Quel cronoman poco specialista, ma tanto… speciale

22.07.2021
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Ma perché al di là della vittoria nella crono del Tour, Malori giorni fa disse che contro questo Van Aert nella crono di Tokyo si potrà fare poco? Che cosa ha visto l’emiliano nelle immagini e nella prova del corridore della Jumbo Visma al Tour de France? Proviamo a capirlo insieme, partendo da un paio di foto e dalle immagini televisive. «Sicuramente rispetto ad altri specialisti, anche se lui non lo è (perché è specialista di tutto) – sorride Adriano – ha una posizione molto più raccolta, rispetto ad esempio a un Ganna. Basa la sua aerodinamica sulla conformazione del corpo…».

E qua lo fermiamo, ammirati per la capacità di cogliere nelle immagini le attitudini dell’atleta e leggerne le caratteristiche. Andiamo avanti, ci sarà da scrivere e leggere…

Un assetto molto naturale: ha le spalle strette e riesce a tenere la testa ben incassata
Un assetto molto naturale: ha le spalle strette e riesce a tenere la testa ben incassata
Che cosa significa che basa l’aerodinamica sulla conformazione del corpo?

Riesce a tenere le spalle incassate e strette, con la testa che si incassa bene fra le spalle stesse. L’ho visto bene nell’inquadratura frontale delle telecamere fisse. E’ il suo forte. Ha le spalle molto strette, la parte superiore del corpo è sottodimensionata rispetto alle gambe e grazie a questo riesce a ottenere la posizione a forma di proiettile. Una cosa che a Ganna non riesce.

Perché?

Perché ha le spalle molto più larghe, quindi per essere aerodinamico deve ricorrere a protesi più alte e comunque non riesce ad avere la stessa penetrazione naturale. Ma la differenza fra i due sta anche nella schiena.

Vale a dire?

Van Aert è più raccolto, riesce a curvare di più la schiena e ha una distanza davvero ridotta fra ginocchia e gomiti. Unendo questo alla grande potenza di cui dispone, si capisce come faccia a raggiungere le alte velocità con cui ha battuto anche gli specialisti della crono.

E’ così corto perché la bici è piccola o perché pedala molto in punta?

Pedala in punta, tende a raccogliersi naturalmente. Ha una posizione perfetta senza scomporsi, mentre tanti, ad esempio i corridori della Ineos, saltellano sulla sella e ogni 4-6 pedalate sono costretti a tirarsi indietro. Quel tipo di sforzo, che è molto comune, per la muscolatura è devastante.

Castroviejo è uno specialista, eppure tende a scivolare in avanti e deve spingersi per tornare al centro della sella
Castroviejo è uno specialista, eppure tende a scivolare in avanti e deve spingersi per tornare al centro della sella
Addirittura?

Nella crono la pedalata deve essere fluida, mentre nel dare il colpetto indietro, in quel microsecondo in cui dai la spinta per arretrare, perdi fluidità. Se il percorso ha tante curve, in qualche modo lo compensi. Ma se è dritto e piatto e devi stare in posizione, paghi il conto.

Hai parlato dei corridori Ineos.

Castroviejo è il più illuminante, pur essendo uno specialista. Anche quando era con me alla Movistar ha sempre avuto questa posizione in avanti, con la testa più bassa del sedere. Ma se hai la sella poco grippante o inclinata in avanti, come si fa nelle crono per non insistere troppo sulla prostata, finisci con lo scivolare. Invece Van Aert è composto e non si muove.

Ed è incredibile?

Non nascendo cronoman, è singolare. Si vedono tanti corridori scomposti, come ad esempio Pogacar, che vice la crono sfruttando la sua grande condizione. Invece Van Aert è composto a crono come Ganna, in salita va agile come uno scalatore e poi vince le volate.

Pronto per fare classifica?

Secondo me no, non gli conviene. Un conto è fare come lui, che quando vuole si stacca e molla. Per fare il podio in un Giro, non puoi permetterti alcun passaggio a vuoto. E poi pesa 78 chili e su una pendenza del 10 per cento, il confronto con gi scalatori si sentirebbe. Non è più il tempo dei corridori come Indurain, anche Miguel oggi non avrebbe speranze. Con il ciclismo di adesso, oltre i 70 chili in salita non hai scampo.

Vincerà lui a Tokyo?

E’ il grande favorito, anche se spero che Ganna ci regali la sorpresa. Su un percorso così duro, sarà difficile batterlo. Però un errore l’ha fatto, decidendo di partire per il Giappone subito dopo i Campi Elisi.

Perché?

Perché è vero che guadagni un giorno per ambientarti, ma è vero anche che io una giornata a letto a riposarmi il giorno dopo l’avrei fatta. Invece in volo non recuperi, arrivi laggiù e fai subito salita per vedere il percorso… Tanto o arrivi due settimane prima e ti ambienti bene, altrimenti tanto valeva andarci all’ultimo.

Ma insomma questo Van Aert non ha difetti in bici?

Mi sembra messo benissimo, come il migliore specialista. Semmai l’unica cosa sarebbe dargli un casco davvero su misura. A volte non aderisce perfettamente alla schiena. Ma tutto sommato, ragazzi, con le nuove protesi che ben si adattano a tutte le braccia, la galleria del vento e i vari studi, è veramente difficile trovare un top rider messo male sulla bici da crono.

Van Aert la crono, Pogacar il Tour. E domani si tifa Sonny

17.07.2021
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Aveva ragione Malori, su tutta la linea. La crono se la sarebbero giocata Van Aert e Pogacar, mentre Kung non ce l’avrebbe fatta perché era parso stanco anche nei giorni precedenti. Ma Pogacar a un certo punto ha tirato i remi in barca e ha fatto una crono… conservativa e Wout Van Aert ha avuto via libera, rifilando 21 secondi a un grande Asgreen, l’uomo del Fiandre, e 32 al compagno Vingegaard già terzo nella prima crono.

Malori 10 e lode

Per la Jumbo Visma sulla via di Tokyo, la cronometro promette di essere quasi una gara sociale. Con Van Aert, Roglic e Dumoulin. Vingegaard non è stato selezionato: il solo posto a disposizione per la Danimarca se l’è preso lo stesso Asgreen che oggi ha fatto meglio di lui.

«Vincere una cronometro al Tour de France – dice Van Aert – è sempre stato uno dei più grandi obiettivi della mia carriera. Negli ultimi due giorni mi sono concentrato su questa gara (Malori aveva visto bene, ndr). Sono molto felice di esserci riuscito. Rispetto alla prima cronometro, questa è stata più scorrevole e più veloce. Con il mio peso, è stata più a mio vantaggio rispetto alla prima, che era più dura».

Lavoro di squadra

Anche il direttore sportivo Merijn Zeeman parla di una cronometro perfetta: «Abbiamo investito tempo e impegno. Mathieu Heijboer (ex pro’ e tecnico del Team Jumbo Visma, ndr) ha lavorato sui materiali, la postura, la posizione e i test in galleria del vento. Tutto quel lavoro si è fuso in questa grande prestazione. Wout è andato chiaramente molto meglio che nella prima cronometro. In questo Tour è davvero cresciuto e migliorato. Me lo aspettavo. Sapevamo che era uno dei favoriti oggi e che non si sarebbe accontentato d’altro che della vittoria. Il fatto che Vingegaard sia arrivato terzo, rende questa giornata da sogno».

Van Aert è stato in testa dai primi rilevamenti: non c’è mai stata storia
Van Aert è stato in testa dai primi rilevamenti: non c’è mai stata storia

Asgreen verso Tokyo

Kasper Asgreen è rimasto sulla hot seat per un’ora e quaranta. E’ vero che i corridori lo sanno quando c’è in giro qualcuno che va più forte, ma dopo un po’ ti abitui all’idea che potresti aver vinto. Per questo lo sguardo del danese quando Van Aert lo ha superato era un misto fra delusione e insieme consapevolezza.

«Oggi alla partenza c’erano molti corridori forti – ammette – quindi sapevo che sarebbe stata dura. Ecco perché salire sul podio è un risultato che mi soddisfa, soprattutto perché arriva dopo tre settimane lunghe e dure e a pochi giorni dalle Olimpiadi. I primi chilometri avevano un asfalto ruvido e abbastanza accidentato, il che rendeva difficile trovare il ritmo, quindi il mio obiettivo principale erano i due lunghi rettilinei. Essere arrivato secondo è un buon risultato, il mio primo podio al Tour quest’anno».

Vingegaard terzo a 32 secondi ne rosicchia 25 a Pogacar e molla 1’47” a Carapaz
Vingegaard terzo a 32 secondi ne rosicchia 25 a Pogacar e molla 1’47” a Carapaz

Adrenalina giù

Pogacar ha fatto il suo. Chi me lo fa fare di rischiare l’osso del collo in quelle curve, deve aver pensato la maglia gialla, se tanto ho da difendere quasi sei minuti? L’unico appunto per una corsa remissiva è aver perso l’occasione di confrontarsi con i rivali in vista delle Olimpiadi, ma si sarebbe trattato comunque di un confronto falsato dalle fatiche del Tour.

«Sono super felice che sia finita – ammette, lasciando capire a cosa (giustamente) pensasse – è stata una cronometro molto veloce. C’era tanto supporto durante il percorso, mi sono goduto ogni chilometro, anche se faceva molto caldo e ho sofferto un po’. Sono andato a tutta, ma è stato diverso dalla prima crono, in cui c’era più adrenalina. Ero comunque ben preparato e ho fatto comunque una bella prestazione».

Pogacar non ha spinto al massimo: 8° a 57″ dal vincitore, ma Tour vinto
Pogacar non ha spinto al massimo: 8° a 57″ dal vincitore, ma Tour vinto

«Ho rivinto il Tour, ma non posso confrontare entrambe le vittorie, dire quale è più bella. L’anno scorso si è deciso tutto nell’ultima crono e le emozioni furono di gran lunga più forti. Questa volta ho preso la maglia gialla molto prima. E’ stato completamente diverso. Penserò in futuro a quanto sia importante questa vittoria. Per il momento, sono solo molto felice».

Domani per Sonny

La chiusura spetta al vincitore di giornata, che dopo l’arrivo era stravolto come si conviene a chi fa una crono a tutta e dà il massimo, e al campione italiano che ha lottato come un leone andando fortissimo, ma rischia di andarsene senza null’altro che l’amaro in bocca.

Con questa grinta, Van Aert fa ora rotta sulla crono olimpica
Con questa grinta, Van Aert fa ora rotta sulla crono olimpica

«E’ stata una giornata perfetta – dice Van Aert – dopo l’arrivo bruciavo. E’ stato stressante vedere arrivare gli altri al traguardo. Ma per fortuna mi sono rilassato un po’ vedendo che gli intermedi degli uomini di classifica erano abbastanza alti. E’ stato un Tour de France molto duro per la mia squadra. Sono molto orgoglioso di ciò che abbiamo raggiunto, con tre vittorie di tappa e Jonas (Vingegaard, ndr) che si è piazzato secondo nella classifica finale».

Domani passerella finale e ultima volata ai Campi Elisi. Non si offenda Cavendish: avremmo fatto il tifo per lui, ma vista la grandezza di Merckx e visto soprattutto lo sguardo di Colbrelli sul traguardo di Saint Gaudens, domani si tifa tricolore. Perché è giusto che vinca e perché è giusto che anche lui sfrecci sul traguardo con un dito davanti alla bocca. Il fatto che non gli arrivino ancora messaggi potrebbe confermare che il telefono non gli sia stato ancora restituito. Per un padre di famiglia che lavora a migliaia di chilometri da casa questo è fonte di stress e rabbia. La stessa rabbia che ci auguriamo domani possa scaricare nei pedali sul selciato magico di Parigi. Forza Sonny!

Van Aert, il Ventoux, l’appendicite e un pensiero per Vdp

07.07.2021
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Solo ieri aveva sgomitato con Cavendish sul traguardo di Valence ed era chiaro che non gli potesse bastare. Dove lo trovi uno che fa le volate con i velocisti e appena l’indomani va in fuga sul Ventoux? Nei giorni precedenti, Van Aert si era complimentato a bocca stretta con Van der Poel. L’olandese aveva vinto una tappa e indossato a lungo la maglia gialla e neanche questo poteva andare giù al campione belga. Poi Mathieu è andato via e della loro presenza assieme in questo Tour rischiava di rimanere soltanto la fuga verso Le Creusot, quando gli obiettivi li avevano ritratti all’attacco con il gusto della sfida nel sorriso. Ma era chiaro che anche questo non potesse bastargli. E così oggi il campione del Belgio, deputato per fare il gregario di Roglic e frenato nella preparazione da un’operazione di appendicite, si è inventato un altro giorno da gigante decidendo di sfidare il Mont Ventoux. Il gigante del Belgio contro il gigante della Provenza. E ha tirato fuori dal cilindro una giornata che non dimenticherà tanto facilmente. Che ha definito la più bella da quando corre in bici. Mettendola davanti ai mondiali di cross, le classiche e tutti gli altri successi di una carriera portentosa.

Non ha tralasciato nulla, comprese le ruote Metron Vision senza scritte. Il ritardo dovuto all’appendicite è alle spalle
Non ha tralasciato nulla, comprese le ruote Metron Vision senza scritte. Il ritardo dovuto all’appendicite è alle spalle

La più bella

«Sono senza parole – ha continuato a ripetere dopo la vittoria – all’inizio del Tour non avrei mai osato sognare di vincere questa tappa. Invece ieri improvvisamente ho sentito di volerci provare. Ho chiesto alla squadra se potevo infilarmi nella fuga di giornata. Sapevo di non avere le caratteristiche per sfidare una montagna come questa (Van Aert è alto 1,90 e pesa 78 chili, ndr). Invece è venuta fuori quella che potrebbe essere la mia migliore vittoria di sempre, perché il Mont Ventoux è una delle salite più iconiche del ciclismo. Ci ho creduto lungo la strada e con la fiducia tutto è possibile. Anche il supporto del pubblico è stato travolgente. E’ stato un onore salire sul Ventoux con la maglia di campione nazionale».

Pogacar in difesa

Doveva essere la tappa dei ribaltoni, eppure l’unico che ha provato a fare qualcosa è un altro ragazzino terribile, che avevamo scoperto alla Settimana Coppi e Bartali. Quando il Team Ineos ha finito il lavoro e Carapaz ha capito di non avere le gambe per dare un senso alla fatica dei compagni, Vingegaard ha fatto quello che ci si aspetta da un corridore di 24 anni in buona condizione. Ha attaccato, incurante delle conseguenze. E almeno in salita ha fatto il vuoto.

Pogacar ha ceduto. Va bene che aveva ed ha ancora un vantaggio pazzesco. Va bene che dice di non essersi stupito per l’attacco del danese, che segue con interesse da tutto l’anno. Eppure per qualche chilometro ha provato il gusto amaro della fatica e quello più sottile dell’ansia.

«Non ho potuto seguirlo – ha detto a caldo – è partito super forte. Ha messo il rapportone, troppo anche per me. Ho ceduto negli ultimi chilometri, per cui ho cercato di arrivare il più velocemente possibile in cima, ma visto anche il caldo è stata davvero una giornata durissima. Per cui alla fine sono soddisfatto. Quanto alla Ineos, credo che volessero la vittoria di tappa, ma la fuga aveva ancora troppo vantaggio per sperare di prenderli».

Pogacar da solo ha gestito lo sforza: il caldo non gli va giù
Pogacar da solo ha gestito lo sforza: il caldo non gli va giù

Appendicite galeotta

La fuga era Van Aert, che per questa giornata sul filo della follia le ha studiate davvero tutte, compreso l’uso di una coppia di ruote non autorizzate, come del resto aveva fatto anche Van der Poel per salvare la maglia gialla a cronometro. E così, facendo girare molto in fretta la coppia di ruote Metron by Vision, il belga ha staccato anche Elissonde e nonostante la sua stazza, ha addentato il Ventoux con una cadenza prossima alle 85 pedalate.

«E’ stato difficile per me iniziare questo Tour ai massimi livelli – ha raccontato quando l’emozione lo ha in parte mollato – a causa dell’operazione all’appendicite (l’intervento si è svolto a metà maggio e gli ha impedito di correre il Delfinato, ndr). Inoltre nella prima settimana abbiamo avuto davvero tanta sfortuna. Con Primoz Roglic abbiamo perso il nostro leader e con Robert Gesink il nostro super gregario. Oggi purtroppo abbiamo perso anche Tony Martin. Per fortuna in finale tutto è andato a posto. E’ una questione di andare avanti ed essere in grado di individuare nuovi obiettivi ogni volta. Questo mi motiva di più. Continuerò ad aiutare Vingegaard, proprio come tutta la squadra. E’ molto forte, ma oggi è stato il mio giorno».

Cattaneo assieme a Valverde: il bergamasco si è difeso bene. Ora è 11° in classifica
Cattaneo assieme a Valverde: il bergamasco si è difeso bene. Ora è 11° in classifica

Cavendish ce l’ha fatta

Nel caldo torrido di Malaucene, anche oggi la sfida del tempo massimo ha tenuto in ansia i velocisti. Cavendish, questa volta scortato da tutta la squadra è entrato ampiamente nel limite, tagliando il traguardo con 7 minuti di anticipo. Non ce l’ha fatto invece Luke Rowe, dopo aver tirato forte per Carapaz. Altri sette si sono ritirati. E’ un Tour esigente. Chissà se Roglic è riuscito a guardare la tappa o sia ancora in casa a maledire la sfortuna che lo ha tolto di mezzo. Per la sua sfida contro Pogacar, anche senza Dumoulin, avrebbe avuto dei compagni superlativi. Lo dice Van Aert salutando. E intanto si chiede se anche Van der Poel abbia visto la corsa. A modo suo, questa vittoria è anche per il rivale di sempre.

Foss, distrutto e felice. Nuovo Dumoulin in rampa?

31.05.2021
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Visti i distacchi, sarebbe stato impossibile migliorare il nono posto, però intanto Tobias Foss, corridore norvegese di 24 anni, esce dal Giro d’Italia con tante buone indicazioni e sensazioni anche migliori. E trattandosi di un ragazzo che due anni fa ha vinto il Tour de l’Avenir, per la Jumbo Visma ecco un altro motivo per fregarsi le mani.

Il granatiere biondo è nato a Lillehammer, città celebre più per lo sci che per il ciclismo, e nel 2014 e 2015 è stato rispettivamente bronzo e argento agli europei juniores nella crono. Poi, quando già correva con la Uno-X, nel 2019 ha vinto il Tour de France degli under 23, lasciandosi alle spalle il nostro Giovanni Aleotti e il belga Van Wilder, ora al Team Dsm. Piazzandosi terzo quell’anno anche nella Liegi-Bastogne-Liegi di categoria e sesto ai mondiali di Harrogate conquistati da Battistella.

Terzo nella crono di Torino, quando non sapeva di dover fare il capitano
Terzo nella crono di Torino, quando non sapeva di dover fare il capitano

Exploit al Giro

Al Giro d’Italia, che non aveva concluso lo scorso anno per il ritiro nella tappa di Tortoreto, Foss si è presentato con il terzo posto nella cronometro di Torino. Ma ciò che più ha sorpreso, trattandosi di un atleta alto 1,84 m per 74 chili di peso, sono state le prestazioni nelle grandi tappe di montagna. Tobias infatti ha ottenuto il 10° posto nella tappa di Cortina, l’11° in quella di Sega di Ala e addirittura il 9° posto all’Alpe di Mera. Nonostante tanto ardire, lo abbiamo visto abbastanza prudente nelle fasi più concitate di corsa, ma come ha raccontato lui per primo, si è trattato di un atteggiamento provvisorio e conservativo, dopo aver visto cadere ritirarsi il compagno Jos Van Emden.

«Sono diventato più prudente dopo la caduta nella quindicesima tappa quando Jos è andato via – racconta – io ero alla sua ruota e ho cercato di proteggermi per impedire che succedesse qualcosa di peggio».

Nella Jumbo Visma, che alle spalle di Roglic ha già tirato fuori Vingegaard, il suo nome va annotato tra quelli buoni.

All’Aquila con Kevin Bouwman, festeggiando per il primo sole
All’Aquila con Kevin Bouwman, festeggiando per il primo sole
Il piazzamento fra i primi 10 era un obiettivo della squadra?

In parte sì, anche se avremmo voluto una vittoria di tappa. Per me si è trattato da andare sempre a tutta. Questo Giro è stato il mio primo Gran Tour in cui mi sia messo davvero alla prova. Perciò lasciatemi fare una valutazione nei prossimi giorni, per capire cosa sto diventando. Un piazzamento fra i primi 10 è un bel risultato.

Te la sei cavata anche bene sulle grandi salite…

Mi sono trovato a correre su percorsi che non si addicono a corridori grandi come me, ma ho avuto la possibilità di farlo in condizioni di cattivo tempo che invece mi vanno più a genio. Diciamo che certe montagne sarebbero state un incubo ben peggiore se ci fosse stato il vero caldo.

A Montalcino 16° all’arrivo, insieme a Caruso e Yates
A Montalcino 16° all’arrivo, insieme a Caruso e Yates
Pensi di aver imparato qualcosa in queste tre settimane?

Il Giro si è trasformato in una grande scuola, vedendo il livello del gruppo. Siamo tornati a casa con tanti dati e tante sensazioni da analizzare che ci permetteranno di fare lavori più specifici in allenamento.

Nel 2019 vincesti il Tour de l’Avenir, quanto ti manca per raggiungere la stessa sicurezza?

Penso che adesso mi trovo allo stesso livello che avevo al Tour de l’Avenir. Magari sono più stanco, ma so che il mio potenziale è ancora lì. Mi dà grandi motivazioni vedere che sto ancora così bene e che posso stare con il gruppo giusto.

Milano, il Giro è finito con un 9° posto su cui lavorare
Milano, il Giro è finito con un 9° posto su cui lavorare
Che cosa pensi delle grandi aspettative che c’erano sulla partecipazione di Evenepoel a questo giro?

Onestamente mi dispiace che il suo Giro sia finito così, ma c’erano davvero tante aspettative ed è brutto andare via a causa di una caduta. Al mio primo Giro venni con poche aspettative perché non sapevo come il mio corpo avrebbe reagito. Forse è stato sbagliato pretendere così tanto da lui. Spero che si riprenda presto e che possa tornare al suo livello.

Affini (quasi) come Freire. Una botta da finisseur

21.05.2021
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Quasi come Oscar Freire. Sul traguardo di Verona, dove lo spagnolo vinse il campionato del mondo nel 1999, Edoardo Affini è stato autore di un attacco degno del migliore dei finisseur. È partito agli 800 metri e per qualche istante è sembrato anche che ce la potesse fare.

Un’azione di potenza, di classe, inaspettata. Un gesto tecnico come sempre più raramente se ne vedono.

Affini (a sinistra) prova la zampata, un gesto tecnico-atletico di spessore
Affini (a sinistra) prova la zampata, un gesto tecnico-atletico di spessore

Una sorpresa

«Non so neanch’io cosa sia successo – dice divertito il gigante della Jumbo Visma – La nostra idea era quella di fare il treno per Groenewegen. Un finale caotico dopo una tappa abbastanza semplice per cui tutti eravamo non dico freschi, perché a metà Giro non si può esserlo, ma c’era nervosismo. Era l’ultima occasione per gli sprinter e la velocità era altissima. Nell’ultimo chilometro ho trovato uno spazio 100 metri prima che ci si richiudesse con l’ultima curva. A quel punto ho pensato fosse il momento di andare, ma con la convinzione di avere alla ruota il mio velocista».

Nizzolo sopravanza il mantovano negli ultimi metri
Nizzolo sopravanza il mantovano negli ultimi metri

Ha fatto il vuoto

E in effetti Affini spinge come un forsennato. Guadagna 20-30 metri. L’inquadratura dall’elicottero lascia sognare.
«Spingevo, spingevo – racconta Affini – quando ho cominciato a guardare per terra sulla mia ruota posteriore e ho visto che dietro non c’era nessuno. A quel punto ho continuato a “blocco totale”… Nessuna comunicazione via radio. Mi sono mancati 15-20 metri penso, non di più. Ripeto: assolutamente non era un’azione programmata. E’ nata per caso sul momento».

Tappa piatta e andatura lenta, nel finale c’erano tante energie in gruppo
Tappa piatta e andatura lenta, nel finale c’erano tante energie in gruppo

Le scritte dalla maglia

A chi gli fa notare che a Torino aveva perso per un distacco maggiore, Affini sorride e annuisce.
«Ah sì! A Torino sono stati 10 secondi, qua non so… 15 metri. Andavamo a 65 all’ora quindi quanto sarà stato: un secondo forse?». 
Fisico possente, il mantovano ha nelle corde questi numeri. È una sorta di Ganna anche lui, sia per le caratteristiche del cronoman che per i watt nelle gambe. E chissà che questa azione non possa dargli il “la” per nuovi scenari e nuove consapevolezze.
«Con la coda dell’occhio ho visto Nizzolo che risaliva come un razzo e, come si dice in gergo, mi ha tolto le scritte dalla maglia!».

Affini (col body) al via della Ravenna-Verona, pronto ad indossare il casco aero
Affini (col body) al via della Ravenna-Verona, pronto ad indossare il casco aero

Un po’ veronese

Affini è un po’ a casa anche lui come Formolo e Viviani. Ciclisticamente parlando è cresciuto nel veronese. Qui si è formato da allievo e da juniores, Pedale Scaligero prima e Contri Autozai poi. Stamattina lo avevamo visto al via tranquillo e sorridente. Parlava con il pubblico alle transenne prima di recarsi al foglio firma. Però ci aveva colpito il fatto che avesse scelto di correre con il body nonostante i 200 chilometri da fare.
«No, non c’entra nulla con il mio attacco. Di solito quando ci sono tappe così piatte con la squadra scegliamo il body e il casco chiuso aerodinamico».

Affini sorride: «Io travolto da… un’apertura atomica»

08.05.2021
3 min
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Affini si è tolto il cappello, ma negli occhi non aveva poi questa grande disperazione. Quando c’è in strada uno come Ganna, puoi sperare, ma in fondo sai che hai le ore contate. Il secondo posto di Torino brucia, ma non fa male. E anzi, è un ottimo segnale per il corridore mantovano che giusto stamattina ci aveva raccontato l’emozione della prima tappa e che alla Jumbo Visma ha iniziato in cammino di crescita che lo convince e in cui crede molto.

«Ho il telefono che scotta – dice – appena si fa qualcosa di buono, c’è tanta gente che vuole salire sul carro. Ma voi c’eravate anche prima e certe cose si notano. Ero sulla “hot seat” e ci ho sperato davvero. Anche quando ho visto l’intermedio, c’erano due secondi. Ho pensato che magari calava. Invece lui ha fatto la differenza nell’ultimo tratto, dove pure io sono andato forte. Non a caso tanti mi hanno avvicinato all’intermedio e poi sono finiti alle spalle. Ma Pippo ha dato un’apertura atomica e… ciao! E’ campione del mondo non a caso, ma due italiani davanti nella crono sono un bel segnale per tutto il movimento. Non so da quanto non accadeva…».

Dopo le classiche, Affini ha tirato il fiato per presentarsi più fresco al Giro
Dopo le classiche, Affini ha tirato il fiato per presentarsi più fresco al Giro

Non fa male

La sconfitta brucia, si diceva, ma non fa male perché il senso della pagina voltata con decisione resta davvero nel tono di voce. E così anche l’errore dopo il sottopasso lo racconta col sorriso…

«Per me è un buon risultato – dice – la mia condizione è migliore dell’anno scorso. Dopo le classiche ho tirato il fiato e la partenza qui è stata buona, speriamo sia di auspicio per il seguito del Giro. Se mi metto a riguardare la crono, vedo una sola sbavatura. Quella curva dopo il sottopasso, appunto. Mi si è spenta la centralina e ho smesso di pedalare anni prima. Poi mi sono reso conto che c’era ancora da spingere. Stamattina avevo fatto tre giri del percorso, lo conoscevo benissimo. Solo che sono andato nel pallone. Ma intendiamoci, potrò aver perso un secondo. Poca roba».

Le randellate

E’ quando gli riferiamo che Ganna ha parlato di randellate reciproche, che Edoardo fa una bella risata scrosciante. Soprattutto quando gli chiediamo quale sa la randellata data di cui vada più fiero.

«In realtà – ride – sono più le volte che mi ha randellato lui. Per trovare traccia delle mie randellate, c’è bisogno di andare indietro al secondo anno da allievi e i primo da juniores, quando io ho vinto il campionato italiano dell’inseguimento individuale e lui è finito secondo. Oppure l’europeo del 2019, quando ero neoprofessionista, quando io feci terzo e lui finì sesto. Poi lui ha cominciato la sua escalation. Quella che io spero di iniziare in questa squadra».

Terzo nella crono Tobias Foss, anche lui alla Jumbo Vsma, atleta di 23 anni
Terzo nella crono Tobias Foss, anche lui alla Jumbo Vsma, atleta di 23 anni

L’effetto pista

Potrebbe essere la pista che ancora pratica ad aver dato a Ganna quel cambio di ritmo nel finale? Affini ci pensa e poi risponde chiaro.

«Anche io continuo ad allenarmi su pista – dice – vado spesso nei velodromi di Padova o di Bassano, perché sono amico dei ragazzi che li gestiscono. Ma certo la preparazione specifica e la dedizione che ci mette, potrebbero aver dato a Pippo questo tipo di vantaggio. Ma su tutto domina la predisposizione per questo esercizio. Anche io ci sono predisposto, ma lui è più predisposto di me. Ripeto: il campione del mondo è lui. Però quando ci siamo salutati gli ho detto che a Milano mi piacerebbe invertire le parti. Lui secondo e io primo. Non ha risposto, io però un pensierino ce lo faccio».

Vingegaard re, danese, della Coppi e Bartali

28.03.2021
4 min
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Probabilmente non se lo aspettava neanche lui di vincere due tappe e la classifica generale. Invece Jonas Vingegaard ci è riuscito ed anche bene. E forte di quei due successi e di una condotta di gara sempre di testa si è portato a casa la Settimana Internazionale Coppi e Bartali. 

Jonas Vingegaard è alto 1,75 metri per 60 chili: scalatore puro, ma anche veloce
Jonas Vingegaard è alto 1,75 metri per 60 chili: scalatore puro, ma anche veloce

Gara d’attacco

Nell’arco della settimana, il portacolori della Jumbo Visma è stato davvero il più forte. E’ uscito dai primi sei solo negli arrivi in volata, nei quali comunque è sfilato nelle prime venti posizioni, per dire quanto fosse “sul pezzo”. In più, anche se non era la corazzata che siamo abituati a vedere, la sua squadra è sempre stata compatta intorno a lui. 

Occhio però a darlo per “sconosciuto”. Jonas aveva già alzato le braccia al cielo nel WorldTour, era successo al Giro di Polonia di due anni fa ed era successo soprattutto quest’anno all’UAE Tour, quando aveva battuto nientemeno che Tadej Pogacar nel secondo arrivo in salita. Non c’è da stupirsi quindi se alla Coppi e Bartali si è portato a casa due frazioni, quella di Sogliano al Rubicone e quella di San Marino. Ricordiamo che anche se ha doti di scalatore è anche molto veloce.

Vingegaard (24 anni) in maglia di leader, tra i suoi compagni della Jumbo Visma
Vingegaard (24 anni) in maglia di leader, tra i suoi compagni della Jumbo Visma.

Mai nel panico

Magari Jonas è partito sapendo che poteva fare bene, ma forse non di vincere. La mattina del via da Riccione però, la sua bici era pronta sui rulli. Voleva scaldarsi e quindi nulla era lasciato al caso.

Poi dalla penultima frazione le cose sono cambiate del tutto per lui. Verso San Marino non ha corso solo per la tappa, anzi… Come lui stesso ha ammesso teneva sott’occhio l’inglesino della Ineos Grenadiers, Hayter, per il discorso degli abbuoni, e il neozelandese Schultz, della BikeExchange.

«Ho fatto uno sprint lunghissimo – aveva detto Vingegaard, dopo la frazione sanmarinese – Ad un tratto ho quasi chiuso gli occhi perché la linea d’arrivo non arrivava mai. Ma una volta presi quei secondi di abbuono sapevo che potevo stare più tranquillo in vista dell’ultima tappa (cioè quella di ieri, ndr). A quel punto avrei fatto di tutto per vincere la corsa».

Una delle qualità di Vingegaard, dice il suo direttore sportivo, Sierk Jan de Haan, è che Jonas non va mai nel panico. Durante questa Coppie e Bartali un paio di volte è stato attaccato e non subito è riuscito a stare davanti. Lui però si è guardato intorno, ha visto quali altri uomini di classifica potevano avere il suo stesso interesse e ha chiuso con loro o sfruttando il loro lavoro.

A Forlì festeggia Honorè ma dietro esulta anche Vingegaard: la generale è sua!
A Forlì festeggia Honorè ma dietro esulta anche Vingegaard: la generale è sua!

Tappa a te, classifica a me

E forse la tappa più bella è stata proprio l’ultima, quella in cui si è sentito un vero grande. Insieme al connazionale Mikkel Frolich Honoré sono fuggiti a dieci chilometri dal traguardo. Magari si sono dati anche un’occhiata d’intesa e come succede nella più classica tradizione ciclistica, sull’arrivo di Forlì Jonas ha lasciato la tappa al connazionale della Deceuninck-Quick Step. Come davvero usano fare i grandi e come magari gli è stato suggerito dall’ammiraglia per non… scivolare come Roglic alla Parigi-Nizza. Ma crediamo poco a questa seconda ipotesi, in quanto la gara finiva sul quel traguardo.

«No, nessun accordo  – ha lasciato intendere Honorè dopo l’arrivo. Anzi, siamo partiti cercando di vincere la corsa». La Deceuninck infatti ha cercato di fare gioco di squadra, isolando Vingegaard. I suoi compagni infatti erano davvero molto giovani. Pensate che il più vecchio della Jumbo presente nelle corsa romagnola era proprio il danese, con i suoi 24 anni, gli altri avevano dai 19 ai 21 anni.

Forte di questa condizione la Jumbo porterà Vingegaard prima ai Paesi Baschi e poi nelle Ardenne, gare in cui sarà al fianco di Roglic. Poi si vedrà se sarà della partita anche al Giro d’Italia, quasi sicuramente sarà alla Vuelta. Ma da qui a fine estate ce ne passa… Intanto Jonas si gode la sua bottiglia di spumante.

Van Aert deluso per sé, contento per Stuyven

21.03.2021
4 min
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Vederli lì a 50 forse 60 metri ma non aprire del tutto il gas per chiudere. Chissà cosa deve aver pensato Wout Van Aert una volta giunto in Via Roma? Uno dei tre “supereroi” era chiaramente il più marcato in quella situazione, anche perché era il più veloce. Gli altri hanno lasciato a lui l’onere di chiudere su Stuyven e Kragh Andersen, almeno sin quando non si è arrivati al limite e Van der Poel è partito lunghissimo, alla disperata.

Van Aert nelle interviste dopogara
Van Aert nelle interviste dopogara

Tocca a te, amico

Wout è amico di Jasper Stuyven, consideriamo anche questo. «Avevo due scelte: provo a chiudere su Jasper e lui non vince, ma neanche io, e qualcuno ne approfitta. Oppure aspettare ancora che si muova qualcuno. E’ molto difficile tatticamente in quelle situazioni fare la scelta giusta. Poi Van der Poel è partito presto, io l’ho seguito e nel finale anche altri mi hanno saltato».

Questo conferma, come abbiamo scritto ieri, che quando si è “troppo favoriti” difficilmente le cose vanno secondo i piani. La corsa resta bloccata in attesa di una mossa di questo o quel pretendente. Aver disputato una Tirreno-Adriatico a quel livello è stato quasi controproducente se si pensa alla Sanremo scoppiettante che ci si aspettava.

Sulla Cipressa Oomen fa il forcing eVan Aert è in seconda ruota
Sulla Cipressa Oomen fa il forcing eVan Aert è in seconda ruota

Troppi sprinter sul Poggio

Van Aert però ha corso bene per quel che lo riguarda. In fin dei conti è stato l’unico dei tre a fare qualcosa sulla Cipressa. Non direttamente, è chiaro, ma ha messo a tirare Sam Oomen. Lo scalatore olandese ha scandito un ritmo elevatissimo che ha impedito ogni altra azione.

«Volevo proteggermi dagli attacchi (il pensiero è rivolto soprattutto a Van der Poel, ndr). Volevo restare così almeno fino al Poggio. Poi lì chiaramente ci sarebbe stata bagarre».

In fin dei conti Wout la volata se la poteva permettere. E tutto sommato la corsa del belga era stata ideale fino a quel momento. Doveva tenere le antenne dritte sul Poggio. E infatti lo ha preso nelle prime posizioni, pedala composto poco dietro Ganna e non appena si muove Alaphilippe è una gatto a mettersi alla sua ruota. E per un po’ ha anche rilanciato (come si vede nella foto di apertura).

«Andare via con lui – riprende Van Aert – sarebbe stato ideale, tanto più con la presenza in gruppo di tanti velocisti». A partire da Caleb Ewan, che a quel punto era diventato, forse, il pensiero numero uno di Wout. Quello è il momento chiave della sua Sanremo: non essere riuscito ad andare via con Alaphilippe e pochissimi altri. 

Stuyven e Van Aert: passaggio di consegne dopo l’arrivo
Stuyven e Van Aert: passaggio di consegne dopo l’arrivo

Van Aert è già al Nord

Dopo l’arrivo i media soprattutto del Nord Europa “rapiscono” l’asso della Jumbo Visma. Dietro al palco lo intervistano per ore. Al suo fianco ci sono gli altri due del podio e a guardarli in volto Van Aert sembra essere quello più disteso, il più fresco. E tutto sommato il fatto che abbia vinto un suo connazionale e amico lo rincuora dal non essere riuscito a fare il bis. Anche se lui si dichiara deluso.

«Avevo la gamba per vincere, ma la situazione era troppo complicata con un amico là davanti, ma anche con tutti gli altri». 

Dopo la Tirreno con la sua squadra era andato in quel di Imola. Si erano fermati lì. Wout ha percorso magari anche qualche strada del mondiale e devono essergli passate davanti le immagini dei due argenti (crono e strada). Alla Sanremo non voleva un altro piazzamento. Però dal team parlano di un Van Aert sereno e disponibile come sempre, uno dei pochi che non aveva neanche riprovato il finale. Meglio tornarci direttamente con il numero uno sulla schiena.

«Okay non ho vinto – ha concluso Van Aert – ma non bisogna disperare. Alla fine ci sono Fiandre, Roubaix e altre classiche. Mi aspettano tre settimane molto interessanti».

Parigi-Nizza: vince Bennett, riparte Roglic

07.03.2021
4 min
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A quattro mesi dall’ultima tappa della Vuelta, alla Parigi-Nizza è tornato oggi in gruppo Primoz Roglic. Il numero uno al mondo del 2020 ha rimesso sul tavolo lo stesso programma dello scorso anno, anche se proprio allora il rifiuto del team di partire nella corsa francese lo costrinse a cominciare direttamente dopo il lockdown. Al campionato di Slovenia, vinto il 21 giugno. Che cosa ha fatto Roglic per tutto questo tempo?

La sua ultima corsa era stata la Vuelta
La sua ultima corsa era stata la Vuelta

Poche distrazioni

Dopo la Vuelta ha passato qualche giorno in Svizzera, poi è andato in Slovenia per salutare i parenti e già alla metà di dicembre era di nuovo a Monaco. Pochi giri reali per compiacere gli sponsor, sostituiti da incontri virtuali perché il Covid non permetteva di fare diversamente. La stessa Jumbo Visma ha chiesto il giusto, ma soltanto quando era davvero possibile, anche perché in questo tempo è meglio evitare di prendere troppi voli. Facile intuire che se si fosse trattato di un corridore olandese, vinte la Liegi e la Vuelta e perso il Tour al penultimo giorno, avrebbe avuto il suo bel da fare in giro per aziende. Ma Roglic si è dato una disciplina tutta sua, segue a dovere i pochi nomi che gli stanno a cuore e per il resto respinge ogni invito.

Al via della Parigi-Nizza, anche Nizzolo e il suo nuovo casco
Al via della Parigi-Nizza, anche Nizzolo e il suo nuovo casco

Bici e fondo

Ovviamente un corridore di simile livello non è stato per quattro mesi a perdere tempo. Roglic infatti si è allenato forte, concedendosi anche una parentesi sugli sci di fondo a gennaio, mese dell’unico ritiro con la squadra. In quella stessa occasione, come tutti gli altri membri del team, Primoz ha dovuto digerire il saluto di Dumoulin che davvero non si aspettava. Non ha commentato, ma come tutti ne è rimasto spiazzato. Al di là dell’aspetto umano, l’olandese era un importante valore aggiunto e avrebbe fatto molto comodo.

Obiettivo Ardenne

Al momento di disegnare la sua stagione, inaugurata appunto oggi con la Parigi-Nizza, Roglic ha chiesto di eliminare dal programma una corsa a tappe, per concentrarsi sulle corse ardennesi (nel 2019, ultima annata… normale prima del Covid, dopo la Tirreno-Adriatico, corse infatti il Romandia). Di certo aver vinto la Liegi dello scorso anno potrebbe averlo ingolosito, anche se quelle gare lo hanno sempre affascinato. Nel 2020, uscito dal mondiale, saltò la Freccia Vallone e puntò dritto sulla Liegi. Quest’anno il menù potrebbe essere completo.

Prima tappa della Parigi-Nizza a Saint Cyr L’Ecole per Sam Bennett
Prima tappa della Parigi-Nizza a Saint Cyr L’Ecole per Sam Bennett

Nodo Dumoulin

L’argomento Dumoulin in realtà non può essere liquidato in poche parole, al netto del rispetto dovuto alla sua scelta. E se anche in un angolo c’è la timida speranza che Tom ci ripensi, l’atteggiamento di Roglic è di totale fiducia nei confronti della squadra. La Jumbo Visma infatti lo ha sempre ben sostenuto, ha fatto scelte sensate e contemporaneamente ha coltivato una bella schiera di giovani che faranno certamente la loro parte.

L’unico nodo da sciogliere riguarda forse George Bennett. Lo scalatore neozelandese dovrebbe essere infatti uno dei pilastri del team sulle salite del Tour, ma ha anche espresso la volontà di tornare al Giro d’Italia, puntualizzando cautamente che non lo farebbe pensando alla classifica. Di certo occorre individuare un nome in grado di esprimersi al livello di Dumoulin e non sarà facile.

Alaphilippe_Roglic_Hirschi_Liegi2020
L’anno scorso Roglic ha vinto la Liegi al fotofinish su Alaphilippe. Terzo Hirschi
Alaphilippe_Roglic_Hirschi_Liegi2020
L’anno scorso ha vinto la Liegi al fotofinish su Alaphilippe

Obiettivo Tokyo

Il Tour è già di per sé un impegno piuttosto oneroso e quest’anno, fra le incognite di cui tenere conto, c’è anche il poco tempo fra la tappa di Parigi e le Olimpiadi di Tokyo. Si tratta a ben vedere di un problema per tutti i corridori che dalla Francia voleranno in Giappone. Per Roglic, Pogacar e Bernal che lotteranno per la classifica. Per Hirschi che magari dovrà lavorare per Pogacar. E forse per lo stesso Van Aert, che sarà proprio al fianco di Primoz. Quelli più liberi da compiti particolari saranno Alaphilippe e Nibali, come pure Valverde, Van Avermaert e Fuglsang. La stagione dello sloveno è appena iniziata, ma gli impegni e le variabili sono già tanti. E al momento giusto sarà bene per lui avere a disposizione tutte le energie possibili. Forse alla luce di questo, l’inizio ritardato della stagione non è poi così sballato.