ROMA – Finalmente Joao Almeida (in apertura foto UAE Emirates) ha agguantato il primo podio in un grande Giro. Suona strano dirlo, visto che è un corridore di grande sostanza, di cui parliamo da anni, dotato di classe, ma questo è… Una volta la sfortuna, una volta l’inesperienza – basta pensare al “Giro di ottobre” – quei tre gradini sembravano diventati una chimera.
Il portoghese della UAE Emirates, per 48 ore, era stato dato persino per favorito. Dopo il Bondone sembrava il più forte. Aveva vinto un duello in salita e si sa che quando un atleta prende fiducia può rendere molto di più.
Poi le pendenze del Coi hanno rimesso le cose in ordine, come il suo modo di procedere sul passo di fronte agli attacchi violenti e un feeling più complicato con le pendenze elevate. Ma le stesse pendenze elevate hanno anche fatto emergere la caratteristica migliore di Almeida: la tenacia. E tra Giau, Tre Cime e Lussari ce n’erano di chilometri con pendenze estreme.
Almeida in fase di recupero sul Lussari, poco dopo la cronoAlmeida in fase di recupero sul Lussari, poco dopo la crono
Lussari in crescendo
Dopo la crono del Monte Lussari, Joao cerca di recuperare. Sorseggia dell’acqua e probabilmente sta rivedendo nella sua testa la prova appena fatta. Una grande prova: ha incassato 42″ da Roglic, non un’eternità, ed è arrivato terzo.
«Ho gestito bene lo sforzo credo – racconta Joao dopo l’arrivo – la prima parte, quella in pianura, per me è stata la più dura, in quanto non mi sentivo bene. Poi man mano che andavo avanti, in salita ho avuto sensazioni migliori. Alla fine ho fatto bene e ne sono felice».
Sapere di essersi espresso al meglio delle proprie possibilità è importantissimo per un atleta. E Joao non sfugge a questa regola. Durante la crono aveva quasi paura di perdere il terzo posto e chiedeva gli intermedi a chi lo seguiva in moto. Piccole incertezze che se non salti di testa, cosa che Almeida non ha fatto, diventano uno stimolo.
Il portoghese ha ammesso che sulle Tre Cime ha avuto il momento più duro del suo GiroIl portoghese ha ammesso che sulle Tre Cime ha avuto il momento più duro del suo Giro
Più maturo
A Roma il portoghese ha indossato ancora una volta la maglia bianca di miglior giovane, ormai è un habitué. Questo era il suo quinto grande Giro e ogni volta si è ritrovato coi gradi di capitano. Solo lo scorso anno alla Vuelta li ha dovuti condividere con Ayuso.
Ma stavolta è stato diverso. Non era solo il ragazzo di buone speranze che è chiamato a fare bene. Stavolta ha sfidato a testa alta, e spalla a spalla, Roglic e Thomas: non due qualunque. Stavolta era leader con delle responsabilità.
«Credo di essere cresciuto molto – dice Almeida – e credo anche si sia visto. Alla fine sono andato sempre bene. Ho perso un po’ di tempo sulle Tre Cime, ma perché loro due sono andati più forti, non perché fossi calato io».
«Vero, la vittoria del Bondone è stata importante per me. Ero sempre secondo ed era diventato difficile. Vincere lì mi ha dato più fiducia, ma anche più tranquillità perché per fare le gare quella serve sempre».
Joao Almeida (classe 1998) ancora sul podio di Roma, dopo la generale (terzo) festeggia la maglia biancaJoao Almeida (classe 1998) ancora sul podio di Roma, dopo la generale (terzo) festeggia la maglia bianca
Ripartire da Roma
Questo podio è un punto di partenza. Almeida è un ottimo atleta, ma ai livelli siderali che servono per vincere oggi ci deve arrivare pian piano. Quindi okay il podio di Roma, ma che non sia l’arrivo.
«Io – conclude Joao – sapevo che sul Lussari sarebbe stata difficile per me. Sapevo che Primoz e Geraint erano più forti, ma cosa potevo fare? Ho cercato di dare il massimo, ho gestito il mio sforzo e ho fatto, quasi, lo stesso tempo di Thomas. Lui ha vinto un Tour de France ed essere lì con lui è importante. Una vittoria per me.
«Gli ultimi giorni del Giro d’Italia sono stati i più difficili: duri, lunghi… Sono anche caduto e ho avuto qualche problema di salute… Cosa avevo? Il raffreddore. Ammetto che ho avuto paura che fosse il Covid, come l’anno scorso, ma per fortuna non era cosi. Sono riuscito a superarlo bene. Ho recuperato e sono tornato ai miei livelli».
Dopo il podio dei Fori Imperiali, Joao si godrà qualche giorno di vacanza. «Poi punterò al campionato nazionale e poi ancora vedremo. Ma credo che dovrei fare il Tour de Pologne e la Vuelta».
Finito il Giro, abbiamo riletto gli episodi chiave con Martinelli, vincitore di Giri e di Tour e perplesso su qualche tattica della UAE fra Siena e Finestre
Dopo aver analizzato le curiosità viste al Giro d’Italia2023, entriamo nel dettaglio delle scelte di alcuni protagonisti sulle bici che si sono date battaglia sulle salite. Inoltre, la vittoria di Roglic in cima al Monte Lussari, sdogana la monocorona in un grande Giro e in una frazione con arrivo in salita. Vince Roglic, vincono le sue gambe ed il suo team, ma anche la scelta tecnica non passa inosservata.
La Pinarello di Thomas e le scelte di Caruso per la sua Merida Scultura. Le preferenze di Almeida per la sua Colnago e le combinazioni usate da Roglic. Entriamo nel dettaglio.
La Pinarello Dogma del gallese settata per l’ultima salita del Giro50/34 anteriore per Thomas, la scelta per salire al Monte LussariLe ruote C-36 di Thomas con la valvola in ergalIl ferma catena montato sulla bici di ThomasUna Fizik Antares Versus Adaptive per ThomasAnche al Giro sempre con la Merida Scultura54/40 e 11/34 sulla Merida di Caruso, con le nuove Vision SL45La Pinarello Dogma del gallese settata per l’ultima salita del Giro50/34 anteriore per Thomas, la scelta per salire al Monte LussariLe ruote C-36 di Thomas con la valvola in ergalIl ferma catena montato sulla bici di ThomasUna Fizik Antares Versus Adaptive per ThomasAnche al Giro sempre con la Merida Scultura54/40 e 11/34 sulla Merida di Caruso, con le nuove Vision SL45
Stessi rapporti, ruote diverse
La Pinarello Dogma di Thomas e la Merida Scultura di Damiano Caruso hanno in comune la trasmissione Shimano Dura Ace a 12 rapporti. Per le grandi salite i due campioni hanno scelto le medesime combinazioni dei rapporti, ovvero 54-40 anteriore e 11-34 posteriore (esclusa la cronometro del Monte Lussari, dove entrambi hanno utilizzato la combinazione 50/34 e 11/34). Però le ruote usate dai due corridori sono molto diverse, una questione di marchio, ma anche per costruzione e profilo. Abbiamo chiesto una battuta ai loro meccanici, Matteo Cornacchione del Team Ineos-Grenadiers e Ronny Baron del Team Bahrain Victorious. Interessante inoltre l’utilizzo dai tubeless Continental 5000 TT da 28, montati sulle ruote di Thomas, più leggeri (e veloci) rispetto alla versione tradizionale.
«Thomas – spiega Cornacchione – è un corridore che non ama sperimentare le soluzioni dell’ultimo minuto. E’ molto preparato e intelligente sotto diversi aspetti, ma considerando anche la sua esperienza e il fatto che non è più un ragazzino, non ama provare le soluzioni tecniche che non ha mai testato in precedenza. Nelle tappe più dure, oltre ai pignoni con il 34 posteriore, ha chiesto anche le ruote dal profilo medio/basso: le C36 di Shimano con una valvola superleggera in ergal e sempre con i tubeless».
«Rispetto al Giro d’Italia 2022 – dice invece Baron – le scelte di Caruso non sono cambiate in merito ai rapporti, con il 54-40 anteriore e 11-34 posteriore. Sono cambiate invece le ruote, perché ora abbiamo ufficialmente in dotazione l’ultima versione delle Vision, la SL45, sviluppata anche grazie ai feedback dei nostri corridori e di noi meccanici. Il prodotto è stato alleggerito, la forma del cerchio è ottimizzata per alloggiare e sfruttare tubeless da 28 e 30 millimetri, oltre ad un mozzo posteriore che è stato reso ancor più veloce e senza spazi vuoti nel meccanismo d’ingaggio».
La R5 di Roglic con la trasmissione XPLR gravelIl fermacatena sulla R5 con la trasmissione “non convenzionale”10/40 Sram XPLRGli inserti grippanti sul manubrio di RoglicRoglic ha montato anche i comandi satellitari BlipsL’ultima versione della Antares per RoglicMozzo DT Swiss 180 Spline e scala 10-33 per le ruote da salitaL’anteriore da 34 millimetriI tubeless Vittoria Speed da 25 usati da Roglic sulla bici con la monocoronaLa R5 di Roglic con la trasmissione XPLR gravelGli inserti grippanti sul manubrio di RoglicIl fermacatena sulla R5 con la trasmissione “non convenzionale”10/40 Sram XPLRRoglic ha montato anche i comandi satellitari BlipsL’ultima versione della Antares per RoglicMozzo DT Swiss 180 Spline e scala 10-33 per le ruote da salitaL’anteriore da 34 millimetriI tubeless Vittoria Speed da 25 usati da Roglic sulla bici con la monocorona
La Cervélo R5 di Roglic
Lo sloveno ha la trasmissione Sram, fattore che comporta anche una rapportatura completamente differente. L’accoppiata delle corone anteriori scelta da Roglic è 52-39, soluzione usata anche sulla Cervélo S5. La variazione da sottolineare è legata alla scelta dei pignoni, preferendo la combinazione 10-33 usata in salita, invece della 10-28 usata in tappe “standard”. Ma nel corso delle ultime due frazioni di salita (escludendo la scalata alle Tre Cime di Lavaredo e la salita al Monte Lussari), Roglic dietro ha chiesto e fatto montare il 36.
Durante l’ascesa alle Tre Cime e nel corso della cronoscalata alla cima Lussari, Roglic ha usato una Cervélo R5 con la trasmissione Sram XPLR, sviluppata in origine per un contesto gravel. Monocorona anteriore da 42 denti e pedivelle lunghe 170 millimetri e una scala pignoni 10-44. La scelta ha obbligato l’impiego di un bilanciere posteriore XPLR specifico, con una gabbia più lunga rispetto al classico Sram Red e un fermacatena Wolf Tooth (usato anche da Van Aert nel ciclocross).
Le ruote Reserve, profilo da 34 per l’anteriore e 37 per il retrotreno (montate anche sulla bici con il monocorona, ma con i tubeless Vittoria da cronometro con sezione da 25). Il mozzo è un DT Swiss Spline 180. I cerchi full carbon di queste ruote hanno un canale interno con una larghezza differenziata, 23 millimetri davanti e 22 dietro. Roglic è solito utilizzare i tubeless Vittoria Corsa da 28. Il corridore sloveno utilizza anche l’ultima versione della Fizik Antares con foro centrale. Sul manubrio Vision Metron 5D è stato applicato un inserto adesivo per aumentare il grip quando lo svolveno ha appoggiato gli avambracci.
La Colnago V3Rs di Almeida usata per la cronoscolata54-36, le corone usate da Almeida per la scalata al LussariLe corone Carbon-Ti, un’opera d’arte, tra alluminio e carbonioCome Thomas, anche Almeida ha usato i tubeless TTLe Enve basse usate da Almeida in occasione dell’ultima scalataLa Colnago V3Rs di Almeida usata per la cronoscolata54-36, le corone usate da Almeida per la scalata al LussariLe corone Carbon-Ti, un’opera d’arte, tra alluminio e carbonioCome Thomas, anche Almeida ha usato i tubeless TTLe Enve basse usate da Almeida in occasione dell’ultima scalata
La Colnago V4Rs di Almeida
E’ del tutto paragonabile a quella normalmente usata da Pogacar. Il kit telaio è un Colnago V4Rs, la sella è una Prologo Scratch M5, mentre il manubrio è Enve integrato. Enve sono anche le ruote, della serie SES 4.5 con i tubeless Continental da 28 millimetri.
L’atleta portoghese continua ad utilizzare le corone della Carbon-Ti sulla bici numero 1, mentre su quella di scorta la guarnitura supporta quelle standard Shimano. A prescindere da questo particolare, Almeida è solito utilizzare la combo 54-40 e 11-34.
La Colnago numero 1 di Almeida è stata modificata nella rapportatura e per quanto concerne le ruote in vista della scalata al Lussari. Tutta diversa, rispetto ai colleghi, la scelta delle corone anteriori: 54/36 leggerissime della Carbon-Ti, pignoni posteriori 11/34 e ruote Enve SES 2.3 con tubeless Continental TT da 28.
Soltanto tre Giri d’Italia negli ultimi dieci anni si sono corsi a una media superiore ai 40 orari: i due vinti da Nibali (2013-2016) e quello di Froome (2018). Il terzo, giusto per offrire qualche dato, è stato lungo 3.546 chilometri per 44.000 metri di dislivello. L’ultimo, della lunghezza di 3.489 chilometri, aveva dislivello di 51.400 metri: 57 chilometri in meno, ma in compenso 7.400 metri di dislivello in più. Se anche non volessimo considerare il maltempo e il freddo come attenuanti per alcune tappe non proprio entusiasmanti, valga il fatto che malgrado le apparenze, il Giro d’Italia appena vinto da Roglic è stato durissimo: con il dislivello più alto dopo quello monstre del 2011 (52.390 metri!).
Tifosi sloveni per Roglic: una marea di gente che ha sostenuto il campione della Jumbo VismaTifosi sloveni per Roglic: una marea di gente che ha sostenuto il campione della Jumbo Visma
Tre Cime a 6,5 watt/chilo
Si è parlato di noia e a volte l’abbiamo sfiorata anche noi. Si è parlato di ridurre i chilometraggi. Qualcuno ha ipotizzato di inserire delle prove speciali all’interno delle tappe. Per due settimane se ne sono dette di ogni genere, dimostrando di non aver capito quello che stava succedendo e quello che sarebbe successo nella terza settimana.
La trama del Giro 2023 ha ricalcato quella del 2022 (3.445 chilometri per 50.580 metri di dislivello), con la corsa decisa nell’ultima crono a capo di duelli tiratissimi nella terza settimana, che non hanno schiodato la situazione dal sostanziale pareggio fra i primi tre della classifica. Ma se come dice Caruso i gregari di Thomas tiravano sulle Tre Cime di Lavaredo a 6,5 watt/chilo, come si pretendeva che qualcuno attaccasse?
Il duello iniziato sul Bondone è esploso alle Tre Cime fra ali di folla incredibiliIl duello iniziato sul Bondone è esploso alle Tre Cime fra ali di folla incredibili
Il gusto della noia
Il ciclismo ha accelerato dopo il Covid. Molti hanno avvertito di non prendere come modello le prestazioni di pochi campioni, invece è successo esattamente questo.
I social e l’arrivo di nuovi tifosi hanno impresso un’accelerazione subdola e nociva, che ha condizionato anche chi dovrebbe fare informazione sulla base di ragionamenti e competenza. Si è preferito assecondare il coro delle accuse, senza tenere in dovuta considerazione il fatto che per 14 tappe il gruppo abbia corso sotto la pioggia e con temperature rigide. Inoltre il ritiro di Evenepoel ha fatto intravedere la possibilità di lottare per la vittoria e a quel punto si sono dosate le energie per una terza settimana durissima.
La capacità di annoiarsi è una dote su cui lavorare, dalla noia si esce col ragionamento. L’incapacità di aspettare rientra fra i mali del nostro tempo, ma non nelle specifiche del ciclismo.
Siamo pronti a scommettere che le uscite di alcuni corridori sono state la reazione al coro di fischi che ogni giorno li investiva dal web, mentre la gente sulle strade – probabilmente testimone delle stesse condizioni – ha sempre continuato ad applaudirli.
Il Monte Lussari è stato il teatro della sfida finale, giocata sul filo dei secondi e dei nerviIl Monte Lussari è stato il teatro della sfida finale, giocata sul filo dei secondi e dei nervi
Un Giro di cuore
E’ stato un bel Giro, con quattro vittorie italiane. La logistica degli ultimi giorni è stata impegnativa: il viaggio dalle Tre Cime di Lavaredo a Tarvisio e poi dal Monte Lussari a Roma ha costretto tutti a tre giorni di tirate non indifferenti. Tuttavia lo spettacolo della folla sulle salite del Veneto, la sfida finale sulla stradina del Santuario friulano e la conclusione a Roma sono stati lo spot migliore per uno sport e un Paese che nel turismo ha risorse impensabili. Bella Parigi, ma il finale del Giro a Roma ha surclassato il classico finale del Tour.
Roglic ha vinto con le gambe e col cuore. Per lo stesso motivo avrebbe meritato Thomas, che nel nome dell’amicizia, ha propiziato la vittoria di Cavendish: questo è il ciclismo. E se nessuno ve l’ha spiegato, noi proveremo a farlo con la nostra testimonianza. Non è detto che avremo sempre ragione o che saremo sempre d’accordo, ma di certo non rifiuteremo il confronto. Come si diceva ieri con Roberto Damiani alla partenza dell’ultima tappa, è giusto cavalcare il nuovo, ma anche ricordarsi quale grande storia abbiamo alle spalle.
Il Giro a Roma è stato uno spot sbalorditivo per la Capitale d’ItaliaLa visita del Presidente Mattarella ha nobilitato il finale del Giro d’Italia 2023Il Giro a Roma è stato uno spot sbalorditivo per la Capitale d’ItaliaLa visita del Presidente Mattarella ha nobilitato il finale del Giro d’Italia 2023
Il dio pallone
Il Giro d’Italia numero 106 è finito. Ha sfiorato la tragedia della Romagna, che abbiamo vissuto in piccolissima parte negli occhi degli amici romagnoli in gruppo. E ha ricevuto a sua volta la visita del Presidente Mattarella, il solo politico italiano con una vera cultura sportiva e non solo calcistica.
Per un po’ continueremo a parlarne, ma già si annunciano le prossime sfide. Il Giro degli under 23, il Delfinato e lo Svizzera sulla strada del Tour e i campionati nazionali. Chiudiamo questo editoriale avendo negli occhi l’immagine di Roglic affacciato sui Fori Imperiali. Cercheremo di tenerla il più a lungo possibile, sebbene altrove il dio pallone – indagato e indebitato – l’abbia già fagocitata.
ROMA – Solo una manciata di ore prima i corridori erano ancora in Friuli Venezia Giulia, a Trieste. Erano in attesa del volo che il Giro d’Italia gli aveva prenotato per arrivare a Roma. Le emozioni della giornata rosa di Primoz e del team erano ancora calde. E soprattutto hanno lasciato strascichi! Edoardo Affini infatti ha davvero poca voce quando inizia a parlare con noi.
Giustamente sabato sera in casa Jumbo-Visma si è fatto festa. Ci si è sfogati, anche se le briglie non sono state sciolte del tutto. Mancava ancora un passo. Quello di Roma appunto.
Affini con Roglic ieri mattina all’aeroporto di TriesteIn aereo tanti complimenti per lo sloveno da parte degli altri corridori (foto LaPresse)Edoardo Affini alla partenza di Roma. Dietro gli occhiali uno sguardo stanco ma feliceAffini con Roglic ieri mattina all’aeroporto di TriesteIn aereo tanti complimenti per lo sloveno da parte degli altri corridori (foto LaPresse)Edoardo Affini alla partenza di Roma. Dietro gli occhiali uno sguardo stanco ma felice
Senza voce
E’ stata una rincorsa lunga tre settimane, iniziata, per Roglic e compagni, con tante tensioni per i continui cambi di formazione tra Covid e cadute. Su tutti, l’addio di Kelderman e di Tratnik a poche ore dal via di Fossacesia. E poi la caduta dello sloveno verso Rivoli, la tanta pioggia…
Ma l’assenza di voce di Affini è un “bel” segnale in questo caso. Ed è da qui che partiamo con il gigante mantovano.
«Non ho la voce – spiega Edoardo – un po’ perché con l’acqua che abbiamo preso, faccio parte di quella metà del gruppo che tossisce. E un po’ perché sabato sera… ci ho dato dentro ad urlare! Nella notte, ad ogni respiro, ho sentito che la voce se ne andava. E stamattina (ieri, ndr) proprio non c’era. Ma va bene così!».
Affini è stato uno degli alfieri più preziosi di Primoz ed è un colonna portante di questo team. Fa parte anche del gruppo classiche di Wout Van Aert. Uno come lui si vede meno nelle fasi calde di salita, perché visto il suo fisico lavora più in pianura. Ma in alcune occasioni ha tirato… la carretta anche quando la strada saliva. E saliva forte come sul Santa Barbara.
Foto di rito per la maglia rosa e i suoi alfieri. Al termine della tappa tutti in un ristorante nella zona Sud-Ovest di RomaFoto di rito per la maglia rosa e i suoi alfieri. Al termine della tappa tutti in un ristorante nella zona Sud-Ovest di Roma
Birra sì, ma non troppa
Affini però stavolta più che parlare di ciclismo, ci racconta della festa e della tensione vissuta sabato pomeriggio. Lui non ha seguito la crono di Primoz ai piedi del palco come Kuss e gli altri scalatori.
«No – dice Affini – io ero al bus con Dennis e Gloag. Anche loro erano partiti presto, nel secondo scaglione. Con noi c’erano anche il dottore, il fisioterapista, alcuni meccanici… Eravamo tutti davanti alla tv nel bus».
Fatta la doccia, Edoardo e gli altri si sono radunati in religioso silenzio davanti al monitor e hanno iniziato a soffrire. Sapevano quanta ne avesse il loro leader, ma non era facile battere il gallese. In fin dei conti Thomas non aveva mai dato segni di cedimento.
«Quando Primoz ha avuto il problema meccanico, è stato un brivido. Un brivido grosso… Ma poco dopo siamo passati alla gioia sfrenata».
«Abbiamo aspettato un bel po’ prima che Primoz scendesse a valle. Mentre svolgeva tutte le procedure, noi eravamo al parcheggio e ci godevamo quel momento. E’ stato speciale.
«A quel punto – va avanti Affini – abbiamo impiegato un’oretta e mezza per andare in hotel e lì abbiamo bevuto qualche birra, ma senza esagerare. Insomma, c’era ancora da fare questa tappa…».
Ancora concentrati nell’ultima tappa: la maglia rosa a ruota del compagno italianoMissione compiuta. Sono le 18,18 e Roglic conquista il Giro d’Italia. Edoardo si complimenta con lui. Ora la festa può iniziare davveroOrmai è calata la notte su Roma. I ragazzi aspettano Primoz alle Terme di Caracalla. La festa continua (foto Jumbo-Visma)Ancora concentrati nell’ultima tappa: la maglia rosa a ruota del compagno italianoMissione compiuta. Sono le 18,18 e Roglic conquista il Giro d’Italia. Edoardo si complimenta con lui. Ora la festa può iniziare davveroOrmai è calata la notte su Roma. I ragazzi aspettano Primoz alle Terme di Caracalla. La festa continua (foto Jumbo-Visma)
Sempre all’erta
Roglic ha puntato tutto sulla crono del Lussari, ma in realtà Affini non è del tutto d’accordo. Il grande pubblico si aspettava un super Primoz, ma va ricordato che lo scorso autunno lo sloveno era alle prese con le fratture e i problemi alla spalla. Lui stesso a novembre ci disse che prima di fare i programmi, aveva come primo obiettivo quello di rimettersi in sella.
«Sapevamo – spiega Affini – che il Lussari poteva essere un punto a nostro favore visto il tipo di corridore che è Primoz, ma bisognava arrivarci. Per di più Thomas si è dimostrato molto solido e performante. Ci aspettavamo una battaglia all’ultimo colpo di pedale e così è stato».
Infine Affini ci toglie una curiosità: quando, il suo capitano, ha scelto di utilizzare la bici con la monocorona? «E’ stata una scelta fatta in precedenza, non è una cosa che si è sognato la notte. Aveva fatto le sue prove non so quante volte. E in allenamento ha trovato il sistema di sfruttarla al meglio».
ROMA – Il Giro di Nibali ha i colori delle tenute di RCS Sport e lo sguardo stupito del campione passato in un amen dal gruppo al dietro le quinte. In cima al Monte Lussari lo abbiamo visto soffermarsi sulla bici di Roglic, con lo sguardo dell’appassionato di meccanica. In ogni altro momento della sua presenza in carovana, lo si vedeva studiare il mondo intorno a sé, forse per capire quello che in tanti anni da corridore aveva dato per scontato. E così gli abbiamo chiesto di raccontarci il Giro per come lo ha vissuto da spettatore privilegiato.
Vincenzo, che Giro è stato?
E’ stato un Giro d’Italia molto difficile per le prime due settimane. Tanta pioggia, tante cadute, tanti ritiri, ma sostanzialmente sapevamo che la settimana decisiva sarebbe stata la terza. Per vincere un Giro d’Italia devi perdere meno tempo nella prima parte, per arrivare al finale con la migliore condizione. Solo così puoi giocarti tutto in un trittico speciale, come quello che abbiamo vissuto negli ultimi tre Giri d’Italia.
I valori ascensionali medi alle Tre Cime di Lavaredo sono stati notevoli: per Nibali, impossibile scattareI valori ascensionali medi alle Tre Cime di Lavaredo sono stati notevoli: per Nibali, impossibile scattare
Le critiche sulla mancanza di spettacolo?
Tanti magari volevano vedere qualche attacco di più, va bene. Venerdì sulle Tre Cime di Lavaredo i valori in campo erano veramente alti, abbiamo visto dei valori ascensionali medi altissimi. Per questo sapevamo che avremmo avuto un finale thrilling in una cronoscalata così difficile. Qualcuno ha detto che era una scalata da circo, io mi sento di dire di no, perché comunque anche in Spagna e in altre occasioni, ci siamo trovati ad avere delle salite particolari. Ricordo per esempio la Bola del Mundo su cui ho vinto la Vuelta e anche altre salite con simili pendenze. La differenza l’hanno fatta anche la dotazione tecnica dei materiali e il cambio bici effettuato dopo 10 chilometri.
Dotazione tecnica?
La cronoscalata è stata spettacolare e ha lasciato veramente il grande segno con Roglic che si è scatenato dopo il salto di catena e Thomas che è completamente crollato negli ultimi 3 chilometri. Probabilmente la scelta tecnica che ha fatto Roglic di montare la monocorona da 42 e il 10-44 al posteriore gli ha permesso una cadenza molto alta, con la leva corta delle pedivelle da 170. I tubeless da 28 specifici per la cronoscalata sicuramente gli hanno permesso di essere anche molto veloce, facendo vedere quanto contino oggi i marginal gain.
Cosa pensi di quel salto di catena?
Non penso sia dipeso dalla monocorona, quanto piuttosto dal sobbalzo che c’è stato al passaggio su quella irregolarità della strada e magari da una taratura non ottimale della molla del bilanciere del cambio che, a causa del salto, ha fatto uscire la catena. Non so come spiegarlo, ma vedendo le immagini, è uscita da sotto…
Secondo Nibali, oltre alle gambe, sono state le scelte tecniche di Roglic a decidere la cronoscalataSecondo Nibali, oltre alle gambe, sono state le scelte tecniche di Roglic a decidere la cronoscalata
Ti aspettavi quindi che si sarebbe risolto tutto alla fine?
Probabilmente sì, perché tutti avevano paura di questa cronometro. Nei giorni precedenti hanno consumato tante energie che poi non hanno avuto nell’ultima sfida.
Come è stato il tuo primo Giro da ex?
L’ho vissuto con un occhio tecnico, quindi mi sono soffermato a vedere i materiali, le bici, le facce dei corridori, chi arriva più stanco, chi arriva meno stanco. Tanti aspetti che quando corri trascuri, perché magari ti concentri solo su quelli vicini in classifica e che invece offrono piccoli riferimenti che ti fanno capire bene o male come possono risolversi le varie situazioni.
Parlando di Roglic hai detto che dopo la crono è parso frastornato, perché vincere il Giro all’ultimo giorno è un vero flash: ne sai qualcosa per la tua vittoria del 2016?
Assolutamente, certo. E’ un’emozione che ti travolge, forse non realizzi bene quello che è successo. Però Roglic ha fatto veramente una grande impresa. Mentre seguivamo la gara nelle auto dell’organizzazione dicevamo fra noi: «Cavolo, sia Thomas che Roglic sono arrivati alla fine del Giro d’Italia e se lo stanno giocando senza aver vinto una tappa». Invece all’ultimo momento abbiamo trovato una vittoria e un vincitore finale degno della maglia rosa.
Alla partenza della seconda tappa da Teramo a San Salvo, Nibali e Bettiol. Per loro origini comuni alla MastromarcoAlla partenza della seconda tappa da Teramo, Nibali e Bettiol. Per loro origini comuni a Mastromarco
Qual è stato il tuo ruolo in questa organizzazione?
E’ stato molto bello e appagante, devo una grandissima riconoscenza. Essere presente in una manifestazione del genere a livello internazionale è stata una grande occasione. Non so se verrà fuori qualcosa di continuativo, dipende da quale sarà la mia direzione di vita, ma intanto mi sono goduto il Giro. Vedi effettivamente come funziona l’organizzazione, tutto il lavoro che c’è dietro e quanti tifosi ci siano al seguito, che raggiungono il quartier tappa, le partenze e gli arrivi. Ho toccato con mano l’amore che c’è da parte del pubblico verso questo sport.
C’è mai stato un momento di rimpianto e di voglia di essere ancora in gruppo?
No, assolutamente, mi sono ritirato da pochi mesi ed è stato bello scansarmi una fatica del genere (si mette a ridere, ndr). Sono sincero: quando sei lì che ti giochi qualcosa e pensi soltanto a dare il tuo meglio, a dare il massimo e fare tutto per raggiungere il tuo obiettivo, forse non ci pensi. Quando però lo vedi dall’esterno, ti rendi conto che serve tanta fatica per arrivare ben preparato a un simileobiettivo. Ti piacerebbe essere presente, ma conosci tutto il lavoro che c’è dietro, la preparazione tua e dei compagni di squadra e il lavoro dello staff. Sai che è veramente tantissimo e allora ti dici che di fatica ne hai fatta abbastanza.
ROMA – Quando Roglic arriva a raccontarsi, fuori il sole è sceso sui Fori Imperiali e il Campidoglio strizza l’occhio al tramonto. Quello che non è cambiato è il sorriso che da ieri accompagna il campione sloveno fasciato di rosa. E’ come se dall’incidente della Vuelta, Primoz avesse scoperto una nuova dimensione dello stare al mondo, mentre la vittoria di ieri ha scacciato il malocchio da un campione che più di una volta si è sentito bersagliato dalla cattiva sorte. Il Tour 2020 perso nella crono finale. Le cadute francesi: quella del 2021 e poi quella dello scorso anno mentre aiutava Vingegaard. Infine l’ncidente ben più rovinoso della Vuelta.
Quando a novembre ci accolsero nella sede della Jumbo Visma, la sua risposta ci lasciò di sasso: «Il mio obiettivo – disse – sarà essere pronto per il primo ritiro». Era ancora sofferente, ma nonostante tutto, già allora ci parve di ottimo umore e il suo essere radioso di allora è coinvolgente anche oggi. Iniziano le domande, arrivano le risposte.
Un campione tutto rosa: Primoz Roglic ha affrontato l’ultima tappa con gli evidenti segni del primatoUn campione tutto rosa: Primoz Roglic ha affrontato l’ultima tappa con gli evidenti segni del primato
Che cosa significa ora aver vinto il Giro?
Non bastano poche parole, con così tante emozioni in ballo, specialmente dopo ieri. Non si può descrivere davvero con le parole un momento che ricorderò per tutta la vita.
Dicesti di voler essere pronto per il primo ritiro, ora sembrano giorni lontanissimi…
E’ stato bello darsi quell’obiettivo e l’ho raggiunto. Quando ho partecipato al primo training camp, eravamo super felici. Poi è arrivato un secondo bambino e da quel momento sono entrato nel vivo dei preparativi per la nuova stagione. Quello che mi è successo è stato davvero incredibile e anche divertente.
Sveliamo il mistero di quel tipo che ieri ti ha spinto quando ti è saltata la catena?
Non ho parlato di lui, perché ovviamente ero troppo concentrato per poterlo vedere. Ho rimesso la catena e ho guardato in basso. Hanno iniziato a spingermi e non facevo altro che urlare di farlo più forte, perché da solo non ce l’avrei fatta. Sono ripartito e poi ho visto le immagini. Quel ragazzo è un ottimo amico per me. Si chiama Mitia ed è stato il mio compagno di stanza quando ancora saltavo con gli sci. E’ uno dei quattro ragazzi con cui siamo stati campioni del mondo juniores nel 2007. E si è trovato proprio in quel punto, lo trovo davvero incredibile.
Già nel tratto verso Ostia, l’ammiraglia della Jumbo Visma ha passato a Roglic un flute con cui brindareGià nel tratto verso Ostia, l’ammiraglia della Jumbo Visma ha passato a Roglic un flute con cui brindare
Abbiamo pensato tutti che vincere la cronoscalata del Monte Lussari sia stato pareggiare il destino di quel Tour del 2020.
L’ho pensato anche io, ma ogni situazione è nuova. La vita ti porta sempre nuove sfide e questa volta c’è stato un lieto fine. Sono però certo che tutti abbiamo imparato qualcosa dal 2020 e questa volta è andato tutto bene.
Hai avuto paura di non poter tornare al tuo livello dopo la caduta della Vuelta?
Non è mai stata quella la mia preoccupazione. Non ho mai dato troppo peso al salire o scendere di livello. Quello che mi interessava era poter essere ancora parte di questo mondo, che mi piace tanto. Così come ero certo che, restando un corridore, avrei lavorato per crescere. Perché è quello che mi piace fare.
C’è stato qualcosa di nuovo che l’essere più maturo ti ha dato nella tua preparazione per questo Giro?
Potrei dire che invecchiando si ottiene sempre nuova esperienza e si diventa in qualche modo più saggi. Quindi sì, diciamo che la mia vita mi ha già regalato molte emozioni, sia in negativo, sia in positivo nel farmi apprezzare le persone che ho intorno. Tutti i miei compagni di squadra sanno o sentono quanto io abbia apprezzato il loro lavoro, questo è certo. Vedremo cosa succederà domani, ma posso dire che senza il loro aiuto non sarei riuscito a ottenere tutto questo di cui ancora non mi rendo conto.
I compagni della Jumbo Visma davanti all’Altare della Patria hanno atteso il momento delle premiazioniUna maglia nera con il Trofeo Senza Fine, così compagni e staff hanno celebrato la vittoria di RoglicI compagni della Jumbo Visma davanti all’Altare della Patria hanno atteso il momento delle premiazioniUna maglia nera con il Trofeo Senza Fine, così compagni e staff hanno celebrato la vittoria di Roglic
Andrai al Tour?
Sarebbe bello, ma non credo, se devo essere onesto. Sappiamo tutti cosa manchi ancora nel mio palmares, ma d’altra parte dico che ogni prossima vittoria per me sarà un bonus bello da ottenere ma non uno stress, quindi vedremo. Prima di tutto voglio davvero godermi la vittoria, poi parleremo del futuro.
Eri mai stato a Roma prima di oggi?
No, è stata la prima volta e sono felice di far parte di questa storia, soprattutto dalla posizione in cui mi trovo. Devo dire grazie a tutti quelli che mi hanno supportato e hanno reso possibile questa passerella.
Quest’anno hai corso e vinto tre corse: Tirreno, Catalunya e Giro. Sei diventato imbattibile?
E’ pazzesco, è vero. Forse allora è meglio smettere di gareggiare oggi, così sarò davvero imbattibile (si mette a ridere, ndr).
Il podio del Giro, cui avevamo ormai fatto l’occhio: vince Roglic su Thomas e AlmeidaIl podio del Giro, cui avevamo ormai fatto l’occhio: vince Roglic su Thomas e Almeida
Ti abbiamo visto parlare a ungo con Thomas durante la corsa, cosa vi siete detti?
Siamo amici e battendolo ho provato una sensazione agrodolce. Ma prima o poi dovevamo ricominciare a parlarci (sorride, ndr) e adesso che lo abbiamo fatto, magari andremo di nuovo a bere una birra insieme e divertirci. E’ stato un piacere lottare con un ragazzo come lui, credo che ci siamo divertiti entrambi. Ma alla fine vince uno solo e non credo che questo danneggi la nostra amicizia. Non vedo l’ora di uscire nuovamente con lui.
Quando Roglic esce dalla sala stampa, seguito dall’addetto stampa Ard Bierens che porta il Trofeo Senza Fine e un meccanico che fa scorrere la Cervélo rosa, i giornalisti del Giro d’Italia gli tributano un applauso che raramente si è sentito in passato. La sua vittoria ha convinto. E allora Roglic si ferma, si volta e applaude verso la sala. E’ stato un viaggio molto bello ed è stato un piacere averlo condiviso con tutti voi.
ROMA – Marc Cavendish è tornato Cannonball… Trionfo su via dei Fori Imperiali e urlo liberatorio. Quanto l’ha cercata Cav questa vittoria. Quanto ha lottato per ottenerla. Noi avevamo titolato: Cavendish, manca solo Roma… e lui ci ha risposto coi fatti.
Il corridore dell’Astana-Qazaqstan si schiaccia sul manubrio come ai vecchi tempi. Esce dalla semicurva che porta verso Piazza Venezia in ottima posizione e quando Milan scatta sulla sinistra, lui fa la sua volata. Da solo. Potente. Solo Cav e la linea d’arrivo.
I tempi sono perfetti, i rapporti sono ideali… c’è “solo” da buttare sui pedali la forza con velocità. E Cavendish lo sa fare bene. Riassapora le vecchie sensazioni.
Cavendish abbraccia con forza Scaroni…Poi Cristian, al suo primo grande Giro, è liberato e raccontaGuardate la schiena di Ackermann, caduto durante lo sprintCavendish abbraccia con forza Scaroni…Poi Cristian, al suo primo grande Giro, è liberato e raccontaGuardate la schiena di Ackermann, caduto durante lo sprint
Lavoro di squadra
I compagni dell’Astana si abbracciano dopo l’arrivo. Cristian Scaroni è quasi stritolato dall’inglese.
«Ci credeva tantissimo – racconta Scaroni, ancora col fiatone – oggi ci ha chiesto di stargli vicino, di aiutarlo. Lo abbiamo tenuto coperto per tutta la corsa, che poi non è stata così banale. Il nostro ruolo era di fargli evitare le “frustate”… perché c’erano tante curve e tanti rilanci.
«E noi l’abbiamo fatto… per quel che abbiamo potuto. Lo abbiamo tenuto davanti fino all’ultimo giro. Poi non avendo un vero ultimo uomo è stato Gianni Moscon a stargli vicino nei chilometri finali».
«A quel punto – spiega proprio Moscon – Cav si è un po’ arrangiato. Io e Luis Leon Sanchez abbiamo cercato di supportarlo fino all’ultimo chilometro. Però oggi Marc ci credeva proprio, perché un campione ci crede sempre. Con la classe riesce a fare cose che gli altri non possono. Esserci riusciti quest’oggi a Roma è stupendo».
Sulle Tre Cime Cav è scortato da Scaroni (a sinistra) e Moscon (a destra)Sulle Tre Cime Cav è scortato da Scaroni (a sinistra) e Moscon (a destra)
Dalle Alpi…
Ma questa vittoria non nasce oggi al via dell’Eur. E’ frutto di un lungo lavoro, portato avanti con pazienza in questi mesi, da quando in extremis questo inverno è approdato nel team turchese. Tante corse, tanti ritiri, ma mai – neanche una volta – l’idea di mollare.
Sulle Alpi, Cavendish ha fatto il vero capolavoro. Il giorno del Bondone – tra l’altro appena 24 ore dopo aver annunciato il ritiro a fine stagione – eravamo a bordo strada sul Santa Cristina, prima dura ascesa di giornata. Ebbene, Marc era passato ultimissimo e staccato. Dietro di lui c’era il fine corsa e un compagno a scortarlo.
In quel frangente il rischio di finire fuori tempo massimo era davvero elevato. Lui pedalava scomposto. Sudava. La bocca era aperta. Poi quando è iniziata la discesa – lo stavamo seguendo in auto alle spalle del fine corsa – è sparito. E’ sceso come un folle e una volta a valle con l’aiuto di altri compagni che lo attendevano è riuscito a riacciuffare un drappello.
Marc Cavendish (classe 1985) ha firmato la sua 162ª vittoria. Ora punta alla al record assoluto della 35ª tappa del Tour Marc Cavendish (classe 1985) ha firmato la sua 162ª vittoria. Ora punta alla al record assoluto della 35ª tappa del Tour
A Roma
Una fatica immane e infatti il giorno dopo a Caorle proprio non andava, nonostante non ci fosse neanche un cavalcavia.
Ma è qui che è emerso il campione. L’uomo esperto. Si poteva pensare che le cose sarebbero andate solo peggio e invece Marc ci ha messo del suo. Ha gestito al meglio le energie. Ha “accarezzato” i tempi massimi e si è presentato a Roma agguerrito come non mai.
«Verissimo – va avanti Scaroni – In questo Giro lo abbiamo aiutato. Ha sofferto molto in salita, ma lo ha fatto sempre pensando a questa tappa».
Ultimi chilometri. Luis Leon scorta Cav alla sua ruota (si riconoscono le maniche con l’iride) e appena davanti c’è Thomas che lo aiuteràUltimi chilometri. Luis Leon scorta Cav alla sua ruota (si riconoscono le maniche con l’iride) e appena davanti c’è Thomas che lo aiuterà
La perla di Thomas
Marc voleva assolutamente finire il Giro d’Italia. Voleva accumulare fatica, magari ritrovare anche il peso ideale, perché ha un altro obiettivo: il record assoluto di tappe al Tour e staccare persino Eddy Merckx.
«Questa vittoria – ha detto – mi dà fiducia per la prossima corsa, qualsiasi essa sia. Ho sofferto molto in questo Giro. Come molti altri corridori, anche io sono stato male. Vedevo gente andare a casa di continuo. Ma volevo andare avanti
«Stamattina detto ai ragazzi che si poteva fare: “Abbiamo una chance, dobbiamo coglierla”. Vincere qui è speciale. L’Italia è la mia seconda casa. Questa è una vittoria anche per loro e per la squadra».
Ma se tutto questo è vero, è vera anche quella che dalla tv sembrava un’impressione: l’aiuto extra di Geraint Thomas. E’ stato il leader della Ineos Grenadiers a scortarlo nella posizione migliore.
«E’ vero – dice Cavendish – Geraint mi ha aiutato. Ad un certo punto mi ha visto là davanti e mi ha detto: “Ehy Cav, vieni”. Sono 25 anni che lo conosco. “G” è quello che posso definire un amico vero. Ieri ha perso la maglia rosa e oggi eccolo…. un grande».
La carovana del Giro-E è arrivata a Roma ieri, dopo un trasferimento durato due giorni e partito direttamente dalle Tre Cime di Lavaredo. Tra coloro che si trovano a pedalare sulle strade del Giro-E e della corsa rosa c’è Sacha Modolo (foto Instagram in apertura). Il veneto ha chiuso lo scorso anno con il professionismo ed ora assapora un ciclismo differente.
Modolo ha ricevuto una grande accoglienza sulle Tre Cime di Lavaredo (foto Instagram)Modolo ha ricevuto una grande accoglienza sulle Tre Cime di Lavaredo (foto Instagram)
Il ciclismo “lento”
«Una delle cose che mi ha colpito di più – attacca Modolo – è rendermi conto finalmente di quanto il pubblico sia appassionato di ciclismo. Mi è capitato di vedere, mentre attraversavamo il Passo Giau dopo la tappa di Val di Zogno, un sacco di gente appostata sui tornanti con il camper. Non lo noti quando sei professionista, certe cose non hai il tempo di vederle. In particolare mi ha colpito una coppia, erano abbastanza anziani, noi passavamo in macchina e loro erano seduti fuori dal camper che leggevano un libro. Fin da quando ero piccolo – continua – ho sempre corso e non sono mai andato sulle strade del Giro d’Italia».
Con il Giro-E ha scoperto un nuovo modo di vivere la bici, qui in mezzo tra Lello Ferrara e Iader Fabbri (foto Instagram)Con il Giro-E ha scoperto un nuovo modo di vivere la bici, qui insieme a Lello Ferrara (foto Instagram)
Come ti ha fatto sentire?
E’ giusto che i professionisti siano a conoscenza dell’amore che le persone hanno verso i corridori. A volte, magari, prendi sottogamba tutto questo, soprattutto quando sei nella “centrifuga” della corsa.
Lo hai notato grazie al Giro-E, che esperienza è stata?
Mi sono divertito davvero molto, mi hanno già chiesto se il prossimo anno fossi disponibile a partecipare. Ho detto subito di sì. E pensare che all’inizio non ero sicuro di voler partecipare, ero titubante.
Hai sanato la ferita verso il ciclismo?
Sì, ho trovato un nuovo modo di vivere la bici, con più tranquillità. Il Giro-E mi ha permesso di conoscere tante persone e ciclisti di altre specialità. Mi sono reso conto che la strada è solamente una goccia nel mare del ciclismo.
Sull’arrivo di Caorle per Modolo ancora un po’ di nostalgia (foto Instagram)Sull’arrivo di Caorle per Modolo ancora un po’ di nostalgia (foto Instagram)
E la bici elettrica? Era la prima volta che ci salivi?
Sì, devo ammettere che mi piace. La gente non capisce il grande potenziale di questo mezzo. Permette a tutti di pedalare ovunque, di farti godere della bici e di paesaggi che altrimenti non avresti modo di apprezzare.
La gente a bordo strada ti riconosce ancora, lo si vede dai social.
E’ bello e mi fa piacere. L’altro giorno eravamo in hotel a fare il check-in ed il proprietario mi ha guardato un paio di volte e poi mi fa: «Ma tu sei Modolo!». Per qualche anno ancora accadrà, poi forse non succederà più.
Vedere i pro’ da fuori, invece, che effetto ti ha fatto?
Vista la tappa delle Tre Cime li ho invidiati poco – ridacchia – mentre all’arrivo di Caorle mi ha fatto rosicare un po’. Proprio quella mattina mi avevano fatto notare che ero l’ultimo corridore veneto ad aver vinto una tappa del Giro nella sua Regione. Siccome era nell’aria che Dainese potesse vincere mi hanno chiesto se mi avrebbe dato fastidio. Ho risposto di no, assolutamente, è giusto che si vada avanti. Sono molto contento per “Daino” e la sera gli ho scritto i complimenti.
L’ex pro’ veneto ha corso il Giro-E con il team Trenitalia (foto Instagram)L’ex pro’ veneto ha corso il Giro-E con il team Trenitalia (foto Instagram)
Della volata cosa ti manca?
L’adrenalina di quei 20 secondi dove scaricavo tutta la rabbia che avevo in corpo. Guardando da fuori mi rendo conto di quanto siano funambolici i ciclisti, sono emozioni che non nient’altro mi potrà dare.
Intanto hai trovato il modo di restare nell’ambiente, abbiamo visto che segui anche un ragazzo, e di recente ha vinto.
Si chiama Alessandro Borgo, uno junior (della Work Service, ndr). E’ un’emozione diversa, molto bella anche questa. Da qualche mese ho iniziato a collaborare con Mori e Piccioli, i procuratori che mi seguivano da corridore.
Da qualche mese segue Alessandro Borgo, junior della Work Service, settimana scorsa è arrivata la prima vittoriaDa qualche mese segue Alessandro Borgo, junior della Work Service, settimana scorsa è arrivata la prima vittoria
Ci avevi detto di voler lavorare con i giovani.
Sì, vorrei seguirli e dare loro quello che io non avevo quando ero junior. Ormai è una categoria fondamentale e mi sono reso conto che spesso sono soli. Il progetto è quello di seguire dei ragazzi della mia zona e creare uno staff o comunque una rete di persone che li seguano. Vi faccio un esempio.
Vai!
Borgo si era fatto male ad un ginocchio e doveva andare da un fisioterapista per farsi vedere. Non riusciva a trovare alcun appuntamento, così io mi sono messo in moto e gli ho trovato qualcuno.
Quando pochi giorni dopo ha vinto, che cosa hai provato?
E’ stato molto bello, averlo aiutato a superare un ostacolo per poi vincere mi ha emozionato. Io ho tanta esperienza nel mondo del ciclismo, ma non voglio fare io per primo, potrei, ma ci sono dei professionisti ed è giusto che ognuno faccia il suo lavoro. A me piace coordinare, mi viene bene, me lo ha fatto notare anche RCS al Giro-E e sono stati contenti. Tanto da invitarmi di nuovo.
Per Sciandri l'occasione mancata dell'anno è la tappa del Mottolino con Nairo Quintana. Se avesse spinto di più durante la fuga avrebbe preso il margine sufficiente per contrastare Pogacar?
L’occhio dell’ex corridore in gruppo. Massimo Ghirotto ci porta nel cuore della corsa rosa che ieri ha incoronato Primoz Roglic. Il veneto, da oltre dieci anni commenta il Giro d’Italia per Rai Radio 1 Sport, e ha un posto da privilegiato in corsa.
Con lui abbiamo fatto il punto su quanto accaduto in questo Giro e più precisamente in gruppo. Tattiche, corridori, squadre… e i grandi temi che ha proposto questa edizione, la numero 106 della corsa.
Da oltre dieci anni Massimo Ghirotto segue il Giro d’Italia per Radio Rai1. Da ex corridore sapeva come muoversi in gruppoDa oltre dieci anni Massimo Ghirotto segue il Giro d’Italia per Radio Rai1
Massimo, si è parlato spesso di noia, di pochi attacchi, almeno nella prima fase del Giro. Tu hai vissuto un’epoca in cui tante volte si partiva piano e poi vi accendevate quando vedevate l’elicottero…
La corsa ai miei tempi cominciava quando sentivamo gli elicotteri, è vero. Te lo dicevano i direttori sportivi stessi alla riunione: «Ragazzi, state attenti, se c’è qualche fuga buttatevi dentro soprattutto quando c’è la telecamera». Tante volte capitava che si andava anche troppo piano e venivamo richiamati dagli organizzatori. Ci dicevano che saremmo andati fuori dalle dirette tv e in qualche modo ci obbligavano ad andare più veloci per stare nei tempi.
Quel modo di correre è paragonabile con le tappe meno combattute di quest’anno?
No, non si possono paragonare le due cose. Poi c’erano anche delle gerarchie. Ho corso con gente come Hinault, Moser, Saronni, Baronchelli… campioni che davvero comandavano. E se loro dicevano di stare fermi si stava fermi. Quindi escludo ogni similitudine. Adesso non dico che non ci siano certi leader, ma ci sono altri metodi, altre strategie, altri strumenti… Bisogna capire che questi ragazzi dal primo all’ultimo giorno della stagione vanno sempre a tutta: corse, allenamenti, ritiri.
Spesso il gruppo è avanzato lentamente, specie nelle prime tappe. La prima battaglia fra Roglic e gli altri c’è stata all’8ª tappa Spesso il gruppo è avanzato lentamente, specie nelle prime tappe. La prima battaglia fra Roglic e gli altri c’è stata all’8ª tappa
Perché secondo te?
Perché il ciclismo è cambiato… e in bene dico io. Allenamenti, alimentazione, strumenti, materiali… Io resto meravigliato della continuità dell’aumento della tecnologia e di tutto lo studio che c’è a monte in ogni cosa. Mi sarebbe piaciuto correre in questo ciclismo.
Che movimenti hai visto in gruppo? Per esempio, Marco Frigo qualche giorno fa ci ha detto che già dalle prime tappe vedeva la Ienos-Grenadiers muoversi compatta…
Anche la mia Carrera era una squadra compatta… a parte il “caso Sappada”! Ma c’è una differenza. Noi correvamo e andavamo a casa quasi per riposare. Adesso, invece, gli atleti hanno i propri obiettivi: chi per le grandi corse, chi per le classiche e quando non corrono o sono in altura, o in ritiro… e la squadra diventa quasi una seconda famiglia. Poi nel caso specifico della Ineos-Grenadiers, mettiamoci che corrono compatti già quando erano Sky e hanno corso in modo perfetto questo Giro.
Ti piace Thomas?
Ha 11 anni in meno rispetto ad un Almeida vuol dire che non è una meteora. Ha vinto un Tour ed è un corridore che sta andando forte, lo ha dimostrato sul campo. L’unico dubbio che avevo su Thomas erano le pendenze, che sono più dure qui al Giro rispetto al Tour.
Jonathan Milan: per Ghirotto il friulano è uno dei più carismatici. Può, e potrà, essere un senatore del gruppoJonathan Milan: per Ghirotto il friulano è uno dei più carismatici. Può, e potrà, essere un senatore del gruppo
Con De Marchi parlavamo dei “senatori”, Thomas è un senatore, ma chi altri hai visto con una certa personalità in gruppo, pur non essendo un corridore più anziano?
Jonathan Milan. Nella sua gioventù, nella sua inesperienza, vedo che è molto seguito. I corridori capiscono quando c’è un talento di questo taglio. Tra l’altro è anche campione olimpico su pista… Ma su strada è quasi “sconosciuto”. Tornando alla mia epoca, alla sua età quando vedevi i Moser o gli Hinault avevi quasi paura di avvicinarli. Invece Jonathan li avvicina e si fa avvicinare da tutti e ci parla.
Tecnicamente c’è qualcosa che ti ha colpito?
Mi hanno incuriosito i rapporti. Noi avevamo il 53-39 e dietro il 23, al massimo il 25 per le tappe più dure. Ora montano ogni tipo di rapporto, anche il 34 dietro. Anche i manubri mi hanno colpito. Sono diventati più stretti. A noi dicevano che il manubrio doveva essere largo quanto le spalle, perché dovevi tenere aperta la cassa toracica, ma mi pare di capire che così non era. Così come l’essere buttati tutti in avanti. Per noi era l’opposto. Ma non era buona la nostra posizione, questa è quella buona. Questa è scientifica. L’unica cosa che dico: queste bici super tecnologiche e con queste posizioni, poi bisogna saperle guidare.
Hai toccato un un discorso affatto banale. Oggi passano presto, spesso da juniores, ma forse poi gli manca qualche fondamentale… posto che le velocità sono più alte.
E’ difficile rispondere a questa domanda. Una cosa è certa: quando esasperi qualcosa, vai sempre più al limite e aumentano i rischi. Questi nuovi materiali, queste nuove bici hanno gomme più larghe, pressioni più basse… Noi quando facevamo una discesa lunga a forza di frenare scaldavamo il cerchio e il tubolare scoppiava. Quindi avevamo anche questo pensiero, per dire. Oggi non hanno limiti. La domanda è: dove potremmo arrivare? Questa maggior efficienza, queste maggiori velocità non dico che ti mettono in difficoltà ma ti obbligano ad essere più bravo a guidare.
Bici sempre più veloci ed efficienti, ma i corridori sono al passo con la guida? Qui il gruppo giù dal GiauBici sempre più veloci ed efficienti, ma i corridori sono al passo con la guida?
Sembra lontanissimo, ma in gruppo hai visto anche Evenepoel: cosa ci dici di lui?
Indubbiamente è un corridore di grande carisma e di grande classe, perché uno non vince una Vuelta, un mondiale e due Liegi per caso. Quando resta da solo, poi non lo prendono più… Allora facciamoci questa domanda: possibile che gli altri che sono dietro siano così carenti? No, è lui che è un fenomeno. Quello che mi ha colpito di Remco è che abbia già vinto una Vuelta. Non credevo fosse già pronto per un grande Giro.
E dietro, tra le ammiraglie, hai visto qualche movimento particolare?
A volte avvicino i diesse e gli faccio qualche domanda e noto che le loro auto sono delle centrali. Televisore, radio per parlare con i corridoi, radio per parlare con lo staff, i Gps, radiocorsa, i frigo, le ruote di scorta… Alla mia epoca avevi l’elenco dei partenti sul manubrio e quando dovevi parlare con il tuo diesse alzavi la mano, ti sfilavi, ti infilavi tra le auto – con il rischio di rimanere al vento – per poi rientrare e dire al tuo capitano cosa bisognava fare. In termini tattici e di sicurezza oggi non c’è paragone.
Però non sempre è tutto rosa e fiori, anche Sagan ha detto che a volte ci sono troppe informazioni, che quasi si perde la concentrazione…
In effetti a volte sono un po’ troppo guidati. L’altro giorno ero in un albergo e c’era un direttore che stava preparando la tappa del giorno successivo: ho notato slide, video, registrazioni… In corsa li vedo sempre con la radio alla bocca. Gimondi, parlando delle radioline, mi disse: “Io una radio fissa nelle orecchie con un direttore sportivo che mi parla continuamente non l’avrei mai voluta”.
Infine un giudizio sui tre mattatori del Giro e padroni del podio: Roglic, Almeida e Thomas…Infine un giudizio sui tre mattatori del Giro e padroni del podio: Roglic, Almeida e Thomas…
Un giudizio telegrafico sui tre ragazzi saliti sul podio di questo Giro… Partiamo da Thomas.
Non era la prima volta che Thomas veniva in Italia, ma per un verso o per l’altro era sempre andato a casa. Si è preparato bene. E’ andato in crescendo… fino a ieri. Nulla da dire: a 37 anni ha lottato come un gladiatore ma è arrivato secondo dietro un grande Roglic. Credo che non si possa far altro che ammirare un corridore di questa generosità.
Almeida…
E’ un Joao Almeida nuovo. L’averlo visto all’attacco sul Bondone in salita, che non è il suo terreno, mi ha un po’ sorpreso. In positivo ovviamente. Ripeto, abbiamo conosciuto un Almeida nuovo. Sicuramente ha qualità, ha dalla sua parte l’età e ne sentiremo parlare in futuro.
E poi c’è Roglic.
Ha vissuto un Giro senza pressione. Non ha mai fatto un protocollo di cerimonia, non si è mai dovuto dilungare in interviste varie ed ha sempre recuperato più energie degli altri arrivando prima in hotel. Che dire: Roglic non è più il corridore spavaldo che abbiamo conosciuto fino all’anno scorso. E’ diventato un calcolatore. Programma gli eventi e li vince tutti… esattamente come ha fatto in questo Giro. Ha sprecato il meno possibile puntando tutto su quella che era la tappa veramente a lui più congeniale, quella di ieri sul Lussari chiaramente.