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Il ciclocross chiude la stagione fra venti di bufera

18.02.2023
6 min
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Come sempre succede, la stagione del ciclocross va lentamente spegnendosi dopo la disputa dei mondiali. La rassegna iridata di Hoogerheide ha però lasciato degli strascichi, soprattutto in casa italiana con un montare di polemiche dettato dai risultati. Ma sarebbe meglio dire dalle mancate medaglie, visti i due “legni” ottenuti peraltro da Venturelli e Persico, le due annunciate punte della squadra.

A innescare le discussioni fra le società di ciclocross sono state le parole di Luca Bramati, tecnico della Trinx, messe per iscritto in una lettera inviata a dirigenti e addetti ai lavori immediatamente dopo la conclusione della rassegna iridata.

«Il comportamento e le decisioni del Cittì Daniele Pontoni, condivise dalla Federciclismo – ha scritto Bramati – sono stati sbagliati sia nel merito sia nel metodo per tutto l’arco della stagione. Nel metodo, è mancato totalmente il dialogo sia con la stragrande maggioranza degli atleti sia con i tecnici e i manager delle squadre. Malgrado questa grave lacuna gli sia stata puntualmente rappresentata a metà stagione in un incontro con presente Roberto Amadio, nulla è cambiato.

«Metodo totalmente assurdo che porta poi nel merito a voler gestire in proprio la rifinitura della preparazione degli atleti a questi campionati del mondo. Senza così coinvolgere chi la preparazione dell’atleta l’ha curata tutta la stagione, stravolgendo metodiche di allenamento e carichi di lavoro. Con esiti evidenziati dallo ZERO nel medagliere finale di Hoogerheide.

Pontoni e Bramati, rivali da atleti, oggi su posizioni concettuali diverse sul futuro del ciclocross italiano
Pontoni e Bramati, rivali da atleti, oggi su posizioni concettuali diverse sul futuro del ciclocross italiano

Pochi azzurri ai mondiali

«Altro grave errore nel merito – prosegue Bramati – portare solo 14 corridori ai mondiali nella vicina Olanda, quando si poteva quasi raddoppiare la nostra presenza. Non convocare atleti è una sconfitta per il movimento. In una disciplina che non regala soddisfazioni economiche, la convocazione ai mondiali è uno stimolo e una crescita per gli atleti, una soddisfazione ed un impulso ad andare avanti per le squadre. Sono stati lasciati a casa, delusi e sconfortati, parecchi atleti meritevoli che non avrebbero sfigurato più di quelli schierati, ma che da questi Mondiali avrebbero avuto motivazioni per continuare e per migliorare».

Ascoltato in merito Bramati ha rincarato la dose: «Le scelte di Pontoni, con il quale peraltro abbiamo frequenti contatti – dice – sono controproducenti per le squadre. Se non porti gli atleti di vertice delle società al mondiale che è la vetrina per antonomasia, cade tutta l’attività, che cosa porti agli sponsor? Se il mondiale viene riservato solo a una ristretta cerchia di corridori, qualsiasi sia il metodo di scelta, non si danno stimoli a tutto il movimento del ciclocross italiano.

Hoogerheide è stata una festa per 50 mila persone. In Italia i numeri sono molto diversi
Hoogerheide è stata una festa per 50 mila persone. In Italia i numeri sono molto diversi

Il contributo delle società

«Si è parlato di scelte dettate da scarsità di fondi – afferma Bramati – ma sono sicuro che ogni società ci metterebbe del suo per sostenere la trasferta. Parlando non solo degli atleti, ma anche del personale a loro disposizione. Faccio un esempio: i belgi ai mondiali, salvo i 2-3 di primissimo livello, hanno al seguito meccanici messi a disposizione dalle squadre di appartenenza. Praticamente ogni atleta ha il suo staff. Perché non possiamo fare lo stesso?».

Nel frattempo Pontoni dava indirettamente una risposta partecipando alla trasmissione Scratch Tv, ospite di Nicola Argesi.

«Ai mondiali erano in 14 – ha detto – ma nel corso dell’anno abbiamo sostenuto, fra trasferta in Spagna a inizio stagione, Coppa del mondo ed europei, 13 trasferte di ciclocross con 150 atleti ruotati fra le varie categorie. La filosofia, condivisa con Amadio, è dare ampio spazio a tutti in queste prove. Al mondiale però andrà un gruppo ristretto, una quindicina di atleti perché è la summa della stagione, dove si deve dare valore alla maglia e devono essere presenti i migliori.

«Le società non possono aspettare sempre che la Federazione si muova – rincara la dose il cittì – anche loro devono sostenere l’attività all’estero, dare possibilità ai propri ragazzi di fare esperienza, crescere ed emergere. E’ stata una decisione tecnica sulla quale sono convinto di andare avanti».

Vito Di Tano, Fabio Ursi, Scorzé 2005
Vito Di Tano, diesse della Gurciotti Selle Italia Elite. Il suo team ha fatto molta attività all’estero
Vito Di Tano, Fabio Ursi, Scorzé 2005
Vito Di Tano, diesse della Gurciotti Selle Italia Elite. Il suo team ha fatto molta attività all’estero

Una linea non condivisa

Il malessere coinvolge diverse società. La Torpado ad esempio, formazione nella quale milita Dorigoni, sarebbe portata ad esempio a limitare la partecipazione del suo pupillo ai soli campionati italiani per preservarlo per la stagione Mtb. Lo stesso Vito Di Tano, responsabile della Guerciotti Selle Italia Elite, non nasconde la sua perplessità.

«Il problema – spiega – è la mancanza di coinvolgimento delle società. Perché non concordare una linea d’azione con tutti i team, prima dell’inizio di stagione? Parliamoci chiaro: pensare di andare ai mondiali solo con gente che possa puntare al podio significa ridurre la presenza azzurra a un numero infinitesimale. Fra gli elite ad esempio, con quei due mostri (Van der Poel e Van Aert, ndr), è una strada impossibile per tutti. Noi facciamo tanta attività all’estero, siamo d’accordo con Pontoni su questo. Il mondiale però ha significati che vanno anche al di là del puro discorso legato al risultato».

Di Tano nella sua disamina chiama in causa anche altri fattori: «Qui in Italia affrontiamo percorsi che sono nella stragrande maggioranza molto diversi da quelli abituali di Belgio e Olanda, proprio per caratteristiche del territorio. E’ chiaro quindi che quando andiamo all’estero abbiamo un gap da colmare ed è difficile. Non essere presenti al mondiale toglie entusiasmo ai ragazzi e alle società, non si fa il bene del movimento».

Fontana ai mondiali ha chiuso 28°, lontano non solo dai campioni belgi e olandesi
Fontana ai mondiali ha chiuso 28°, lontano non solo dai campioni belgi e olandesi

Le differenze con gli altri

Il discorso, evidentemente, coinvolge soprattutto la categoria elite e analizzando le parole dei manager, questo gap è evidente. Non solo nei confronti di Belgio e Olanda, ma anche verso altre realtà più simili a noi, come Svizzera (3 atleti nella top 20), Francia, Spagna. Fontana, unico italiano al mondiale, ha chiuso 28°, preceduto da atleti di 9 Nazioni, quindi non solo le due corazzate che non a caso si sono divise le prime 8 posizioni.

Proprio partendo da questo assunto Pontoni da noi chiamato in causa ribadisce le sue scelte: «Non voglio rispondere a lettere ed entrare nel merito. Il mio pensiero l’ho già più volte condiviso avendo il pieno appoggio della Federazione. La convocazione va a chi se l’è meritata nel corso di tutta la stagione, ribadisco che per gli europei adottiamo una strategia, ma il mondiale è diverso».

Persico e Venturelli hanno chiuso quarte. Difficile considerare questa una mancanza di risultati…
Persico e Venturelli hanno chiuso quarte. Difficile considerare questa una mancanza di risultati…

L’orientamento per il futuro

C’è una preferenza verso le categorie giovanili? «Non è scritto: io considero di portare una media di 3 atleti a categoria. Quest’anno ce ne saranno stati di più in una e di meno in un’altra, ma non è detto che sarà così anche nel 2024. Resta il fatto che la maglia va guadagnata sul campo, perché al mondiale è mio dovere portare il meglio che c’è, la crema del movimento in grado di figurare in maniera degna».

Le bici da ciclocross andranno ora in soffitta per qualche mese, ma è facile presumere che di questi temi si continuerà a discutere. Ma al di là di lettere, chiacchiericci, polemiche, sarebbe bene che proprio a bocce ferme si procedesse con un confronto a viso aperto. Magari indetto proprio dalla Federazione, ascoltando le istanze delle società non solo in tema di convocazioni (Pontoni si assume la responsabilità tenendo fede al suo ruolo, in fin dei conti tornare a casa con due quarti posti qualche lustro fa sarebbe stato impensabile), ma di gestione più generale dell’attività, dalla struttura dei calendari alla promozione presso ai giovani fino all’incentivo verso la multidisciplinarietà. Farsi la guerra in casa difficilmente porta risultati…

Lo sprint di Hoogerheide con Franzoi, Bramati (e Bartoli)

10.02.2023
5 min
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Il mondiale in una curva. Il ciclismo è uno sport di situazione, lo abbiamo detto tante volte, e questo è il suo fascino. Basta un attimo, una scintilla che tutto può cambiare. Non contano sempre e solo le gambe. E’ passata neanche una settimana ma abbiamo ancora negli occhi lo spettacolo dei campionati del mondo di ciclocross di Hoogerheide, in particolare lo sprint, la sfida tra Mathieu Van der Poel e Wout Van Aert.

Duello doveva essere e duello è stato. Due giganti che dopo mezzo giro di fatto avevano messo in chiaro chi comandava. Un duello fatto di watt, ma anche di tattica e questa è stata decisiva. E a ribadirlo sono stati due veri esperti: Enrico Franzoi e Luca Bramati.

Dicevamo dell’ultima curva. Ci si aspettava che i due campioni ci arrivassero a mille all’ora e invece non solo ci sono arrivati piano, ma hanno anche rallentato. E ad abbassare ulteriormente la velocità è stato forse il belga. L’epilogo: un lungo sprint da bassa velocità che ha visto vincere l’olandese.

Van Aert si aspettava un attacco sugli ostacoli da parte di Van der Poel che non c’è stato
Van Aert si aspettava un attacco sugli ostacoli da parte di Van der Poel che non c’è stato

Questione di sguardi

«Ho il numero di Van der Poel – racconta Bramati – e gli ho inviato un messaggio in cui gli dicevo che lo aveva  battuto come suo papà Adrie aveva battuto me e Pontoni a Parigi! Mi ha risposto con una faccina sorridente!

«Detto ciò, per me la gara l’ha persa Van Aert. Forse VdP aveva un pelo in più di gamba, ma quel finale lo ha sbagliato lui. Van der Poel ha messo la corsa esattamente come voleva. E’ partito in quel modo e dopo un giro ha mandato tutti a casa. Così si è concentrato solo su Van Aert.

«Wout si aspettava un suo attacco in salita, ma non lo ha fatto. Si aspettava un attacco dopo le tavole, ma non lo ha fatto… Non sapeva cosa fare. A quel punto ha commesso l’errore di non partire prima lui. La gamba per vincere ce l’avevano entrambi. Gli è mancato il coraggio di partire prima».

Poi Bramati fa un’analisi che è da antologia del ciclismo.  «Era una volata alla pari per me, ma se ci fate caso – e io ho riguardato la gara più e più volte – nel momento in cui sta per iniziare la volata Van Aert ha gli occhi fissi su VdP. Mathieu aspetta l’attimo in cui Van Aert guarda avanti per valutare la distanza con il traguardo e in quel preciso momento, appena perde il contatto visivo, parte. E’ partito secco e su quel decimo di secondo è riuscito a prendergli i due metri che poi Van Aert non è più riuscito a chiudergli. VdP correva in casa, conosceva a menadito quel percorso e aveva studiato tutto nei minimi particolari. Lo ha voluto sfidare in volata».

Van Aert ha preso la testa nel finale, ma poi forse all’ingresso del rettilineo ha rallentato troppo
Van Aert ha preso la testa nel finale, ma poi forse all’ingresso del rettilineo ha rallentato troppo

Sprint “lento”

«Ho visto un Van der Poel che andava davvero forte – analizza Franzoi – ha attaccato e stava bene. Hanno fatto una volata quasi da fermi e in questi sprint Mathieu è leggermente favorito. Con la sua potenza, non che Van Aert non ne abbia, ma gli ha preso quei 2-3 metri che si è portato sino all’arrivo. Se lo avesse portato all’ingresso del rettilineo con una velocità più alta, bastavano 3-4 chilometri orari in più, avrebbe vinto Van Aert, forse sarebbe riuscito a recuperare».

Anche per Franzoi, Van der Poel ha giocato ottimamente le sue carte sul piano tattico.  «Per me lo ha spiazzato il fatto che VdP non lo abbia attaccato sugli ostacoli, come se fosse andato un po’ in tilt. Anche perché VdP veniva da un paio di attacchi importanti e magari gli avrebbe fatto male.

«Comunque alla fine ha vinto il più forte. Non era uno sprint semplice. Sì, forse Van Aert ha tentennato un po’ al momento del lancio dello sprint, ma sono valutazioni che in quel frangente non sono facili da analizzare. C’è una tensione tremenda e non è facile essere sempre lucidi. Ripeto, forse Van Aert si aspettava un finale diverso dopo gli ostacoli».

Rapporti e… Bartoli

Infine altre due considerazioni. La prima riguarda i rapporti e in particolare il confronto tra doppia (Van der Poel) e monocorona (Van Aert). E’ ipotizzabile che in questo finale ci siano state diverse reazioni al momento dello sprint. Eppure né Bramati, né Franzoi riconducono a questa differenza tecnica l’esito dello sprint. Semmai è la scelta del rapporto dell’atleta al momento del lancio. E in questo Franzoi una minima differenza la trova ma, ripetiamo, è una scelta di rapporto da parte dell’atleta e non un limite tecnico.

«Ho visto che Van Aert aveva un monocorona – ha detto Franzoi – ma era bello grande. Credo fosse un 46 se non un 48, in più con Sram aveva a disposizione anche il 10, quindi lo sviluppo metrico c’era. Semmai l’unica postilla è che nel momento in cui parte è un pelo troppo agile e lì ha perso quei due metri fatali».

La seconda considerazione invece la facciamo noi. E ci rifacciamo alle parole di Michele Bartoli quando ci parlò del confronto tra i due fenomeni. Bartoli è stato un vero cecchino. Il toscano aveva detto: «In uno sprint a ranghi ridotti, che di solito parte da velocità più basse, Van der Poel è favorito». E ancora: «Van Aert tatticamente è più forte, più completo, ma se VdP capita nel giorno in cui azzecca la tattica può combinare ogni cosa. Sbaglia tattica nove volte su dieci, ma magari la decima, quella giusta, è al mondiale». Meglio di così…

Crescono i consensi per i tubeless nel ciclocross

22.12.2022
3 min
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I tubolari sono ancora oggi la maggioranza, ma i tubeless crescono per consensi e per numero di atleti che li utilizzano anche in competizione.

Abbiamo chiesto a Luca Bramati di argomentare alcune scelte dei suoi atleti del Team Trinx Factory e abbiamo curiosato tra i paddock di Vermiglio. Sempre più Challenge e sempre più tubeless.

Bramati controlla le valvole dei tubeless sulle ruote di scorta
Bramati controlla le valvole dei tubeless sulle ruote di scorta
A parità di prodotto ci sono delle differenza tra un tubolare ed un tubeless?

Pochissima e quasi impercettibile, in particolare se restiamo sul modello Challenge Limus, ovvero il modello da fango. Il vantaggio di un tubeless Challenge è che di fatto è un tubolare aperto con la carcassa in cotone, comunque con un’elevata presenza di fibra naturale e non è un dettaglio. Poi le differenza vere e proprie arrivano dalla differente struttura a costruzione delle ruote.

Non un dettaglio, perché?

Perché lo pneumatico offre e mantiene un’elasticità molto elevata che permette di sfruttare a pieno la gomma con i diversi range di pressioni. Ovvio che cambia leggermente la pressione di gonfiaggio e per fare un esempio, gonfiando un Limus tubolare da 33 a 1,3 bar, l’omologo tubeless è da gonfiare ad 1,5. Cambia invece la resa del Baby Limus, che nella versione tubeless è più veloce rispetto al tubolare.

Più veloce e quindi più sfruttabile in diverse situazioni?

In un certo senso è così, perché si ha una gomma molto elastica, veloce e che scarica bene. Per certi versi sostituisce il Grifo, restando nella categoria tubeless.

Anche in ambito ciclocross c’è da considerare il lattice?

Il liquido anti-foratura è fondamentale, perché è un deterrente contro eventuali forature, ma è anche un sigillante, anzi prima di tutto è un sigillante che incolla lo pneumatico al cerchio. Con i tubeless Challenge è necessario capire come gestire il liquido, soprattutto durante il primo montaggio.

La Trinx di Lucia Bramati
La Trinx di Lucia Bramati
Cosa significa?

E’ necessario rendere ermetica la carcassa che assorbe molto. Questo è possibile controllando più volte il contenuto di lattice, prima dell’impiego, oppure aggiungendo la schiuma al liquido. La schiuma accelera la formazione della pellicola interna alla gomma. Inoltre questa combinazione è favorevole anche al mantenimento della pressione per periodi medio/lunghi.

Quanto liquido per ogni gomma da cx?

Una siringa da 50 e poi si controlla negli step successivi.

Bramati a sorpresa: «Sono stato messo da parte»

20.10.2022
5 min
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«Se parliamo di ciclocross, entriamo in un terreno minato…». Le parole di primo approccio di Luca Bramati lasciano già intendere quale sia l’atmosfera. L’ex olimpico azzurro (che condivise con Pontoni la prima esperienza in assoluto della mtb a cinque cerchi nel 1996) è sempre in giro, la stagione sui prati lo vede ancora protagonista, ma in veste molto diversa da quella a cui eravamo abituati.

Il grande progetto legato alla Fas-Airport Services, costola della Valcar-Travel&Service, non esiste più. I grandi successi della scorsa stagione (uno per tutti: il clamoroso bronzo mondiale della Persico nella lontana Fayetteville) sembrano lontanissimi. Il perché, riferito dal tecnico lombardo, lascia alquanto interdetti: «Nel corso dell’anno è successo un fatto estremamente grave: un alto dirigente federale del quale conosco il nome ma che non voglio riferire ha praticamente emesso una “fatwa” su di me: la prosecuzione dell’attività della squadra sarebbe stata possibile solamente senza di me. E’ un fatto di una gravità inaudita che lascia ben intendere come si lavori oggi nei massimi organi».

Lucia Bramati in gara. Per lei un inizio stagione soft, ma in Svizzera ha chiuso ai piedi del podio (foto Alessandro Billiani)
Lucia Bramati in gara. Per lei un inizio stagione soft, ma in Svizzera ha chiuso ai piedi del podio (foto Alessandro Billiani)
La Valcar ti ha messo quindi alla porta?

No, ci tengo a sottolinearlo. Villa mi ha contattato e mi ha detto che era venuto a sapere che io avrei portato mia figlia Lucia in una squadra belga. Gli ho detto che non era vero niente, ma che comunque per correttezza facevo un passo indietro e non avrei continuato la mia esperienza. Così la squadra non si è più fatta o meglio la Valcar continuerà a sostenere la Persico nelle sue uscite nel ciclocross, che so essere previste da dicembre in poi.

Come sei rimasto con loro?

In ottimi rapporti, il problema non sono mai stati loro, anzi stavamo costruendo una bellissima esperienza e i risultati dello scorso anno sono lì a dimostrarlo.

La Corvi viene da una grande annata nella mtb, con titolo italiano e bei piazzamenti all’estero
La Corvi viene da una grande annata nella mtb, con titolo italiano e bei piazzamenti all’estero
Quindi Lucia con che squadra corre?

Sia lei che Valentina Corvi, l’altra ragazza che seguo nel ciclocross, continuano a correre con lo stesso team della mtb, la Trinx. Io continuo a seguirle, a portarle in giro per le gare in Italia e soprattutto all’estero, ma mi rendo conto che il movimento è decisamente in disfacimento e devo dire che in questa situazione Pontoni sta facendo un lavoro enorme, con i giovani, ma solo sulle sue forze. Guardiamo però al di là: non c’è più una squadra femminile e al maschile solo la Selle Italia Guerciotti Elite, oltre abbiamo solo realtà locali. Con questo non vai molto avanti.

Il problema secondo te dov’è?

E’ tutto il settore offroad che è stato abbandonato, al contrario di quanto si era detto in campagna elettorale. Abbiamo ad esempio un calendario nazionale strapieno, ma fatto senza criterio, così domenica scorsa avevamo i nostri migliori in Spagna con la nazionale di Pontoni e in Svizzera noi e tanti altri. Perché? Per prendere punti Uci. Se però corri in Svizzera e ti trovi un Folcarelli che si fa 1.000 chilometri invece di andare alla tappa del Giro d’Italia che aveva praticamente dietro casa, ti rendi conto che qualcosa non va, perché così porti le persone a buttare soldi. Poi hai Brugherio sabato prossimo in contemporanea con la Coppa del mondo a Tabor: ma chi volete che andrà dei migliori italiani in Lombardia? E questo non è giusto per chi organizza e investe…

Per la Corvi vittoria in Spagna fra le junior, davanti alla Venturelli. Un duello che si ripete
Per la Corvi vittoria in Spagna fra le junior, davanti alla Venturelli. Un duello che si ripete
Parli di offroad: è un problema che riguarda solo il ciclocross o anche la mtb?

Tutto il comparto. Faccio un esempio: ci sono una cinquantina di corridori di mtb che passano under 23, ma in quali squadre, visto che quasi non ne esistono? Così la metà cercherà un approdo su strada, l’altra metà abbandonerà. In questo modo non c’è futuro per tutto il settore. Con Dagnoni avevamo parlato a inizio mandato: c’erano tante idee, ma tutto è caduto nel dimenticatoio.

Parliamo allora delle tue ragazze…

Lucia viene da una stagione di mtb che praticamente non ha fatto perché ha scelto, col mio pieno appoggio, di pensare alla scuola e dedicarsi agli esami di maturità. Ora mi ha chiesto di potersi dedicare anima e corpo al ciclocross, poi valuteremo che cosa fare anche in tema di studio. All’inizio faticava, ma gara dopo gara sta crescendo. Lucia ci crede molto nel suo futuro nella specialità e io voglio darle tutto il supporto possibile.

La figlia di Luca Bramati punta tutto sul ciclocross dopo aver pensato giustamente alla scuola (foto Billiani)
La figlia di Luca Bramati punta tutto sul ciclocross dopo aver pensato giustamente alla scuola (foto Billiani)
Lo scorso anno avevamo avuto Corvi e Venturelli nelle primissime posizioni internazionali. La Venturelli poi sappiamo che cosa ha fatto su strada. Di Valentina nella mtb che cosa puoi dirci?

Viene da una stagione eccezionale. Ha vinto il titolo italiano, è andata sul podio in Coppa del Mondo e ha chiuso sesta ai mondiali, il tutto da primo anno di categoria. Ha iniziato la stagione del ciclocross con una grande carica, ha vinto 4 delle prime 5 gare disputate, pur avendo staccato per un mese dopo la stagione di mtb. E’ anche oltre quel che mi aspettavo.

Che cosa ti aspetti da loro?

Io sono abituato a lavorare per obiettivi. Quest’anno ci siamo posti come termine il mondiale e dovranno arrivare all’appuntamento al massimo della forma, ognuna nella sua categoria. Io sono convinto che potranno fare davvero bene, Valentina poi ha un grande appuntamento all’orizzonte che sono i mondiali di mtb, dove con un anno in più può davvero fare risultato. Il fatto è che dietro di loro ci sono io, ma quanti altri giovani talenti rischiamo di perdere così? A me arrivano frotte di richieste per entrare nel team, ma non possiamo prendere tutti. Bisogna agire a livello più generale, più alto e bisogna farlo subito.

Arzuffi strada 2021

Abbiamo ritrovato la Arzuffi, più carica che mai

09.02.2022
4 min
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Nelle ultime settimane, con Eva Lechner e Silvia Persico a centrare la Top 10 in Coppa del Mondo e quest’ultima arrivare fino al podio iridato, abbiamo un po’ perso le tracce di Alice Maria Arzuffi. Il campionato italiano di ciclocross, nel quale era la detentrice della maglia tricolore, è stato l’ultimo capitolo della sua stagione, poi non si è vista più. In sede di consuntivo, Luca Bramati l’ha riportata in superficie e allora ci siamo chiesti che fine avesse fatto mentre le compagne della FAS Airport Service affrontavano gli ultimi, più importanti momenti della stagione sui prati.

Alice ci risponde dalla Spagna, dove sta svolgendo il ritiro prestagionale della Valcar Travel & Service, ma quella che sentiamo è una Arzuffi nuova, carica di aspettative per la stagione su strada come non accadeva in passato, anche se chiaramente bisogna partire dall’inverno: «Ho staccato la spina subito dopo il tricolore. Ho parlato con il cittì Pontoni, mi ha detto che gli Italiani erano una discriminante per la convocazione per i mondiali e allora d’accordo con la società ho deciso di chiudere prima rispetto al solito, in modo da iniziare in anticipo la preparazione su strada e arrivare a una miglior condizione per gli appuntamenti primaverili».

Arzuffi Europei 2021
La Arzuffi agli Europei di Col du Vam chiusi all’8° posto, nel momento migliore della stagione
Arzuffi Europei 2021
La Arzuffi agli Europei di Col du Vam chiusi all’8° posto, nel momento migliore della stagione
Dovendo fare un bilancio della tua stagione di ciclocross che cosa diresti?

E’ stata un’annata nel complesso positiva, ma certamente mi aspettavo qualche buon risultato in più. Il campionato italiano sapevo che doveva essere un crocevia, ma sono arrivata all’appuntamento un po’ debilitata dall’influenza e non ho potuto rendere quanto mi aspettavo. Io ho dato il massimo, volevo essere al picco della forma a gennaio ma non sono mai riuscita a toccare i vertici che volevo. Questo però mi ha dato una spinta ulteriore per le gare da qui in avanti.

Bramati, parlando della vostra prima stagione insieme, ha detto di avere scoperto una Arzuffi nuova, con la quale ha trovato un compromesso per lavorare bene pensando soprattutto al prossimo anno. Come sono i vostri rapporti?

Quando siamo partiti, avevamo ognuno dei pregiudizi sull’altro. Il fatto è che negli anni scorsi, quand’era commentatore alla Tv alcuni suoi giudizi non mi erano piaciuti e io non sono tipo da tenersi dentro il rospo… Siamo due del segno dello scorpione, così abbiamo avuto qualche discussione accesa e questo aveva lasciato strascichi. Pian piano però, lavorando insieme e smussando i nostri angoli, abbiamo trovato un modo per venirci incontro. D’altronde tecnicamente Luca ha un’esperienza enorme, ho imparato molto con lui.

Arzuffi tricolore 2021
Alice col tricolore indosso: ne ha vinti 4 da U23 e uno assoluto
Arzuffi tricolore 2021
Alice col tricolore indosso: ne ha vinti 4 da U23 e uno assoluto
Il fatto di far parte della stessa “casa madre”, come team di ciclocross e su strada, è un aiuto?

Decisamente. In questo modo il passaggio è praticamente indolore. Quando ho deciso di staccare prima, è stata una scelta che ho preso potendo avvalermi sia dell’appoggio del team di ciclocross che di quello della strada, fra le due parti c’è molta comunicazione e questo non può far che bene. Negli anni scorsi il passaggio era più difficile.

Sai che quest’anno ci si attende molto da te nella stagione su strada?

Sì, ma io per prima mi attendo molto, voglio togliermi qualche sassolino dalla scarpa… Non posso negare che in passato, la stagione su strada era vista più come una lunga tappa di preparazione verso l’inverno, per trovare il ritmo giusto per il ciclocross, ora invece voglio vedere che cosa sono capace di fare su strada senza pensare a quel che verrà quando si tornerà dall’altra parte. Ora corro su strada e sono concentrata solo su quello.

Arzuffi sci 2022
Una breve vacanza sugli sci prima di iniziare la preparazione su strada (foto Instagram)
Arzuffi sci 2022
Una breve vacanza sugli sci prima di iniziare la preparazione su strada (foto Instagram)
Quando si comincia?

Ormai mancano pochissimi giorni, dal 17 al 20 febbraio sarò già in gara alla Setmana Valenciana. Naturalmente non faccio pronostici, ma conto di avere qualche riscontro sul lavoro effettuato in vista di quello che sarà il primo obiettivo, il periodo delle classiche dove voglio far bene e ottenere qualcosa, perché sono gare che mi vanno particolarmente a genio.

Nel corso della stagione saresti disponibile a qualche chiamata per la nazionale di ciclocross? Pontoni ha detto di pensare a qualche gara su strada con il gruppo invernale…

Non credo che ne avrò bisogno. Il mio calendario comprende almeno 70 giorni di gara, credo siano già abbastanza per non mettere altra carne al fuoco. So già che nel mio programma ci saranno sicuramente il Giro d’Italia e molto probabilmente il Tour de France, facendosi i conti fra le due corse a tappe e le classiche, già si vede che il calendario è bello ricco. Se però ci sarà la proposta di fare qualche ritiro prestagionale, in relazione agli impegni su strada sono più che disponibile. Per me però quel che conta è arrivare all’inverno con qualcosa in mano, far vedere che so vincere anche qui.

FAS Airport Service, Bramati: «Inizio okay, ma non fermiamoci»

03.02.2022
5 min
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Come andata la prima stagione della FAS – Airport Service? «E secondo voi com’è questo bilancio?». Si apre con una contro-domanda la chiacchierata con Luca Bramati, direttore sportivo del team di ciclocross nato quest’anno. Con lui già avevamo tracciato un primo bilancio, ma la stagione si era aperta da poco. Adesso il quadro è decisamente più completo.

La sua contro-risposta già dice molto sulla prima stagione delle ragazze del presidente Valentino Villa. Una stagione suggellata dal bronzo iridato di pochi giorni fa di Silvia Persico, senza dimenticare le cinque vittorie, tra cui il titolo nazionale con la stessa Persico, un quarto posto di Eva Lechner in Coppa del mondo e molti buoni piazzamenti di Alice Maria Arzuffi e di Lucia Bramati. Piazzamenti, che quest’ultima ha spesso colto correndo con le elite pur essendo una U23.

Eva Lechner conquista il GP Valfontanabuona ai primi di dicembre. Poi a fine mese il malanno che l’ha limitata (foto Instagram)
Eva Lechner conquista il GP Valfontanabuona ai primi di dicembre. Poi a fine mese il malanno che l’ha limitata (foto Instagram)

Pollice in alto

«Io direi – spiega Bramati – che la FAS Airport Service è andata alla grande. Nessuno si aspettava una cosa del genere e sono stracontento.
«Da quando ho preso in mano questo team ho lavorato proprio per quello, per creare un ottimo ambiente e una squadra competitiva, ma mai avrei pensato di finire dove abbiamo finito. Con il presidente Villa ho avuto sin da subito carta bianca. Anzi, tante volte ero io che chiedevo, che mi ponevo dei dubbi… E lui puntualmente mi lasciava agire liberamente. Si è fidato di me».

Alice Maria Arzuffi era la campionessa italiana in carica, il titolo è poi passato alla compagna Persico (foto Instagram)
Alice Maria Arzuffi era la campionessa italiana in carica, il titolo è poi passato alla compagna Persico (foto Instagram)

Verso il futuro

Quando tra dirigenza e staff tecnico si crea questo buon rapporto le cose non possono che andare bene. E anche gli eventuali problemi si superano con maggior slancio. È più facile trovare un accordo e forse anche in virtù di questo ottimo rapporto, Bramati guarda già al futuro.
«E’ andata bene, ma forse potevamo fare anche qualcosina di più, soprattutto con Alice Maria Arzuffi e, lo premetto, non pensate che io non sia contento di lei. Dico solo che probabilmente potevamo sfruttarla ancora meglio».



«Perché? Perché magari poteva esserci un rapporto di fiducia reciproco da stringere. Alice, come tutti gli sportivi, si deve fidare. Io e lei abbiamo iniziato a lavorare insieme da quest’anno. In passato, per quel poco che abbiamo avuto a che fare, non avevamo legato moltissimo… Però devo dire che siamo stati bravi entrambi a venirci incontro. Anzi, devo dire che lavorando con lei ho scoperto una bellissima persona oltre che un’ottima atleta, ma questo già lo sapevo. Eh sì: abbiamo già buttato giù qualcosa per il prossimo anno».

Silvia Persico a Besancon, in Coppa del mondo (foto Instagram – Twila Muzzi)
Silvia Persico a Besancon, in Coppa del mondo (foto Instagram – Twila Muzzi)

Pro’ al 100%

Bramati sembra già avere mille idee per la testa, forse proprio perché c’è questo ottimo rapporto con il presidente Villa.

«La verità – riprende Bramati – è che per questi progetti servono tanti soldi, adesso vediamo come va con il presidente e con gli sponsor. Già sapere che sono contenti è importante.
«Mille idee? Eh sì, quelle non mancano mai. Ma la mia idea principale è quella di lavorare bene per continuare a crescere. Per me questo è stato il punto di partenza, ma per farlo, come ho detto, la questione monetaria è centrale e tutti devono essere contenti di questo obiettivo».

«Faccio un esempio pratico. Questa estate a Livigno ad agosto c’erano dei team belgi di ciclocross che si allenavano, stavano facendo altura, già pensando alla stagione invernale. Se vogliamo fare il salto anche noi serve questo tipo d’impegno: stage, trasferte per le gare più importanti, materiali…».


La FAS Airport Service ha fornito due delle quattro pedine dell’oro nella mix ralay di Fayetteville. Qui la Persico dà il cambio alla Bramati
La FAS Airport Service ha fornito due delle quattro pedine dell’oro nella mix ralay di Fayetteville. Qui la Persico dà il cambio alla Bramati

Eva, Lucia e Silvia


Infine a Bramati strappiamo un giudizio flash anche sulle altre tre ragazze del team, visto che della Arzuffi ci ha già parlato: Eva Lechner, sua figlia Lucia e Silvia Persico.

«Eva – spiega Bramati – ha un po’ ciccato il mondiale, però va anche detto che si è ammalata in un periodo bruttissimo in ottica iridata e questo l’ha debilitata non poco. E infatti anche agli italiani non era in ottima condizione».


«Mia figlia Lucia, idem. Lei addirittura l’italiano neanche lo ha fatto. Ha preso un virus intestinale: in dieci giorni ha perso 3 chili. Io e Daniele Pontoni siamo convinti che lo abbia preso a Dendermonde. Lì c’era un vero “schifo” a terra e in certi casi se qualcosa ti va in bocca può creare dei problemi. In passato questo è già successo, non sarebbe la prima volta. So che è accaduto persino a gente che ha corso la Parigi-Roubaix».


«Di Silvia Persico il bronzo iridato me lo aspettavo sì e no. Sapendo anche che un paio di avversarie avrebbero corso con le under 23, e visto come era andata ad Hoogerheide, lei poteva cogliere l’occasione ed è stata davvero brava a correre come ha corso. A rendere il 100% nel giorno giusto.

«So che lei vuole puntare ancora di più sul ciclocross, ma adesso inizierà la stagione su strada. Credo che si fermerà un po’ prima proprio pensando alla successiva stagione di cross. Per questo motivo dovrò parlare bene anche con Davide Arzeni, il suo preparatore».



«Ma più che delle singole io torno a parlare del discorso del gruppo e all’idea di continuare a crescere tutti insieme. Perché riguardo a Lucia ci sta che lei debba crescere, è ancora una “bambina“. Già da questa settimana, tanto per rendere l’idea, è tornata a pensare alla scuola, alla maturità. E solo dopo tornerà a fare la ciclista a tempo pieno. Per i miglioramenti delle altre invece il discorso cambia. Non è solo fisiologico.

«Faccio un esempio: Silvia Persico, lei deve per me migliorare dal punto di vista tecnico. Ma su questa cosa non ci ho ancora mai lavorato. Nella mia testa perciò c’è l’idea di fare uno stage tecnico».

Biomeccanica, con Bramati fra strada e ciclocross

01.12.2021
6 min
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Biomeccanica, bikefitting e la posizione in sella, tante definizioni che riprendono un argomento sempre molto dibattuto: ovvero quello di essere efficienti quando si pedala e di stare “bene” sulla bicicletta. Abbiamo fatto una chiacchierata con Luca Bramati, oggi tecnico della FAS Airport Services nel ciclocross, che anche grazie all’attrezzatura di valutazione del suo Bramati Point di Canonica d’Adda, è un punto di riferimento in fatto di biomeccanica e posizionamento in sella, anche per pro. Non solo: gli abbiamo chiesto dei consigli in fatto di “posizione corretta”, per chi usa la bici da strada e quella da ciclocross.

La tecnologia e le moderne strumentazioni aiutano, ma l’occhio del biomeccanico è fondamentale ai fini del risultato migliore (foto Bramati)
La tecnologia e le moderne strumentazioni aiutano, ma l’occhio del biomeccanico è fondamentale (foto Bramati)

Un controllo ogni due anni

Partiamo dal presupposto che un controllo della messa in sella dovrebbe essere una buona abitudine. Lo è per chi in bicicletta “lavora”, dovrebbe esserlo per chi monta in sella per diletto. Il consiglio di Luca Bramati è quello di fare un controllo almeno ogni due anni, al netto di incidenti, infortuni e/o problemi fisici.

Valutare il “punto di spinta”: un fattore soggettivo e tra più importanti in sede di bikefitting (foto Bramati)
Valutare il “punto di spinta”: un fattore tra più importanti in sede di bikefitting (foto Bramati)
Luca, consideriamo la valutazione biomeccanica ed il posizionamento ottimale di un atleta. Ci sono delle differenze tra l’inizio e il clou della stagione?

E’ fondamentale fare delle distinzioni, tra gli atleti pro’ e gli amatori. Nel primo caso, ci troviamo di fronte a corridori che, al giorno d’oggi, sono “tirati” ad ogni stagione. Durante l’inverno aumentano di un paio di chilogrammi, o poco più. La posizione in sella non subisce variazioni particolari, perché la “pancetta” non c’è, oppure è irrisoria. Per quanto riguarda gli amatori, il discorso è differente. Spesso il momento della valutazione biomeccanica coincide con la ripresa vera e propria dell’attività in bici. Non di rado c’è stato un aumento di peso considerevole.

Il peso condiziona la posizione?

Influisce in modo esponenziale sulla pedalata e su come si è in sella. Man mano che si perde peso, il corpo fa meno fatica ad allungarsi e si ricerca, anche, una posizione più ribassata. In questi casi è necessario rivedere la posizione per sfruttare correttamente l’avantreno della bicicletta. L’angolo di spinta in sella invece, non subisce variazioni.

Van der Poel e Van Aert (ai quali è necessario aggiungere Pidcock): tre esempi di versatilità sulla bicicletta
Van der Poel e Van Aert (ai quali è necessario aggiungere Pidcock): tre esempi di versatilità sulla bicicletta
Si possono verificare dei cambiamenti importanti di messa in sella nel corso di una stagione?

Se la valutazione biomeccanica iniziale è corretta, non ci sono stravolgimenti: magari è questione di qualche millimetro. Ma anche in questo caso è necessario fare una considerazione e voglio fare un esempio. Non di rado sottovalutiamo la differenza che deriva dall’utilizzo dell’abbigliamento invernale, che è più spesso rispetto a quello estivo. Sono pochi millimetri, ma capaci di cambiare la posizione sulla sella e di variare la nostra percezione del gesto.

In caso di infortunio e relativo stop dell’attività fisica, prima della ripresa è consigliabile una valutazione biomeccanica?

Sì, io la consiglio ed è fondamentale considerare la tipologia di infortunio che ha subìto l’atleta. Il primo step è fare una visita e un approfondimento dall’osteopata. Questo passaggio è importante e sancisce (oppure no) se il corpo ha il giusto assetto strutturale. Solo in un secondo momento si può fare una visita biomeccanica e il seguente bikefitting. Mi è capitato di interrompere delle valutazioni, perché il ciclista aveva dei problemi posturali dettati da un’asimmetria del corpo, causata per esempio da un incidente. Sono aspetti da non sottovalutare, molto importanti ai fini della salute anche nel medio e lungo termine.

Il giusto assetto in sella è il risultato di più variabili che devono collimare, tra queste anche la posizione delle tacchette (foto Bramati)
Fra le variabili devono collimare, anche la posizione delle tacchette (foto Bramati)
Bici da strada e quella da cx. Cosa è importante sottolineare?

Quello che mi preme dire è che nel ciclocross non serve estremizzare l’aspetto dell’aerodinamica. Abbassare in modo eccessivo il manubrio non serve. Anzi, è controproducente. Più si è schiacciati sull’avantreno e verso il basso, più il carico del corpo si sposta e appesantisce l’anteriore, che di conseguenza sprofonda nel fango. E’ fondamentale distribuire bene i carichi sulla bici. Poi c’é l’altezza sella…

In che misura si determina?

E’ necessario valutare la tipologia di scarpe e i pedali. Generalizzando: rispetto alla bici road, la cx dovrebbe avere un’altezza sella più bassa di 3 o 4 millimetri. Invece, se valutiamo l’orizzontale, la linea della bicicletta da ciclocross si accorcia tra gli 0,5 millimetri e 1 centimetro, rispetto a quella da strada. Ma è sempre necessario fare una valutazione biomeccanica approfondita e specifica.

Gioele Bertolini in azione ad Osoppo nel 2021
Gioele Bertolini in azione ad Osoppo nel 2021
Ci puoi fare alcuni esempi di atleti pro’ che valuti sotto il profilo biomeccanico?

Ad esempio Gioele Bertolini, che usa la bici road per allenarsi, adotta una posizione del manubrio più bassa di 1,5 centimetri, rispetto alla bicicletta da cx. Inoltre utilizza le due tipologie di calzature, strada e offroad, con gli aggiustamenti che ne conseguono in fatto di altezza-sella. Lui è un corridore molto preparato anche sotto il profilo tecnico e sente parecchio i diversi cambi di posizione. E poi ci sono altri due esempi…

Di chi parli?

Una è mia figlia Lucia, che utilizza le scarpe offroad anche per la bici da strada. Questo fattore le permette di tenere la stessa altezza di sella su ogni bicicletta. Katarzina Sosna invece, lituana tra le più forti al mondo nelle Mtb Marathon, è un caso a sé, atleta molto completa che pratica anche la disciplina della cronometro, dove per altro eccelle. Anche in questo caso mi confronto con un’atleta preparata sotto il profilo tecnico, competente e sensibile in fatto di setting sulla bici. In questa stagione non ha fatto cx, ma di solito arriva con quattro biciclette (crono, strada, cx e mtb) e su ognuna viene posta un’attenzione particolare in sede di valutazione biomeccanica. Lei utilizza le diverse tipologie di scarpa, road e mtb, quindi anche le altezze del mezzo cambiano.

Kamp 2020

Correre con la bici in spalla può fare la differenza?

09.11.2021
4 min
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Torniamo al Col du Vam e agli europei di ciclocross. Nella gara maschile under 23, quella disputata “tutti in gruppo”, è emerso un particolare tecnico interessante: nei tratti più fangosi (soprattutto sul doppio rettilineo comprendente i box, risultato spesso decisivo) Ryan Kamp preferiva caricarsi in spalla la bici, mentre i belgi avevano maggiormente la tendenza a spingerla. Il risultato era che in ogni frangente simile, l’olandese guadagnava metri che poi i suoi avversari erano costretti a recuperare. E’ vero che i tratti da fare a piedi non erano così tanti, ma alla fine anche questo può avere avuto il suo peso nell’evoluzione della corsa.

Messi da parte gli ordini d’arrivo e la fredda cronaca, abbiamo pensato di tornare sull’argomento con uno che mastica ciclocross da ormai 35 anni, Luca Bramati che aveva in nazionale tutte e quattro le sue ragazze con due top 10 conquistate: «Il bello è che io non ho mai imparato bene a correre bici in spalla, diciamo che mi arrangiavo. Chi invece era un vero fenomeno era Vito Di Tano: si caricava la bici e andava veloce come se non ce l’avesse, guadagnava tantissimo…».

Vdp Van Aert 2021
Van Der Poel e Van Aert spesso fanno la differenza spingendo sui pedali anche in condizioni impossibili
Vdp Van Aert 2021
Van Der Poel e Van Aert spesso fanno la differenza spingendo sui pedali anche in condizioni impossibili
Quindi è qualcosa che si può imparare…

Diciamo che fa parte molto dell’attitudine personale, non si insegna. Iniziamo col dire che correre con la bici in spalla e spingendola sono due cose profondamente diverse. Quando ti carichi la bici, significa che hai almeno 7-8 chilogrammi addosso, ma soprattutto su un lato, quindi ti costringe a correre squilibrato e sei impossibilitato a muovere il braccio destro (nella stragrande maggioranza si carica a destra, lo fanno anche molti mancini), quindi hai molta meno spinta. Spingendo la bici non hai questo sforzo supplementare, ma è chiaro che in alcuni percorsi come appunto quello olandese con fango così duro e colloso, la bici non scorre come vorresti e ti frena.

E’ vero quindi che il Kamp della situazione era avvantaggiato?

Sì, ma quella è una sua precisa caratteristica. La maggior parte preferisce spingere la bici per non accumulare fatica anzitempo. La bici con il fango si sporca sempre, anche quello contribuisce a frenarla. Gli europei stessi hanno dimostrato che in certe gare molto si gioca anche a livello strategico, nello scegliere il momento migliore per procedere al cambio bici.

Come mai belgi e olandesi sono più avvezzi a correre con la bici in spalla?

Dipende molto dai percorsi che affrontano. I loro tracciati sono sempre con fango o sabbia, che costringono a mettere piede a terra. A volte accade anche da noi. A Silvelle, ad esempio, è sicuramente consigliabile caricarsi la bici, perché con tanto fango proprio non riesci a spingere, a meno che si formi quella classica canalina dentro la quale si prova a far scorrere le ruote finché si può.

Alvarado 2019
Ceylin Del Carmen Alvarado, in un’immagine della scorsa stagione: anche al Col du Vam ha preferito spingere la bici
Alvarado 2019
Ceylin Del Carmen Alvarado, in un’immagine della scorsa stagione: anche al Col du Vam ha preferito spingere la bici
Queste canaline vengono preparate preventivamente dagli organizzatori?

No, sta ai corridori, anche in sede di allenamento per visionare il tracciato, cercare di “costruire” quel passaggio che poi sarà utile in corsa. Un altro esempio che mi viene in mente è Koksijde, uno dei tracciati dove vuoi o non vuoi sei costretto a correre a piedi più che in altre gare.

C’è differenza in questo senso fra le gare maschili e femminili?

Abbastanza. In campo maschile esempi come quello di Kamp ce ne sono molti, anche nel gruppo di testa c’era chi ha provato a correre con la “zavorra”, ma l’olandese era evidentemente più forte e anche più ben impostato fisicamente. Fra le ragazze si tende di più a spingere, anche se quasi tutte sanno correre anche caricandosi la bici in spalla: una delle più forti e rapide è proprio la Brand, che sprigiona potenza.

Brand Europei 2021
La Brand in azione: il suo perfetto assetto di corsa le ha permesso di fare la differenza anche a piedi
Brand Europei 2021
La Brand in azione: il suo perfetto assetto di corsa le ha permesso di fare la differenza anche a piedi
E per quanto riguarda i “tre tenori”?

Loro la differenza la fanno soprattutto in bici, anche se hanno un ottimo rendimento anche a piedi e si allenano specificamente per questo. Sempre a Koksijde, Van Der Poel e Van Aert hanno la capacità di riuscire a spingere sui pedali fin sotto al muro e questo serve per guadagnare secondi preziosi. Ma c’è un altro aspetto importante da considerare…

Quale?

Il clima. In questi giorni nei quali si parla tanto di cambiamento climatico, è vero che una volta il tempo era spesso più favorevole rispetto ad oggi, soprattutto in dati periodi dell’anno. Ma oltre che in senso temporale, la differenza si vive geograficamente: in Olanda e Belgio gareggiare con la pioggia e il fango è quasi la prassi e questo comporta che i pezzi da fare a piedi siano anche abbastanza lunghetti, da noi questo accade molto meno…

Arzuffi 2021

Arzuffi: «E’ ora di sfatare certi luoghi comuni…»

31.10.2021
5 min
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E’ un’Alice Maria Arzuffi carica a mille, quella che sta affrontando l’inizio di stagione e i risultati lo stanno dimostrando. Domenica, nella prima prova di Coppa del Mondo in terra europea a Zonhoven, l’azzurra ha chiuso in decima posizione a 2’57” dalla vincitrice Betsema, ma soprattutto è stata la seconda delle non olandesi: «Io cerco di migliorare e fare il meglio possibile, è chiaro che ci troviamo a gareggiare in una marea arancione, il loro livello medio è eccezionale e stanno venendo fuori anche nuovi talenti dalle categorie minori, ma non è questo che io devo guardare, devo pensare a me stessa e a fare il meglio possibile».

Questa rinnovata e positiva verve emerge anche quando si analizza l’aspetto tecnico delle sue prime uscite, toccando quello che, fino allo scorso anno, era un tasto dolente, le partenze un po’ al rallentatore: «E’ ora di sfatare questo luogo comune: basta guardare come sono state le ultime gare internazionali, non solo domenica ma anche quelle americane, per notare che sin dal via sono al livello delle migliori. Spero che i risultati facciano dimenticare questo riferimento che non sento più di meritarmi».

Arzuffi Zonhoven 2021
Il difficile percorso sabbioso di Zonhoven ha visto la Arzuffi chiudere nella Top 10, prima della stagione
Arzuffi Zonhoven 2021
Il difficile percorso sabbioso di Zonhoven ha visto la Arzuffi chiudere nella Top 10, prima della stagione
Il 10° posto di Zonhoven è un buon punto di partenza?

Diciamo che mi dà sicurezza maggiore rispetto a quella delle gare americane, dove non sono rimasta completamente soddisfatta, mi aspettavo di più. Evidentemente la condizione è migliorata al ritorno e in terra belga mi sono sentita più a mio agio. Sinceramente comunque so che c’è ancora da lavorare, ma conto di essere all’Europeo in una condizione già più avanzata e adatta a un evento così importante.

Vieni da una stagione su strada nella quale ti si è vista di più, affrontata con molta decisione, esattamente come fai con il ciclocross…

La strada l’ho sempre affrontata seriamente, ci ho sempre creduto, anzi se devo essere sincera è stata una stagione dalla quale volevo estrarre qualcosa in più. Ho tirato fino al Giro d’Italia e alla Clasica di San Sebastian, poi sono rimasta tre settimane ferma e quasi dal nulla ho affrontato il Giro di Norvegia. Inoltre la prima parte della stagione è stata una sofferenza per via di una posizione in sella che non era ideale e che mi dava problemi alla schiena, ci sono voluti 3 mesi e soprattutto il grande apporto di Aldo Vedovati per identificare il problema e risolverlo. Nel 2019 corsi più giorni, per questo penso che posso fare di più e meglio.

Arzuffi San Sebastian 2021
Alice impegnata nella Clasica di San Sebastian, conclusa al 27° posto a 3’45” dalla Van Vleuten
Arzuffi San Sebastian 2021
Alice impegnata nella Clasica di San Sebastian, conclusa al 27° posto a 3’45” dalla Van Vleuten
Come riesci a gestire due attività così importanti ricavando il necessario riposo?

E’ fondamentale la programmazione: quando finisco il ciclocross a febbraio stacco un mese di assoluto riposo, nel quale non tocco neanche la bici, poi riprendo per iniziare gradualmente e tornare in gara ad aprile. A fine stagione su strada secondo riposo, questa volta di una decina di giorni. E’ una scelta che negli anni ho trovato fondamentale per poter tirare fuori il meglio.

I responsabili delle squadre, soprattutto su strada, ti hanno mai fatto problemi?

No, ho sempre tenuto a specificarlo e metterlo nero su bianco, sono scelte fatte anche in base ai calendari e agli obiettivi sia del team che miei personali. Non ci sono mai state incomprensioni in tal senso, poi ora è tutto molto più semplice.

Arzuffi Fas Valcar 2021
Il poker della Fas-Valcar, da sinistra Lechner, Arzuffi, Persico e Bramati
Arzuffi Fas Valcar 2021
Le tre elite della Fas-Valcar, da sinistra Lechner, Arzuffi e Persico
Come ti stai trovando nella Fas-Valcar di ciclocross dopo anni nei quali hai corso in Belgio? 

Qui c’è molto da dire, perché la differenza è enorme. Partiamo dalla premessa che non rinnego la mia scelta di andare a vivere e correre in Belgio, è stata importante per la mia carriera, ma va anche detto che il prezzo psicologico e personale è stato alto, soprattutto negli ultimi due anni. Non dovevo pensare solo ad allenarmi e gareggiare, ero quasi abbandonata a me stessa, dovevo pensare a ogni trasferta: il volo, la logistica, i trasferimenti, il viaggio delle bici, i tamponi… Non ne potevo più, arrivavo in gara già stanca. Ora è un sogno, sono in un team dove si pensa a tutto e posso tornare a concentrarmi sulle corse. 

E’ un aiuto correre nello stesso team d’estate e d’inverno?

Enormemente. E’ la strada giusta per poter crescere e non parlo solo a livello personale, ma di tutto il ciclocross italiano. Con il diesse Arzeni nel corso dell’anno ci siamo trovati spesso a parlare, mi aveva accennato a quest’idea e mi ha chiesto molti consigli su tutto quello che sarebbe servito. Io gli ho spiegato quali erano le necessità e il progetto è partito.

Arzuffi Europei 2020
La ragazza di Seregno punta ora sugli Europei del 7 novembre. In bacheca ha già un argento e un bronzo
Arzuffi Europei 2020
La ragazza di Seregno punta ora sugli Europei del 7 novembre. In bacheca ha già un argento e un bronzo
Come ti trovi con Luca Bramati e le ragazze?

Finora abbiamo potuto lavorare poco insieme, io e Luca, perché in America ero nel gruppo della nazionale, ma ho subito notato che ha creato un ambiente familiare. Poi con Silvia e Eva (Persico e Lechner, ndr) ci conosciamo da anni e abbiamo condiviso tante trasferte, è un gruppo collaudato.

Correrai in Italia o seguirai solo la stagione internazionale?

Forse sarò a Faé di Oderzo l’8 dicembre, poi naturalmente per gli Italiani, per il resto vedremo come strutturare la stagione in vista dei Mondiali. A proposito: il percorso di Fayetteville è fenomenale, molto pedalabile, proprio come piace a me…