Davanti al pullman dell’Italia ai mondiali di Zurigo, durante la prova su strada degli juniores, abbiamo incrociato uno sguardo che non vedevamo da tanto. E abbiamo così scoperto che Claudio Astolfi, professionista dal 2001 al 2005, da circa cinque anni vive in Lussemburgo. A dire il vero per capirlo sarebbe bastato leggere con più attenzione l’elenco dei partenti per accorgersi che uno dei due atleti lussemburghesi al via si chiamava Flavio e portava il suo cognome.
Quando di lui si è accorto Manuel Quinziato, di un anno più giovane, è andato dritto a salutarlo. Poi, avvicinandosi, il bolzanino ha ricordato che il romano fosse un mito nelle categorie giovanili. Astolfi infatti aveva vinto il Giro della Lunigiana, come Pogacar ed Evenepoel, e nello stesso anno era arrivato terzo al mondiale. La carriera purtroppo è durata poco a causa del diabete. Ma la sua storia di italiano con la valigia ci è parsa interessante. E così siamo andati oltre.
Cosa ci fai in Lussemburgo?
Già appena sposato e dopo aver smesso, mi era venuta l’idea di spostarmi. Mia suocera è italiana e viveva in Lussemburgo da anni. Però ugualmente ho provato prima con il mio negozio di biciclette a Lariano. Sono andato avanti per 12-13 anni, però non è mai partito del tutto. E così cinque anni fa ci siamo trasferiti, soprattutto per offrire qualcosa di più ai ragazzi. Flavio e Lorenzo fanno il liceo e parlano tre lingue (in apertura, foto di famiglia con la moglie Chiara, ndr).
Hai fatto come Simone Masciarelli, migrato in Belgio per il figlio Lorenzo e ora tornato in Italia?
No, il ciclismo non c’entra. Mi trovo abbastanza bene, viviamo in un paesino a sei chilometri dalla città. Lavoro in un grande store di bici e ho dovuto imparare il francese. I ragazzi intanto studiano e corrono. Flavio, il grande, fino al secondo anno da allievo era tesserato con una squadra di Aprilia e poteva ugualmente fare i campionati nazionali del Lussemburgo perché bastava la residenza. Poi da junior serviva la nazionalità e così l’anno scorso ha preso la doppia cittadinanza. Ora corre nella squadra juniores della Visma-Lease a Bike.
Come c’è arrivato?
Vivendo in Lussemburgo, da allievo correva spesso in Germania e anche in Belgio. Al primo anno ha vinto 7 corse, al secondo 9. E’ arrivato sesto alla Coppa d’Oro, poi ha vinto il campionato lussemburghese crono e strada. E loro si sono interessati. Lui è contentissimo. Hanno lo stesso equipaggiamento della WorldTour, anche il trolley e gli zainetti. A inizio anno hanno fatto un training camp a Benicasim e sono stati per qualche giorno con la WorldTour e con la squadra delle donne. E il bello è che non gli mettono pressione.
Tu sei stato junior quasi trent’anni fa, che differenze vedi?
E’ cambiato tutto, a partire dal misuratore di potenza che ormai hanno anche da allievi, fino alla nutrizione. Io mi allenavo con mio padre dietro che a un certo punto suonava il clacson e significava che dovevo partire. Eppure alla Visma, sta vivendo il ciclismo con meno stress che in Italia. Non corrono tutte le domeniche da febbraio a ottobre come da noi. Magari fa una corsa a tappe di quattro giorni, poi recupera a casa e studia e si allena. Quest’anno è stato sfortunato. All’Eroica è caduto ed ha avuto qualche problema all’anca. Poi ha preso la mononucleosi e lo stesso ha fatto l’europeo e il mondiale. Ma con la condizione che aveva e il tempaccio, a Zurigo si è fermato prima…
Flavio si sente italiano o lussemburghese?
Italiano. Lo dice sempre che il cuore è italiano, però intanto si trova bene anche nella nazionale di quassù, perché il coordinatore Frank Schleck è in gamba. Dispiace che in Italia non sia stato convocato per fare i test che di solito fanno gli juniores, evidentemente è giusto che faccia la sua strada in Lussemburgo. Ha fatto un cambio di nazionalità, può farne un altro e poi basta. E intanto aspettiamo che arrivi il piccolo, Lorenzo, che è tremendo…
Tremendo?
Quest’anno ha fatto 16 gare e le ha vinte tutte e 16. E’ esordiente di secondo anno, ma una squadra WorldTour belga già ha mandato avanti un osservatore. In Belgio ha vinto tre gare, una con tre minuti sul secondo, che per gli esordienti non è poco. Però ho pregato tutti di lasciarlo in pace. Fino agli allievi, come ho fatto con Flavio, lo seguirò io. Poi negli juniores è giusto che abbia i suoi allenatori.
E tu vai ancora in bici?
Quest’anno m’è ripresa la voglia (ride, ndr). Dato che qui d’estate fa buio più tardi, dopo il lavoro ho cominciato a fare due ore tutti i giorni. E poi mi sono messo a fare delle garette. Quelle coi master le ho vinte tutte. Poi sono passato a quelle con gli elite, i corridori veri. E ho fatto due volte decimo assoluto e una volta nono. Considerato che ho 46 anni, non vado così male.
Pensi mai che la tua carriera sarebbe potuta durare di più?
Purtroppo in quegli anni col problema che avevo non si andava lontano. Non è come ora che addirittura c’è la Novo Nordisk e ci sono gli strumenti che ti permettono di convivere col diabete. Allora si trattava di fermarsi e fare un’iniezione. E dopo i 200 chilometri era davvero impossibile andare avanti.
I tuoi figli sanno qualcosa del papà corridore?
Non mi hanno visto, ma si sono documentati. E poi quassù il ciclismo è popolare, qualcuno deve avergli detto che il padre era forte. Hanno visto che ho vinto il Lunigiana e si sono resi conto che tanto scarso non ero. Quinziato poi l’ho incontrato nuovamente all’aeroporto e mi ha detto le stesse cose. E’ bello ritrovarsi ancora in mezzo qualche volta, è bello che qualcuno si ricordi…