Il ritorno (a sorpresa) di Maini, grande acquisto per la Polti

27.03.2025
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Maini ha l’entusiasmo del corridore cui hanno appena consegnato la maglia e la nuova bici. «Oggi è stato il primo giorno sull’ammiraglia con Giovanni Ellena – sorride con pudore – e per l’adrenalina che avevo dentro, se fossi stato un corridore, probabilmente sarei andato in crisi di fame».

Oggi Maini ha debuttato alla guida del Team Polti-VisitMalta alla Settimana Coppi e Bartali (in apertura è sul pullman tra Jesus Hernandez e Giovanni Ellena). L’Astana lo aveva lasciato scivolare indietro e senza spiegazioni alla fine del 2023, lo stesso Martinelli non l’aveva presa affatto bene. Eppure, se lo conosceste, sapreste che adesso “Maio” vuole fare tutto tutto fuorché rivangare il passato. Non l’ha mai fatto. Al contrario, ha soprattutto voglia di normalità e di riallacciare il filo con la grande storia del suo mestiere.

Ivan Basso ha accolto Maini nel Team Polti-VisitMalta a stagione già iniziata (sprintcycling.com)
Ivan Basso ha accolto Maini nel Team Polti-VisitMalta a stagione già iniziata (sprintcycling.com)
Una sorpresona, come è andata?

Ho ricevuto una chiamata qualche settimana fa. Mi hanno detto che ci poteva essere questa possibilità e che mi avrebbero aggiornato. Al di là dei giorni che sono trascorsi tra quando mi hanno chiamato e quando la cosa è andata in porto, la cosa bella è che sia andata veramente in porto. Come ho detto nel comunicato ufficiale, devo ringraziare la dirigenza e i miei colleghi per avermi dato questa opportunità.

Ti aspettavi che sarebbe arrivata un’altra ammiraglia?

Dico la verità: per me è stata una sorpresa molto gratificante. Ho avuto la fortuna di lavorare con dei corridori importanti, ma anche tanto con i giovani e mi è sempre piaciuto molto. Questa cosa mi dà stimolo e accelera ancora di più la mia grande voglia di fare, perché l’ho sempre avuta. Sono sempre stato molto malato di ciclismo.

Sei stato preso con un incarico particolare, proprio legato ai giovani?

No, sono uno dei direttori sportivi, ma ho dato disponibilità totale a coprire qualsiasi ruolo. Mi ha chiamato Zanatta, dicendo che era con Basso, Ellena e gli altri direttori e avevano pensato a me. La squadra aveva fatto il programma delle gare e ha capito di avere bisogno di una figura in più. Così hanno pensato a me e mi fa davvero piacere. Con Ivan non ho mai lavorato, ma non ci sono mai stati screzi o tensioni: sempre grande rispetto.

Nel 1992 Maini guidò Pantani alla conquista del Giro dilettanti e poi lavorò con lui alla Mercatone Uno
Nel 1992 Maini guidò Pantani alla conquista del Giro dilettanti e poi lavorò con lui alla Mercatone Uno
Nel frattempo hai continuato a seguire il ciclismo?

Appena, appena (sorride, ndr)… Ero arrivato al punto di tenere acceso l’iPad, la televisione e il telefono e vedevo tre corse al giorno, anche contemporaneamente. A un certo punto si sono aggiunte quelle dei dilettanti, per cui vedevo le due dei professionisti e nel telefono lo streaming degli under 23.

Che cosa porta Orlando Maini al Team Polti-VisitMalta?

Porta a se stesso. Porta la spontaneità di un lavoro che sente particolarmente suo. L’entusiasmo, che serve per dare la possibilità a questi ragazzi di porsi degli obiettivi e di realizzare il loro sogno. Mi piacerebbe portare tutto questo, perché prendano consapevolezza delle loro forze e delle loro capacità.

Pantani, Scarponi, Pozzato, Ulissi… L’elenco dei tuoi corridori è lungo e importante: da ognuno di loro hai imparato qualcosa che adesso fa parte del tuo bagaglio?

Da ognuno di loro ho imparato qualcosa che mi è rimasto e soprattutto mi ha fatto capire che si può sempre migliorare, anche se hai una grande esperienza. In questi anni mi sono reso conto che ascoltare i giovani è importante. Puoi trasmettere, ma anche ascoltare e assorbire qualcosa da loro e questo fa sì che si crei un dialogo che può portare a raccogliere dei frutti importanti.

Dicembre 2022, ritiro Astana ad Altea, in Spagna. Con Maini (a destra), ci sono Martinelli e Zanini
Dicembre 2022, ritiro Astana ad Altea, in Spagna. Con Maini (a destra), ci sono Martinelli e Zanini
Tu torni in gruppo e contemporaneamente Martinelli ne esce. Si sta verificando un ricambio anche fra i tecnici…

Martinelli è stato il primo a essere felice quando l’ha saputo, fra noi non c’è solo un rapporto di lavoro. Il ricambio fa parte della logica della vita, non solo del mestiere del direttore sportivo. Però io sono ancora del parere che l’esperienza dei più maturi serva ancora. Serve il giusto mix fra le parti. Il futuro è un’ipotesi, il passato è certo perché è già successo. Però la voglia di immaginare quello che sarà è stimolante e l’esperienza ti permette di spiegare cosa serva davvero e cosa invece sia inutile.

Adesso il programma che corse prevede?

Adesso faccio la Coppi e Bartali, quindi il Giro d’Abruzzo e poi vedremo il resto del calendario.

Si può dire che alla fine le cose tornano sempre?

Sapete come sono fatto, ci conosciamo da tanto tempo. Sapete cosa penso e cosa basta perché io sia contento. Mi basta che scriviate che io ho solo voglia di normalità, che sono uno con i piedi per terra. Ho sempre vissuto così e sono contento quelle volte in cui mi viene riconosciuto.

Il popolo del ciclismo a Torino per l’addio a Gianni Savio

03.01.2025
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TORINO – «Mi raccomando, teniamoci in contatto». Prendendo in prestito il suo saluto elegante e gentile, gli amici del pedale hanno voluto dire così ciao a Gianni Savio ieri mattina alla Chiesa Gran Madre di Torino, luogo che peraltro ha salutato tanti arrivi celebri del Giro d’Italia negli ultimi anni.

Uomo e diesse d’altri tempi, che ha conquistato tutti con la sua classe e la sua disponibilità, Gianni ha radunato una squadra di oltre duecento persone tra ex corridori, diesse, meccanici, dirigenti, giornalisti e appassionati di ciclismo in occasione del suo funerale, celebrato nello stesso giorno in cui ricorreva anche la morte del Campionissimo Fausto Coppi. Tra i tanti presenti alla cerimonia anche Giovanni Ellena, Wladimir Belli, il presidente federale Cordiano Dagnoni e Franco Balmamion.

Il tributo di Tafi

C’era anche il re delle classiche Andrea Tafi, che con noi ha voluto ricordarlo così: «Il primo pensiero che mi viene in mente è che ha creduto subito in me. Il mio primo contratto da professionista ho avuto il piacere e l’onore di poterlo firmare insieme a lui, nonostante in tanti mi chiedessero perché volessi andare in una piccola squadra come la sua. Ha creduto fortemente in quello che avevo fatto da dilettante, mi ha dato questa grande opportunità e senza di lui non sarei qui a dire che ho vinto la Roubaix o il Fiandre. Questo gliel’ho ripetuto tante volte e, nonostante ci siano stati alti e bassi, sono stati anni bellissimi con Gianni. Ricordo ancora anche quando ha preso Leonardo Sierra, era uno scopritore di grandi talenti e ha dato le opportunità a chi aveva talento i mezzi per poterlo esprimerlo e non è cosa da poco».

Il campione toscano aggiunge ancora: «Come hanno detto in tanti in questa giornata, la cosa che è mi è piaciuta molto in lui è che non è mai cambiato di una virgola, sempre uguale nei suoi modi cortesi e con un solo ideale: l’amore per il nostro sport. Ci lascia una grande persona, un petalo di questo fiore meraviglioso che è il ciclismo».

Tafi ha ringraziato Savio per aver creduto in lui da giovane e avergli permesso di avere la sua grande carriera
Tafi ha ringraziato Savio per aver creduto in lui da giovane e avergli permesso di avere la sua grande carriera

Lo scopritore di talenti

Più di tre lustri, Savio li ha vissuti quotidianamente con Giovanni Ellena, ora al Team Polti-VisitMalta: «Abbiamo condiviso 17 anni di lavoro, ma è difficile fermarsi soltanto a una caratteristica di Gianni. Mi ricordo i nostri “scontri lavorativi”, in senso buono. Entrambi avevamo la testa dura e magari per arrivare a una conclusione ci passava del tempo. Però, da lui ho imparato molto e una caratteristica che ho cercato di fare mia è di non infierire nel momento degli errori, perché tutti ne commettiamo. L’ho visto trovarsi davanti a situazioni complicate, ma lui non ha mai inferito con la persona che aveva commesso qualunque tipo di errore. Anzi, si è sempre comportato in maniera elegante e signorile».

Tanti talenti internazionali, ma anche tanti giovani del nostro Paese lanciati nel mondo del pedale. «Tutti parlano di Bernal o Sosa, ma Gianni ha creduto in italiani che all’inizio nessuno voleva come Vendrame e Ballerini – prosegue Ellena – e che ora tutti vediamo quanto valgono. Loro due, come tanti altri hanno fatto tanta fatica a passare professionisti e probabilmente non ci sarebbero riusciti se non avessero incrociato Gianni Savio sulla loro strada». 

Ellena ha ricordato Vendrame e Ballerini, qui con Savio alla Tirreno del 2017, come alcuni dei talenti migliori scoperti da Gianni
Ellena ha ricordato Vendrame e Ballerini, qui con Savio alla Tirreno del 2017, come alcuni dei talenti migliori scoperti da Gianni

Un terzino alla Maldini

L’ex pro’ torinese Umberto Marengo, suo corridore per una stagione con la Drone Hopper-Androni, lo ricorda con affetto: «Con lui ho vissuto un’annata difficile nel 2022, anche a causa del Covid, ma non mi ha mai fatto mancare il suo appoggio. Ogni volta, ci infondeva tutta la sua grinta e ci dava tante motivazioni. La sua eleganza era il tratto distintivo e ha sempre creduto nei giovani».

C’è poi chi rimembra persino i suoi trascorsi sul rettangolo verde del pallone da ragazzo, prima di salire con classe sull’ammiraglia e non scendere più e lanciarsi alla scoperta di talenti. «Tra il 1975 e il 1976 abbiamo giocato insieme nel Vallorco, in Prima Categoria. Era un terzino fluidificante, alla Maldini, mentre io ero ala sulla stessa fascia, a destra. Era molto generoso e ben dotato tecnicamente. Ricordo che già allora era appassionato di bici e spesso ne parlavamo in spogliatoio, lui sempre con la sua eleganza e la “r” arrotata», racconta un ex compagno di calcio, Michele D’Errico.

Sullo sfondo, mentre Gianni se ne va, la sua amata Torino in una grigia giornata d’inverno
Sullo sfondo, mentre Gianni se ne va, la sua amata Torino in una grigia giornata d’inverno

L’uomo dei sogni

Sport e famiglia, i due capisaldi di Gianni. L’amata “Pablita”, con cui ha festeggiato le nozze d’oro la scorsa estate, ha affidato il suo messaggio nella lettura di un amico per ringraziare dell’ondata d’affetto ricevuta in questi giorni tra visite, telefonate e messaggi ricevuti da lei e dalle figlie Annalisa e Nicoletta. A raccontare le gesta del nonno al piccolo nipote Edoardo Felline ci penserà papà Fabio, ritiratosi ufficialmente due domeniche fa e anch’egli grato nel suo percorso, ciclistico e umano, al compianto suocero.

«Ci mancherai, grande Gianni. Di te mancheranno la gentilezza, la disponibilità, il tuo sorriso e l’attenzione che ponevi ai rapporti umani», le parole in chiesa di Vladimir Chiuminatto, diesse del Madonna di Campagna . «Il ciclismo è stata la tua seconda casa, in cui ti sei mosso sempre in maniera elegante. Ci mancherà vederti camminare con passo spedito nei pressi del traguardo poco prima dell’arrivo dei tuoi ragazzi. Grazie alla tua determinazione e alla tua competenza, hai contribuito a far avverare i loro sogni. Mancherai a tutte quelle persone con cui hai collaborato in questi anni e per cui sei stato un condottiero carismatico, così come ai tuoi tifosi. Non solo quelli italiani, ma a quelli di tutto il mondo, in particolare a quelli sudamericani, a cui hai regalato grandi imprese». 

Noi appassionati siamo certi che il suo sorriso disponibile ci accompagnerà sempre: d’altronde, Gianni si è semplicemente avvicinato in anticipo al traguardo. 

In Venezuela con Savio, sulle tracce di Rujano

31.12.2024
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Quando il piccolo aereo iniziò a salire verso Merida con il motore che dava inquietanti colpi di tosse, Gianni Savio reagì con un sorriso bonario allo sguardo preoccupato. Era la terza tappa di un viaggio che allora sembrava ancora più avventuroso. Da Roma ad Atlanta, poi Caracas, infine l’ultimo tratto verso Santa Cruz de Mora a casa di Josè Humberto Rujano. Il piccolo venezuelano era arrivato terzo al Giro d’Italia e andare a scoprire quel suo mondo così lontano era parsa un’idea grandiosa. La coincidenza saltata negli Stati Uniti ci aveva permesso di trascorrere una giornata ad Atlanta a dieci anni dalle Olimpiadi, scoprendone una faccia molto meno sfavillante della prima volta. La notte a Caracas, con la raccomandazione di Gianni di non uscire per nessun motivo dall’hotel, era passata rapidamente, l’adrenalina era davvero tanta. E ora il volo verso la principale località delle Ande Venezuelane era il modo più semplice per avvicinarsi e colmare il resto della distanza in auto su strade alte e piene di curve. Le montagne erano là davanti come dei contrafforti.

Gianni se ne è andato ieri. Ha lottato, ma alla fine ha poggiato la bici in un luogo sicuro e ha chiuso gli occhi. Si potrebbe raccontarlo attraverso i talenti che ha scoperto, siamo certi che avrebbero pagine da raccontare. Ma adesso quel che ci assale è l’onda dei ricordi personali attraverso cui imparammo a conoscere e capire quell’uomo che da solo lottava in mezzo ai giganti con la dignità del grande condottiero. Sempre con la giacca e la camicia. Sempre con un sorriso. E sempre con grandi storie in fondo agli occhi, fatte di lunghi viaggi in terre sconosciute da cui, cercatore d’oro, tornava ogni volta con un nuovo nome da proporti.

Giro del 2005, Rujano vince a Sestriere e ipoteca il podio dietro Savoldelli e Simoni
Giro del 2005, Rujano vince a Sestriere e ipoteca il podio dietro Savoldelli e Simoni

Caffè e Rolex

L’abitazione della famiglia Rujano era piccola e allegra, tirata a lucido come quando aspetti una persona importante. Si vedeva che «el señor Giani» fosse di casa. Lo capivi dalla festa dei bambini e dalle facce sorridenti e beate di chiunque venisse fuori dalla porticina con la tenda di fili che toccandosi facevano un rumore allegro. Il padre del corridore era un ometto piccolo e ricurvo, con molti meno anni di quelli che dimostrava. Il tempo che Gianni facesse le presentazioni e per me iniziò la fase delle domande, delle foto e della curiosità. Lui invece si mise in un angolo a raccogliere gli umori e i racconti di quella famiglia cui aveva offerto una chance importante.

Quel giorno Rujano ci portò a fare un giro nei luoghi della sua infanzia. Quelli in cui avrebbe trascorso la sua esistenza di raccoglitore di caffè se non avesse incontrato la bicicletta. Per fare la foto nella piantagione indossò un Rolex nuovo di zecca, preso dalla banca per l’occasione. Non si fidava a tenerlo in casa, perché le rapine erano all’ordine del giorno. Quando quelle foto girarono in Europa, i corridori di qui ironizzarono su quell’orologio che probabilmente per Josè significava avercela fatta, il simbolo dell’emancipazione. Loro cosa ne sapevano di cosa significasse avere fame?

«Sono situazioni che ho visto tante volte – disse Savio la sera mentre tornavamo verso l’alberghetto al Tovar – soldi che gli cambiano la vita e che devono essere bravi a gestire, ma so già che non sarà facile. Una volta forse era più facile, oggi ci sono tante persone che gli girano attorno, sia qui sia in Europa. Gente che chiede e, se il corridore è buono come Rujano, il rischio è che i soldi finiscano presto. Domani ti porto a casa di Leonardo Sierra, quello del Mortirolo al Giro del 1990. Non lo riconoscerai».

Gli occhi di Sierra

Leonardo Sierra, una porta sui ricordi. La prima volta del Mortirolo al Giro d’Italia e il venezuelano in fuga che cadeva in discesa quasi ad ogni curva. Vinse la tappa nel suo secondo anno da professionista e diede l’avvio a una carriera di otto anni, quasi tutta con Savio. Prima alla Selle Italia, poi alla ZG Mobili, quindi nel 1994 il grande salto nella Carrera al fianco di Chiappucci e Pantani. Il tempo di ricordare la sua immagine da indio e il faccione che si affacciò alla finestra della casetta nel prato fu davvero un colpo. Era lui, tanti chili di più. La voce che sapeva di birra anche di buon mattino e gli abbracci al «señor Giani» con quell’affetto sudamericano che supera la barriera del tempo. Lo sguardo era sempre lo stesso, un po’ languido ma con un fondo di fuoco.

«E’ tornato qua – raccontò Gianni – ha speso parecchio, ma alla fine è stato furbo a tenersi qualcosa da parte. Non vive da signore, ma non ha nemmeno l’esigenza di lavorare. E vedrete che farà anche pace col bere».

La conferma venne qualche tempo dopo attraverso la foto di un Sierra più magro spulciata su qualche social e tramite lo stesso Rujano, incontrato nuovamente in Argentina al Tour de San Luis, quando si era rimesso a correre per guadagnare ancora qualcosa e aiutare suo figlio. Gianni aveva visto giusto. Nel 2006 infatti, Josè fu convinto dal suo agente a mollare la squadra durante il Giro e fu portato alla Quick Step di Boonen campione del mondo. Ci rimase per pochi mesi, poi cambiò altre due squadre per tornare infine alla Androni del «señor Giani». Ci rimase in tempo per vincere ancora una tappa al Giro, ma alla fine anche lui appese al chiodo la bici che era diventata di colpo troppo pesante.

A 4.200 metri

Gianni parlava e intanto la strada si arrampicava. Parecchi ciclisti, il clacson che suonava per salutarne alcuni e chiamarli per nome. L’ultimo passaggio di quei pochi giorni in Venezuela, dopo aver rilasciato delle interviste a una radio locale, prevedeva di salire fino a Pico el Aguila, il Teide di laggiù, ma duemila metri più in alto. Rujano all’ultimo momento scelse di non venire, perché disse che avrebbe iniziato ad allenarsi e salire lassù non era adatto al momento. Per cui facevano strada Gianni e un allenatore di cui oggi è impossibile ricordare il nome.

La pendenza sembrava dolce, poca roba e ti accorgevi che qualcosa stesse cambiando quando ti fermavi per guardare il panorama e sentivi la testa pesante. Arrivammo dopo 80 chilometri di salita da Merida. Un rifugio. Delle antenne. E la strada che proseguiva pianeggiante con un anello di una decina di chilometri. Salire di slancio i quattro gradini per entrare nel bar ci fece capire la differenza fra una quota europea e l’assenza di ossigeno in questo avamposto andino.

«A volte quando sento parlare dell’altura in Europa – disse Savio – mi viene da sorridere. Qui siamo quasi a 4.200 metri. Rujano e i corridori di qui ci vengono spesso nei momenti in cui si allenano sul serio. Arrivano quassù e poi hanno questa strada di pianura in cui fanno i loro giri. Credo che qualche volta si fermi a dormire qui. Capito perché quando devono salire sullo Stelvio o sulla Marmolada, per loro non è questa grande preoccupazione?! Anche le corse qui sono tutte abbastanza simili. Prima i chilometri piatti in basso in questi stradoni tutti uguali, poi puntano una salita interminabile e inizia la selezione».

I meriti di Gianni

Il resto è un collage di ricordi che passano per le fughe del Giro e le polemiche per le esclusioni davanti alle quali «el señor Giani» usciva dai gangheri, ma sempre con quel suo stile da signore d’altri tempi. La squadra mista al Tour del 1995, in cui i suoi corridori corsero assieme a quelli della Deutsche Telekom che l’anno dopo il Tour lo avrebbero vinto con Riis e poi con Ullrich. La nuova vita regalata a Scarponi, Rebellin e Bertolini, come pure a Masnada e Cattaneo. La scoperta di Egan Bernal. Nessuno gli ha mai riconosciuto sino in fondo i meriti che aveva.

Questo nuovo ciclismo non sembrava più la casa di Gianni Savio e forse per questo – e per i problemi di salute – tenersene lontano non gli era parso poi così difficile. Invece, dopo la delusione della Drone Hopper, era ripartito con il progetto della Petrolike che gli aveva fatto brillare nuovamente gli occhi. C’era tutto il suo mondo. Il Sudamerica. Il senso di aver scoperto qualcosa di nuovo. E anche il gusto per la sfida contro i più grandi, con l’eleganza e l’ironia di sempre. In questo pedalare veloci verso l’assenza di limiti, sentiremo la mancanza del «señor Giani». Ci piace pensare che sia da qualche parte laggiù, in mezzo alle sue Ande, in cerca di un nuovo nome da proporci.

Caro Ellena, cosa avete fatto per tre giorni a Malta?

29.10.2024
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Anche il Team Polti-Kometa, ha svolto il “pre-ritiro” di fine o inizio anno, a seconda di come lo si voglia interpretare. E’ questo l’anello di congiunzione tra la vecchia stagione e la nuova. Per l’occasione, la squadra di Basso e Contador ha scelto Malta come sede, un partner importante per il team.

Giovanni Ellena ci ha parlato dei ragazzi, della sua esperienza personale e di quanto fatto nei tre giorni trascorsi nel cuore del Mediterraneo. Il che è stata anche un’occasione per scoprire le bellezze di questa isola situata tra la Sicilia e l’Africa (in apertura foto di Maurizio Borserini).

Una veduta tra città e mare di Malta (foto Pinterest)
Una veduta tra città e mare di Malta (foto Pinterest)
Giovanni, Malta in questo periodo deve essere bellissima…

Sì, è un’isola splendida. Io non c’ero stato l’anno scorso a causa di un piccolo problema di salute, quindi per me quest’anno è stato un ritorno al lavoro al 100 per cento… Anche se prima lo era già, ma non avevo partecipato dall’inizio.

Dopo quello che hai passato, l’importante era esserci…

In effetti mi era mancato. Abbiamo fatto anche due attività extra molto divertenti: una di canoa e una zip line. Non le ho potute fare, o meglio non ho voluto farle, per questioni legate al recupero fisico. Mi sentivo a disagio non partecipando completamente al gioco, e mi è dispiaciuto non essere in prima linea con i ragazzi. Ma il prossimo anno sarò il primo a lanciarmi!

Giovanni, cosa si fa in un ritiro del genere? Che cosa avete fatto a Malta? E come lo chiamate, questo tipo di ritiro?

E’ un ritiro di conoscenza: serve a far incontrare i nuovi arrivati. Abbiamo fatto la prova del vestiario con Gsport, verificato le misure delle scarpe con Sidi piccole accortezze per arrivare al primo training camp con tutto in ordine. Ci sono stati anche alcuni chiarimenti sulle misure delle bici.

Giovanni Ellena (classe 1966) è uno dei direttori sportivi della Polti-Kometa. E’ arrivato in questo gruppo due anni fa (Maurizio Borserini)
Giovanni Ellena (classe 1966) è uno dei direttori sportivi della Polti-Kometa. E’ arrivato in questo gruppo due anni fa (Maurizio Borserini)
Avete fatto anche la visita medico-sportiva?

No, quella sarà fatta ai primi di dicembre a Firenze, dal dottor Giulio Tempesti, il nostro medico, insieme al suo staff che ci segue costantemente. Quindi in questo ritiro ci siamo occupati di pianificare le visite mediche, organizzare le partenze e stilare una bozza del calendario 2025, oltre a incontrare i preparatori. C’è stato anche spazio per il relax.

Parlaci di questo…

Abbiamo avuto la possibilità di visitare la Basilica di Malta, dove abbiamo fatto la presentazione della squadra insieme al ministro del turismo e dello sport. Abbiamo visitato Malta stessa, le catacombe e le sue coste… Sono esperienze che permettono di condividere pensieri e idee. Alla fine, è risaputo che davanti a un piatto o in momenti di relax emergono conversazioni che in altre situazioni non si farebbero, perché manca il tempo o lo spirito giusto.

Come ti è sembrato il gruppo?

Un bel gruppo, davvero. Non ho trovato nessuna difficoltà d’integrazione, nessuno che facesse fatica a inserirsi. Tutti erano ben integrati. Ho visto un Piganzoli già più maturo, con le idee chiare su dove vuole arrivare e cosa vuole ottenere nel 2025; un Lonardi molto più sicuro di sé; un Peñalver che in Malesia ha capito di poter fare il velocista. E poi ci sono giovani come Crescioli, che entrano in un mondo nuovo, ma ancora a misura d’uomo, senza il ‘trauma’ del WorldTour dove ti chiedono prima il Vo2Max che il tuo nome.

Ivan Basso presenta la squadra agli esponenti di Malta, che ha una partenership sempre più importante (foto Maurizio Borserini)
Ivan Basso presenta la squadra agli esponenti di Malta, che ha una partenership sempre più importante (foto Maurizio Borserini)
Come li hai visti fuori dal loro ambiente? Ad esempio, durante la gara in canoa?

Con un grande spirito competitivo, goliardico ma sempre agonistico, tipico di chi fa questo lavoro: si vuole vincere anche a briscola! Sono uscito dall’albergo in jeans proprio per evitare tentazioni: se fossi stato in abbigliamento adatto, mi sarei unito a loro. Questo è lo spirito coinvolgente del gruppo, grazie anche alle proposte di team building di Basso, che riprende ciò che faceva alla CSC, ma in modo più sicuro e intelligente.

Hai accennato a Piganzoli. Lo vedi già come un leader?

Diciamo che sta lavorando per diventarlo. Sa di poter puntare al tredicesimo posto al Giro d’Italia, di non essere l’ultimo nelle cronometro, e sa che ha margini di miglioramento. Parte con uno spirito diverso. Ricordiamoci che l’anno scorso Davide non aveva ancora vinto una corsa da professionista, mentre quest’anno non solo ha vinto ma ha colto piazzamenti importanti. Sa di poter vincere, di poter fare terzo a un Giro dell’Emilia. Quest’anno non ha brillato al Lombardia, ma bisogna considerare chi c’era, come è partita la gara, e che è ancora in fase di crescita. Era deluso…

Con una divisa neutra, Gsport fa provare il vestiario ai corridori (foto Maurizio Borserini)
Con una divisa neutra, Gsport fa provare il vestiario ai corridori (foto Maurizio Borserini)
Ma era nel gruppo con Pogacar quando Tadej è partito…

Esatto, questo dimostra il livello a cui è arrivato.

Giovanni, hai parlato di momenti conviviali. Ne avete avuti? Avete ricordato qualche momento della stagione?

Tra ragazzi è normale che affiorino ricordi di corse o episodi specifici. E ci sono sempre risate, anche su momenti che magari all’epoca non erano piacevoli, come il freddo tremendo di una tappa in Turchia. Allora non ridevano di certo. Stare 200 giorni l’anno insieme crea inevitabilmente storie e aneddoti.”

Come erano scandite le vostre giornate a Malta? E le biciclette le avevate dietro?

Le bici c’erano perché l’ultimo giorno abbiamo fatto una pedalata cui ha partecipato anche il ministro del turismo (Clayton Bartolo, ndr) e alcuni appassionati. E’ stata organizzata una raccolta fondi per un’associazione di disabili. Ma abbiamo pedalato solo l’ultimo giorno; gli altri giorni erano dedicati ad altre attività. E qualche sera siamo usciti per una birra e due risate.

Poca bici e tanto svago in questo primo raduno a Malta (foto Maurizio Borserini)
Poca bici e tanto svago in questo primo raduno a Malta (foto Maurizio Borserini)
E la sveglia? Presto o libera?

Sempre abbastanza presto. Il primo giorno abbiamo fatto le prove per il vestiario e le scarpe, il secondo giorno la sveglia era alle 7,30 perché alle 8,30 dovevamo essere alla Basilica per la presentazione. Anche per le attività ludiche la sveglia era presto, perché iniziavano alle 9. L’ultimo giorno ci siamo svegliati ancora prima, perché la pedalata iniziava alle 7,30! Giornate di scarso stress, ma intense al tempo stesso.

Avete assegnato i corridori ai rispettivi direttori sportivi?

Abbiamo fatto un’assegnazione dei preparatori, quello sì. Per quanto riguarda i direttori sportivi, ne parleremo nel ritiro di dicembre a Benidorm. Lì ogni corridore incontrerà il suo direttore, si discuterà il calendario… Per ora li lasciamo tranquilli, senza la pressione dei direttori sportivi.

Ellena: «Per Piganzoli è il momento del salto definitivo»

13.07.2024
5 min
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Il fatto che Davide Piganzoli stia bene lo si vede dalle storie su Instagram e dalla costante voglia di scherzare con i compagni. Lui e la squadra, la Polti-Kometa, sono andati in ritiro in Valtellina per preparare la seconda parte di stagione (in apertura foto Maurizio Borserini). Il bilancio per Piganzoli fino a qui è positivo, con un tredicesimo posto al Giro d’Italia inseguendo i migliori. A inizio anno era anche arrivata la prima vittoria da professionista, in salita al Tour of Antalya. 

Abbiamo così bussato alle porte di Giovanni Ellena, diesse del team Polti-Kometa, e con lui si è parlato del nuovo Piganzoli. Di cosa è rimasto nel giovane valtellinese dopo le fatiche del Giro d’Italia e di ciò che potrà fare in futuro.

Per Piganzoli all’Antalya, a inizio stagione, il primo successo tra i professionisti
Per Piganzoli all’Antalya, a inizio stagione, il primo successo tra i professionisti

Costante confronto

Se si pensa a Piganzoli di riflesso la mente va anche verso il nome di Giulio Pellizzari. Entrambi sono stati un binomio indissolubile della nazionale di Amadori e insieme hanno lottato al Tour de l’Avenir lo scorso anno. Dal Giro si è visto come i due siano stati gestiti diversamente dalle rispettive squadre. Piganzoli dopo la Corsa Rosa è andato allo Slovenia, si è ritirato e si è fermato. Pellizzari ha proseguito fino al Giro d’Austria, concluso pochi giorni fa.

«Piganzoli al Giro – racconta Ellena – ha voluto provare a tenere duro e fare classifica, ottenendo un tredicesimo posto finale. Un risultato tutto sommato positivo se si considera che era alla prima esperienza. Pellizzari, invece, è uscito di classifica e ha avuto modo di tentare di vincere una tappa. Gestioni diverse, vero, ma da noi è stato lo stesso Piganzoli a chiedere di provare a tenere duro. Un ragionamento che ci siamo sentiti di incoraggiare».

La decisione di tenere duro al Giro è arrivata da lui, il 13° posto finale è un buon premio
La decisione di tenere duro al Giro è arrivata da lui, il 13° posto finale è un buon premio
Poi è andato al Giro di Slovenia e si è ritirato.

Purtroppo tra la fine del Giro d’Italia e l’inizio dello Slovenia è caduto, e questo ha compromesso il finale della prima parte di stagione. Ha provato a correre, ma alla fine abbiamo optato per fermarlo e ricostruire la condizione per la seconda parte dell’anno. E’ stato un peccato però.

Come mai?

La gamba dopo il Giro era buona e allo Slovenia poteva fare bene, così come all’italiano. Poi avremmo valutato se mandarlo anche allo Slovacchia, ma la caduta ce lo ha impedito. “Piga” avrebbe potuto fare molto bene a mio avviso.

Negli aspetti da migliorare c’è anche la crono, il lombardo va forte, ma serve curarla ancora
Negli aspetti da migliorare c’è anche la crono, il lombardo va forte, ma serve curarla ancora
Dopo il Giro cosa gli è rimasto?

Che la classifica finale può essere una strada percorribile. Anche se il ragazzo ha ancora tanto da imparare, ma ci sta, visto che ha solo 22 anni. La vittoria a inizio stagione ha fatto capire che ha una maturità importante, ma deve ancora scoprirsi totalmente. Se chiedete a lui, il tredicesimo posto al Giro è motivo di orgoglio. Solo che agli occhi della gente nessuno ci fa caso, solamente due o tre addetti ai lavori. Tuttavia il risultato rimane ed è incoraggiante. 

Adesso ha lavorato per ripartire forte?

Sì. La sua stagione riprenderà con calma alla Vuelta a Burgos. Non arriverà al 100 per cento, ma va bene così. Sarà una corsa che servirà in chiave di costruzione. Da lì andrà in altura e poi affronterà tutto il calendario italiano di fine anno. 

Tu che corridore hai trovato dopo il Giro d’Italia?

Sicuro, lui è sempre stato un ragazzo che ostenta sicurezza. Quel che si vede è una crescita mentale e fisica importante, ma non definitiva. La testa c’è, altrimenti un Giro del genere non lo avrebbe fatto. Dal punto di vista atletico deve ancora crescere ma i passi sono quelli giusti. Deve migliorare nello spunto veloce, cosa che cresce provando a vincere. Vero che ha vinto in Turchia, ma era un arrivo in salita, dove la forza emerge in maniera netta. 

Dopo il Giro d’Italia l’idea era di sfruttare la condizione fino all’italiano, ma la caduta ha compromesso i piani
Dopo il Giro d’Italia l’idea era di sfruttare la condizione fino all’italiano, ma la caduta ha compromesso i piani
Ora quindi va a correre per imparare altro?

Il calendario italiano offre chance importanti con gare vicine alle sue caratteristiche che però non hanno un arrivo in salita. All’Agostoni, alla Tre Valli o all’Emilia non vince sempre il più forte, ci sono tanti componenti da considerare: freddezza, lucidità, spunto veloce…

Lo lanciate nella mischia e vedrete che combina…

E’ il momento di imparare ancora e può farlo con la consapevolezza che la squadra c’è e che crede in lui. 

E che ha ancora un anno di contratto.

Scadrà nel 2025 e questa fase di costruzione ulteriore servirà anche a lui. Un conto è presentarsi ad una squadra WorldTour da giovane promessa, un altro è arrivare come un corridore pronto per vincere e fare bene. 

L’Avenir lo avevate preso in considerazione?

Era tutto in mano a Piganzoli. Lui avrebbe deciso se partecipare o meno, chiaramente confrontandosi con noi e con Amadori. La caduta a inizio giugno ha compromesso un eventuale cammino verso l’Avenir, non sarebbe arrivato al massimo della forma. Poi fare delle gare con noi tra i professionisti penso possa fargli bene per crescere ancora.

Il Tour della rinascita. Bernal vuole tornare… Bernal

26.06.2024
5 min
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Per certi versi passa inosservato e potrebbe questo essere anche un vantaggio. A Firenze, tra i partecipanti al Tour de France ci sarà anche Egan Bernal e già questo è un risultato eccezionale se si ricorda quanto gli è accaduto nel gennaio 2022. Parliamo di uno che il Tour l’ha vinto, nel 2019, di uno che sembrava destinato a collezionare grandi giri come caramelle, di uno che era accreditato, in quel maledetto mese, della fama di più grande avversario di Tadej Pogacar, quando ancora Vingegaard era solo un giovane di belle speranze.

C’è voluto tanto tempo per Bernal per tornare a essere Bernal. Forse oggi, per la prima volta, si può dire che il colombiano stia tornando se stesso, solo che sono passati oltre due anni che in questo ciclismo sono un secolo, un lasso di tempo nel quale moltissimo è cambiato e allora il colombiano resta un oggetto quasi sconosciuto, imponderabile.

Bernal è sempre fra i più amati dai tifosi, anche per tutto quel che ha passato
Bernal è sempre fra i più amati dai tifosi, anche per tutto quel che ha passato

Giovanni Ellena, diesse della Polti Kometa conosce bene Bernal, al quale è legato da una sincera amicizia e prima di parlare delle sue possibilità nella Grande Boucle ci tiene a sottolineare un aspetto che non deve mai essere dimenticato: «Il fatto che Egan sia qui è un miracolo. Quando ha avuto l’incidente era dato quasi per morto, la stessa ripresa come essere umano prima che come ciclista sembrava un miraggio. Invece oggi è qui e questa, a prescindere da come il Tour finirà, è una grande vittoria».

Tu gli sei stato vicino anche nei momenti immediatamente successivi al gravissimo incidente?

La sera stessa chiamai la madre che mi disse con molta schiettezza che c’era da far passare la notte per capire se all’indomani Egan ci sarebbe stato ancora. Eravamo a questo punto. A inizio stagione, tornando in aereo da O Gran Camino ci siamo ritrovati fianco a fianco e abbiamo parlato, ci siamo raccontati le nostre peripezie (anche Ellena è caduto durante un’escursione in montagna e ha rischiato di non camminare più, ndr). Entrambi abbiamo non so quante viti che tengono insieme il nostro corpo, ma per lui è diverso. Parliamo di uno sportivo, un ciclista, pensate che cosa significa gareggiare nelle sue condizioni…

Bernal ha vinto il Tour nel 2019 battendo Thomas e Kruijswijk, poi ha trionfato al Giro 2021
Bernal ha vinto il Tour nel 2019 battendo Thomas e Kruijswijk, poi ha trionfato al Giro 2021
Eppure sembra davvero che stia tornando lui, si è visto anche al Giro della Svizzera chiuso al quarto posto.

E’ a buon punto, io dico che è quasi come prima, solo che adesso ci sono fenomeni in giro e non solo loro a ben guardare. La concorrenza è spaventosa. Ma lui è tornato a un livello importante, in Svizzera l’ho visto andare davvero forte, ha trovato anche una notevole costanza di rendimento, finendo ogni corsa a tappe sempre nelle prime posizioni.

L’impressione guardandolo è che siamo di fronte a un corridore che si sta ancora scoprendo e che per questo corre molto coperto, senza prendere iniziative com’era solito fare…

Non è che corra in maniera passiva, è che deve capire ancora dove può arrivare. Ora pensa di più prima di attaccare. Io credo che tutto quel che ha passato l’abbia fatto maturare, ma dal punto di vista psicologico e mentale deve ancora fare un piccolo scatto per tornare completamente quello di prima. Al Tour correrà insieme a due altri capitani, si spartiranno i compiti e questo sarà un aiuto, potrà capire durante la corsa che cosa potrà fare. E’ però consapevole che, in mezzo ai più forti, a quelli che lottano per i quartieri alti della classifica ci può stare.

Il colombiano con Pogacar: dovevano essere grandi rivali a Giro e Tour, l’incidente ha rovinato tutto
Il colombiano con Pogacar: dovevano essere grandi rivali a Giro e Tour, l’incidente ha rovinato tutto
Credi che potrà un giorno tornare a competere ad armi pari con Pogacar e Vingegaard?

E’ una domanda alla quale potrà rispondere solo il tempo. Noi (mi ci metto in mezzo come suo amico ed estimatore) possiamo solo sperarlo. Il fatto è che il ciclismo corre, oggi è già differente rispetto al gennaio 2022. Io però confido nella sua capacità di adattamento: al Tour ad esempio ci sarà una tappa dove si andrà oltre i 2.000 metri, io penso che quello sia il suo pane e se sarà in forma metterà alla frusta gli altri. Tenendo sempre presente che in giro troverà veri fenomeni.

Lui se ne rende conto, di questo cambiamento?

Sì, ma non è uno che si adatta. Voglio dire che non è tornato in bici, si è sacrificato settimane, mesi, anni per essere uno che porta le borracce. Ha grandi ambizioni, vuole emergere e se è lì sa di poterlo fare. Non è uno che si adagia sulla mediocrità. E’ un leader, esattamente come quando vinceva Giro e Tour quindi mi aspetto che sia lì davanti.

Dopo il Tour Egan sarà a Parigi il 3 agosto nella gara olimpica, insieme a Daniel Martinez
Dopo il Tour Egan sarà a Parigi il 3 agosto nella gara olimpica, insieme a Daniel Martinez
Pensi che essere stato scelto per la gara olimpica del 3 agosto, insieme a Daniel Martinez, gli abbia dato motivazione in più?

Non credo, non ne ha bisogno. E’ sempre onorato se può vestire la maglia della nazionale e anche su un percorso certamente non proprio adatto alle sue caratteristiche farà il massimo per essere degno di quella maglia della nazionale, ma non ha bisogno di incentivi particolari. Bernal li ha già dentro di sé, sono sicuro che freme per la partenza da Firenze, per cominciare la lunga lotta…

Restrepo: il 2023 per rilanciarsi, la Polti per confermarsi

03.03.2024
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Jhonatan Restrepo ha iniziato forte questo 2024, 16 giorni di corsa, due vittorie e ben 8 piazzamenti nei primi dieci. Prima in Colombia, a casa sua, poi in Rwanda, il corridore della Polti-Kometa ha raccolto tanto e il suo tono di voce fa trasparire tanta felicità. Ora Restrepo si trova in Italia, vicino a Torino, si allena e guarda avanti: la stagione non finisce a febbraio. Sa che c’è da lavorare e preparare i prossimi impegni, non guarda troppo in là, le cose si fanno un passo alla volta

«Rispetto al Tour du Rwanda fa freddo – scherza Restrepo – là ero abituato a 40 gradi, qui in Italia ce ne sono 10. Ho iniziato bene la stagione, prima in Colombia, dove ho vinto anche una tappa, l’ultima. Nelle frazioni precedenti ho provato anche a lanciarmi in qualche sprint, ma ne sono uscito battuto. Non è facile, sono veloce, ma non posso fare una volata di gruppo. Prendevo bene le ruote dei velocisti, ma poi quando provavo ad uscire rimanevo fermo».

Restrepo ha vinto l’ultima tappa della Tour Colombia battendo un gruppetto allo sprint
Restrepo ha vinto l’ultima tappa della Tour Colombia battendo un gruppetto allo sprint
Poi però quando la strada saliva sei riuscito a vincere, non si può fare tutto…

Nei giorni con tanta salita stavo bene, l’ho dimostrato. Il Tour Colombia è stata la prima corsa di più giorni e sono felice di come è andata. In salita ero pronto, stavo davanti, lottavo con i primi. In Rwanda, invece, è andata ancora meglio. Anche lì ho vinto una tappa, in più sono sempre stato in gioco per la classifica (Restrepo ha terminato terzo nella generale, ndr).

Come sono andati i primi mesi con la Polti-Kometa?

Qui si lavora molto bene. Grazie a loro ho cambiato molto nell’allenamento, nell’alimentazione, ho imparato a mangiare meglio. Metto attenzione su cose che prima non riuscivo a fare. La Polti è una squadra molto professionale, quando si lavora così è tutto più semplice. Ci sono le persone giuste, che lavorano sulle cose giuste, c’è fiducia reciproca perché ti confronti con gente che sa cosa deve fare. 

Il corridore della Polti ha provato anche a fare le volate di gruppo, ma i velocisti erano imbattibili
Il corridore della Polti ha provato anche a fare le volate di gruppo, ma i velocisti erano imbattibili
Un cambiamento che arriva in un punto importante della carriera.

Non sono vecchio, ma non sono nemmeno giovane. E’ il momento di prendermi delle responsabilità, per me e per la squadra. So che se continuo a lavorare e allenarmi così i risultati arriveranno. 

Uscivi da un 2023 non facile, è così?

No, l’anno scorso per me è stato un anno bello. Ero tranquillo, non penso sia stato un anno duro. Ho imparato tanto anche in quella situazione, grazie ai giovani. Ho scoperto la voglia di insegnare e trasmettere la mia esperienza, di dare tanti consigli. Nella GW Shimano ero un po’ il capo, di solito in Europa questa cosa non te la fanno fare. Per me il 2023 è stato importante, perché grazie a quella esperienza ho trovato una voglia nuova, che non sapevo di avere. 

Hai corso tanto in Colombia e in generale in Sud America, che livello hai trovato?

Alto, altissimo. Specialmente in Colombia, lì gli scalatori ci sono e vanno davvero forte. Un po’ mi sono dispiaciuto, perché appena arrivato dall’Italia, dove avevo vinto a Reggio Calabria, stavo bene. Poi però alla Vuelta a Colombia, la corsa a tappe lunga di giugno, sono caduto e mi sono rotto le costole e una scapola. Ho praticamente finito la stagione in anticipo. 

Restrepo (a sinistra) in Rwanda ha conquistato la terza posizione in classifica generale (foto Tour du Rwanda)
Restrepo (a sinistra) in Rwanda ha conquistato la terza posizione in classifica generale (foto Tour du Rwanda)
Il 2023 quindi ti ha fatto ritrovare un nuovo Restrepo?

Sì, correre in Colombia è sempre bello, soprattutto per me che arrivo da lì. E’ un modo di gareggiare più rilassato rispetto all’Europa, e questo mi ha aiutato a ricaricarmi. Da voi bisogna allenarsi sempre al massimo e non è facile restare concentrati tutto il tempo. 

L’arrivo alla Polti-Kometa com’è nato?

Il primo interesse è nato dopo la vittoria a Reggio Calabria, ma mi tenevano sotto controllo da giugno. Per questo salto devo ringraziare Ellena, a lui devo tanto, se non tutto. Mi ha dato una grande mano nel trovare squadra. La Polti-Kometa ha creduto tanto in me e questo mi dà tanta consapevolezza. Avere la fiducia di Basso e Contador vuol dire molto.

L’inizio di stagione ha visto un altro successo per il colombiano, questa volta in Rwanda (foto Tour du Rwanda)
L’inizio di stagione ha visto un altro successo per il colombiano, questa volta in Rwanda (foto Tour du Rwanda)
Ora arrivano delle corse importanti, fondamentali anche in ottica Giro d’Italia. 

Ora punto a fare bene alla Tirreno-Adriatico, alla Milano-Torino e Milano-Sanremo, il 17 marzo spero di aver raccolto cose buone. Al Giro manca ancora tanto, prima ci sono questi 20 giorni di corsa, se non si fa bene qui, non si viene presi in considerazione per la corsa rosa. 

Alla Polti-Kometa ci sono due giovani interessanti, riuscirai a passare loro la tua esperienza?

In questo mese correrò molto con “Piga” e mi piacerebbe insegnare qualcosa. Restare tranquillo, prendere le salite in testa senza fare fatica, alimentarsi in gara. Mi piace Piganzoli perché è uno che ascolta, si interessa, insomma è un corridore sveglio. Dare una mano a ragazzi come lui è un piacere. 

Dietro le quinte del successo di Piganzoli. Ellena racconta

13.02.2024
5 min
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«Noi abbiamo dei corridori di qualità – aveva detto Giovanni Ellena, uno dei diesse del Team Polti-Kometa, all’indomani delle wild card per il Giro d’Italia – che stanno crescendo e siamo convintissimi che faranno grandi cose».

Era il 27 gennaio e appena 15 giorni dopo, Davide Piganzoli, da lui guidato in Turchia, ha vinto il Tour of Antalya: la prima vittoria da professionista e la prima vittoria per la squadra che da quest’anno ha trovato sul suo cammino l’energia e l’entusiasmo coinvolgente di Francesca Polti. E forse proprio questa forza ha reso tutta la squadra più elettrica e consapevole di poter recitare in un ruolo di caratura superiore. Ma leggere nelle ore di Piganzoli e di tutto il team che di colpo si è trovato a difendere il primato dagli attacchi nell’ultima tappa, è qualcosa che passa per forza dal racconto di Ellena.

«Sapevamo che Davide stesse andando forte – racconta il piemontese dal treno che lo riporta a casa dall’aeroporto – ma forse non a questi livelli. Si pensava a fare bene, in realtà è andata anche meglio. La squadra si è mostrata molto unita, prima supportando Lonardi, poi correndo in difesa della maglia di leader e non era scontato che fosse in grado di farlo. Domenica, quando Tudor e Uno X hanno accelerato, il gruppo si è rotto. L’avevamo previsto, specialmente da parte di Tudor, perché era senza il velocista. Sapevamo che avrebbero provato, abbiamo avuto un momento di difficoltà e abbiamo dovuto stringere i denti. I ragazzi sono stati bravissimi a non mollare. Anche quando negli ultimi 20 chilometri c’erano quelli che facevano i furbi per vincere la tappa, mentre gli attaccanti avevano ancora 1’40” con dentro uno che aveva 39″ in classifica…».

Ellena racconta che nell’ultima tappa, il Team Polti-Kometa ha dovuto fronteggiare l’attacco di Tudor e Uno X, ma è parso super compatto
Ellena racconta che nell’ultima tappa, il Team Polti-Kometa ha dovuto fronteggiare l’attacco di Tudor e Uno X
Ci avevi raccontato di non conoscere ancora Piganzoli, che è un corridore di Zanatta. Dopo questa vittoria che idea ti sei fatto di lui?

Sta prendendo consapevolezza, quindi è già una cosa importante. Confermo che lo conoscevo poco e sabato ha osato, partendo anche troppo presto. Ha attaccato ai 3,5 chilometri, ma se fosse partito ai meno 2 sarebbe stato più che sufficiente. Vuol dire che sta prendendo consapevolezza di quello che è, mentre prima magari era più attendista. Bene che stia facendo queste prove, ci sta alla grande.

Agli occhi della squadra inizia a essere un leader? Basso ha detto che il capitano è Maestri…

Maestri è il capitano che sa gestire la squadra. Però in Piganzoli riconoscono l’uomo per la salita, assieme a Paul Double, che al momento ha più alti e bassi, ma in salita può andare forte. Maestri è quello che in corsa ha il controllo di tutto. A volte parlo direttamente con lui. A un certo punto c’era da dire a Fetter di tirare, ho chiesto a Maestri di prendere in mano la situazione e di dirglielo lui. E Mirco questa cosa sa farla alla perfezione. 

Prima vittoria da professionista per Piganzoli: bene la gioia, ma la sera quali tensioni? Per Ellena ha ben dissimulato
Prima vittoria da professionista per Piganzoli: bene la gioia, ma la sera quali tensioni?
Invece Piganzoli sotto stress come l’hai visto?

Diciamo che non eravamo al Tour de France, però in ogni caso era una gara di professionisti, con due squadre WorldTour e un livello discreto. L’ha mascherata, deve ancora imparare a gestire la tensione, però intanto è andata bene. Chiaramente si è trovato di fronte alla prima vittoria importante della sua carriera, quindi non posso pensare che non avesse stress, perché qualcosa abbiamo intravisto, però l’ha dissimulato davvero bene.

Hai detto che è partito troppo presto: significa che comunque quel giorno avevate in testa di fare la corsa?

Si sapeva che potevamo provare a fare qualcosa, con Piganzoli e con Double. Avevamo visto che gli ultimi 2 chilometri erano i più duri e si era detto di non aspettare che partissero gli altri, ma neanche partire noi troppo presto. Invece lui si vede che aveva la gamba, si sentiva bene ed è partito. Fra l’altro è arrivato con la ruota posteriore bucata, quindi è andata doppiamente bene.

Maestri, qui al via dell’ultima tappa dall’acquario di Antalya, è stato il perfetto capitano in corsa
Maestri, qui al via dell’ultima tappa dall’acquario di Antalya, è stato il perfetto capitano in corsa
E’ solo un’impressione che in squadra sembri esserci un morale più alto che in passato?

C’è più voglia di correre senza subire. Per quello che è il mio ruolo, dato che sono l’ultimo arrivato, questa è l’impostazione che ci siamo dati. In particolare al Tour of Antalya siamo andati sapendo che ci sarebbero stati dei momenti in cui prenderci la responsabilità della corsa e avremmo dovuto avere il coraggio per farlo. E poi comunque si comincia dalle corse più piccole e si prende consapevolezza, glielo dico sempre. Anche quando va via la fuga, bisogna restare insieme. Perché se le grandi squadre ci vedono tutti sparsi, non ci rispettano. Ma se capiscono che la Polti-Kometa corre compatta, in gruppo ci sarà più rispetto e ci lasceranno anche spazio.

Restando al discorso fatto due settimane fa, che cosa potrebbe fare ragionevolmente un Piganzoli alla Tirreno-Adriatico?

Secondo me parliamo di due livelli completamente diversi, però è anche giusto che qualcosina si possa provare, per vedere fin dove può arrivare e sondare i suoi limiti. Con la stessa mentalità con cui abbiamo corso ad Antalya, cioè cercando di non subire la corsa. Chiaro che dire di voler fare risultato alla Tirreno-Adriatico è una bestemmia, però non vorrei vederci in coda al gruppo a sventolare.

Per Ellena, maglia con Dedica da parte di PIganzoli alla fine del Tour of Antalya
Per Ellena, maglia con Dedica da parte di PIganzoli alla fine del Tour of Antalya
Come è stata la reazione della squadra per la prima vittoria?

Tutti super felici, nella nostra chat siamo impazziti per la soddisfazione. Per me poi è stato uno scarico di tensione non indifferente dopo tutto quello che ho passato nell’inverno (a causa di una caduta in montagna, Ellena ha rischiato di rimanere paralizzato, ndr). Mi è sembrato di essere tornato al 2016, quando avevamo Bernal. Mi sono ritrovato a gestire una corsa, senza voler fare confronti fra i due, perché significherebbe caricare Piganzoli di una responsabilità enorme.

Paragone importante, in effetti…

Però mi sono ritrovato di nuovo a gestire la squadra in un certo modo, a prenderci la responsabilità della corsa ed era un bel po’ che non mi capitava. In realtà il collegamento fra i due non è così peregrino, perché Egan in quel periodo non era famoso, veniva dalla mountain bike e aveva corso pochissimo su strada. Ma restiamo cauti, continuiamo sulla strada che abbiamo scelto, che è quella giusta.

Campioni e debuttanti, non è sempre facile. Nibali racconta

30.01.2024
6 min
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Qualche giorno fa Nibali è uscito in bici assieme a Ulissi sulle strade di Lugano. Sapendo che ci saremmo sentiti, lo Squalo ha approfondito il tema anche con l’amico. Lo spunto è quello dell’editoriale di ieri: i corridori giovani crescono prima se nella loro squadra ci sono campioni con cui confrontarsi? Il discorso si può prestare a una doppia interpretazione. Si può entrare nello spinoso terreno dei giovani che non ascoltano i consigli dei più esperti. Oppure si può restare nell’ambito descritto da Pellizzari ed Ellena, sugli stimoli derivanti dal semplice allenarsi assieme a loro.

«Quando passai alla Liquigas – racconta Nibali – il capitano era Di Luca e io anche in allenamento volevo staccarlo sempre e questo certamente mi ha fatto crescere. La mia svolta più grande c’è stata però dal 2008-2009 in poi. Danilo era andato via e noi del gruppo giovani abbiamo iniziato a fare i ritiri di squadra sul Teide. Il mio riferimento da quel momento in poi è diventato Pellizotti e solo dopo è arrivato Basso. Franco lo copiavo per come lavorava, come si preparava, per come strutturava l’allenamento. Guardavo quello che faceva lui, anche per lo stile di gara. Mi dava delle indicazioni perché io ero molto impulsivo e sbagliavo i tempi».

Sin dai primi mesi nella Liquigas, Nibali si è sempre voluto confrontare con capitan Di Luca
Sin dai primi mesi nella Liquigas, Nibali si è sempre voluto confrontare con capitan Di Luca
Che cosa vi siete detti con Ulissi a proposito di questo?

Che oggi lavorare con i giovani è molto più difficile, perché hanno le loro idee. A volte, anche quando gli spieghi delle cose, sembra che gli dici chissà cosa. Hanno già i numeri e vincono, quindi alla fine, tra virgolette, hanno ragione loro. Io ho vissuto un ciclismo diverso, in cui era bello che accanto al giovane ci fosse un uomo di esperienza. Oggi sembra sempre meno utile. Quello che una volta insegnavano gli anziani, oggi in base al budget delle squadre lo imparano dai preparatori e dai nutrizionisti.

Infatti il punto non è tanto quello che il campione può insegnare a parole, ma quello che si impara su se stessi allenandosi al suo fianco.

Ci può stare, comunque credo che andando alla VF Group-Bardiani, Pellizzari abbia scelto di crescere tranquillamente. Per cui in questo momento magari si può rimanere male perché quelli che hanno la stessa età e fino a ieri erano sullo stesso livello hanno già vinto, ma non è detto che questi exploit diventino la regola e che le differenze ci saranno per sempre. A fare le cose di fretta, si rischia che l’exploit duri 2-3-4 anni e poi però che la discesa sia rapida quanto la salita.

Prova a metterti nei panni di uno di questi ragazzi: non pensi che allenarsi con Pogacar gli dia maggior consapevolezza?

Sì, è così. Se nella tua squadra complessivamente hai atleti di un certo valore, chiaramente anche il tuo livello si porterà su un gradino leggermente più alto. Sai che stai competendo con della gente che è il gotha del ciclismo, perché nel UAE Team Emirates metti dentro Ayuso, Pogacar e tutti quelli che ci sono, uno si misura subito. Se però provi a parlargli, non funziona. Diego mi faceva l’esempio di corridori giovani che potrebbero anche avere vantaggio dal ricevere qualche consiglio e invece lo guardano come fosse di un altro pianeta. Eppure è serissimo, sa lavorare bene, tutti gli anni ha sempre vinto. E’ un professionista esemplare, quindi qualcosa da insegnare ce l’ha. In una squadra è sempre bene affiancare un uomo di esperienza ai più giovani. Ad esempio, nella Q36.5 di cui sono ambassador, Brambilla ricopre esattamente questo ruolo.

Ulissi è uno dei grandi corridori con cui i giovani del team si confrontano ogni giorno in allenamento (foto UAE Emirates)
Ulissi è uno dei grandi corridori con cui i giovani del team si confrontano ogni giorno in allenamento (foto UAE Emirates)
E’ sempre stato così?

Quando sono passato io, gli anziani non ti dicevano molto. Ricordo che alla Fassa Bortolo arrivai giovanissimo. Trovai dei corridori come Flecha oppure Kirchen e Codol che davano i consigli veri, quelli giusti. Se li ascoltavi, bene. Se non li ascoltavi, si voltavano dall’altra parte e continuavano la loro vita. Lo stesso negli anni successivi ho fatto io, provando a correggere chi eventualmente stava commettendo un errore.

Aru può aver guadagnato sicurezza in se stesso prendendo le misure su di te in allenamento?

Probabilmente sì, ma in quel periodo l’Astana era una squadra forte. C’era Fuglsang, poi è arrivato Scarponi. Andavamo a giocarci il Giro, il Tour e la Vuelta. Ci eravamo posizionati ai vertici delle classifiche, non solo con due atleti, ma con tutta la squadra (Nibali e Aru sono insieme nella foto di apertura al Giro del Trentino del 2013, ndr). Se un giovane si trova a vivere in certe squadre, per forza assorbe qualcosa in più. Sicuramente avere un veterano oppure un corridore con un bel palmares e che continua ad andar forte, può essere un bel riferimento. Se invece nella squadra il riferimento non c’è, chiaramente si fa più fatica perché a quel punto l’esperienza devi farla in gara. Ma Pellizzari potrebbe dire: l’ho staccato una volta, lo posso staccare ancora.

Al momento il confronto lo fanno su Strava, guardando i tempi di Evenepoel in allenamento…

Sì, ma certe osservazioni lasciano il tempo che trovano. Ero anche io a Calpe e si parlava di questo tempo stellare fatto da Remco sul Coll de Rates. Ho sentito Bramati, mi ha detto che sembravano non poggiasse le ruote per come andava. I suoi compagni dicono che bastava che la strada si alzasse leggermente e li lasciava lì. Quindi sta già andando forte, non ha ancora fatto grandi cose e ha battuto il KOM di Poels. Aver fatto dieci secondi di più a inizio stagione rispetto a uno che neanche è a tutta non è tanto indicativo.

Papà per la seconda volta a ottobre, ecco Nibali con Emma e la piccolissima Miriam (foto Instagram)
Papà per la seconda volta a ottobre, ecco Nibali con Emma e la piccolissima Miriam (foto Instagram)
E questo conferma che sarebbe stato meglio per lui, se fossero stati in squadra insieme, salire alla sua ruota e mettersi alla prova.

Sarebbe stato diverso, certo. Quando facevo dei test, non ero mai tra i migliori. Però poi in gara di fatto ero sempre davanti. Da dilettante, da junior, riuscivo a vincere 10-12 gare ed era normale, mentre ora si esaltano se ne vincono la metà. I confronti veri si fanno in gara, come Bettini che attaccava il numero e diventava un altro. I giovani forti ci sono sempre stati. Giorni fa mi sono scritto con Cunego su Instagram e anche lui parlava di questi ragazzi prodigiosi. E mi è toccato ricordargli che lui a 23 anni ha vinto il Giro e il Lombardia. Non è che andasse poi così piano. Rispetto ad allora, sono cambiati gli strumenti.

Certamente sono più accessibili.

Io sono passato professionista che quasi non sapevo usare il cardiofrequenzimetro. Adesso usano il powermeter da juniores, avendo pure i rapporti liberi. Hanno tutti i numeri disponibili, mentre una volta il direttore sportivo più bravo era quello che riusciva ad adattare le tabelle alla squadra. Ora è più scientifico, dalle ruote alle gomme, dalle bici al casco. Il casco col paraorecchie e anche il casco col paraocchi, visto che qualcuno ogni tanto sbatte (ridiamo di gusto, ndr). Vanno a cronometro e guardano la traccia sul computerino, tengono la testa giù e poi picchiano sulle transenne e si chiedono come mai.

Potere del computer…

Negli ultimi anni da professionista, c’erano quelli che facevano la discesa guardando il Garmin, perché avevano la traccia GPS. Io non l’ho mai fatto, io guardavo le curve e come dovevo prenderle per impostare la prima e, se c’era la seconda in sequenza, come impostare anche la seconda. La traccia la facevo io e non mi sembra che in discesa Nibali fosse scarso. Qualche errore di valutazione l’ho fatto, il più grave fu alle Olimpiadi di Rio, ma perché la strada era mezza asciutta e mezza bagnata. E questa comunque è un’altra storia. E le ruote, posso assicurarvelo, non c’entravano niente.