Sivakov, le cadute e i dubbi di Tosatto

24.04.2021
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Era stato proprio Sivakov a gettare il guanto della sfida sulla salita finale di Feichten. Yates lo aveva raccolto e rilanciando aveva lasciato il leader della Ineos a 41 secondi. Si era capito che nel corpo a corpo, lo scalatore del Team Bike Exchange fosse più forte, ma la sensazione comune era che lo squadrone britannico lo avrebbe messo in croce lavorandolo ai fianchi. Invece una caduta nella tappa di Naturno ha privato Sivakov del podio. I quasi due minuti persi l’indomani Pieve di Bono, il giorno della vittoria di Pello Bilbao, ne sono stati la conseguenza. Per cui il giudizio su di lui andrà rinviato al Giro d’Italia, che correrà al fianco di Bernal.

«Fondamentalmente volevo tornare al Tour de France – ha spiegato lui – perché l’anno scorso l’ho lasciato con un cattivo sapore in bocca e volevo in qualche modo vendicarmi. Poi però abbiamo parlato con il mio allenatore e abbiamo deciso che quest’anno, per proseguire nella mia crescita, proverò fare due Grandi Giri. E così abbiamo puntato sull’Italia».

Arrivo a Pas de Peyrol al Tour 2020, a più di 10′ assieme ad Alaphilippe
Pas de Peyrol, Tour 2020, a più di 10′ assieme ad Alaphilippe

Tutto da capire

La chiave di lettura è certamente singolare e forse poco lusinghiera per chi pensa che il Giro avrebbe bisogno di ben altre motivazioni. Tuttavia proveremo a sganciarci dal patriottismo e a considerare che al di là delle considerazioni sulla maturazione del russo, per il Tour la squadra fosse già a posto.

«Sivakov – diceva Matteo Tosatto alla partenza del Tour of the Alps da Innsbruck – sta andando forte, ma va capito. Ha vinto questa corsa nel 2019, avendo uno come Froome che gli faceva da gregario. Il Froome di prima dell’incidente, per capirci. E se uno così lavora per te, dai ben più del massimo. Al momento lo vedo come uno non abbastanza forte in salita da reggere gli scalatori e che deve crescere per essere un cronoman imbattibile».

U23 inarrestabile

Eppure nell’ultimo anno con la Bmc Development, il 2017, Pavel fu inarrestabile. Fu allora che imparammo a conoscere il russo, nato a San Donà di Piave mentre suo padre Alexei correva alla Roslotto e faceva base in Veneto. Vinse in successione la Ronde de l’Isard, il Giro d’Italia Under 23, il Giro della Valle d’Aosta e il Tour de l’Avenir. Facile immaginare, alto, magro e fortissimo qual era, che il Team Sky non se lo lasciasse scappare. E nel 2019, dopo un anno di apprendistato, Sivakov vinse il Tour of the Alps e il Giro di Polonia. Nel primo caso si lasciò alle spalle il compagno Geoghegan Hart e Nibali. Nel secondo toccò a Hindley e Ulissi. Nel mezzo chiuse 9° al Giro d’Italia: c’era tutto insomma per il debutto al Tour de France, fissato per il 2020.

Sull’arrivo in salita di Feichten ha innescato lui il contrattacco di Yates
Sull’arrivo in salita di Feichten ha innescato lui il contrattacco di Yates

Lezione di vita

Purtroppo per lui, gli squilli di fanfara si fermarono il primo giorno a Nizza, in quella dannata caduta che appiedò mezzo gruppo, ma per lui fu quasi la causa di un crollo emotivo.

«E’ stato difficile – ha raccontato – ero davvero ad un livello molto alto e avevo grandi ambizioni. Di colpo è crollato tutto. Ripensandoci oggi, avrei agito diversamente. Non avrei fatto le ricognizioni e mi sarei davvero riposato il più possibile prima di cominciare il Tour. Ero già caduto nell’ultimo giorno del Delfinato e il primo del Tour è stato terribile. Sono state tre settimane difficili fisicamente e mentalmente. Sono cose che capitano, ma restano una lezione di vita».

Keep calm

Forse la consapevolezza che non serva essere sovraeccitati nell’avvicinamento alle corse gli ha permesso di gestire senza ansia apparente il momento di difficoltà al Tour of the Alps. Al via dell’ultima tappa, Dario Cioni ha confermato che dopo una caduta come quella da lui subita, sarebbe stato impossibile continuare come se nulla fosse.

«Fossi quello dell’anno scorso – ha detti Sivakov lasciando la corsa – avrei avuto paura di perdere il mio livello, ma spero che il 2020 resti una parentesi isolata».

L’ultimo inverno è stato di vero stacco. A dicembre è stato in Spagna con Tao, hanno fatto un piccolo stage in Spagna vicino a Calpe e poi a gennaio si è svolto quello con il team Ineos a Gran Canaria.

«Ho una buona condizione – ha detto – ma posso migliorare. Ormai il Giro è alle porte, non c’è bisogno di fare più chissà quali lavori».

Alla partenza dell’ultima tappa del Tour of the Alps accanto a Moscon
Al via dell’ultima tappa del Tour of the Alps con Moscon

Arriva Bernal

La libertà avuta al Tour of the Alps si ridurrà con l’arrivo in Europa di Egan Bernal. Ma come ha fatto notare giustamente ieri Stefano Garzelli, il colombiano ha ancora qualche dubbio da togliersi. E anche se i suoi allenamenti su Strava sono stati finora un vero crescendo, la presenza di Sivakov accanto fa pensare a un puntello casomai le cose non andassero per il meglio. Anche Egan probabilmente ha qualche dubbio da togliersi.

Innsbruck ci riporta un grande Moscon

19.04.2021
5 min
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Tre anni dopo, lo stesso arrivo. Moscon è passato sul traguardo soffiando via la fatica e sorridendo. Quando si è fermato oltre le transenne, i compagni che arrivavano di volta in volta, si sono avvicinati salutandolo come un amico che finalmente ha ritrovato la strada. Mentre Innsbruck lasciava filtrare raggi di sole, dopo la neve sul Brennero. Inizio migliore per il Tour of the Alps era difficile disegnarlo.

Nel 2018, sullo stesso arrivo, un quinto posto con qualche rimpianto
Nel 2018, sullo stesso arrivo, un quinto posto con qualche rimpianto

Un quinto amaro

Nel 2018 era arrivato al mondiale sullo slancio della rabbia per l’espulsione dal Tour e grazie al lavoro sottile di Cassani. Nella Innsbruck che chiamava Nibali, ci pensò Gianni a tenere davanti la maglia azzurra. Lo Squalo mostrò il fianco dopo la caduta del Tour, l’intervento alla schiena e la ripresa miracolosa. Moscon provò a resistere al forcing di Valverde, ma alla fine non riuscì a tenere i primi. Anche oggi era al rientro, ma dalla caduta di Kuurne e la frattura dello scafoide, venuta all’indomani di quel bello scatto sul Grammont. Con lui stava lavorando da un paio di mesi Tosatto e le parole del tecnico trevigiano in una gelida serata a casa sua erano suonate profetiche.

Neve sul Brennero, poi finalmente il sole a Innsbruck
Neve sul Brennero, poi finalmente il sole a Innsbruck

La Liegi e il Giro

Anche stamattina, il Toso e Cioni raccontavano ai piedi del pullman. «Gianni sta bene – dicevano – ma certo questa è la prima corsa. E’ stato per due settimane sul Pordoi, si è allenato davvero bene. Da solo, c’era la sua ragazza. L’obiettivo è arrivare bene al Giro e la Liegi che correrà dopo questo Tour of the Alps sarà un bel passaggio verso Torino. Difficile possa pensare di vincere, ma anche lavorare per la squadra può essere un bel crescere».

Difficile capire se stessero bluffando o non si rendessero conto della motivazione del ragazzo, in ogni caso la fiducia era tanta.

Alessandro De Marchi e una fuga per guadagnarsi il posto al Giro
Alessandro De Marchi e una fuga per guadagnarsi il posto al Giro

Adesso Gianni è qua davanti, il baccano del podio rende difficile ascoltarsi. E’ sorridente ed ha finalmente addosso la voglia di raccontare.

Con questo rettilineo avevi un conto in sospeso…

Sono già passati tre anni. E’ bello vincere qui, abito a 200 metri. Conoscere le strade è stato importante, ma puoi avere in testa tutti gli attacchi del mondo, è la gara che decide.

Nel finale hai parlato con i compagni, l’attacco era previsto?

Sapevamo che fosse una tappa per attaccare e io sapevo di avere la mia chance. L’abbiamo interpretata bene e mi sono fatto in anticipo il regalo di compleanno. Ho seguito l’istinto, ho visto che eravamo al limite. Tutti vogliono vincere e stavolta è andata nel verso giusto per me. A volte provi e va male, a volte provi e funziona. Non vincevo dal 21 ottobre del 2018, al Tour of Guanxi. Era importante farlo ancora.

Savini e Umba nella fuga dei quattro ripresa in finale
Savini e Umba nella fuga dei quattro ripresa in finale
Quanto è stato duro doversi fermare per lo scafoide rotto?

Molto duro. Era una brutta frattura e c’è voluto tanto perché guarisse. Però non ho perso la voglia di lottare.

Tosatto ha dovuto insistere perché gli permettessero di portarti qui.

Toso ha sempre creduto in me, anche nei momenti peggiori. Quando parti sapendo che in squadra c’è chi crede in te, il morale è già un’altra cosa.

Tosatto crede in te e Cioni ti allena, sembra tutto perfetto ora…

Con Dario mi sono allenato i primi anni, ottenendo anche dei risultati inaspettati. Poi la voglia di strafare ti fa superare il sottile limite tra andare forte e non andare più. Io credo che mi sia successo questo. Tornare ad allenarmi con Dario è stato come tornare a casa. Ho ritrovato la leggerezza, la voglia di divertirmi sulla bicicletta. Perché il ciclismo è certamente fatica e sofferenza, ma in allenamento devi anche divertirti, sennò non vai avanti. Per cui dico grazie a chi ha creduto in me.

La svolta è stata davvero radicale: alimentazione e allenamento…

Al Team Ineos non c’è mai stato un vero regime alimentare, siamo abbastanza liberi di seguire la nostra dieta. Ma quando si vuole portare l’asticella più in alto, si pensa che limare quel mezzo chilo per far crescere il rapporto potenza/peso sia una cosa che funziona. Allo stesso modo fai una ripetuta di più in salita, ma arrivi al punto che tanto lavoro non dà più frutti e diventa controproducente. A me è successo questo. Pesavo poco, ma non spingevo.

Mentre adesso?

Ora mi alleno meglio e mangio meglio. Sono sempre stato un atleta potente, non ho bisogno di essere anoressico per andare forte in salita. E così ho ritrovato il mio spunto.

Dopo l’arrivo, aspettando i compagni più contenti di lui
Dopo l’arrivo, aspettando i compagni più contenti di lui
Ultimo pensiero per Nibali, anche lui con il polso malmesso…

Le fratture sono diverse, ma il Giro è vicino. Se possa tornare dipende dalla sua voglia di rischiare che cadendo la frattura possa riaprirsi. Ma è un grande campione, anche al 90 per cento può dire la sua e trovare la condizione durante il Giro. Sarà un avversario, ma gli auguro di guarire bene e di rivederci presto.

Domani è il tuo compleanno.

Ventisei anni. Stasera festeggerò con la squadra e poi vivrò alla giornata. Sono sceso dal Pordoi mercoledì e ho in programma la Liegi. Questi saranno giorni chiave, un bel blocco di lavoro per arrivare bene al via da Torino.

Brabante a Pidcock, adesso Thomas fa paura

14.04.2021
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Era bastato vederlo pedalare sugli strappi del Fiandre per capire che Tom Pidcock stesse crescendo, mentre gli altri iniziavano a vedere la riserva. Ma siccome il mondo del ciclismo è restio a dare spazio agli… intrusi, si pensava forse che il neoprofessionista star del cross potesse farsi un altro giro in sala d’attesa. Senza considerare che la Freccia del Brabante inizia a somigliare più a una corsa su strada che ad una sfida sui muri e le doti da scalatore del britannico sarebbero venute a galla. A costo di risultare ripetitivi, chiunque lo abbia visto vincere il Giro d’Italia U23 si è reso conto che quella superiorità non fosse affatto banale.

«Stavo bene – ha detto a caldo Pidcock e con una punta di malizia – perché finalmente sono riuscito a fare una settimana di allenamenti senza interruzioni. Van Aert è andato a tutta per tutto il giorno e io per stargli a ruota ho dovuto fare gli stessi suoi watt. Ma forse alla fine ha esagerato, mentre io sapevo che sarei potuto arrivare ancora con margine nel finale».

La Freccia del Brabante si corre nel circuito di Overijse che ospiterà i prossimo mondiali
Si corre nel circuito di Overijse che ospiterà i prossimo mondiali

Finale nervoso

Corsa di transizione, regno di uomini potenti e veloci e di campioni eclettici come Pidcock. Raramente negli ultimi tempi si era visto un atleta capace di domare il Mortirolo e poi di spianare i muri battendo in volata lo stesso Van Aert che alla Tirreno beffava i velocisti e alla Gand ha piegato Nizzolo, Trentin e Colbrelli.

«So che giocarsi in volata una corsa come questa – ha detto – non è esattamente come fare le volate al cartello alla fine dell’allenamento. Di solito ho fiducia nei miei mezzi, ma questa volta stavo diventando un po’ nervoso, perché il gruppo risaliva e noi eravamo fermi. Per fortuna è partito Van Aert…».

A 26 chilometri dall’arrivo della Freccia del Brabante, l’allungo di Matteo Trentin
A 26 chilometri dall’arrivo, l’allungo di Matteo Trentin

Trentin guarda lontano

Corsa di transizione, ma ugualmente animata dall’agonismo sfrenato di questi ultimi mesi. E quando a 26 chilometri dall’arrivo Trentin ha piazzato il suo allungo, con un po’ di ottimismo si è pensato tutti che finalmente Matteo volesse scrollarsi di dosso la iella delle apparizioni precedenti. 

«Ho iniziato l’ultimo giro del circuito con un discreto vantaggio – ha raccontato – ma non ho potuto niente contro il gruppo in rimonta. Quando ho visto Van Aert e Pidcock avvicinarsi, ho abbassato il ritmo per risparmiare un po’ di energie. Le gambe stavano bene oggi e mi è mancato soltanto il guizzo finale. Ha vinto giustamente chi è arrivato al traguardo con più freschezza. Non vedo l’ora di tornare ad affrontare questi percorsi nel mondiale a settembre».

Van Aert ha speso tanto: «Forse troppo», annota Pidcock, vincitore della Freccia del Brabante
Van Aert ha speso tanto: «Forse troppo», annota Pidcock

Van Aert è nero

Preso Trentin, nella testa di Van Aert deve essere scattata la convinzione della vittoria già in tasca, senza considerare che il modo di correre come al solito dispendioso lo avrebbe esposto alla rimonta dei rivali. E mentre Trentin nello sprint alzava subito bandiera bianca, il belga ha provato fino all’ultimo e poi è parso davvero contrariato, come si conviene a chi corre sempre per vincere.

«A un certo punto – ha detto il belga, riconoscendo la superiorità dell’avversario – ho capito che Tom aveva più gambe di me. Ha dato un paio di accelerate e per stare con lui ho dovuto stringere i denti. Ma speravo di farcela ed è proprio fastidioso essere entrato nuovamente nella giusta selezione e non essere riuscito a vincere».

Un paio di tirate di Pidcock mettono alla frusta i compagni di fuga
Un paio di tirate di Pidcock mettono alla frusta i compagni di fuga

Assaggio iridato

Terzo a Kuurne, quinto alla Strade Bianche, nel vivo ma poi staccato ad Harelbeke e al Fiandre, Pidcock farà ora rotta verso Amstel e Freccia Vallone, dove il suo peso leggero potrebbe giocare ancora qualche brutto scherzo agli avversari. Poi staccherà con la strada e inizierà a lavorare per le Olimpiadi in mountain bike. Il percorso della Freccia del Brabante ha intanto consentito ai corridori di prendere le misure con l’anello di Overijse che metterà il sale nel prossimo mondiale di settembre, come bici.PRO vi ha anticipato in esclusiva. Lo strappo di Moskesstraat ha fatto male. E vista la selezione di questi 201 chilometri, immaginando quel giorno di doverne fare altri 60, c’è da pensare che il mondiale di Leuven sarà un po’ meno veloce del previsto.

Anche Pidcock a Tokyo in Mtb. Facciamo il punto

01.04.2021
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Non solo Van der Poel, anche un altro big della strada, seppur giovane, punta alle Olimpiadi in Mtb. A Tokyo, infatti, tra i pretendenti alle medaglie ci sarà anche Tom Pidcock. L’inglese della Ineos Grenadiers ha ottenuto il benestare dal suo team per la sfida a cinque cerchi. 

Si tratta davvero di un qualcosa di nuovo, al di fuori dagli schemi per la squadra di Sir Brailsford, la quale però come più volte abbiamo detto sta cambiando pelle.

L’inglese competitivo alla Strade Bianche tra Van Aert e Van der Poel
L’inglese competitivo alla Strade Bianche tra Van Aert e Van der Poel

Un sfida complicata

Tom è senza dubbio un asso della mountain bike. Ha vinto il titolo mondiale U23 nel 2020 (e persino quello assoluto in e-Bike). Tuttavia lo scalatore (ma è giusto definirlo “solo” così?) non ha più fatto gare di livello internazionale. Per farla breve, in Coppa del mondo non si è mai scontrato con i super big. Gli manca il testa a testa con la “cavalleria pesante” del cross country, la specialità olimpica. Lo stesso Van der Poel quando si ritrovò a gareggiare con gli elite ebbe le sue difficoltà all’inizio.

Un conto infatti è scontrarsi con calibri che rispondono ai nomi di Schurter, lo stesso Vdp, Sarrou, Avancini, Flueckiger… e un conto è con gli U23, seppur fortissimi come Vlad Dascalu, che corre in Italia nel Team Trek-Pirelli, o Filippo Colombo, ticinese che ogni tanto si affaccia su strada e spesso esce in allenamento con Nibali e Bettiol. Questi ultimi sono forti, ma ancora distanti dai leader.

Per questo motivo, quando Tom ha annunciato l’obiettivo olimpico ha dichiarato anche un calendario abbastanza intenso di prove offroad.

«Inizierò – ha detto Tom – la stagione con una gara a Leukerbad in Svizzera, tappa di apertura del Proffix Swiss Bike, il primo maggio. Si tratta pertanto di un inizio tosto, considerando il livello medio che c’è in Svizzera. A seguire ecco le tre tappe di Coppa del mondo: Albstadt, Nove Mesto e, dopo un mese circa, Leogang. A quel punto valuteremo se fare altre gare oppure no».

Nel 2020 Pidcock ha conquistato il titolo iridato U23 nel cross country
Nel 2020 Pidcock ha conquistato il titolo iridato U23 nel cross country

Obiettivo: fare punti

Uno dei nodi delle gare di cross country è la griglia di partenza. Questa è stabilita in base al ranking Uci e in questo caso Pidcock, proprio perché ha gareggiato poco, è piuttosto indietro (è 92°) e i punti Uci fatti tra gli U23 non contano in chiave olimpica. Questo non vuol dire che a Tokyo partirà così dietro, perché comunque i posti sono limitati, ma certo anche solo ritrovarsi in quarta o quinta fila vorrebbe poter dire addio alle medaglie già in fase di partenza. Il rischio di rimanere imbottigliati in cadute e noie meccaniche è molto elevato.

Per questo, ancor più che Van der Poel, Pidcock farà le prime due gare di Coppa, quelle che assegnano punti Uci: deve guadagnare posizioni. Questo potrebbe voler dire che ancora prima di cercare la prestazione, Tom correrà con l’intento di risalire il gruppo e trovare il feeling nelle gare di altissimo livello. In particolare Nove Mesto è molto complicata anche dal punto di vista tecnico, con il suo celebre rock garden, il più lungo di Coppa.

«Se farà bene ad Albstadt – ha detto il suo allenatore Kurt Bogaerts – le chance aumenteranno. Arrivare tra i primi 16 in Germania gli consentirebbe di partecipare alla gara di qualificazione dello short track (una sorta di qualificazione tipo la F1, ndr) per la gara di Nove Mesto. E partire a sua volta più avanti gli dà maggior possibilità di fare bene e di ottenere punti».

Pidcock durante i test con la sua Bmc Fourstroke
Pidcock durante i test con la sua Bmc Fourstroke

Dal pavè alle rocce

Intanto Pidcock sta correndo le classiche fiamminghe. Per le quali ci dicono essere particolarmente concentrato. La prestazione ottenuta alla Strade Bianche lo ha galvanizzato e gli ha dato la consapevolezza, semmai ne avesse avuto bisogno, che è competitivo anche WorldTour. 

Sempre secondo il suo coach questi sforzi gli potranno fare bene anche in ottica Mountain Bike, ma correre su certi terreni, acquisire la tecnica resta comunque fondamentale. E farlo in corsa lo è ancora di più.

Tom è andato in Spagna, a Banyoles, in Catalogna, per lavorare su questo aspetto. E lo ha fatto prima delle classiche del Nord, anche perché doveva mettere a punto alcuni nodi tecnici, come la scelta della bici sulla quale gareggiare visto che Pinarello (marchio della Ineos) non produce Mtb. Alla fine Tom ha optato per una Bmc Fourstroke con sospensioni SR Suntour e componenti Shimano. Una bici molto simile, per non dire identica, a quella utilizzata da Jordan Sarrou, nell’ultimo campionato del mondo (da lui vinto). Una bici sul cui sviluppo c’è la forte impronta di Julien Absalon, due volte campione olimpico e pluri-iridato. 

Si tratta di una full suspended (biammortizzata) e il marchio SR Sountour, anche se molto più piccolo rispetto a Fox e Rock Shox, consente un lavoro molto più personalizzato con i suoi corridori. Insomma, Tom potrebbe averci visto lungo nella scelta del mezzo e delle sospensioni. Sapendo che la tecnica, almeno a certi livelli, potrebbe essergli contro ha cercato di sopperire a questo gap con una bici che perdona un po’ di più.

Noi intanto aspettiamo con grande curiosità il mese di maggio, per vedere lui e VdP a confronto coi giganti della Mtb.

Gemelli Yates, uguali per modo di dire! Algeri racconta

31.03.2021
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Gli Yates sfuggono alla regola, come fu in epoca recente anche con gli Schleck, secondo cui tra due fratelli che corrono uno va forte e l’altro fa numero. Sarà perché sono gemelli? I due britannici vanno come le moto e adesso che Adam è passato alla Ineos Grenadiers avranno finalmente modo di misurarsi. E se inizialmente è parso strano che si siano separati, adesso la novità inizia a sembrare ghiotta. Pur essendo gemelli, quali sono le differenze fra loro? Lo abbiamo chiesto a Vittorio Algeri, che li ha accolti alla Orica-GreenEdge nel 2014 e li ha visti crescere.

Lo scatto di Simon Yates verso Prati di Tivo è stato un bel segno di vitalità
Lo scatto di Simon Yates verso Prati di Tivo è stato un bel segno di vitalità
Sono proprio uguali?

Mica tanto. Adam è più estroso e al limite anche nervoso. Simon è più calmo e riflessivo. Adam a volte esplode. Sono sempre stati così, ma fra loro vanno d’accordo, pur essendo sempre in competizione. Se uno vince, l’altro cerca di pareggiare subito i conti. Ricordate quando nel 2018 Simon vinse alla Parigi-Nizza e il giorno dopo Adam andò in fuga e vinse alla Tirreno-Adriatico a Filottrano? Fra loro è sempre così.

Simon sembrava più vincente…

Simon sembrava il predestinato, ma Adam ripeteva che avrebbe vinto grandi corse anche lui. Al Catalunya ci è riuscito e si è lasciato indietro anche il fratello, ma va detto che Simon ha perso le corse spagnole di inizio stagione e ha bisogno di fare chilometri.

Scattano entrambi in salita con il lungo rapporto.

Adam ha sempre esagerato. La sua prima corsa con noi fu in Argentina. Nella settimana che precedeva la gara, seguendolo in allenamento non facevo che dirgli di andare più agile. Poi però vinse la classifica dei giovani, quindi evidentemente quei rapportoni non li pagò.

Adam Yates ha vinto il Catalunya, precedendo i compagni Porte e Yates
Adam Yates ha vinto il Catalunya, precedendo Porte e Yates
Simon è più agile?

Agile è un parolone – sorride Algeri – e comunque hanno i loro allenatori che li guidano. Piuttosto spero che Simon abbia risolto i suoi problemi e possa tornare quello del Giro 2018. Ha doti importanti. L’anno scorso era preparato bene per il Giro, poi saltò fuori la positività al Covid. Quest’anno ha corso la Tirreno senza preparazione. A Prati di Tivo ha attaccato bene, ma si è visto che in finale gli è mancata la base. E a Castelfidardo ha avuto i crampi per lo stesso motivo.

Era prevedibile che si sarebbero separati?

Secondo me era nell’aria e credo che Ineos abbia fatto una bella offerta. In più qui al Team Bike Exchange nel frattempo era tornato Matthews, per cui il budget si è stretto.

Ricordi quando dissero che non sarebbero mai andati al Team Sky?

Ci ho pensato (Algeri ride, ndr), ma cambiare idea ci può stare. Il primo pensiero quando Adam disse che sarebbe andato là, fu che sarebbe andato a tirare per gli altri. In realtà fino a questo momento ha avuto le gambe per imporsi ed essere lui uno dei leader. Sono contento se riuscirà a confermarsi a quel livello, altrimenti ci saranno logiche di squadra da seguire, come è normale.

Simon e Adam alla Vuelta 2018 corsa insieme: Adam si riconosce per la cicatrice sul mento
Insieme alla Vuelta 2018: Adam si riconosce per la cicatrice sul mento
Lo vedi adatto ai grandi Giri?

Sulla carta si è sempre pensato che fosse Simon il più adatto alle tre settimane, in cui bisogna sapersi gestire in modo più oculato. Adam può vincere bene il Catalunya, anche se sempre con noi fece un bel Tour nel 2016, arrivando 4° in classifica dietro Froome, Bardet e Quintana, ma a soli 37″ dal secondo posto. E sempre quell’anno vinse la maglia bianca. Sarei curioso di vederlo partire come leader, per capire come regge la responsabilità.

Mentre Simon?

Simon deve mettere chilometri nelle gambe. Non so se al Catalunya abbia sofferto il fatto di stare dietro al fratello – chiude Algeri – spero solo che torni ai suoi livelli. Così poi vederli uno contro l’altro sarà ancora più divertente.

Ganna “a martello”. Cosa voleva fare la Ineos?

20.03.2021
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E alla fine ecco la Ineos Grenadiers. I ragazzi di Dario David Cioni e Matteo Tosatto hanno preso le redini della corsa dalla Cipressa in poi. Tutti si chiedevano perché? Soprattutto dopo la tirata di Ganna… 

In fin dei conti il gruppo era foltissimo e Kwiatkowski, che per carità resta un super corridore, non dava poi tutte queste garanzie, almeno se si pensava a quei tre che avrebbero dovuto “spaccare il mondo”. Perché non lasciare a loro il pallino della corsa?

Luke Rowe e Filippo Ganna, appunto, hanno fatto davvero un gran lavoro. Pippo poi li ha portati “a spasso” fin sulle rampe del Poggio, prima di spostarsi esausto.

Pidcock, Kwiatkowski e Van Baarle subito dopo l’arrivo
Pidcock, Kwiatkowski e Van Baarle subito dopo l’arrivo

Imperativo: stare davanti

Dopo l’arrivo i primi Ineos a tagliare il traguardo si radunano. Scambiano qualche chiacchiera e tutto sommato sono sorridenti. Per assurdo il più dispiaciuto è Pidcock: il novellino di 59 chili ha l’aria di chi ha perso una grande occasione.

«E’ stata una Sanremo molto veloce – dice Cioni appena sceso dall’ammiraglia – Nel finale eravamo davanti perché se dopo la Cipressa non corri in quelle posizioni non vinci la corsa. E’ semplice! Siamo rimasti in testa al gruppo con la speranza che poi i ragazzi avessero le gambe per seguire chi si sarebbe mosso. Alla fine davanti avevamo Pidcock e Kwiato non si è agganciato per poco.

«Kwiatkowski era il capitano e Pidcock il jolly. A dire la verità aveva carta bianca anche Ganna, ma poi non stava benissimo nella prima parte della gara e così Pippo ha scelto di lavorare per la squadra».

Pidcock in azione sulla Cipressa. Molto reattivo anche sul Poggio
Pidcock in azione sulla Cipressa. Molto reattivo anche sul Poggio

L’attacco di Kwiato

Il polacco, che vinse questa corsa nello splendido arrivo a tre del 2017, ha provato a giocarsela in discesa. Lui il Poggio lo conosce a menadito e, probabilmente sapendo di averne un po’ meno sia per la “botta in finale” che per la volata, ha cercato di anticipare. Forse, però, quando ci ha provato a quel punto la tattica era un po’ bloccata. Probabilmente anche in Ineos si aspettavano qualcosa di più dai tre favoriti.

«Sono mancate un po’ le gambe – afferma Cioni – ma come succede a tanti del resto. La Sanremo è una gara particolare: pensi di stare bene e poi nel finale ti rendi conto che non è così. Per quel che avevamo visto alla Tirreno, un po’ tutti si aspettavano qualcosa di più da Van Aert, Alaphilippe e Van der Poel. Uno scontro fra titani sul Poggio. Ma come ho detto la Sanremo è una gara lunga, una gara strana e non sempre uno ha le gambe che pensa di avere. E questo vale anche per loro evidentemente. Quindi complimenti al vincitore che è andato forte!».

Già, complimenti al vincitore. Ma visto come è partito Stuyven e cioè in discesa sui “residui” di un’azione, forse anche giusta, impostata proprio da Kwiatkowski magari un po’ di rammarico c’è.

«Sì, ci vuole anche un po’ di fortuna. Bisogna essere lì e cogliere l’attimo. E’ andata meglio a qualcun altro».

Stamattina Ganna è stato l’ultimo a lasciare il suo bus ed era molto serio
Stamattina Ganna è stato l’ultimo a lasciare il suo bus ed era molto serio

E Ganna lavora per il futuro?

Ma se la corsa della Ineos è finita di fatto ad un chilometro dall’Aurelia, qualche cosa da salvare c’è eccome: innanzi tutto Pidcock. Tom, 21 anni e alla prima Sanremo, è arrivato davanti e Ganna era lì, nonostante non fosse in forma. Stando alle parole del gruppo la sua azione è stata determinante nell’economia della corsa. Di fatto il “Pippo nazionale” ha impedito ogni altro scatto o azione.

«Ganna – conclude Cioni – poteva entrare in gioco in due punti: uno era sulla Cipressa se ci fossero stati dei movimenti, e l’altro sul Poggio. In questo secondo caso se avesse avuto la gamba buona avrebbe dovuto seguire».

E, aggiungiamo noi, semmai fosse arrivato davanti in fondo all’Aurelia avrebbe dovuto dare una botta della sue, come fece Cancellara nell’ormai lontano 2008.

Cioni, raccontaci quel folletto di nome Pidcock

10.03.2021
4 min
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Ultima Strade Bianche, parla Cioni. Primi 5 arrivati tutti con un passato (per alcuni anche un presente) in altre discipline, ciclocross e/o mountain bike. Un caso? Difficile pensarlo e ritenere che le caratteristiche del percorso toscano fossero un terreno ideale per chi ha radici nell’offroad è riduttivo.

Guardiamo ad esempio Thomas Pidcock. Dopo la bellissima stagione nel ciclocross, al suo esordio fra i pro’ ha già fatto vedere di che pasta sia fatto alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne, terzo addirittura in volata. Dario David Cioni, uno dei preparatori della Ineos Grenadiers non ne è stupito: «La classica belga ha dato in questo senso risposte ancora più importanti, essere così brillante dopo 5 ore di gara, giocarsi la vittoria allo sprint ha detto molto del suo potenziale. Tutti pensano che sia un semplice scalatore, ma non è così. Non è certo fermo allo sprint… In Toscana ha fatto benissimo, ma lì per uno come lui era quasi più semplice».

Ai mondiali di cross ha pagato il percorso pesante e i suoi appena 59 chili
Ai mondiali di cross ha pagato il percorso e i 59 chili

Cioni, il precursore

Parlarne con Cioni non è casuale. Dario è stato un precursore della multidisciplina in Italia: nazionale nella mountain bike sul finire degli anni Novanta, autore di un clamoroso secondo posto in Coppa del mondo nel 1996 a Sankt Wendel (considerata al tempo la “Roubaix” delle ruote grasse), poi non ha resistito ai richiami della strada, dove si è costruito una carriera lunga e rispettabile. Un po’ si rivede in Pidcock, anche se le caratteristiche tecniche sono molto diverse: «Chi pensava che, vedendo le ultime gare di ciclocross della stagione, peccasse di resistenza sbagliava. Ma non dobbiamo dimenticare – prosegue Cioni – che sono discipline diverse. Nel ciclocross gli altri avevano accelerazioni nel finale che il britannico soffriva, nelle gare su strada i ritmi gli sono attualmente più congeniali, ma è agli inizi, ogni gara è una scoperta per lui e per noi».

I tre di questo podio del cross, protagonisti anche alla Strade Bianche
I tre di questo podio del cross, protagonisti anche alla Strade Bianche
Un Pidcock in Italia non c’è, forse perché si è iniziato troppo tardi a parlare di multidisciplina?

All’estero fare più discipline è normale soprattutto agli inizi, qui si è sempre stati più settorializzati. E’ un discorso che coinvolge anche la Federazione, nel passato non si è mai guardato alle varie discipline in un contesto unico. Parlando anche per esperienza personale, il ciclocross è in un’altra stagione e non dovrebbe essere visto come un ostacolo per la strada, mentre la Mtb per le sue caratteristiche tecniche sarebbe un giusto anello di congiunzione. Non bisogna però dimenticare che molto dipende dal singolo atleta. Qui parliamo di campioni veri, come Van Der Poel o lo stesso Pidcock, che riescono a cambiare disciplina con facilità.

Che cosa andrebbe fatto per accelerare su questa ricerca di cambiamento, anche culturale?

Io penso che le squadre continental dovrebbero avere un occhio di riguardo verso i giovani, soprattutto gli under 23 delle altre discipline ciclistiche. Attraverso di loro sarebbe più facile creare quelle strutture di passaggio. D’altronde se guardiamo al ciclocross, di ragazzi interessanti in Italia ce ne sono. Le continental sarebbero un ponte ideale per fare esperienza su strada senza precludere la loro carriera anche invernale, come per il campione olandese o per Tom.

Pidcock ha debuttato con la Ineos nel vecchio Tour du Haut Var
Pidcock la debuttato con la Ineos nel vecchio Tour du Haut Var
Cioni incontrò diffidenza quando cambiò disciplina?

Io ebbi la fortuna di correre in Mtb nella Mapei e di passare con loro alla strada. Quando ero alla Grassi e sempre con la Mapei avevo già fatto uno stage su strada correndo già ai massimi livelli in mountain bike. Io poi ho iniziato molto tardi nel ciclismo, a 18 anni, e ho concentrato tutte le esperienze in pochi anni.

E Thomas come viene visto nel gruppo, per questo suo essere tecnicamente dalle mille sfaccettature?

I tempi sono diversi, ormai non ci si stupisce più dei risultati di questi ragazzi provenienti da altre discipline. Lo stesso Roglic ha un passato addirittura nel salto con gli sci e quest’anno sono approdati al professionismo atleti provenienti dal triathlon o dalla corsa in montagna. Uno come Pidcock ormai è la normalità, non fa quasi più notizia…

Ma forse il podio di Bernal non è una sorpresa

06.03.2021
3 min
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Sul podio della Strade Bianche assieme a Van der Poel e Alaphilippe, Egan Bernal si è guardato intorno non senza sorpresa e ha avuto una bella sensazione. Certo i sogni erano altri, ma quando sei fuori dalla tua comfort zone (che nel suo caso sono le salite e le alte quote), anche i sogni devono adeguarsi. E il terzo posto a Piazza del Campo è un risultato che forse neppure il colombiano in partenza avrebbe messo in conto e che magari potrebbe indicargli altre direzioni da affiancare ai grandi Giri. Se c’è una lezione che va assolutamente appresa da Van der Poel, Van Aert e Pidcock è che si corre sempre per vincere. Qualunque sia la corsa.

Ua magia che torna tutti gli altri nellle terre di Siena
Ua magia che torna tutti gli altri nellle terre di Siena

Effetto sorpresa

Egan era arrivato in Europa parlando ancora del mal di schiena che lo affligge dallo scorso Tour. Per cui parecchi erano propensi a ritenerlo fuori dai giochi, non aspettandosi di vederlo pimpante come negli ultimi giorni. A Laigueglia prima, quando è arrivato secondo alle spalle di Mollema. E poi alla Strade Bianche che, a quanto vedremo, era un suo vecchio desiderio.

Quado gli chiediamo di avvicinarsi alla transenna, Bernal è nell’area delle televisioni in attesa del suo turno alle interviste. Ma ci vede, ci riconosce e ci raggiunge.

Bernal ha corso spesso vicino ad Alahilippe, in grande forma
Bernal ha corso spesso vicino ad Alahilippe, in grande forma
Come è andata?

Meglio di quanto mi aspettassi. Pensavo di stare lì davanti, ma non così tanto. Alla fine sono riuscito a salire sul podio con Mathieu (Van der Poel, ndr) e con il campione del mondo in una corsa di un giorno. Non sono uno specialista, quindi per me è un grandissimo risultato.

Sei stato a lungo con Pidcock, avevate un piano?

Era difficile andare via da soli, per cui il nostro obiettivo era cercare di superare insieme anche l’ultimo tratto di sterrato e poi giocarci le nostre carte, magari scattando a turno. Però alla fine ha attaccato Mathieu e dalla corsa tattica che speravamo di gestire, è diventata una corsa di gambe. Ma secondo me abbiamo giocato bene le nostre carte.

Pidcock assetato dopo l’arrivo, al termine di una prova sorprendente
Pidcock assetato dopo l’arrivo, al termine di una prova sorprendente
Sul podio c’erano due ciclocrossisti e un biker: è un caso?

Ex biker, è stato un po’ di anni fa. Però un po’ ha aiutato. La padronanza della bici in qualche modo ne guadagna.

Ti aspettavi una corsa così?

E’ una delle corse più belle. Per quanto riguarda me, erano già un po’ di anni che aspettavo di farla. Una corsa bellissima anche da dentro per noi corridori, una delle più belle. Pero anche una delle più dure. E io almeno, parlo per me, l’ho goduta.

Adesso si punta sulla Tirreno?

In realtà sono venuto qui pensando di fare bene la Strade Bianche più che la Tirreno. L’obiettivo di questo blocco di corse era la gara di oggi, la Tirreno viene come viene. Sono davvero molto soddisfatto di questo podio, davvero una bella sorpresa.

Che cosa insegna questa corsa? Che un Bernal in forma Giro potrebbe anche togliersi il gusto di andare a conoscere la Liegi. E’ la lezione dei guerrieri di questo ciclismo d’assalto, in cui in apparenza il gusto per la sfida e la capacità di prestazione fanno passare in secondo piano gli schemi di sempre.

Trofeo Laigueglia 2021

Ma questo Bernal? Egan ritrova gambe e sorriso

03.03.2021
4 min
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Il Trofeo Laigueglia incorona non solo Mollema. L’altro eroe di giornata è Egan Bernal, secondo. Il colombiano della Ineos-Grenadiers, oggi è stato tra i più attivi e determinati, tanto da vincere il premio della combattività. E’ bastato vedere come ha gestito la squadra quando fuori c’era la fuga di giornata. Se il gruppo non ha lasciato molto spazio, il merito è stato proprio degli uomini di sir Braislford.

Trofeo Laigueglia 2021
Bernal concentrato prima del via. Si è messo in coda al gruppo
Trofeo Laigueglia 2021
Bernal concentrato prima del via. Si è messo in coda al gruppo

In ricordo di Portal

«Un anno fa ci lasciava Nicolas Portal – racconta Bernal – e oggi abbiamo corso per lui. Può sembrare strano ma è stata una motivazione forte per me e per la squadra. Abbiamo avuto tutti qualche energia in più grazie a lui. Ci abbiamo creduto molto».

Egan passa poi a commentare la corsa. Il Trofeo Laigueglia per lui era il decimo giorno di corsa di questa stagione. Aveva gareggiato all’Etoile de Besseges e al Tour de la Provence, dove tra l’altro si era fatto vedere già in buona condizione agguantando un altro secondo posto nella frazione più impegnativa.

«Non so se con una salita più lunga sarebbero cambiate le cose – commenta Bernal sotto al podio (dove tra l’altro aveva sbagliato gradino!) – è stata una gara veramente dura, corsa ad alti ritmi e non so come sarebbe andata con una scalata più impegnativa. Però questo secondo posto è un bel risultato per me. Mi sono allenato bene e ho subito sentito buone sensazioni però non si sa mai poi come realmente vanno le cose, perché un conto è stare bene in allenamento e un conto è stare bene in corsa. E poi era una gara di un giorno e non a tappe, un qualcosa di diverso ancora per me».

Trofeo Laigueglia 2021
Bernal in azione verso Colla Micheri con Champoussin a ruota
Trofeo Laigueglia 2021
Bernal in azione verso Colla Micheri con Champoussin a ruota

Divertimento ritrovato

Giusto in mattinata, sulle pagine della Gazzetta dello Sport, Bernal aveva detto che voleva ritrovare la voglia di divertirsi in bici, di scattare. E ha mantenuto fede alle sue parole. Tra i big è stato davvero il più attivo in prima persona. Ha rintuzzato, ha attaccato, ci aveva provato ad oltre 40 dall’arrivo persino con Nibali e ha persino fatto la volata.

«Sì è vero, c’è voglia di divertirsi. Con la squadra, come avrete visto, stiamo correndo in modo un po’ diverso. Vogliamo far divertire la gente. Questo è il ciclismo che piace: fare gli scatti, provarci, dare spettacolo. I tifosi vogliono vedere questo e anche noi corridori vogliamo fare così. Speriamo di continuare così… se ci sono le gambe!».

«La mia volata è ideale anche per le classiche? Attenzione – ride – oggi è stata una volata al termine di una corsa dura, ma gli sprint per le grandi classiche tipo Freccia e Liegi sono un’altra cosa. Bisogna mantenere i piedi a terra».

Trofeo Laigueglia 2021
Egan Bernal (24 anni) vince il premio della combattività
Trofeo Laigueglia 2021
Egan Bernal (24 anni) vince il premio della combattività

Verso la Tirreno

Un Bernal così sarà, e vorrà esserlo, protagonista alla Tirreno-Adriatico. Il parterre sarà ancora più agguerrito e le corse a tappe restano il suo terreno ideale.

«Adesso correrò alla Strade Bianche (si tratta di un esordio, ndr) e alla Tirreno, poi si vedrà».

Le cose si stanno mettendo bene per il re del Tour de France 2019, ma visto che è un perfezionista non tutti i tasselli sono perfettamente al loro posto, specie in ottica Giro, che non è poi così lontano. Prima di congedarci infatti gli chiediamo come vanno suoi acciacchi della scorsa stagione, quando aveva dovuto combattere con schiena e ginocchia. «Un po’ meglio – sbuffa – però ancora ne abbiamo un po’ per sistemare tutto perfettamente».