Salvoldi: il lavoro continua tra pensieri e voglia di cambiare

11.10.2024
7 min
Salva

Il tempo di smaltire e mettersi alle spalle l’euforia del successo iridato di Zurigo e Dino Salvoldi è già tornato al lavoro. A livello di calendario il triennio alla guida della nazionale juniores si è concluso con la prova iridata e la vittoria della maglia arcobaleno di Lorenzo Finn. Tuttavia il cittì non ama rimanere con le mani in mano. Un successo del genere porta felicità, ma non fa di certo terminare gli impegni e il lavoro iniziato ormai tre anni fa

«Il ricordo di Zurigo – dice Salvoldi mentre in sottofondo si sente lo scorrere dell’auto sull’asfalto – è vivo e bello nella mia testa. Ma nel mio lavoro si deve sempre volgere lo sguardo avanti. Ieri e oggi (mercoledì e giovedì, ndr) sono stato a Montichiari a visionare gli allievi 2008. Ovvero coloro che nel 2025 passeranno juniores».

Il lavoro continua

Tre anni passano in fretta, in particolare se al termine di questi c’è un successo grande come la vittoria di un mondiale che mancava da 17 anni. Salvoldi ha capito l’importanza di tale traguardo, ma non si è fatto distrarre. Il lavoro svolto è tanto, ma non manca quello futuro (in apertura una foto del Giro della Lunigiana foto Duz Image / Michele Bertoloni).

«Partiamo con ordine – analizza – perché quando sono arrivato in una fase di cambiamento del ciclismo giovanile. Questa era già in atto tra gli juniores, seppur da poco tempo. Nel frattempo c’è stata una grande evoluzione e un cambiamento radicale della categoria a livello internazionale. Tuttora mi sento di dire che l’Italia fa un po’ fatica nell’attività di vertice. La vittoria di Finn riempie di felicità e orgoglio ma non mancano i passi da fare per adattare tutta la categoria a quello che è il livello internazionale».

Salvoldi ha unificato sotto il suo controllo pista e strada, dando una programmazione al lavoro dei ragazzi
Salvoldi ha unificato sotto il suo controllo pista e strada, dando una programmazione al lavoro dei ragazzi
A riguardo ci sono delle motivazioni?

Certo, più di una. In primo luogo come Italia siamo molto legati alla nostra storia, alla tradizione e alle strutture presenti. Un po’ di anni fa eravamo il riferimento internazionale, ora però le cose sono cambiate. Il ciclismo è una questione globale, è inutile chiudersi in abitudini e tradizioni. Il rischio è di avere un limite di crescita importante. 

C’è un cambiamento sempre più evidente rispetto al passato. 

In primo luogo credo la prima risposta data dalla mia gestione sia stata quella di riunire l’attività di strada e pista. Questo ha fatto sì che ci fossero maggiori possibilità di crescita e programmazione. Abbiamo preso ragazzi con caratteristiche e potenzialità per fare entrambe le cose. In passato questo non sarebbe stato possibile, con il senno di poi direi che è stata una mossa corretta. 

La vittoria di Finn a Zurigo è stato il coronamento di un lavoro lungo tre anni (foto Federiciclismo / Maurizio Borserini)
La vittoria di Finn a Zurigo è stato il coronamento di un lavoro lungo tre anni (foto Federiciclismo / Maurizio Borserini)
Le squadre come l’hanno presa all’inizio?

C’è stata comprensione e collaborazione. Quasi oltre alla possibilità di gestire certi numeri. Come tecnico credo che tutti dovrebbero allenarsi su strada e pista, è una cosa che aiuta dal punto di vista formativo. E chiaro che non posso occuparmi personalmente di 800 ragazzi, ma il modello deve essere da esempio. Noi come Federazione abbiamo modo di poterci occupare di 40 atleti e solo sei di questi saranno poi selezionati per le competizioni principali. Quello che deve passare è che i restanti 34 non hanno perso tempo, ma hanno comunque svolto un’attività formativa. 

Serve una programmazione, da parte di tutti. 

Credo che in questo periodo il ciclismo non sia una questione europea ma mondiale. Questo comporta che non si può pensare di sopravvivere grazie alla casualità del super talento. Ora il fuoriclasse può nascere in ogni angolo del mondo e ogni nazionale è in grado di scovarlo. Anni fa il ciclismo era una questione tra 20 Paesi, ora siamo in 50, se non di più. Fino a 15 anni fa gli juniores erano 3.000, ora 800. E’ evidente che la selezione naturale non è più possibile. Si deve essere bravi a programmare per alzare il livello medio ed essere competitivi. 

Il confronto con gli organizzatori e le squadre è costante e volto alla ricerca dell’attività migliore per i ragazzi
Il confronto con gli organizzatori e le squadre è costante e volto alla ricerca dell’attività migliore per i ragazzi
La speranza è che la vittoria di Finn possa fare da traino?

E’ chiaro che avere un campione in casa aiuti a crescere. Guardate il tennis ora, grazie a Sinner aprono scuole e la gente si appassiona. Se voglio guardare il bicchiere mezzo pieno riguardo la vittoria di Finn direi che può essere un esempio. E’ un ragazzo che ha cambiato realtà e calendario andando all’estero, ma ha vissuto la sua quotidianità in Italia andando a scuola e facendo quello che fanno tutti i ragazzi. 

Può essere un insegnamento…

Se fai quel che hai sempre fatto rimani dove sei. Invece bisogna avere il coraggio di cambiare, anche contro le proprie tradizioni. Fare calendari differenti o avere regole diverse per permettere una crescita globale. 

Si parla di aggiungere un anno alla categoria, passando da due a tre.

Negli altri sport, soprattutto quelli di squadra, tutti gareggiano contro i propri pari livello. Nel calcio la Primavera del Milan non gioca contro quella del Montichiari, ad esempio. Nel ciclismo un ragazzo meno preparato compete contro quelli più forti e a fine stagione è destinato a smettere. Penso sia giusto parlarne a tutela dei numeri. Se parliamo di aggiungere un anno alla categoria mi trovate d’accordo. E può anche essere una regola nazionale, solo italiana. D’altronde i francesi hanno sempre corso con il rapporto libero, anche quando a livello internazionale c’era il blocco al 52×14. Perché non possiamo aumentare la categoria di un anno a favore di chi ha ancora bisogno di crescere e maturare?

Bessega e Sambinello nel 2025 passeranno in due devo team entrando nel mondo WorldTour
Bessega e Sambinello nel 2025 passeranno in due devo team entrando nel mondo WorldTour
Modificare il calendario passando da gare di un giorno a gare a tappe è un argomento tanto discusso tra gli addetti ai lavori. 

Se si dovesse passare a più gare a tappe va da sé che una squadra non potrebbe farle tutte, ma sarebbe costretta a scegliere e quindi programmare. In più una gara a tappe vede diversi sforzi al suo interno: salite, volate, cronometro… I ragazzi dovrebbero prepararsi per essere in grado di correre ovunque, altrimenti rischiano di essere tagliati fuori. L’idea è di fare qualcosa che non si fa di solito, altrimenti si coltiva sempre il proprio orticello. Però, se si vuole diventare un corridore professionista è importante sapersi destreggiare su ogni terreno. In più, per concludere, se si fanno 10 corse a tappe durante l’anno si arriva comunque a 40 giorni di gara, il che sarebbe diverso dal correre 40 domeniche. 

A sentir parlare Dino Salvoldi si capisce come la sua voglia sia quella di continuare un cammino che non reputa finito. Per lui, ma come per tutti gli altri commissari tecnici nazionali, un grande spartiacque saranno le prossime elezioni federali. Chiunque dovesse vincere dovrebbe tenere conto di quanto fatto e dei percorsi iniziati. Tutte queste considerazioni fatte dal cittì dovrebbero diventare tema di confronto sui tavoli federali, per evitare che il ciclismo italiano sia costretto a rincorrere. Al contrario si potrebbe provare ad anticipare i tempi. L’arcobaleno di Finn ha brillato nel cielo di Zurigo e del Ghisallo. Il ragazzo però l’anno prossimo passerà under 23 e continuerà la sua crescita con il devo team della Red Bull-Bora hansgrohe. Cosa rimarrà della sua vittoria e della maglia iridata? Speriamo possa essere un insegnamento per tutto il movimento e non solo un ricordo destinato a sbiadire nel tempo.

Su Finn lo sguardo di Schrot: in un anno passi da gigante

10.10.2024
6 min
Salva

L’anno scorso di questi tempi, a bassa voce come un segreto, iniziò a circolare la notizia che uno junior italiano sarebbe andato all’estero. Fulmini e saette, sembrava di essere in pieno attacco. Un anno dopo quel ragazzo, Lorenzo Mark Finn, è diventato campione del mondo degli juniores. Ha lavorato in modo diverso. Si è interfacciato spesso con il cittì della nazionale. E in Germania ha trovato un ambiente che lo ha fatto crescere.

Il regista di questi suoi progressi si chiama Christian Schrot. Lo conoscemmo qualche tempo fa, quando decidemmo di guardare un po’ meglio dentro alla Auto Eder che arrivava dalla Germania e si portava via le migliori internazionali. E se nel ritiro sul Garda di inizio marzo gli chiedemmo di spiegarci come avrebbe lavorato con Lorenzo, questa volta dopo il mondiale gli abbiamo chiesto se se lo aspettasse (nella foto di apertura, il tecnico tedesco accoglie Finn sull’arrivo di Zurigo).

Contento di questa vittoria?

Sono molto contento soprattutto per lui. E’ stato l’ottimo finale di una stagione fantastica. Un bel risultato anche per la squadra e tutti coloro che vi hanno partecipato.

Pensavi che Finn potesse vincere i mondiali oppure è stata una sorpresa?

Non per me. Vincere è sempre la cosa più difficile, ma sicuramente era il favorito guardando i nostri corridori in gara. Lui e Paul Fietzke. Dipendeva da come si sarebbe svolta la gara, perché tutti sapevano che sarebbe stata dura. Ma era abbastanza difficile perché vincesse uno scalatore in solitaria? Questo non lo sapeva nessuno. Ma con le condizioni difficili che abbiamo avuto, come la pioggia e il freddo, sapevamo dal giorno prima che c’era un’altissima probabilità che Lorenzo potesse salire sul podio o vincere la gara.

Siamo rimasti tutti molto sorpresi dal suo atteggiamento nel finale, l’apparente distacco. Forse non ci credeva ancora?

Il grande favorito era Albert Withen Phillipsen e tutti lo sapevano. Sarebbe stato difficile batterlo, in più c’era anche Paul Seixas che aveva dimostrato di essere in grandissima forma. Quindi sognavamo sicuramente di vincere e abbiamo dato tutto nella preparazione, ma credo che esserci riuscito sia stato travolgente e per un po’ non ci abbia creduto.

I blocchi di lavoro del 2024 hanno dato a Finn maggiore tenuta atletica e visione di corsa (foto Grenke-Auto Eder)
I blocchi di lavoro del 2024 hanno dato a Finn maggiore tenuta atletica e visione di corsa (foto Grenke-Auto Eder)
In cosa lo hai visto crescere durante la stagione?

Credo che con l’allenamento fatto insieme, Lorenzo sia migliorato in diversi aspetti. Prima di tutto, dal punto di vista fisico. Abbiamo potuto fare dei grossi passi avanti nei suoi livelli di resistenza, ma anche nella capacità di essere più potente e anche più esplosivo. Era quello che gli mancava per vincere le grandi gare. Però abbiamo lavorato molto anche sulla tattica e sulla comprensione delle situazioni di gara. Credo che anche questo sia stato una conquista importante di questa stagione.

E’ ben inserito all’interno della squadra?

Ha certamente una dimensione internazionale, perché suo padre viene dal Regno Unito e sua madre dall’Italia. Ha una mentalità aperta e fin dall’inizio si è integrato bene. In squadra si parla inglese e il suo è eccellente, quindi la comunicazione non è mai stata un problema. E’ un corridore aperto e facile da gestire. Una persona intelligente, capace di ragionare, quindi è bello parlare con lui e approfondire i discorsi. E questo è stato molto apprezzato anche dai compagni.

In Italia si è parlato molto del lavoro fatto dal cittì Salvodi: che tipo di rapporto avete avuto con lui?

In generale, abbiamo avuto un ottimo scambio. Lorenzo era nella nostra squadra, tutto il coaching veniva da me, quindi lavoro quotidiano e programmi. Ma è molto importante anche che i corridori siano integrati nelle nazionali, perché alla fine le grandi corse come gli europei e i mondiali sono gestite dalle federazioni. Per questo sono stato a stretto contatto con Salvoldi e ho apprezzato molto il suo lavoro con Lorenzo. Io l’ho tenuto informato sugli allenamenti e sugli step fatti, in modo che lui sapesse cosa aspettarsi nelle gare. E poi per la preparazione finale, la Federazione ha fatto un ritiro e abbiamo parlato anche di cosa aspettarsi e quale fosse il suo livello. Infine abbiamo concordato l’avvicinamento per il campionato del mondo e tutto è andato bene.

Vincendo l’ultima tappa a Stavelot, ad agosto Finn ha conquistato la Aubel-Thimister-Stavelot (foto Fleche Ardennaise)
Vincendo l’ultima tappa a Stavelot, ad agosto Finn ha conquistato la Aubel-Thimister-Stavelot (foto Fleche Ardennaise)
Sei rimasto un po’ sorpreso quando hai visto Lorenzo, uno scalatore, nella squadra degli europei su quel percorso da velocisti?

Non tanto, perché proprio il tecnico della nazionale mi aveva informato in anticipo che lo avrebbe portato. E penso che proprio guardando i grandi corridori come Pogacar, sia molto importante per un corridore giovane non concentrarsi solo sulle salite, se è uno scalatore. E’ utile anche imparare a gestire la bicicletta e a provarla in diverse situazioni. Sapevamo che avrebbe corso in supporto dei compagni, ma anche alla Grenke-Auto Eder a volte non è capitano, ma aiuta gli altri. Credo che anche questo faccia parte dell’apprendimento nelle categorie giovanili, quindi mi è piaciuta molto l’idea di portarlo. E anche Lorenzo voleva andarci, è stato subito un suo desiderio.

Hai capito qualcosa di più su di lui, sul corridore che potrebbe diventare?

Credo che il prossimo passo sia quello di passare al livello under 23 e dimostrare allo stesso modo ciò che è in grado di fare. Nel calendario del prossimo anno si punterà a gare di un giorno più dure, come certe classiche più famose. E poi sicuramente anche le corse a tappe, che gli si addicono molto se ci sono salite. Ai campionati del mondo ha dimostrato anche di essere tra i migliori nella cronometro e questo è molto importante se si vogliono vincere le gare a tappe. Quindi penso che questo sia il prossimo passo. Andare magari al Giro Next Gen oppure al Tour de l’Avenir, il piccolo Tour de France. Queste gare saranno i prossimi passi della sua carriera.

E’ presto per fare previsioni, insomma?

Vedremo dove porterà tutto questo. Credo che abbia le carte in regola per raggiungere un livello top anche nel professionismo, ma senza mettergli pressione. Penso che sia troppo presto per dire dove arriverà, ma ha tutte le capacità per raggiungere grandi obiettivi anche da grande.

I mondiale di Finn è il secondo in tre anni per Schrot: dopo 14 anni alla Bora, il tedesco cambierà squadra
I mondiale di Finn è il secondo in tre anni per Schrot: dopo 14 anni alla Bora, il tedesco cambierà squadra
I tecnici della WorldTour si sono mostrati interessati?

Voglio dire, la Grenke Auto Eder è lo junior team della Red Bull-Bora-Hansgrohe, quindi Lorenzo è molto conosciuto nel team maggiore e rimarrà nella struttura per continuare il suo sviluppo. Credo che questo sia il prossimo passo e non passare troppo presto fra i professionisti. Credo che la categoria under 23 sia molto importante per avere un livello stabile di prestazioni prima di fare il salto nella grande avventura del WorldTour.

Però adesso, Christian, parliamo un po’ di te. E’ vero che lascerai la squadra?

Sì, è così. Per me questo campionato del mondo è stato la fine di una lunga avventura. Sono stato per 14 anni con la stessa squadra, con la Bora-Hansgrohe. Ho creato con il Team Auto Eder, da quest’anno Grenke-Auto Eder, la migliore squadra juniores del mondo. Zurigo è stato il terzo mondiale di fila in cui abbiamo avuto da festeggiare. Abbiamo vinto con Herzog nel 2022, preso l’argento lo scorso anno con Fietzke e l’oro con Finn pochi giorni fa. Ora ho deciso di iniziare un nuovo capitolo, il campionato del mondo a Zurigo è stato la mia ultima gara con il gruppo Bora. Dove andrò adesso non posso dirlo, probabilmente verrà fuori entro un paio di settimane, ma resterò nel ciclismo professionistico. Vi tengo aggiornati. Spero presto di potervi raccontare qualcosa di interessante.

Sportful e la maglia iridata di Finn: da casa al Ghisallo

04.10.2024
4 min
Salva

Lorenzo Finn è il nuovo campione del mondo della categoria juniores, l’azione in solitaria lunga quasi 20 chilometri di Zurigo è stata incoronata dalla maglia iridata. Dal podio della città Svizzera, dove ha indossato la divisa classica disegnata da Santini, che continuerà a collaborare con l’UCI per i prossimi sette anni, è passato alla sua divisa Sportful. L’azienda veneta che disegna le divise per il team tedesco della Grenke Auto Eder ha realizzato in tempi record il kit iridato (foto Berry in apertura). Una maglia con la classica banda orizzontale arcobaleno, contornata dai vari sponsor, e un pantaloncino nero da abbinare. 

Rispetto alla solita posizione la banda iridata ha costretto Sportful a spostare qualche sponsor
Rispetto alla solita posizione la banda iridata ha costretto Sportful a spostare qualche sponsor

Tutto in due giorni

Come lo sappiamo? Semplice, visto che Lorenzo Finn dopo le fatiche del mondiale ci ha messo solamente tre giorni per trovare il primo successo con la divisa di campione del mondo realizzata da Sportful. Domenica 29 settembre alla Olgiate Molgora-Ghisallo, vinta anche nel 2023, Finn ha alzato nuovamente le braccia al cielo. Questa volta con l’arcobaleno sul petto. Siamo andati così da Sportful per capire in che modo un’azienda realizza la maglia iridata da consegnare ai propri corridori. 

«Il processo con il quale abbiamo realizzato la divisa di Finn – spiega Federico Mele, Head of Global Marketing – non è diverso da quello utilizzato per i professionisti. Come azienda abbiamo la capacità produttiva per realizzare una divisa del genere in poche ore. Abbiamo una sala, chiamata dei prodotti speciali, adibita proprio a queste esigenze. La notizia della vittoria di Lorenzo Finn è arrivata giovedì, il giorno dopo la maglia e i pantaloncini erano pronti. Sabato un mio collega glieli ha consegnati a casa e domenica ha vinto».

Prima uscita ufficiale a prima vittoria con la maglia iridata per Lorenzo Finn alla Olgiate Molgora-Ghisallo (foto Berry)
Prima uscita ufficiale a prima vittoria con la maglia iridata per Lorenzo Finn alla Olgiate Molgora-Ghisallo (foto Berry)

Le regole UCI

Quando si parla di divisa di campione del mondo si devono rispettare quelli che sono i dettami imposti dall’UCI. La banda orizzontale composta dai colori dell’arcobaleno blu, rosso, nero, giallo e verde, deve essere posizionata al centro della maglia. I loghi degli sponsor, invece, devono essere inseriti a una distanza compresa tra 10 e 30 millimetri. Ogni colore delle strisce arcobaleno deve essere rappresentato in egual misura. Le bande arcobaleno devono, inoltre, essere presenti anche sul colletto e i bordi delle maniche. 

«Naturalmente – spiega Federico Mele – la maggior importanza la ricoprono le strisce che distinguono il campione del mondo. Poi gli sponsor vanno posizionati sulla maglia a seconda degli spazi e degli accordi commerciali. Chiaramente un nome che prima compariva nella parte frontale in alto deve rimanere in una zona simile. Comunque comandano i contratti fatti con gli sponsor».

«A Finn – dice ancora Mele – abbiamo realizzato solamente un kit base composto da maglia e pantaloncini. Quest’ultimi sono stati colorati di nero per una questione cromatica, visto che il colore originale della Grenke Auto Eder non si abbina particolarmente con la maglia iridata. Poi è bello avere un kit completo. Sui pantaloncini l’iride va messo nel bordo basso con un’altezza massima di cinque centimetri, un centimetro per colore».

Finn ha dato un gran da fare a Sportful, quest’anno ha cambiato maglia due volte (foto Zoé Soullard/DirectVelo)
Finn ha dato un gran da fare a Sportful, quest’anno ha cambiato maglia due volte (foto Zoé Soullard/DirectVelo)

Subito vincente

Lorenzo Finn ha sfruttato la buona condizione di Zurigo per mettere nel palmares la sua seconda Olgiate Molgora-Ghisallo. Il primo successo in maglia iridata nonché l’ultimo, per quanto riguarda la categoria juniores.

«Avevo deciso di terminare il 2024 con Zurigo – racconta – ma dopo la vittoria ho deciso di indossare la maglia iridata almeno una volta. Quando stai bene tutto gira e anche sul Ghisallo è andata parecchio bene. Ricevere la maglia il giorno prima della gara a Como è stato bello, ringrazio Sportful per lo sforzo e il gesto. Vederla dal vivo con la scritta della squadra sopra mi ha fatto un certo effetto. Ho realizzato un pochino di più quanto fatto a Zurigo, non dico che vincere sul Ghisallo sia stato meglio ma sicuramente mi ha dato una grande emozione. C’erano tanti amici e molta gente che conoscevo, salire sul palco delle premiazioni è stato speciale».

«Ora non resta che tornare alla vita di tutti i giorni – conclude – purtroppo da dopo il Ghisallo il meteo è stato sempre brutto. Spero di trovare il clima giusto per indossarla anche in allenamento, d’altronde ho vinto e voglio godermi questa maglia fino al 31 dicembre».

Ulissi in cabina di regia, fiutando la fuga buona

29.09.2024
5 min
Salva

OPFIKON (Svizzera) – Ulissi e Lorenzo Finn si sono incrociati nella sera della vittoria del genovese nel mondiale juniores (in apertura immagine da video Lello Ferrara/FCI). Era dal 2007, appunto dalla seconda vittoria iridata di Diego che l’Italia non conquistava quella maglia ed è parso a chi c’era una singolare coincidenza.

«Le cose non avvengono per caso – sorride il livornese – penso di avergli portato anche bene a Lorenzo, visto che sono arrivato la sera stessa. Lo sapevo di essere l’ultimo ad aver vinto il mondiale juniores. L’altro giorno con i ragazzi ci siamo collegati per vedere la gara e mi sono reso conto di quanto tempo sia passato. Se riguardo quelle foto, eravamo proprio dei bimbetti. Acerbi sotto tanti aspetti e consapevoli che dovevamo affrontare ancora tanta gavetta prima di affacciarci al professionismo ed essere competitivi. Adesso gli juniores più validi vengono presi e messi nelle squadre satellite. E già a 19 anni corrono già tra i professionisti. Lo vedo bene alla UAE. Maturano molto più velocemente, anche fisicamente, e sono subito pronti a vincere».

Ulissi corse il primo mondiale nel 2012 a Valkenburg. Eccolo sul Cauberg a ruota di Contador
Ulissi corse il primo mondiale nel 2012 a Valkenburg. Eccolo sul Cauberg a ruota di Contador

Fa quasi strano sentire parlare così questo ragazzo di 35 anni, conosciuto quando era anche lui uno junior. Nelle sue gambe ci sono 15 anni di professionismo, nel suo sguardo tante storie ancora da raccontare. Bennati lo ha portato al mondiale confidando nella sua esperienza, vedendo in lui un leader e un ispiratore per la banda dei ragazzi di cui è composta la nostra nazionale qui ai mondiali di Zurigo 2024.

E’ arrivato il mondiale. Cosa ti è parso del circuito dopo averlo assaggiato?

E’ un circuito parecchio esigente, mi sembra. Soprattutto la prima parte, subito dopo l’arrivo, con lo strappo e poi subito la seconda salita. Sono almeno 12-13 minuti di sforzo pieno e poi dopo ci sono altri strappi dopo le discese, che sicuramente allungheranno il gruppo e metteranno sicuramente in difficoltà.

Bennati dice di aver trovato un Ulissi molto più solido di altre volte in passato, in cui al mondiale eri fra i primi a doversi muovere.

E’ normale che dopo dieci, quindici anni si maturi e si abbia più esperienza. Soprattutto a 35 anni, in una squadra così giovane, sicuramente posso cercare di aiutarli e di dare qualche consiglio utile. Fisicamente mi sento ancora bene, quindi penso di poter essere di grande supporto per la nazionale.

Quale può essere il tuo ruolo in una corsa così?

Sicuramente avremo due o tre corridori che attenderanno di più il finale. E poi corridori come me e altri magari con cui dovremo cercare di anticipare per entrare in qualche azione importante.

Conosci bene Pogacar, lo hai aiutato anche a vincere belle corse, la domanda che tutti si fanno è se si possa batterlo.

Ho sentito i vari ragionamenti sulle tattiche e sul provare ad anticiparlo. Ma Tadej quando sta bene è imprevedibile, magari è lui che anticipa tutti. Se capisce che ci sono troppe nazionali che lo possono attaccare, potrebbe partire anche da molto lontano. E’ il corridore più forte al mondo, su un percorso che penso gli piaccia in particolar modo. Però noi sicuramente dobbiamo fare la nostra gara, non guarderemo tanto quello che fa lui e vediamo tutti insieme di riuscire a fare bene.

Da corridore a corridore, c’è qualche spia del fatto che lui possa essere in difficoltà oppure è il classico avversario illeggibile?

E’ illeggibile. Penso che cercherà di controllare la prima parte di gara con gli uomini che ha. Non dimentichiamo che ha due compagni di squadra come Tratnik e Novak che sicuramente nelle fasi più calde saranno lì e potranno aiutarlo. Poi quando lui trova l’occasione per attaccare, che manchi tanto o poco, di certo non aspetterà troppo.

Sanremo 2022, Ulissi e Pogacar alla sua ruota: Diego ha lavorato spesso per lanciare lo sloveno
Sanremo 2022, Ulissi e Pogacar alla sua ruota: Diego ha lavorato spesso per lanciare lo sloveno
Ti sei mai immaginato a braccia alzate sull’arrivo di questo mondiale?

No. Alla fine ho 35 anni, bisogna essere obiettivi nelle cose. Sto bene, cerco di fare un grande mondiale da protagonista, però sono consapevole che ci sono corridori che ora come ora hanno tante marce in più. L’hanno dimostrato tutto l’anno. Come ho già detto tante volte, sono soddisfatto della carriera che ho fatto. Di campioni ce ne sono realmente pochi, si contano su una mano, però penso di aver fatto ottime cose e sono soddisfatto di ognuna.

Stai già pensando al prossimo anno con l’Astana?

Sto pensando al mondiale, sono concentratissimo. Quindi penserò a finire la stagione con la maglia della UAE Emirates. E poi, solo alla fine, inizierò a pensare alla nuova vita che mi attende.

Salvoldi corona il suo triennio con la maglia iridata

27.09.2024
4 min
Salva

ZURIGO (Svizzera) – Siamo sempre stati abituati a vedere Dino Salvoldi come un uomo dal carattere duro, come il suo sguardo. Alto, con un piglio o fermo e deciso, tanto da incutere timore e richiamare rispetto. Invece quando lo vediamo arrivare in mixed zone per le interviste post mondiale l’emozione e la commozione hanno preso il sopravvento. Lorenzo Finn ha appena vinto la prova iridata su strada tra gli juniores con una bellissima azione dal lontano. Ha viaggiato per tutti gli ultimi 20 chilometri da solo, si è girato spesso a parlare con l’ammiraglia nella quale era seduto il cittì. A due chilometri dalla fine quella vettura ha affiancato il giovane scalatore azzurro e solo Dio sa cosa si sono detti

«Non ce n’era per nessuno oggi – dice con fare orgoglioso Salvoldi – Lorenzo (Finn, ndr) è andato fortissimo. Ha attaccato fin da subito, diciamo molto prima di quanto avevamo ipotizzato in partenza. Evidentemente era la sua giornata, soprattutto in salita. Non ha avuto rivali».

Dino Salvoldi insieme ai cinque azzurri che hanno corso a Zurigo
Dino Salvoldi insieme a quattro dei cinque azzurri che hanno corso a Zurigo

Un lungo cammino

I passaggi che hanno portato alla vittoria di Lorenzo Finn sono iniziati in primavera, quando Salvoldi ha iniziato a costruire un gruppo sul quale lavorare in vista degli eventi della stagione (i due sono insieme nella foto di apertura di Federciclismo / Maurizio Borserini). 

«Come nazionale – prosegue – abbiamo condiviso un bel percorso di avvicinamento al mondiale. Proprio con voi avevo chiesto di aspettare oggi prima di fare un bilancio di questi tre anni di gestione del gruppo juniores. Oggi abbiamo raggiunto e conquistato un titolo che nella categoria mancava da 17 anni. Il risultato di Finn secondo me deve essere interpretato come un bello spot per il nostro ciclismo giovanile. Prima di quello di oggi, nel corso dei tre anni, sono arrivati anche tanti risultati in altri campi, come la pista. Tutto questo è la dimostrazione che applicandosi, con metodo, non siamo poi così distanti dagli altri. I ragazzi che hanno voglia di emergere e hanno fame agonistica ce li abbiamo anche noi. Certo dobbiamo fare questo step tutti insieme».

Salvoldi arrivava dalla rassegna iridata juniores su pista, molto fruttuosa anche quella
Salvoldi arrivava dalla rassegna iridata juniores su pista, molto fruttuosa anche quella
Finn è uno di loro, quando ti sei reso conto che era davvero la giornata giusta?

Un po’ prima, quando ha attaccato nel giro precedente all’ultimo passaggio sotto lo striscione d’arrivo. Era rimasto in un gruppo di 15 corridori con tante squadre formate da coppie. Finn è un ragazzo meticoloso, quindi probabilmente aveva già ragionato decidendo di anticipare. Ha pensato che poi gli sarebbero andati sotto i più forti, tenendo quella distanza di controllo. 

Poi sono rientrati e davanti erano in sei. 

In quel momento l’attenzione si è spostata su Philipsen, che era il campione del mondo in carica. Credo però che fosse nervoso, si è mosso spesso e in alcuni momenti male. Finn ne aveva di più, la sua azione da lontano lo ha dimostrato. Poi era proprio tranquillo nel fare le cose, non ha mosso passi azzardati, fondamentalmente ha attaccato due volte e gli sono bastate per vincere.

Una parte importante del lavoro di Salvoldi sono i ritiri, dove i ragazzi costruiscono il gruppo e il feeling
Una parte importante del lavoro di Salvoldi sono i ritiri, dove i ragazzi costruiscono il gruppo e il feeling
Quando lo hai affiancato a due chilometri dall’arrivo che gli hai detto?

Chiedete a lui, non me lo ricordo, ero in trance agonistica. 

Invece quando ai 400 metri siete entrati nella corsia delle ammiraglie, perdendolo di vista, cosa hai pensato?

C’è sempre un po’ di apprensione per il disguido che può succedere all’improvviso. Però c’è stato un flashback su tutto, anche il mio percorso professionale. Chiaramente questa emozione mi mancava, a me e ai miei uomini, tutti. Ho ripensato a tutto quello che c’è stato prima, proprio in modo super rapido, e dici questa ci mancava, doveva arrivare e ce l’abbiamo fatta.

Il campionato del mondo su strada è il successo che mancava nella carriera da cittì di Salvoldi
Il campionato del mondo su strada è il successo che mancava nella carriera da cittì di Salvoldi
In questi tre anni hai trovato tanti ragazzi, costruendo un cammino con loro. 

Vero che oggi ha vinto Finn, ma è il coronamento di un percorso, che è iniziato cercando un dialogo con chi c’era da prima di noi. Abbiamo cercato di imparare, di informarci e di proporre anche un metodo che chiaramente ha bisogno di tempo per essere attuato. Perché i miracoli nello sport di alto livello non esistono. O almeno, io ci credo poco. Quindi oggi si chiude un triennio con uno dei più bei successi che si possono ottenere, e ripeto: credo che sia un bene per tutto il nostro movimento e di questo sono particolarmente contento. 

Nella pioggia di Zurigo risplende l’arcobaleno di Finn

26.09.2024
5 min
Salva

ZURIGO (Svizzera) – Gli ultimi mille metri di Lorenzo Mark Finn sono un tuffo al cuore. Lui se la prende con calma, gli avversari sono andati, naufragati sotto la pioggia e i colpi di pedale del ligure silenzioso e determinato. Le mani vanno al casco, poi si gira e cerca l’ammiraglia dove c’è Dino Salvoldi, il cittì che ha guidato la nazionale juniores al titolo iridato. Dietro Finn il vuoto. Il secondo, l’inglese Sebastian Grindley, arriva con più di due minuti di ritardo, il gruppetto che si gioca l’ultimo gradino del podio è oltre i tre minuti. E’ stato il più forte Lorenzo Finn, ha gestito la corsa in maniera perfetta, dimostrando una maturità incredibile per chi non è abituato a vederlo in azione. 

Uno a uno

La maglia azzurra, anzi la giacca primaverile visto il freddo e la pioggia presi oggi dai ragazzi, si staglia sul fondale del palco sul quale avvengono le premiazioni. L’inno di Mameli suona, appena l’ultima nota smette di vibrare nell’aria di Zurigo il boato dello staff sotto al podio arriva fino nella mixed zone. Finn ha un sorriso appena accennnato sul suo volto giovane, chi lo ha visto spesso sa che non si lascia andare a grandi emozioni. Queste, invece, le abbiamo provate noi, quando lo abbiamo visto scollarsi di ruota tutti gli avversari. L’ultimo a resistergli è stato lo spagnolo Hector Alvarez, ma un’accelerazione di Finn è bastata per lasciarselo alle spalle. 

Arriva nella zona mista, passo lento, accompagnato da Christian Schrot, il suo team manager alla Grenke Auto Eder, e da tutto lo staff azzurro. Arriva davanti a noi e quella maglia splende, così come la medaglia che gli pende dal collo

«Non so come descrivere la sensazione di indossare questa maglia – dice Finn – però tra qualche ora magari lo realizzerò. Devo dire che ho avuto delle sensazioni veramente buone tutto il giorno». 

Tutto misurato

Prima della partenza, al bus Vittoria che ospita gli azzurri in questa rassegna iridata, Finn ha chiesto di cambiare la pressione degli pneumatici. 4,3 bar al posteriore e 4 all’anteriore, vista l’acqua caduta e l’asfalto viscido meglio fare qualche accorgimento. Scende le scalette per ultimo, si guarda intorno, va alla bici e con cura monta il ciclocomputer. Tante azioni mirate, precise e calme. Prima di partire parla ancora con Salvoldi, si scambiano le ultime battute. Monta in bici e si dirige alla partenza. La gara esplode subito, i danesi sono indemoniati e fanno un ritmo pauroso. Una caduta lascia il gruppo decimato, si arriva sul circuito finale con una media, nella prima ora, di 46 chilometri orari. 

Scatti e controscatti, allunghi, Philipsen è inferocito e si muove in tutte le direzioni. Ad un certo punto però è Finn a partire tutto solo, ma di chilometri all’arrivo ne mancano tanti.

«Il piano iniziale – spiega – non era andare da solo a 70 dall’arrivo però è successo. Eravamo tutti in fila indiana dopo la discesa e io ero davanti, quindi era un buon momento per attaccare, però sì, nessuno mi ha seguito. Ho pensato che un attacco avrebbe potuto fare male, di sicuro avrebbero fatto una bella fatica per rientrare. Anche una volta davanti mi sono gestito, non sono andato mai fuorigiri. Poi sono rientrati Philipsen e gli altri. In quel momento ho realizzato che mi sarei potuto giocare una medaglia. Ho contato quelli rimasti, erano quelli che mi sarei aspettato di trovare a quel punto. Tutti tranne Seixas

Mezz’ora da solo

L’ultimo passaggio sul traguardo avviene ai 27 chilometri dall’arrivo, con quattro corridori al comando: Philipsen, Alvarez, Grindley e il nostro Finn. Un veloce slalom nelle curve di Zurigo e si punta alla salita di Witikon. Nel risciacquo che porta a quei 1.400 metri Philipsen scivola e davanti rimangono in due: Alvarez e Finn. Lo spagnolo resiste pochi metri e poi diventa una lunga cavalcata fino all’arrivo: 20 chilometri. 

«Philipsen – spiega il neo campione del mondo juniores – è caduto nel tratto in discesa. Ero davanti io e lui in una curva è scivolato, probabilmente ha pinzato troppo con il freno anteriore. Spero stia bene. Ho guardato negli occhi Alvarez, ho parlato con lui ma avevo già visto sulle salite precedenti che non riusciva a stare al mio passo. Ho dato un’accelerazione e si è staccato subito. Quei 20 chilometri da solo sono volati e mi sono divertito, nonostante la tanta pioggia». 

Mille metri, mille pensieri

Quando Lorenzo Finn ha visto il triangolo rosso si è rialzato, ha messo le braccia sulla parte alta del manubrio e si è goduto ogni centimetro. Cosa passa nella testa di un ragazzo di 18 anni quando realizza di essere a soli mille metri dalla maglia iridata?  

«E’ stato un chilometro un po’ surreale devo dire – conclude Finn – però sì me lo sono goduto. Mi sono tornati in mente tutti i sacrifici fatti durante la stagione e i momenti difficili. Quando mi sono rotto la clavicola ad aprile, il secondo posto al Giro della Lunigiana di qualche settimana fa… Ora sono pronto per il futuro, non posso dire cosa farò. Ci sarà il tempo di farlo».

Crono juniores andata: Seixas sorprende, Finn guarda alla strada

23.09.2024
5 min
Salva

ZURIGO – La prova contro il tempo degli juniores ha emesso già alcuni verdetti interessanti, il primo è la vittoria del francese Paul Seixas. A questo si affianca la prestazione sottotono del campione del mondo in carica su strada Albert Philipsen. Il danese paga 25 secondi dal vincitore e, mentre tutti sfilano nella zona mista che si affaccia sull’Opera di Zurigo, lui passa via senza fermarsi. Gli addetti dell’UCI dicono non sia stato bene dopo l’arrivo, la sensazione nel vederlo passare è che sia frastornato e un po’ sorpreso, in negativo, dalla sua prestazione. 

Voci azzurre

Gli azzurri pedalano lenti nel corridoio che ospita televisioni e media, passa Andrea Donati e nel raccontare la sua prova si intuisce la delusione. Sperava in qualcosa di più, i numeri sono stati buoni ma per emergere in un mondiale serve una prova fuori dal comune.

«E’ stata una cronometro durissima – dice – sono sfinito, ho dato davvero tutto quello che avevo anche se non ero nella miglior condizione. Non sono andato male a livello di dati e numeri, rispecchiano quelli di una giornata media. Sono l’italiano che ha fatto più cronometro quest’anno, ne ho corse sei. A questo livello forse l’unica è stata alla Corsa della Pace. Sia questa di Zurigo che quella in Repubblica Ceca sono stati dei buoni confronti, anche in ottica futura».  

Chi, invece, è soddisfatto di quanto fatto è Lorenzo Finn. Si ferma, guarda l’arrivo dei diretti concorrenti e snocciola piano piano tutte le sue sensazioni. 

«Sono soddisfatto della mia prova – spiega l’azzurro – è stata la miglior cronometro della mia vita sia per sensazioni che per valori. Non potevo dare di più e comunque vedendo che sono arrivato a un secondo dai top 5, su questo tipo di percorso, mi ritengo soddisfatto. Era difficile pensare di poter vincere, ma se penso alla gara su strada mi sento davvero bene. I complimenti vanno a Seixas, ha fatto una cronometro superba e una prestazione monstre».

Andrea Donati e Lorenzo Finn durante le fasi di riscaldamento
Andrea Donati e Lorenzo Finn durante le fasi di riscaldamento

Tutto quadra

Il percorso di Lorenzo Finn e della nazionale juniores verso il mondiale di Zurigo è iniziato ad agosto con un ritiro in altura a Livigno. Poi si è passati dal Giro della Lunigiana e dal campionato europeo. Tutti step mirati per arrivare con la miglior condizione possibile alla corsa iridata. 

«Sicuramente – racconta Finn – l’europeo è stato molto utile, sia nella prova a cronometro che in quella in linea. E’ stato un test importante in vista dei mondiali, il fatto che oggi sia andato più forte rispetto alla prova di Hasselt mi fa ben sperare. Il ritiro di Livigno è stato fatto in vista dell’appuntamento iridato di Zurigo, questo doveva essere il periodo in cui il lavoro in altura avrebbe dovuto dare i suoi frutti. Per come mi sento direi che la fiducia c’è. Anche settimana scorsa, durante gli allenamenti, ho fatto i miei migliori valori, quindi sono contento».

Lorenzo Finn si è detto felice della sua prova e dei valori registrati nell’ultimo periodo
Lorenzo Finn si è detto felice della sua prova e dei valori registrati nell’ultimo periodo

Un altro atteggiamento

Se si fa un passo indietro, tornando alla prova continentale, non si può non pensare alle parole del cittì Salvoldi. Il tecnico ha giudicato in maniera negativa la prestazione del team juniores, da loro si aspettava qualcosa in più, soprattutto dal punto di vista del coraggio

«Su strada – dice ancora Finn – ho provato a dare un mano ai miei compagni perché non volevo prendere troppi rischi. Mi sono messo a disposizione in pianura, prima del tratto in pavé, poi mi sono sfilato. Penso Salvoldi abbia avuto ragione nel criticare il nostro atteggiamento in maniera negativa. Non abbiamo corso benissimo, ma ci rifaremo giovedì».

«Ora – continua – serve riposare e recuperare bene dallo sforzo. Mercoledì rivedremo il percorso (il tracciato rimarrà chiuso dalle 8,00 alle 10,00, ndr). Siamo venuti a giugno a visionarlo, quindi una rinfrescata farà sicuramente bene. Dall’ultima salita al traguardo ci saranno una quindicina di chilometri, sarà uno sforzo molto simile a una cronometro».

Andrea Donati conclude al 20° posto, per lui un’esperienza che tornerà utile in futuro
Andrea Donati conclude al 20° posto, per lui un’esperienza che tornerà utile in futuro

Gli altri

La classifica della cronometro juniores recita un podio a forti tinte belga con il gradino più alto in mano al corridore che, ad ora, sembra essere il favorito: Paul Seixas. Il sesto posto di Albert Philipsen sorprende, ma non toglie dalla testa di tutti che il danese sarà protagonista su strada. Gli avversari lo temono e ne parlano bene, con il timore che si riserva a chi può farti del male da un momento all’altro. Anche Finn non lo toglie dalla lista dei favoriti.

«Io ho fatto 53 di media – conclude Finn – quindi non credo che Philipsen sia andato piano, visto che mi ha anticipato di un secondo sul traguardo. Sicuramente era il favorito e vederlo fuori dal podio colpisce, ma non facciamoci illudere. Dopo la cronometro di oggi penso che Seixas sia il nome per la corsa in linea, ma serve ancora qualche giorno di pazienza, giovedì vedremo».

Zurigo si avvicina e Salvoldi tira le somme: sarà una sfida a tre?

11.09.2024
5 min
Salva

TERRE DI LUNI – Il mese di settembre ha messo in fila una serie di manifestazioni di primo piano per gli juniores. Terminato da poco il Giro della Lunigiana è tempo di pensare a europei e mondiali, con quest’ultimi sulla bocca di tutti. Il percorso di Zurigo sarà impegnativo, movimentato e porterà la gara a essere un gioco a eliminazione. 

Viste le caratteristiche del tracciato i due favoriti sembrano essere Paul Seixas e Lorenzo Finn, i primi due classificati al Giro della Lunigiana. Il distacco somministrato agli altri 95 ragazzi arrivati in fondo alla Corsa dei Futuri Campioni non lascia molti margini alla fantasia. Anche se, a onor del vero, un protagonista è mancato in terra toscana: Albert Withen Philipsen, attuale campione del mondo di categoria. 

Parola al cittì

L’arduo compito di portare i ragazzi pronti all’evento iridato tocca come sempre al cittì Dino Salvoldi (in apertura con Ruggero Cazzaniga e Simone Mannelli). I preparativi sono iniziati ancor prima del Giro della Lunigiana, con un ritiro in altura a Livigno. In quelle settimane sono state messe ore nelle gambe e i risultati sono stati differenti, tra chi ha risposto bene e chi meno. 

«E’ stato un po’ tutto nelle aspettative – racconta il cittì – in questa categoria abbiamo fatto un bel lavoro. Per molti ragazzi era la prima altura della vita, quindi le risposte sono state diverse. Al Lunigiana qualcuno ha pagato, anche lo stesso Finn. Voglio vedere il bicchiere mezzo pieno, a Livigno siamo andati per preparare il mondiale e il Lunigiana era un altro step in vista dell’appuntamento iridato. 

«Relativamente al percorso del mondiale non si scappa – dice – i nomi saranno quelli. Forse è un po’ troppo impegnativo per Kristoff. Però gli altri che ho in mente saranno tutti al top della condizione: Seixas, Philipsen e anche Sumpik. Chiaramente nella mia lista di favoriti ci sarebbe stato spazio per Omrzel ma la caduta della prima tappa lo ha messo fuorigioco. I ragazzi di cui abbiamo parlato si staccano dalla media del gruppo, ce ne siamo resi conti durante il Lunigiana. Delle tappe impegnative, ma non proibitive sono bastate per creare un divario netto tra i primi due (Seixas e Finn, ndr) e tutti gli altri. In salita non ci sono stati giochi, è stata una gara a due».

La squadra

Al Giro della Lunigiana la differenza tra Lorenzo Finn e Paul Seixas è stata nella squadra e nel supporto offerto. La Francia si è presentata con i migliori atleti e questo ha inciso sull’andamento della corsa. A Zurigo la squadra potrà fare la stessa differenza, considerando che l’Italia arriverà con il meglio?

«Credo di no – afferma Salvoldi – perché il tratto in linea che immette nel circuito è poco significativo. Appena entrati nella parte dura, le individualità emergeranno fin da subito e ben poco si potrà fare per annullarle. Se il trend della stagione viene rispecchiato, è difficile dire che Philipsen sbaglierà l’appuntamento mondiale. Finn e Seixas potrebbero essere due valide alternative a quello che sembra un risultato scontato.

«In un contesto più ampio riferito alla categoria – continua – le differenze tra il vertice e il resto dei ragazzi ci sono. Cercheremo di portare la squadra migliore sapendo che correremo su un percorso da “uno contro uno” e consapevoli che anche noi avremo il nostro alfiere. Per quanto riguarda gli altri, ho visto bene Sambinello e Bessega durante tutto l’anno. Mi piacerebbe premiare qualche primo anno. Poi c’è chi ha fatto bene in questi giorni come Remelli e Capello. Mi vengono in mente anche Proietti Gagliardoni, Galbusera e Zanutta. I numeri sono quelli ed è sempre doloroso dire di no a qualcuno. Nessuno ha mai da ridire sui primi due o tre nomi, ma sugli altri la differenza tra l’ultimo dei convocati e il primo degli esclusi è inesistente. Il cittì si affida al proprio intuito e al pensiero di come andrà la corsa».

La vittoria a Bolano di Cristian Remelli, la terza in stagione, gli consentirà di ottenere la convocazione per Zurigo? (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)
La vittoria a Bolano di Cristian Remelli gli consentirà di ottenere la convocazione per Zurigo? (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)

Capitolo distanza

I chilometri della prova iridata di Zurigo saranno 127,2, una distanza che non tutti i ragazzi hanno affrontato con costanza in corsa. Le energie saranno importanti da gestire. 

«Quei 30-40 chilometri in più – analizza Salvoldi – potranno fare tanta differenza. In una corsa come il Lunigiana che è un’eccellenza del ciclismo mondiale, si potrebbe pensare di aggiungere una tappa di oltre 100 chilometri, su una distanza da campionato del mondo (il punto sulla distanza delle gare è che l’UCI impone, per le corse a tappe internazionali della categoria juniores, un massimo di 400 chilometri in totale, ndr). Oltre alle Classiche è difficile replicare una distanza del genere in gara, lo si fa quasi esclusivamente in allenamento. Su questo i ragazzi hanno lavorato bene». 

Juniores: la corsa all’oro che non fa bene ai ragazzi

10.09.2024
6 min
Salva

TERRE DI LUNI –  La nostra presenza alla 48ª edizione del Giro della Lunigiana ci ha permesso di vedere ancor più da vicino e per più giorni il mondo degli juniores (in apertura foto Duz Image / Michele Bertoloni). Da tanto tempo questo spiraglio di ciclismo ha acquisito un’importanza sempre maggiore, diventando, a tutti gli effetti, la categoria di riferimento. Da qui i team, WorldTour e non, prendono i migliori ragazzi con l’intento di farli crescere attraverso i loro vivai. Succede però che il meccanismo porta alla ricerca costante dell’oro e, come succede con il nobile metallo, il rischio è quello di scavare sempre più a fondo. 

Paul Seixas, Lorenzo Finn i due nel 2024 hanno corso con i devo team di Bora e Decathlon AG2R
Paul Seixas, Lorenzo Finn i due nel 2024 hanno corso con i devo team di Bora e Decathlon AG2R

Tutto subito

Sono nati così dei team satellite o development anche tra gli juniores. La Bahrain Victorious ha il Cannibal Team, la Bora ha la Grenke Auto Eder e la Decathlon ha il team U19 dal quale ha tirato fuori gli ultimi due vincitori del Lunigiana: Bisiaux e Seixas. 

Alla presentazione delle squadre a Lerici, in occasione dell’inizio del Giro della Lunigiana, lo aveva sottolineato Dmitri Konychev. L’ex campione russo ha ricordato quanti ragazzi a 14 anni sembrano dover spaccare il mondo per poi fermarsi alla prima difficoltà. Con lui sul palco c’era anche Stefano Garzelli, che in Spagna ha gestito un team juniores, per poi arrivare a chiuderlo a fine 2023. 

«Per me si tratta di un movimento molto preoccupante – spiega Garzelli – perché i devo team andranno a prendere gli juniores migliori. E ora si tratta di avere 8 ragazzi, magari in futuro arriveranno a 10 e 12. L’ambizione di un ragazzino è di andare a correre lì perché pensa di essere già arrivato, pensa di essere già un campione, forse. Ma non tutti questi passeranno professionisti, magari ora sì perché i team sono pochi. Ma in futuro aumenteranno e le possibilità diventeranno sempre meno. Il rischio è che poi i ragazzi vedano come un fallimento il mancato passaggio trasformandolo in un “non sono bravo”. Saranno pronti a metabolizzare questo fatto? Credo di no, semplicemente smetteranno di correre».

Finn e Seixas ogni giorno hanno distrutto record e tempi di scalata (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)
Finn e Seixas ogni giorno hanno distrutto record e tempi di scalata (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)

Ricerca anticipata

Si fa presto a capire che la corsa è agli allievi, categoria che precede gli juniores. Ragazzini trattati come campioni o addirittura fenomeni, con bici e divise uguali a quelle del team professionistico. Una stretta cerchia di ragazzi che vivono come i grandi, ma che tali non sono. Vanno forte, lo si vede sulle strade, all’ultimo Giro della Lunigiana Lorenzo Finn e Paul Seixas hanno disintegrato ogni tempo di scalata degli anni precedenti. Ma sono pronti a vivere e subire delle pressioni che rischiano di farli arrivare stanchi del ciclismo a 18 anni?

«Ho parlato con un team manager di una squadra juniores – continua Garzelli – e già ragionava del 2026. Mi diceva che deve cercare tra gli allievi altrimenti rischia di non fare più la squadra. Se il meccanismo è questo, tra un po’ andremo a prendere gli esordienti. Il rischio è che tra 7-8 anni non avremo più una base, ma se non hai niente sotto come fai a costruire sopra?».

La preoccupazione di Garzelli, al Lunigiana per il commento tecnico, è che i ragazzi siano già al massimo delle prestazioni (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)
La preoccupazione di Garzelli, al Lunigiana per il commento tecnico, è che i ragazzi siano già al massimo delle prestazioni (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)

Accecare i ragazzi

Il problema è che un meccanismo simile porta i ragazzi a pensare che la realtà delle cose sia diversa. Uno junior vuole a tutti i costi entrare in un devo team altrimenti pensa di aver fallito. 

«In Spagna – prosegue Garzelli – in gruppo i ragazzi dicono che ormai tra gli juniores o passi in una devo o sei finito. E’ la cosa più sbagliata del mondo. E il rischio è di distruggere tutte le squadre juniores nazionali, perché alcuni ragazzi preferiscono smettere piuttosto che continuare nelle squadre “normali”. Ma non tutti hanno gli stessi tempi di crescita e in una squadra più piccola ti lasciano il tempo di maturare. I talenti, Lorenzo Finn ad esempio, la strada la trovano comunque. Noi dobbiamo lavorare sui ragazzi che hanno numeri minori con un’attività dedicata per permettergli di crescere. Chi corre nella squadra satellite di una WorldTour ha tutto: preparatore, nutrizionista, mezzi migliori. Ma quali sono i suoi margini di crescita? Molto pochi o probabilmente nessuno. Se da junior mi alleno già 26 ore, da professionista quante ne devo fare, 40?».

Dopo i grandi successi ottenuti nel 2024 è bastato un Avenir sotto tono per far vacillare la fiducia di Widar (qui a destra)
Dopo i grandi successi ottenuti nel 2024 è bastato un Avenir sotto tono per far vacillare la fiducia di Widar (qui a destra)

Saper perdere

E’ voce di queste settimane che Jarno Widar, belga del Lotto Dstny Development Team, sia in rottura con la squadra dopo la delusione del Tour de l’Avenir. Il belga, al primo anno da under 23, ha vinto in ordine: Alpes Isere Tour, Giro Next Gen e Giro della Valle d’Aosta. Un bottino che difficilmente abbiamo visto raccogliere a un ragazzo di 18 anni al primo anno della categoria. Eppure lo scricchiolio del Tour de l’Avenir sembra aver rotto il quadro e la sua cornice. E’ vero che quando si vede la torta sul tavolo la voglia è di mangiarla tutta, ma bisogna anche sapersi accontentare e mangiarne qualche fetta. 

«Se non hai margini di crescita – prosegue Garzelli – quando passi non ottieni più gli stessi risultati. Perché ora stai dando tutto e allora vai avanti, ma poi non avrai più niente da dare e il livello sarà talmente alto che per forza troverai gente che ha i tuoi stessi valori o maggiori. Per questo bisogna imparare a perdere, meglio, a gestire la non vittoria. Widar è un esempio, non ha saputo gestire la sconfitta dell’Avenir e al posto che rimboccarsi le maniche e ripartire, ha voltato le spalle alla squadra».

Mentalità vincente

I ragazzi che vediamo darsi battaglia sulle strade delle corse internazionali e non, stanno imparando a gestire la gara, a vincere, creandosi una mentalità improntata a questo. Ma cosa succede se una volta passati smettono di farlo?

«Gli atleti corrono e lo fanno con in testa la vittoria – conclude – ed è giusto che sia così. Però servono degli step. Uno junior che passa professionista e fa gruppetto per tutto il primo anno e magari anche al secondo, rischia di perdere la mentalità vincente. Markel Beloki, figlio di Joseba, è passato dagli juniores alla EF Easy Post e per tutto il 2024 non ha mai visto la testa del gruppo. La capacità di gestire determinate situazioni in corsa la perdi dopo un po’. Invece se da junior vinco, poi passo under 23 e mi metto ancora in gioco e così via, mentalmente mi mantengo sul pezzo.

«La mia preoccupazione deriva dal fatto che l’Italia non ha squadre WorldTour. Questo vuol dire che il ragazzo forte va all’estero e che la squadra straniera tuteli i suoi talenti di casa. Rischiamo di perderli. Bisogna ricordare ai ragazzi che il loro bene passa anche da chi li tutela, non solo da chi fa promesse».