Non è Pidcock, è Moscon che scatta sul Muur. In fuga c’era il britannico che sulle salite guadagnava. Per questo quando il gruppo ha ripreso Alaphilippe e gli altri attaccanti e si è vista una maglia Ineos scattare sul Muur, si è pensato quasi subito che fosse il folletto del cross, che l’anno scorso ha vinto il Giro d’Italia U23. Poi però l’inquadratura ha stretto e ci siamo accorti tutti che l’uomo della Ineos Grenadiers era Gianni. E in quel momento è sembrato che il trentino fosse partito per riprendersi dal destino tutto quello che a vario titolo ha lasciato lungo strada.
Moscon s’è alzato sui pedali, come quando veniva quassù da giovane, come il ragazzo che sta ricercando nel nuovo anno. Per un secondo è sembrato quasi piantarsi, poi ha dato tutto nella seconda parte della salita e ha preso il largo. Quel muro è il teatro della storia, anche senza pubblico. E’ bastato socchiudere gli occhi per rivederci Bartoli e Ballan e tifare d’istinto per il trentino all’attacco.
Zona mista
L’Omloop Het Nieuwsblad l’ha vinta Ballerini. Attraverso la zona mista ricavata per consentire ai giornalisti di parlare con i corridori, prima che spariscano in quella matrioska di salvaguardia formata dai pullman nella bolla, sfilano i volti e le gambe impolverati dopo la prima sfida del Nord. Gilbert è sommerso dai microfoni belgi e come lui Naesen, due postazioni più avanti. Van Avermaet lo riconosci per il casco d’oro nella selva delle telecamere. Poi passa Pidcock, ma nessuno lo ferma. E dietro Pidcock arriva Moscon, la mascherina nera sul volto scuro di sole e sporco. Una voce, si volta e si ferma. Ha il sorriso di quando un po’ sei soddisfatto delle sensazioni in gara e un po’ ti fa piacere che qualcuno te lo chieda. Non c’è niente di peggio della fatica poco apprezzata.
Mood belga
Due convenevoli, una battuta e poi si entra nel vivo della corsa, mentre Gianni ha abbassato la mascherina e parla guardando fisso davanti a sé, quasi ripassando nella mente le immagini della corsa.
«Ci ho provato – dice – era importante entrare un po’ nel mood delle gare in Belgio. Poi c’era vento contro e comunque il gruppo dietro era abbastanza organizzato. Quindi abbiamo provato nel finale a tirare la volata per il nostro velocista Etan Hayter, ma è caduto…».
Caro cambio…
Passa Alaphilippe, che scambia due battute con Alessandro Tegner e ci accorgiamo che accanto a lui, mascherata ma con stile, c’è la sua Marion Rousse. E intanto Gianni va avanti guardando avanti, spiegando come mai a un certo punto abbiamo avuto la sensazione che si piantasse.
«Ho il cambio che sul Muur saltava un po’ – ammette – ma ho cercato di gestirmi un po’ in base a come conoscevo la salita. Sapevo di dover arrivare alla curva a sinistra e da lì dare il massimo per arrivare a tutta in cima e avere il vantaggio per andar via».
Un raggio di sole
E’ stato un raggio di sole sul Muur, un assaggio, niente di indimenticabile. Ma potrebbe trasformarsi domani nel primo segno di un ritorno tanto atteso.
«Sto bene – dice – ma in Belgio si lima tanto, non è solo questione di gambe. Spesso è un fatto di posizioni. E qua in questa prima gara c’è davvero chi rischia l’osso del collo. Tante cadute, una per ogni curva. L’importante era sopravvivere e arrivare al finale per giocarsela. E devo dire che la gamba c’era e anche l’occhio. Siamo solo all’inizio e abbiamo iniziato quasi bene».