesso migliore, perché è adatta ad un’utenza particolarmente spinta verso l’agonismo, ai pro’ ovviamente, ma al tempo stesso è facilmente adattabile a diverse esigenze e tipologie di richieste.

Le altre cose da sapere

La nuova Trek Madone SLR di settima generazione è sviluppata nella sola versione disc brake. C’è anche una versione SL, ma si basa sul progetto più anziano della Madone. Rimaniamo comunque nell’ambito delle specifiche della generation 7: ci sono i perni passanti con le dimensioni tradizionali 142×12 millimetri per il posteriore, 100×12 per la ruota dell’avantreno. Ci sono i dischi dei freni e possono essere al massimo da 160 millimetri di diametro.

La nuova Trek Madone non è compatibile con le trasmissioni meccaniche. La misura massima consigliata per gli pneumatici è di 28 millimetri, considerando che rimane una extra tolleranza tra la gomma e i foderi di forcella e comparto posteriore. La colorazione deep-carbon-smoke è quella che permette di risparmiare ulteriore peso, a prescindere dall’allestimento. Oltre a questa ci sono altre quattro combinazioni cromatiche, mentre la disponibilità di personalizzazione con la piattaforma ProjectOne arriverà in un secondo momento.

Le taglie, gli allestimenti ed i prezzi

La nuova Trek Madone SLR è disponibile in 8 taglie: 47, 50 e 52, 54 e 56, 58, 60 e 62. Sei allestimenti in totale: 6 e 6 eTap, rispettivamente con il nuovo Shimano 105 Di2 a 12 velocità e con Sram Rival AXS (7699 e 8399 euro). 7 e 7 eTap, con Shimano Ultegra Di2 a 12v e Force AXS (10299 e 10799 euro). Trek Madone SLR 9 e 9 eTap, con il Dura-Ace 12v e Sram Red eTap AXS (13999 e 14999 euro). C’è la possibilità anche del solo frame-kit, che ha un prezzo di listino di 5499 euro.

Tutte le versioni hanno in dotazione le ruote Bontrager Aeolus 51 tubeless ready, nelle versioni Pro per le 6 e 7, RSL per l’allestimento 9. Tutti gli allestimenti hanno in dotazione il nuovo bar-stem integrato e full carbon. Un cenno ai pesi dichiarati, che fanno riferimento alle biciclette complete: 7,1 e 7,4 chilogrammi per le versioni 9 e 9 eTap, 7,5 e 7,8 per le versioni 7 e 7 eTap. Mentre le le 6 e 6 eTap il valore alla bilancia è rispettivamente di 7,8 e 8 chilogrammi.

Trek

Trek e Pirelli, una partnership sempre più vincente

31.03.2022
3 min
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Il rapporto tra Trek e Pirelli si arricchisce di un nuovo importante capitolo. Da oggi i pneumatici Pirelli sono infatti disponibili presso tutta la rete nazionale dei rivenditori Trek. Stiamo parlando di pneumatici da strada, da mountain bike, da e-mountain bike e da gravel. Si tratta di una grande opportunità per entrambe le aziende. Pirelli potrà godere della rete capillare dei negozi Trek presenti in tutta Italia. Contemporaneamente i rivenditori Trek avranno l’opportunità di offrire alla propria clientela prodotti di grande qualità a partire dal nuovo P Zero Race 4s, presentato solo pochi giorni fa.

Dettaglio sui copertoni Pirelli P Zero Race TLR
Dettaglio sui copertoni Pirelli P Zero Race TLR

Un rapporto forte

Quello tra Trek e Pirelli è un rapporto giovane ma che fin da subito si è dimostrato estremamente forte. L’accordo tra le due aziende risale al 2020 e in soli due anni sono stati ottenuti risultati di grande prestigio. Tra questi va sicuramente ricordata la Parigi-Roubaix femminile che ha fatto il suo debutto lo scorso anno e che ha visto trionfare Lizzie Deignan. Nel successo dell’atleta britannica un ruolo fondamentale l’ha sicuramente svolto il mix perfetto che si è venuto a creare tra bicicletta e pneumatico.

Non va poi dimenticato il fatto che dagli stessi atleti arrivano a Pirelli feedback estremamente importanti sulla resa dei prodotti a loro in uso. Si tratta di riscontri che permettono all’azienda di lavorare costantemente al miglioramento di ogni singola copertura che verrà utilizzata non solo dal team maschile e femminile, ma soprattutto dall’utente finale. Un ruolo fondamentale potrà averlo sicuramente la rinnovata sede Pirelli di Bollate destinata ad ospitare le linee produttive dei prodotti ciclo alto gamma.

La sede produttiva di Bollate è oggetto di un processo di modernizzazione e riorganizzazione
La sede produttiva di Bollate è oggetto di un processo di modernizzazione e riorganizzazione

Partnership da Formula 1

La conferma del fatto che Pirelli e Trek credano fortemente nella loro partnership si è avuta lo scorso anno alla vigilia del Gran Premio di Formula 1 degli Stati Uniti ad Austin in Texas. Nell’occasione l’ex campione del mondo Mads Pedersen e la campionessa d’Italia Elisa Longo Borghini hanno avuto l’opportunità di effettuare un giro d’onore sul Circuit of The America, lo stesso tracciato che ha visto poi Max Verstappen trionfare su Lewis Hamilton.

Con questo gesto simbolico Trek e Pirelli hanno infatti voluto sottolineare la forza della loro partnership attraverso una chiave di lettura sempre più racing. 

Elisa Longo Borghini e Mads Pedersen in visita durante il Gran Premio di Austin
Elisa Longo Borghini e Mads Pedersen in visita durante il Gran Premio di Austin

L’occasione è però soprattutto servita per mostrare in anteprima la divisa 2022 della squadra con il logo Pirelli in posizione di rilievo sui kit ufficiali sia della formazione maschile che di quella femminile. 

Con l’accordo recentemente raggiunto la partnership tra Trek e Pirelli si arricchisce oggi di un tassello estremamente importante a tutto vantaggio dell’utente finale.

Trek

Pirelli

Pedersen mostra i muscoli e si commuove. Bettiol cresce

03.02.2022
5 min
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«Non ero solo – ha spiegato Pedersen, molto commosso dopo l’arrivo della prima tappa all’Etoile de Bessegessono sicuro che da qualche parte, lassù, Pepinho mi stesse guardando. Questa vittoria è per lui». 

Pepinho, soprannome di José Eduardo Santos, era diventato meccanico della Trek nel 2011, quando la squadra si chiamava ancora Leopard. Se ne è andato la settimana scorsa per un infarto. Era un personaggio centrale della squadra, noto perché cantava arie di fado mentre puliva le bici, la sera, nei parcheggi degli hotel.

Pepinho, meccanico nel team dal 2011, è scomparso per un infarto la scorsa settimana (foto Trek-Segafredo)
Pepinho, meccanico nel team dal 2011, è scomparso per un infarto la scorsa settimana (foto Trek-Segafredo)

Non solo quei due

E così la corsa francese si è aperta con la vittoria del campione del mondo di Harrogate 2019. Ragazzo di poche parole, che nel finale si è affidato a Tom Skujins perché lo portasse ai piedi dell’ultimo strappo e poi ha fatto da sé. E anche se la classifica finale dell’Etoile de Besseges potrebbe essere alla sua portata (malgrado la salita di Mont Bouquet di sabato e la cono finale di 10 chilometri), il suo sguardo è puntato sul Nord. Il perfetto terreno di caccia.

«Si sta commettendo l’errore – ci aveva detto a dicembre nel ritiro di Altea – di concentrarsi solo su Van Aert e Van der Poel. Ci sono un sacco di buoni corridori nel gruppo, ma se guardi sempre gli avversari, sei destinato a rimanere un passo indietro. Quei due sono come gli altri. Van der Poel era forte nella fase finale della Roubaix, ma Colbrelli lo ha battuto in modo leale. Non lo sono gli unici due di cui dobbiamo tenere conto. Certo, sono d’accordo che sono le due più grandi stelle del ciclismo in questo momento, ma non è solo perché sono forti nelle classiche. Quei due sono dannatamente forti dovunque li metti».

Sfinito dopo l’arrivo e dopo l’allungo sull’ultimo strappo, Pedersen ha parlato subito di Pepinho
Sfinito dopo l’arrivo e dopo l’allungo sull’ultimo strappo, Pedersen ha parlato subito di Pepinho

Nord rinviato

Lo scorso anno Mads Pedersen ha vinto tre corse, fra cui la Kuurne-Bruxelles-Kuurne nel weekend di apertura, ma nessuna a livello di WorldTour.

«Del 2021 ricorderò soprattutto gli incidenti – dice – perché dal Delfinato alla Roubaix sono stati per lo più problemi. Però quest’anno niente apertura in Belgio, Het Nieuwsblad e Kuurne. La Roubaix è una settimana più avanti del solito e il mio allenatore e la squadra hanno pensato che sia una buona idea spostare tutto più avanti. Hanno un grande piano per me, io lo seguo e spero che mi porti bene verso i principali obiettivi che sono Fiandre e Roubaix».

Tutto da capire

Campione del mondo a 24 anni, ora che ne ha 26 si volta indietro e inizia a vedere le cose sotto una prospettiva più matura.

«La cosa più importante che un corridore possa imparare – racconta – è risparmiare le energie ed io, facendolo, arrivo sempre meglio nei finali. Sto acquisendo esperienza, ogni cosa è esperienza, anche rientrare dopo una caduta senza sfinirsi quando se ne ha lo spazio. E quest’anno davvero assieme al mio amico Stuyven (che lo scorso anno ha vinto la Sanremo, ndr) potremmo realizzare qualcosa di importante. Siamo buoni amici e lo siamo sempre stati. Siamo onesti l’uno con l’altro, anche questa è esperienza. La guerra in squadra è come sprecare energie. E’ davvero utile invece quando una squadra ha due corridori motivati e forti che vogliono la stessa cosa».

Due volte a Roubaix

Roubaix sarà due volte, diceva in Spagna con un sorriso furbetto. Perché come ad ogni danese che sappia di ciclismo, neanche a lui è sfuggita la risonanza del Tour che parte da Copenhagen. La cronometro di 13 chilometri in partenza magari sarà troppo lunga per sperare di opporsi agli specialisti, ma l’appuntamento con il pavé della quinta tappa gli ha suggerito un’idea per nulla balzana.

«Non sono affatto un favorito per il prologo – ci ha detto – ma so di poter fare bene. Mi piacerebbe essere vicino al vincitore e poi forse il giorno di Roubaix potrei puntare alla maglia gialla e magari anche vincere la tappa. Sarebbe uno scenario da sogno per il resto della stagione. E comunque sarà bello correre davanti al pubblico di casa e speriamo di vedere molte persone sulla strada. Il ciclismo è davvero grande in questo momento, non solo con i corridori, ma anche con i pendolari e i turisti. Sta diventando sempre più grande. Saranno giorni indimenticabili».

In corsa nella Trek-Segafredo c’è anche Antonio Tiberi
In corsa nella Trek-Segafredo c’è anche Antonio Tiberi

E così dopo la vittoria con un secondo di vantaggio su un gruppetto di quattro fra cui anche Alberto Bettiol (Ganna era poco dietro, a 7 secondi) e il pensiero triste di Pepinho nel cuore, Pedersen ha riguadagnato la via dell’hotel. Oggi si arriva a Rousson dopo 156 chilometri e con due salitelle di poco conto, ma la classifica è davvero cortissima per pensare di tenere il gruppo. Anche se Skujins ridendo diceva che la vera corsa sarà nella caccia agli abbuoni.

Pirelli e Trek-Segafredo, una partnership da Formula 1!

30.10.2021
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Alla vigilia del Gran Premio di Formula 1 degli Stati Uniti, disputato a Austin lo scorso fine settimana, Pirelli e il team Trek-Segafredo hanno annunciato di aver rafforzato la loro partnership per il 2022. A sancire simbolicamente l’accordo hanno chiamato l’ex campione del mondo Mads Pedersen e la campionessa d’Italia Elisa Longo Borghini. Entrambi hanno avuto l’opportunità di effettuare un giro d’onore sul Circuit of The America, lo stesso che ha visto Max Verstappen trionfare su Lewis Hamilton.

Matteo Barbieri Head of Pirelli Cycling & Roger Gierhart Vice-President of Trek Bicycle
Matteo Barbieri Head of Pirelli Cycling & Roger Gierhart Vice-President of Trek Bicycle

La scelta della location non è stata casuale. Trek e Pirelli hanno infatti voluto sottolineare la matrice racing della loro partnership. Al termine del giro effettuato sul circuito di Austin Elisa Longo Borghini ha sottolineato il proprio orgoglio nel poter contare sul supporto di Pirelli.

La campionessa d’Italia ha così dichiarato: «Siamo orgogliosi di correre e di lavorare con i loro tecnici. Grazie all’uso intensivo ed esteso della tecnologia, che l’azienda mette nei suoi pneumatici da ciclismo, il lavoro di sviluppo è continuo e siamo sempre sicuri di poter contare sul materiale più avanzato. In aggiunta, è emozionante pensare che i nostri pneumatici da ciclismo sono progettati, prodotti e testati con la stessa tecnologia messa a disposizione dei piloti di Formula 1!».

Tanti i risultati raggiunti

L’accordo fra Pirelli e Trek-Segafredo ha avuto inizio nel 2020. Da allora sono stati davvero tanti e di prestigio i risultati ottenuti. In sole due stagioni la squadra americana ha riportato diverse vittorie importanti utilizzando i Pirelli P ZERO TM. Tra queste è sicuramente da ricordare la Parigi-Roubaix femminile, al debutto quest’anno e vinta da un’incredibile Lizzie Deignan. Nel successo dell’atleta britannica un ruolo fondamentale l’ha sicuramente avuto la scelta dei pneumatici.

Una sezione dei copertoni P ZERO Race TLR
Una sezione dei copertoni P ZERO Race TLR

Per Pirelli le competizioni rappresentano un vero laboratorio a cielo aperto, dove poter sviluppare i prodotti che saranno poi messi a disposizione dei praticanti. In questo contesto, la partnership con gli atleti del team Trek-Segafredo risulta essere fondamentale, soprattutto per i feedback che ne derivano. Il primo pneumatico tubeless Pirelli per bici da strada, il P ZERO RACE TLR, è infatti il risultato diretto della collaborazione tecnica con la squadra.

Un roseo futuro

Per il 2022 in Pirelli si aspettano nuovi feedback dagli atleti del team Trek-Segafredo. L’obiettivo finale rimane sempre quello di realizzare prodotti in grado di soddisfare al meglio le aspettative dei praticanti.

Matteo Barbieri, responsabile di Pirelli Cycling, ha sottolineato questo aspetto: «La partnership con un’azienda leader come Trek e con gli atleti del team è cruciale per Pirelli. Lavoriamo per alzare ulteriormente il livello tecnologico dei nostri pneumatici cycling, progettati con la qualità e le prestazioni richieste dai professionisti. Con un’occhio di riguardo all’adattabilità e la versatilità necessarie per gli amatori. Ora la collaborazione continua e si amplia, a conferma della reciproca soddisfazione per il percorso fatto assieme finora».

Roger Gierhart, vicepresidente di Trek Bicycle, ha concluso con le seguenti parole: «Pirelli ha una storia pluridecennale nella produzione di pneumatici da competizione, vincenti. Siamo orgogliosi di lavorare con un’azienda che ha giocato un ruolo così importante nella ricca storia del ciclismo. Pirelli è un partner inestimabile per Trek-Segafredo, in particolare per il modo in cui lavora con i nostri corridori e il nostro staff, per realizzare prodotti che eccellono nel World Tour».

A conferma del rafforzamento della partnership con il team Trek-Segafredo, nel 2022 il logo Pirelli apparirà in posizione di rilievo sulle divise ufficiali sia della formazione maschile che di quella femminile.

Pirelli

Madone SLR sviluppata da Pedersen & C: una vera lama affilata

25.06.2021
4 min
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Era il 2019 quando la Trek Madone di Mads Pedersen conquistò il titolo iridato nello Yorkshire, primo mondiale per un atleta danese e primo anche per il marchio americano.  Trek ha deciso ora di rendere ancora più competitiva la sua bicicletta Aero, la nuova Madone SLR, che si appoggia al meglio della tecnologia e della tecnica disponibile in casa Trek. 

Vista frontale, come una lama: una vera bici aero
Vista frontale, come una lama: una vera bici aero

Carbonio OCLV 800 

Il telaio della Trek Madone SLR è costruito con l’innovativo carbonio OCLV 800, il quale è del 30 per cento più resistente del precedente. Questo permette ai tecnici Trek di usare meno materiale nei punti in cui il telaio subisce più sollecitazioni, garantendo un risparmio di peso di ben 80 grammi

La scelta dei pro’

La base di ogni progresso tecnologico e tecnico è lo studio: in Trek hanno studiato e accoppiato più di 50 tipologie di fibre di carbonio prima di trovare il nuovo Carbon OCLV 800.  

I tecnici americani avevano selezionato 3 tipologie diverse di telaio, è stata fondamentale la prova su strada effettuata dagli atleti che alla fine hanno selezionato il migliore secondo le loro esigenze di comfort, maneggevolezza e prestazione. 

Disco anteriore da 160. De resto è una bici che ha bisogno di potenza anche in frenata
Disco anteriore da 160. De resto è una bici che ha bisogno di potenza anche in frenata

C’è l’IsoSpeed

Il progresso non è nulla se non è accostato alla tecnica e alla performance, in questo campo Trek ha fatto un enorme passo avanti, infatti anche Madone SLR è stata fornita di un nuovo disaccoppiatore, l’IsoSpeed, totalmente integrato in grado di assorbire al meglio le asperità della strada. Tale soluzione permette all’atleta di pedalare più a lungo mantenendo sempre la prestazione elevata. 

Questo tipo di disaccoppiatore era presente nel modello Domane, la bici Endurance che gli atleti utilizzano per la Parigi-Roubaix, dove assorbire i colpi dovuti alle asperità della strada è fondamentale ed è stato poi traferito anche alla Madone.  Il disaccoppiatore IsoSpeed è regolabile, come si può notare dalle linee sotto al tubo orizzontale: portandolo verso il centro si rende la bici più morbida, viceversa se lo si porta verso il tubo sella la bici diventa più rigida. 

I foderi orizzontali formano un carro reattivo e rigido
I foderi orizzontali formano un carro reattivo e rigido

Veloce e leggera

Ormai si sa, la galleria del vento è diventata fondamentale per lo sviluppo e lo studio del telaio. La casa americana ha ideato grazie ad essa una nuova tipologia di tubi, i Kammantail Virtual Foil, che rendono la Madone SLR una delle bici più aerodinamiche al mondo. 

Come tutti i modelli aero, la Madone è molto rigida, l’implementazione dell’IsoSpeed abbinata al nuovo carbonio OCLV 800 le consente di essere più leggera, il guadagno di peso rispetto al modello precedente è di quasi 500 grammi, ma allo stesso tempo la bici è più “elastica”. All’incredibile guadagno di peso concorre anche alla sella, infatti Bontranger ha presentato la Aeolus Pro, una sella ultraleggera ed aerodinamica. 

Bici aero 2.0

Insomma, Pedersen e compagni hanno a disposizione uno dei mezzi migliori in gruppo, secondo le parole di Hans Eckholm, Road Industrial Design Manager di Trek: la nuova Madone SLR rientra in una speciale categoria di biciclette, quelle di seconda generazione.  

Il progetto di questa nuova tipologia di bici ha richiesto più di un anno di lavoro, coordinato tra l’analisi dei dati e l’incrocio di quest’ultimi al fine di ottenere il miglior prodotto possibile.

Kuurne: VdP incendia la corsa, Pedersen la vince

28.02.2021
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Sul rettilineo di Kuurne sfilano una dopo l’altra la splendida follia di Mathieu Van der Poel e il lucido cinismo di Mads Pedersen. Fra l’uno e l’altro, passano Turgis con un boccione di vino gigantesco, Pidcock con la smorfia di quando il capolavoro non gli riesce e Trentin che si è buttato nello sprint per rifarsi della iella di ieri e ha portato a casa il quarto posto.

«Siamo venuti qui con poche corse – commenta Matteo – quindi tutto sommato ho scoperto di stare bene. Mi sono ammalato dopo il Tour de la Provence, per cui me ne torno a casa con un bel weekend di gare in valigia e due top ten. Si vede che ho cambiato preparazione, con tanta più qualità. Si è visto ieri sui muri dell’Het Nieuwsbland, anche se oggi sul Qwaremont mi è mancato qualcosa…».

Il rettilineo è deserto, la gente a malapena si affaccia dalla finestra e così la corsa che per lo show offerto avrebbe meritato oceani di tifosi, si conclude con le voci dei protagonisti mascherati come banditi.

Narvaez-Van der Poel, insolita coppia d’attacco
Narvaez-Van der Poel, insolita coppia d’attacco

Pazza idea

Lo hanno preso a 1.600 metri dall’arrivo, dopo una fuga cominciata ai meno 83. Davanti alla zona mista passa Narvaez e fa un sorriso quando gli chiediamo di confermare il momento dell’attacco. Si era voltato per fare l’appello del gruppo e si è accorto con la coda dell’occhio di un movimento di Van der Poel. Si è preparato mentalmente, si è spostato sulla sinistra per trovare un varco e quando lo ha visto passare, si è fiondato nella scia.

Dove volesse andare Mathieu inizialmente non era chiaro. Durante le chiacchiere alla partenza si era premurato di ribadire che la corsa sarebbe stata il perfetto rodaggio prima di partire per l’Italia: un ottimo allenamento e di certo lo è stato.

«Volevo lasciarmi gli sprinter dietro – dice – speravo che dopo il Qwaremont si sarebbe formato un bel gruppo di grossi nomi, ma non è successo. Sperare di arrivare con quel gruppetto, in cui cinque erano superstiti della prima fuga, era pura utopia».

Trema come una foglia. E’ magro come un chiodo e gli hanno dato soltanto un giubbino leggero, mentre sul rettilineo è scesa l’ombra e il vento fa gelare chi è vestito, figurarsi un atleta affaticato e sudato. L’addetto stampa della squadra lì accanto si tiene stretta la giacca a vento e gestisce le interviste.

Il team Uae Emirates tira per Kristoff, ma alla fine allo sprint arriva Trentin
Il team Uae Emirates tira per Kristoff

Boomerang

Stamattina alla partenza, in un scambio di vedute con John Degenkolb, la presenza in corsa di Van der Poel veniva raccontata con un po’ di inquietudine.

«Quando c’è lui – diceva il tedesco – le corse cambiano, quasi mai seguono lo schema che ci si prefigge. Però, se si evita di farsi prendere dallo sconforto, magari si può volgere la situazione a proprio favore. E’ forte, ma questi non sono percorsi adatti per spaccare tutto».

Stava dicendo una grande verità, ma era presto per dargli ragione. Mentre sul pullman della Trek-Segafredo, in una riunione serena ma ferma, Pedersen si raccomandava di evitare lo smarrimento di ieri. L’arrivo in volata vinto da Ballerini, sulla carta poteva essere anche per lui, ma sul più bello si era accorto di essere solo e con poche gambe.

Trentin riparte da Kuurne con buone sensazioni
Trentin riparte da Kuurne con buone sensazioni

Un bel test

Quando Van der Poel ha capito che si sarebbe arrivati in volata, si è guardato intorno e ha visto parecchie facce inferocite. In quel momento si è reso conto di aver sparato tutte le sue cartucce e se si è buttato nello sprint, è stato per onore di firma.

«Dopo 80 chilometri di fuga – dice – anche solo pensare di avere le gambe per fare la volata sarebbe stato illogico. Però alla fine ho ottenuto quello che volevo. Una giornata di bella fatica e un grande divertimento. Il mio obiettivo sono le classiche monumento, mi piacerebbe riuscire a vincerne un’altra. E sono contento che qualcuno pensi che con me le corse diventano imprevedibili. E’ il mio gusto per il ciclismo».

VdP ha provato in tutti i modi ad animare la fuga verso Kuurne, ma senza successo
VdP ha provato in tutti i modi a rianimare la fuga

Trek ritrovata

Pedersen arriva con un somarello di peluche sul manubrio, coperto di tutto punto che al confronto Van der Poel sembrava un ragazzo povero. E’ soddisfatto, ma forse per uno che ha vinto il mondiale, la vittoria di Kuurne ha il sapore dell’avvicinamento a qualcosa di migliore. Oppure semplicemente non è tipo che mostra le emozioni.

«Una vittoria è una vittoria – dice – non saprei inquadrarla diversamente. Sono stato molto meglio di ieri, una giornata che preferirei dimenticare in fretta. Se mi avessero detto che saremmo andati alle sfide del Nord con la squadra di ieri, avrei avuto qualche preoccupazione, ma oggi ho visto il team che vorrei sempre. Abbiamo dimostrato che ci siamo, abbiamo fatto vedere che la forma c’è. A questo punto, sono consapevole del fatto che non sono al top, ma per arrivarci ci sarà la Parigi-Nizza, che darà il tocco finale alla mia preparazione».

Kuurne è la città degli asini: ecco spiegato l’omaggio a Pedersen
Per Pedersen, l’asino simbolo di Kuurne

Kuurne e gli asini

Il somarello è il simbolo di Kuurne. Il paese, che sorge alle porte di Kortrijk è chiamato “comunità degli asini”. In passato infatti, gli agricoltori che coltivavano da queste parti le loro verdure all’alba si recavano con un asino e un carretto al mercato della vicina città e così l’asino divenne il simbolo della comunità.

«Mi piacciono gli asini», dice Pedersen, che verrebbe voglia di portarlo a casa di Marzio Bruseghin. Poi si mette a spiegare come mai fosse sicuro che sarebbe arrivato a fare la volata.

«Niente è impossibile a Van der Poel – dice – tanto di cappello per averci provato, ma forse stavolta ha osato troppo. Ci sono corse che non si possono giocare in questo modo e quando sono rientrato nel primo gruppo inseguitore con tutti i miei compagni e mi hanno dato il distacco, ho capito che lo avremmo preso. Mancava troppo però, è stato giusto aspettare fino all’ultimo. Abbiamo messo sulla strada un treno perfetto, ho tanta fiducia per le prossime corse».

Senza saperlo ha messo in atto la tattica suggerita al mattino da Degenkolb, che ci aveva visto giusto, ma allo sprint si è fermato in 17ª posizione.

Si torna in Italia con la vittoria di Ballerini e segnali interessanti da Trentin e Colbrelli. Dalla Francia è rimbalzata la notizia della vittoria di Bagioli e i nostri che si sono visti al Uae Tour, da Ganna a Nibali, Nizzolo e Viviani, sono parsi sulla buona strada. Ci avviamo verso una bella primavera, avendo però la consapevolezza che il livello su tutte le strade sarà altissimo.

Richie Porte Trek Tour 2020

Come ruotano le biciclette al Team Trek Segafredo

15.12.2020
3 min
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In occasione della nostra visita nella sede di Trek Italia, ci è stato detto che i meccanici del Team Trek Segafredo cercano di far ruotare le biciclette in dotazione ai corridori in modo che abbiano sempre telai “freschi”. Per capire in che modo e con quali criteri vengono fatte ruotare le biciclette abbiamo parlato con uno dei meccanici del team: Mauro Adobati.

I telai si sfibrano

Nel ciclismo moderno si pone un’attenzione sempre maggiore ai famosi marginal gains, che possono fare guadagnare quei pochi secondi che a volte fanno la differenza fra una vittoria e una sconfitta.
«Cerchiamo di fare ruotare le biciclette – esordisce Mauro Adobati – perché i telai in carbonio nel lungo periodo si sfibrano, però è una cosa che sentono solo i corridori, soprattutto i velocisti. Un amatore medio non se ne accorge nemmeno».

Ma quale è il metro di misura che viene usato in casa Trek Segafredo per cambiare bici a un corridore? «Non ci basiamo sui numeri di chilometri, ma sulla gara che si deve affrontare e se quel corridore può vincerla. Ti faccio l’esempio del Giro d’Italia. Di solito gli diamo una bici che fino a quel momento non hanno usato, che magari era la seconda bici, mentre quella con cui hanno corso tutto l’inizio di stagione la facciamo diventare la terza. In questo modo tutta la squadra affronta le tre settimane con una bicicletta più fresca».

Vincenzo Nibali con la Trek Emonda al Giro d'Italia
Vincenzo Nibali con l’Emonda al Giro d’Italia
Vincenzo Nibali con la Trek Emonda al Giro d'Italia
Vincenzo Nibali con l’Emonda alla presentazione delle squadre al Giro d’Italia

Affare per velocisti

Ci sono corridori che lo notano da soli, altri che non ci fanno caso: «Non tutti i ragazzi badano a questa cosa. Diciamo che sono i velocisti quelli a cui serve di più questo tipo di rotazione. E’ in volata al massimo della potenza che si sente maggiormente la differenza fra un telaio molto usato e uno più fresco. Comunque, quest’anno abbiamo fatto girare anche le bici di Nibali, in pratica ha avuto sempre una bici nuova nelle occasioni che per lui erano importanti».

In base agli obiettivi

Adobati ci ha spiegato che non si guardano tanto i chilometri, ma si decide di far ruotare la bicicletta di un corridore in base alle possibilità che questo ha di vincere quella determinata gara. Quindi per un Mads Pedersen l’appuntamento importante può essere la Roubaix o il Giro delle Fiandre, mentre per Nibali sono i grandi giri.
«Per chi fa le classiche del nord il discorso è ancora un po’ diverso, perché per la Roubaix e in buona parte anche per il Fiandre, usano la Domane, la nostra bicicletta progettata appositamente per quei tipi di terreni, quindi si trovano ad avere una bicicletta nuova»

E le ruote?

Finora abbiamo parlato soprattutto del telaio, ma ci sono altri componenti che vengono fatti girare? «Facciamo girare anche le ruote. Devo dire che ne abbiamo talmente tante che sappiamo quali sono quelle più usate e le cambiamo abbastanza di frequente».

Mads Pedersen BinckBank Tour 2020
Mads Pedersen vittorioso in volata con la Madone
Mads Pedersen BinckBank Tour 2020
Mads Pedersen vince una volata al BinckBank Tour con la sua Madone

Quante Trek usano?

A questo punto la nostra curiosità ci ha portato a chiedere ad Adobati quante sono le biciclette che vengono fornite a ogni corridore: «Tutti i corridori hanno quattro biciclette da strada, una a casa e tre in magazzino, più due da cronometro, una a casa per allenarsi e una in magazzino. Poi abbiamo i capitani che arrivano ad avere cinque o sei biciclette da strada, mentre gli specialisti delle cronometro hanno tre o quattro bici da crono. Infine, i corridori che fanno le classiche hanno altre due Domane, che usano come ti dicevo prima. Come vedi materiale ne abbiamo e cerchiamo di farle ruotare in base agli obiettivi dei singoli corridori».