Zakarin a Cipro in attesa di risposte… che non arriveranno

15.05.2022
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Il Giro d’Italia entra nel vivo. C’è chi sogna la maglia rosa, chi lotta giorno dopo giorno per salvarsi e chi, come Ilnur Zakarin invece, è costretto a fare da spettatore a causa di una situazione molto più grande di lui. La guerra in Ucraina ha lasciato il segno in ogni campo e lo sport non è stato da meno, anzi.

A pagare però sono stati anche dei professionisti che in questo momento vorrebbero soltanto avere la possibilità di salire sulla loro bicicletta e fare quello che sanno fare meglio: pedalare e far sognare i tifosi, soprattutto in un momento buio come questo.

La stagione della Gazprom-RusVelo era iniziata con molto entusiasmo. Nuovi tecnici, nuovi corridori e voglia di crescere
La stagione della Gazprom-RusVelo era iniziata con molto entusiasmo. Nuovi tecnici, nuovi corridori e voglia di crescere

Stop Gazprom

La Gazprom-Rusvelo, invece, rimane al palo perché squadra russa con sponsor russo e non ha nemmeno la possibilità di affacciarsi al calendario internazionale o di sognare una wild card per qualche corsa. Al suo interno però, restano bloccati anche i corridori di altre nazionalità, a rendere ancor più confusa la situazione.

I corridori hanno provato a far sentire più volte la loro voce, sin qui invano, e tra questi c’è anche Ilnur Zakarin, che gli appassionati della corsa rosa si ricordano per le due tappe vinte al Giro in due luoghi particolari: la prima nel 2015 all’Autodromo di Imola e poi quattro anni dopo, nel 2019, in cima al colle del Nivolet.

Qualcuno tiene il fiato sospeso ricordando i rischi corsi a più riprese in discesa, non proprio il suo terreno prediletto, con il volo terribile del 2016 giù dal Colle dell’Agnello che fece correre i brividi sulla schiena a tutti quelli che stavano seguendo la tappa.

In pochi sanno che a inizio 2022, il trentaduenne originario del Tatarstan aveva annunciato che questa sarebbe stata la sua ultima stagione. Un’annata che si era immaginato decisamente diversa.

«La stagione – ha detto Zakarin – era iniziata abbastanza bene, dopo una serie di gare sono andato con la squadra in un ritiro in alta montagna a Tenerife. Non appena hanno iniziato a sospendere gli atleti russi, la direzione della squadra si è subito rivolta all’Uci per cambiare il nome e continuare a gareggiare sotto bandiera neutra, ma non c’è stata risposta, il che è stato molto sorprendente.

«La squadra ha molti corridori e membri dello staff stranieri, tutte queste persone sono rimaste senza lavoro».

Zakarin quest’anno ha corso solo alla Valenciana, poi lo stop dell’Uci
Zakarin quest’anno ha corso solo alla Valenciana, poi lo stop dell’Uci

Incubo o realtà?

Una situazione surreale e lo stesso Ilnur si è trovato spiazzato.

«Sono tornato dalla mia famiglia a Cipro – racconta Zakarin – e mi hanno supportato molto. Dai tutta la tua vita al tuo sport preferito, fai una valanga di sacrifici e metti tutta la tua anima nel ciclismo, poi l’Uci cambia la tua vita dall’oggi al domani e ti trovi in questa situazione contro il tuo volere.

«Ho scritto un post su Instagram, chiedendo all’Uci di ripensarci, ma loro hanno solo risposto che stavano aspettando una decisione dal Tas. Reputo che sia stato molto strano l’atteggiamento da parte dell’Uci. Non ti lasciamo gareggiare, ma nemmeno interrompere il contratto per poterlo fare».

In attesa che si sblocchi il tutto, Zakarin si è cimentato nel triathlon. Eccolo a Cipro con Ilya Slepov, triatleta pro’ russo.
In attesa che si sblocchi il tutto, Zakarin si è cimentato nel triathlon. Eccolo a Cipro con Ilya Slepov, triatleta pro’ russo.

Tenacia e speranza

«Non mi sono mai occupato di politica – aggiunge Zakarin – e non ne discuto, perché sono un atleta e ho dedicato tutta la mia vita allo sport affinché lo sport unisca tutte le nazioni del mondo. Quando un corridore vince, la prima cosa che la gente guarda è il suo nome, non la sua nazionalità. Adesso continuo a fare sport, perché sono convinto che prima o poi ci sarà concesso di gareggiare. Non è facile, ma quando c’è la famiglia, niente è impossibile.

«Abbiamo buoni rapporti con i ragazzi della squadra, nelle chiacchierate di gruppo si cerca di risolvere la situazione attuale, ma è molto tempo che non contatto la dirigenza, non so quale sia il loro stato d’animo attuale».

Le settimane passano e Ilnur, così come i suoi compagni di squadra, resta in questo limbo tra “color che son sospesi”, senza poter attaccare il numero sulla maglia.

Il bello del Giro, il brutto dell’Uci: sentite De Marchi

12.05.2022
5 min
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Ieri era giusto un anno da quando De Marchi conquistò la maglia rosa a Sestola. Fu l’inizio di una storia durata (troppo) poco, che in ogni caso portò il Rosso di Buja nei cuori del Giro e di quelli che magari, vedendolo così schivo, non erano mai riusciti ad avvicinarsi. E facendo scoprire a lui, friulano sino alla punta dei capelli, il calore di un’Italia che in alcuni momenti, come per magia, è capace di stringersi attorno ai suoi simboli.

«Presente! Si, ci sono. E sono felice – ha scritto su Instagram a Budapest – di dire che mi trovo esattamente dove desidero essere: al Giro d’Italia. Niente è più importante! Esperienza, gambe , coraggio e passione».

Al via della Liegi, De Marchi non aveva un’espressione entusiasta: le sensazioni non erano ancora buone
A Liegi, De Marchi non aveva un’espressione entusiasta: le sensazioni non erano buone

Contento di esserci

La carovana si è lasciata alle spalle i primi giorni ungheresi e quelli in Sicilia, con voci, colori e un senso di entusiasmo provvidenziale e leggero. E adesso che inizia la risalita lungo lo stivale, la dichiarazione d’amore di Alessandro merita un approfondimento. Lo avevamo sentito alla vigilia delle Ardenne, aveva il morale sotto terra. Non era affatto certo di partire per il Giro, anche se la squadra è sempre stata pronta a scommetterci. Alla Liegi c’era stato un timido risveglio di buone sensazioni. Che cosa è successo poi?

«Sono al Giro d’Italia – dice nel baccano del foglio firma – quindi questa è la cosa più importante. Al netto di tutte le cose che sono successe durante la primavera, sono comunque contento di essere qui e questa è la cosa più importante. Bisogna essere realisti e consapevoli della situazione in cui ti trovi. E’ inutile continuare a pensare che le gambe non sono al 100 per cento e tutto il resto. Sono al Giro d’Italia, ho ancora quindici tappe per divertirmi, godere di questo spettacolo e trovare il momento, la situazione. Il mio Giro sarà fatto così. E devo dire che è un approccio che mi sta dando modo davvero di vivere la corsa in un modo consapevole e sereno».

Nella crono di Budapest, un 29° posto a 33 secondi come tanti leader: condizione in arrivo?
Nella crono di Budapest, un 29° posto a 33 secondi come tanti leader: condizione in arrivo?

Il marchio rosa

Quel giorno continua a seguirlo. Sarebbe curioso un domani chiedere a Nibali, ad esempio, se ricordi ogni chilometro pedalato con la maglia rosa sulle spalle. De Marchi ricorda tutto. Nonostante fosse in crisi nera nel giorno di San Giacomo, riuscì a riconoscere le tracce sempre presenti del terremoto in piena discesa e in un giorno di pioggia. Quei due giorni in maglia rosa hanno cambiato la sua percezione del Giro, dopo anni di Tour a tutti i costi e nonostante il successivo incidente di Bagno di Romagna abbia interrotto anzitempo il suo viaggio dopo 12 tappe.

«Quel ricordo è qualcosa di speciale – ammette – questo anno trascorso ha fatto sì che il Giro stesso sia qualcosa di speciale, di più rispetto a prima. La maglia rosa è ben presente nella mia vita. A casa mia è messa in un quadro che viene spostato di stanza in stanza quando mi gira, quando voglio averla a portata di mano. E’ una cosa che… è davvero come avere un marchio sulla pelle!».

Due giorni in maglia rosa nel 2021 hanno portato De Marchi in una nuova dimensione
Due giorni in maglia rosa nel 2021 hanno portato De Marchi in una nuova dimensione

Gazprom, un disastro

E mentre la campana avvisa i corridori dell’imminente partenza, pur sapendo di portare il discorso su un binario più malinconico, ci agganciamo con il “Dema” a un’attualità meno gioiosa. Con lui che non ha paura di metterci la faccia, che sorride amaramente per il titolo di avvocato delle cause perse, dal caso Regeni alla sicurezza sulle strade.

Il TAS di Losanna ha respinto il ricorso d’urgenza della Gazprom, che chiedeva la riammissione del team. L’UCI ha rigettato la possibilità di aumentare gli organici delle squadre, come proposto dai team e atleti, per consentire di sistemare i corridori rimasti a piedi. La motivazione è anche plausibile e rende ancora più irritante il rifiuto di far correre la squadra con maglia neutra, come s’era già deciso di fare al Trofeo Laigueglia. Dicono che nell’anno in cui i team si giocheranno il WorldTour a suon di punti (ci saranno salite e retrocessioni), riaprire gli organici a stagione in corso esporrebbe ogni cambiamento a ricorso.

Il caso Gazprom, la squadra fermata dall’UCI senza possibilità di appello, per De Marchi è un disastro
Il caso Gazprom, la squadra fermata dall’UCI senza possibilità di appello, per De Marchi è un disastro

«Per me – dice De Marchi – la situazione Gazprom è un disastro. E’ un disastro perché secondo me è inaccettabile che l’UCI, che dovrebbe essere la nostra madre, quella che davvero difende i corridori, sia stata la prima, senza pensarci, a mandare a casa tutte quelle persone. E la cosa sta andando avanti in quella direzione ed è una roba inaccettabile.

«Noi come gruppo – riflette amaramente – ancora una volta non stiamo mostrando una grande unità. E forse anche i nostri sindacati avrebbero dovuto avere un approccio molto più duro, perché è necessario. Non credo che togliere la sponsorizzazione e cancellare la squadra, abbia danneggiato Gazprom. Non credo che fermare quei corridori abbia indebolito Putin. Avevano proposto delle soluzioni che sono state scartate…».

Il Giro sarà per De Marchi un’esperienza da sorseggiare con calma, cercando di goderne il bello
Il Giro sarà per De Marchi un’esperienza da sorseggiare con calma, cercando di goderne il bello

Destinazione Potenza

La tappa parte, un altro giorno da onorare fra Palmi e Scalea. Salita in partenza, poi un continuo su e giù. Nel Giro che ieri ha accolto il saluto di Vincenzo Nibali, che ha visto sparire (sia pure in modo diverso) alcuni sfidanti come Lopez e Dumoulin, si guarda con crescente interesse alla tappa di domani. Vero che il Block Haus di domenica fa già tremare i polsi, ma le strade lucane che portano a Potenza saranno il sicuro teatro di qualche imboscata.

Vlasov, festa al Romandia e un pensiero per la Gazprom

04.05.2022
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Vinto il Romandia, Alexander Vlasov se ne è tornato a casa per fare qualche giorno da persona normale. «Niente bici – sorride – ma solo per poco. Qualche serie tivù. E magari dei giri a Nizza o Cannes per scoprire posti nuovi».

Monaco è diventato il suo quartier generale dopo Andorra, dove d’estate si sta indubbiamente più freschi, ma per arrivare all’aeroporto ci sono due ore e mezza di macchina ogni volta e d’inverno si muore di freddo. Anche se sei russo.

Vlasov è passato professionista nel 2018 con la Gazprom. Ha corso nel team per due anni
Vlasov è passato professionista nel 2018 con la Gazprom. Ha corso nel team per due anni

Sui siti di ciclismo, accanto al suo nome in realtà non c’è bandiera. Qual che ne sia l’utilità, questo è l’effetto delle sanzioni richieste dal CIO e recepite dall’UCI dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. A lui tutto sommato è andata bene, ai corridori della Gazprom decisamente peggio.

«Mi dispiace tanto per loro – dice a bassa voce – perché in quella squadra ci sono cresciuto e sono ancora in contatto con corridori e personale. E’ difficile fare la vita da atleta senza un obiettivo e senza stipendio…».

Margini di crescita

La sua stagione ha il sapore di tutto nuovo. Dopo i due anni all’Astana, Vlasov è passato alla Bora-Hansgrohe, che ha fatto il pieno di scalatori e uomini di classifica. La preparazione è cambiata per il meglio.

Sul podio della Freccia Vallone con Valverde e Teuns, Vlasov non si aspettava un simile risultato
Sul podio della Freccia Vallone con Valverde e Teuns, Vlasov non si aspettava un simile risultato

«Con il mio coach – spiega – abbiamo individuato i punti su cui ero meno forte e abbiamo capito di dover lavorare su esplosività e sprint. Ho 26 anni e sappiamo bene che ho ancora dei margini. Il risultato di questi lavori c’è stato in modo sorprendente sul Muro d’Huy. Pensavo di poter fare una bella Freccia Vallone, non di arrivare sul podio. Quella è la corsa degli Alaphilippe, di Valverde oppure Teuns. Io sapevo di avere nelle gambe un minuto a tutta. E alla fine è servito».

Capolavoro Romandia

Ha vinto la Valenciana, tappa e maglia. E’ andato sul podio ai Paesi Baschi, poi alla Freccia Vallone. Infine al Romandia, dopo due piazzamenti, sono venute la vittoria nella crono e la classifica finale.

Sul traguardo di Zina, al Romandia, esulta per la vittoria di Higuita, che per prudenza dà il colpo di reni
Sul traguardo di Zinaal Romandia, esulta per la vittoria di Higuita, che per prudenza dà il colpo di reni

«Penso che di tutta questa prima parte di stagione – racconta – il Romandia sia stato il mio miglior periodo. Sapevo di stare bene e che poi avrei tirato il fiato, per cui non ho avuto timore di sprecare energie. Il giorno che ho fatto secondo dietro Higuita nel tappone, avrei voluto alzare le braccia assieme a lui. Ma Sergio deve aver pensato che fossi un avversario e non s’è fidato a esultare prima della riga».

Dritto sul Tour

Il programma immediato, dopo aver riposato il giusto, prevede l’avvicinamento al Tour. Alex non l’ha mai corso. E quando si è reso conto che Keldermann, Buchmann e Hindley preferivano correre il Giro, si è affrettato ad accettare l’opzione francese.

«Mi veniva quasi da dirgli grazie – sorride – perché a me l’idea di andare in Francia stuzzica tanto. Parto per fare classifica e poi vediamo come va. Non ho mai corso sul pavé. Ho provato quella tappa nei giorni delle classiche e non mi è sembrato tanto brutto, forse perché ero da solo. Chissà come cambia in gruppo…

«Per cui fra poco andrò in altura ad Andorra. Tre settimane dormendo proprio in cima, a 2.400 metri e poi riparto dal Giro di Svizzera. In teoria servirà come preparazione, ma ormai alle corse ci si allena sempre meno e si va sempre per il risultato».

EDITORIALE / L’UCI prolunga il lockdown della Gazprom

02.05.2022
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Tirato per la manica, il presidente dell’UCI, David Lappartient, ha infine deciso di dare un segno di vita ai corridori italiani della Gazprom-RusVelo, che però è estendibile anche a tutti gli altri. E anche se nella lettera inviata a ciascuno di loro non c’è risposta ai due quesiti posti, se non altro vi si spiega il perché di tanto rumoroso silenzio. Argomenti, sia chiaro, che non parlano di volontà di collaborazione, ma poggiano se non altro su ragioni credibili.

A metà marzo, Renat Khamidulin, team manager e proprietario della squadra, ha infatti presentato ricorso al TAS di Losanna contro il provvedimento di cancellazione della sua squadra. Ha portato una serie di motivazioni che il tribunale sportivo ha trovato evidentemente di difficile masticazione o di difficile gestione, dato che al suo giudizio hanno fatto ricorso anche altre discipline colpite dalle stesse sanzioni. Il calcio in primis. Una sentenza era attesa da almeno tre settimane, ma non se ne ha traccia.

Con questa lettera, l’UCI ha comunicato ai corridori Gazprom la necessità di attenere il verdetto del TAS

I tempi (biblici) del TAS

L’attesa dei tempi del TAS, fatti salvi i casi d’urgenza, fanno parte della storia del nostro sport. I giudici di Losanna se la prendono spesso comoda perché le loro sentenze siano inoppugnabili, ma trasformando di fatto quell’attendere in una vera e propria sanzione. Un esempio?

Ricordate la siringa di insulina trovata nella famosa stanza di Montecatini al Giro del 2002? Una cameriera attribuisce la stanza a Pantani. Non si procede ad analisi del DNA sulla siringa stessa, non c’è positività a un controllo, ma l’UCI squalifica il romagnolo. Davanti a evidenze a dir poco rocambolesche, dopo un mese la CAF (Commissione antidoping federale) annulla la squalifica di 8 mesi. Pantani potrebbe tornare a correre a luglio, ma il 20 agosto l’UCI ricorre al TAS, che si riunisce il 25 gennaio 2003. Cosa sono quei 6 mesi se non l’applicazione della squalifica? E ricordate quando arriva il verdetto? E’ il 13 marzo quando il TAS fa sapere che la squalifica è stata ridotta da 8 a 6 mesi, quindi Marco può tornare a correre il 18 marzo. Marco, che di lì inizierà la rincorsa all’ultimo Giro della carriera, è stato fermato per 9 mesi.

La sede del TAS è in questo castello a Losanna: la giustizia sportiva è sottoposta alle sue sentenze
La sede del TAS è in questo castello a Losanna: la giustizia sportiva è sottoposta alle sue sentenze

Situazione di stallo

I corridori della squadra russa non hanno più una maglia, dato che la Gazprom è stata cancellata. Stando così le cose, sarebbero liberi di accasarsi dove meglio credono, ma il fatto è che i team interessati (Bahrain Victorious, Alpecin-Fenix e Quick Step fra loro) hanno già raggiunto il tetto massimo di 31 atleti e questo rende impossibile l’operazione, a meno di una deroga da parte dell’UCI.

L’UCI però dice di avere le mani legate. Se in effetti il TAS annullasse il provvedimento dell’UCI e riammettesse la Gazprom alle gare, con quali corridori potrebbe correre se i migliori se ne sono andati via?

Un altro lockdown

Non resta che aspettare, sapendo quanto tale verbo sia odioso per atleti che nel frattempo si allenano e fanno la vita del corridore, senza sapere dove correranno e senza essere pagati. Come durante il lockdown, vedendo però che il mondo fuori è ripartito.

Né d’altra parte era lecito aspettarsi che Lappartient, eletto membro del CIO il 22 febbraio scorso in occasione del 139° congresso svolto a Pechino, disapplicasse o applicasse in modo elastico una norma dettata proprio dal Comitato Olimpico Internazionale. Basta guardare la firma in calce alla lettera. Senza rendersi conto che in palio non c’è il prestigio dell’istituzione, quanto piuttosto la vita di 50 persone che di quella dannata guerra non hanno colpa. E il cui fine carriera non costituirà certo elemento di pressione sul dittatore che tale guerra l’ha scatenata.

Casa Vacek. Karel ci parla dei momenti duri di Mathias

26.04.2022
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Mathias Vacek “ha la colpa” di essere un corridore della della Gazprom-RusVelo. Il ragazzo della Repubblica Ceca non può correre. Qualche giorno fa, abbiamo pubblicato la richiesta di appello degli atleti di questo team affinché si sbloccasse la situazione di stallo che si è creata. Come saprete: la squadra russa non può correre. Depennata, fatta sparire, in un lampo dall’UCI.

Più passa il tempo e più il silenzio da parte dell’UCI stessa diventa assordante. Non resta però in silenzio Karel Vacek fratello maggiore di Mathias. Lui corre al Tirol Ktm Cycling Team, unica squadra continental presente al Tour of the Alps.

Karel Vacek (classe 2000) al Tour of the Alps
Karel Vacek (classe 2000) al Tour of the Alps

Mathias deluso

Con sguardo concentrato e grande umiltà, Karel ci racconta della disavventura che suo fratello sta vivendo da un mese e mezzo ormai.

«Lui sta soffrendo – dice l’ex corridore della Colpack Ballan – non è una situazione molto buona per Mathias. Okay, ha un contratto con una WorldTour per i prossimi due anni, ma intanto è a piedi. E’ fermo. E’ a casa che pedala da solo. Ed è dura mentalmente. Adesso ci alleniamo molto insieme, proprio perché anche lui non deve andare alle gare, però non è come correre. E spesso poi manco io. E vi dirò che indirettamente è un momento difficile anche per me.

«Come posso aiutarlo? Standogli vicino – continua – ma anche facendo bene nelle corse. Quando io faccio delle buone gare, so che lui è contento. Così come sono contento io quando è lui ad andare forte».

E, aggiungiamo, anche perché se Karel centrasse un buon risultato forse, di riflesso, si creerebbe un po’ di attenzione mediatica sul fratello. Sarebbe una “scusa” per tornare a parlare di certi argomenti. Per ironia della sorte, la vittoria di Mathias all’UAE Tour arrivò proprio quando stava scoppiando la Guerra in Ucraina. E sì intuì subito un certo pericolo.

Mathias Vacek ha vinto l’ultima tappa del UAE Tour
Mathias Vacek ha vinto l’ultima tappa del UAE Tour

Tante parole, pochi fatti

Momenti del genere possono segnare una carriera. Okay, Mathias Vacek è giovanissimo (è un classe 2002), però non correre è rischioso ugualmente. I treni passano veloci, specialmente di questi tempi. E magari ci si può anche disinnamorare, tanto più a questa età. L’esempio di Trainini è emblematico.

«Vero, è molto difficile – riprende Karel – io al suo posto sarei molto deluso. Deluso soprattutto da parte dell’UCI. Perché possono fermare una squadra in pochi minuti, ma non possono trovare una soluzione in tempi altrettanto ristretti? Perché ci servono mesi e mesi? Perché non dà risposte? Così si fa solo del male.

«Se l’UCI è davvero al fianco dei corridori, dovrebbe non solo avere la bocca grande, ma fare anche i fatti». La cosa più sconcertante è che atleti russi tesserati per altri team stanno correndo (giustamente).

Karel (a sinistra) e Mathias in una foto pubblicata su Instagram qualche tempo fa
Karel (a sinistra) e Mathias in una foto pubblicata su Instagram qualche tempo fa

Gioventù ed ottimismo

Karel però è ottimista, sia per Mathias che per se stesso. Sa bene che il fratello non naviga in ottime acque, ma anche per questo si allenano insieme più del solito. Gli sta vicino. E tutto sommato sapere che il prossimo anno passerà in una WorldTour è un gran bell’appiglio morale.

«Posso dirvi – dice Karel – che Mathias sta andando molto forte. E anche io non sto male. Vorrei fare di più, vorrei trovare un contratto perché la Tirol è solo under 23 e a fine anno devo cambiare (Karel è un classe 2000). Per questo voglio fare molto bene al Giro Under 23 e al Valle d’Aosta e trovare una buona squadra».

Ed anche per questo nelle ultime settimane aver avuto un compagno di allenamento come Mathias gli è stato utile. Si può dire che i due fratelli si sono aiutati a vicenda. Mathias faceva i forcing per Karel e lui ne approfittava per lavorare agli alti ritmi. 

Come si dice in questi casi, una mano lava l’altra. In questo modo, aiutando il fratello, anche Mathias ha avuto dei piccoli obiettivi, degli stimoli. E soprattutto si è tenuto in forma.

UCI e corridori Gazprom: due domande senza risposta

22.04.2022
6 min
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Liegi, giovedì sera, ieri. Gli hotel che ospitano le squadre formano un insolito villaggio sparpagliato fra colline e paesi, in cui si fanno progetti e si coltivano obiettivi. I corridori alla vigilia di una corsa sono sospesi tra le forze e i loro sogni, tutto ciò che possa dare un senso alla fatica di ogni giorno.

E mentre usciamo da uno di questi hotel – il Post Hotel di Herstal che accoglie Bora, Movistar e Bahrain – whatsapp illumina il display con una chiamata di gruppo. Il chiamante è Malucelli, con lui spuntano le facce di Carboni, Canola, Fedeli, Conci e Scaroni. I sei italiani della Gazprom nello stesso schermo. Per loro non c’è vigilia. E finite le corse con la maglia azzurra, chissà quando ce ne sarà un’altra.

Due mesi fa

Martedì saranno due mesi da quando la squadra è stata cancellata dall’UCI e ne è passato circa uno da quando gli atleti hanno chiesto un incontro con il presidente Lappartient senza ottenere risposte. Forse si tratta di una tattica: se non rispondi, presto smetteranno di parlarne. In questa società che va così veloce funziona spesso così. Anche la guerra in Ucraina, che prima era sulla bocca di tutti, adesso sta diventando una notizia di sfondo. Ci si abitua a tutto, purché tocchi agli altri. E poco importa che di mezzo ci siano persone che non c’entrano nulla.

«Ti svegli la mattina – dice Malucelli, vincitore di una tappa al Giro di Sicilia – aspettando che squilli il telefono e qualcuno dica che il TAS ha dato la sentenza e l’UCI ha preso una decisione. Ma non è facile andare avanti a questo modo, facendo vita da atleta senza prospettive e senza stipendio».

Il ricorso al TAS

Questi ragazzi sono in un momento di crisi profonda. Gli appelli via social stanno perdendo risonanza, la gente mette un like e pensa di aver fatto la sua parte. Il CPA, sindacato mondiale dei corridori guidato da Bugno, ha seguito le vie legali e si è fermato davanti al fatto che l’UCI starebbe aspettando il pronunciamento del TAS, cui si è rivolto Renat Khamiduline (team manager della Gazprom) ritenendo illegittima la cancellazione della squadra. Fra i suoi argomenti, il fatto che la direttiva del CIO sulla sospensione delle squadre russe avrebbe comunque permesso di far correre la Gazprom senza le scritte dello sponsor.

Renat Kamidhuline, manager Gazprom 2020
Renat Kamidhuline ha lottato fino alla fine, poi ha dovuto alzare bandiera bianca
Renat Kamidhuline, manager Gazprom 2020
Renat Kamidhuline ha lottato fino alla fine, poi ha dovuto alzare bandiera bianca

Grandi e piccini

La cosa è indubbiamente strana. I contratti della Gazprom sono stati firmati dall’agenzia svizzera ProVelo AG di Khamiduline, che a sua volta aveva un contratto di sponsorizzazione con Gazprom. La sede legale della squadra era pertanto in Svizzera, mentre la base operativa era in Italia. 

«Se si fossero informati dall’inizio – dice Canola – anziché agire d’impeto, forse avrebbero valutato una strada migliore per tutti. Invece hanno ammazzato noi, mentre altri russi continuano a fare attività».

Nessuna risposta

I corridori con quel ricorso non c’entrano, questo è bene ribadirlo. Loro sono senza lavoro e senza squadra e per questo hanno inviato all’UCI due richieste piuttosto semplici.

«Quello che chiediamo – dice Canola – sono risposte dal presidente dell’ente per cui siamo tesserati. Abbiamo fatto delle domande, meritiamo delle risposte. Oserei dire che è suo dovere farlo. Vogliamo un faccia a faccia. Non trovo accettabile che per parlarci dobbiamo passare tramite il sindacato che a sua volta riceve un intermediario dell’UCI».

Gianni Bugno è il presidente del CPA. L’associazione sta tentando una mediazione fra UCI e corridori
Gianni Bugno è il presidente del CPA. L’associazione sta tentando una mediazione fra UCI e corridori

Le due richieste

Le richieste sono due.

La prima: al fine di facilitare il passaggio degli atleti ad altri gruppi sportivi, innalzare il numero massimo di atleti per squadra da 31 a 32. Questo permetterebbe di trovare posto ad alcuni di loro.

La seconda: per i restanti corridori, la possibilità di correre con una maglia neutra, in una squadra composta a questo punto da un numero inferiore di atleti e sostenuta da sponsor minori.

A cose normali queste trattative si svolgono a porte chiuse, come si fa quando si ha a cuore l’immagine del movimento. Solo che a tenere le porte chiuse s’è ottenuto il contrario. Che la gente ad esempio non sa che questi sei ragazzi hanno sollecitato più e più volte una risposta di David Lappartient, che è perfettamente al corrente delle loro richieste. Perché il presidente dell’UCI non risponde?

Nessuna data certa

Le due richieste, decisamente semplici e di facile attuazione, sono state appoggiate dallo staff della Gazprom, dai manager degli atleti, dal CPA e dall’AIGCP, l’associazione dei gruppi sportivi. Invece per una volta che così tante componenti si sono trovate d’accordo, l’UCI che dovrebbe avere a cuore la sopravvivenza in attività di un così ampio numero di professionisti (oltre ai 6 italiani, ci sono altri 14 corridori nella stessa situazione), non risponde.

«La causa – ribadisce Canola – non riguarda noi. Non ci è stato detto in maniera diretta nemmeno il fatto che si starebbe aspettando il TAS. Non c’è una data per questa sentenza. E non c’è neanche una data entro la quale, in ogni caso, sarà presa una decisione».

Ciascuno dei corridori ha scritto le sue richieste e le ha inviate all’UCI tramite il CPA, per stare nelle regole. Pare infatti che Lappartient si sia indignato perché Khamidulin abbia scritto direttamente a lui e al suo board.

David Lappartient, presidente dell’UCI: finora muto alle richieste dei corridori
David Lappartient, presidente dell’UCI: finora muto alle richieste dei corridori

Diritto alla dignità

Il silenzio uccide. L’indifferenza porta via la dignità. Alcuni di questi ragazzi avrebbero già un altro contratto pronto, ma non possono firmarlo perché la nuova squadra ha già 31 corridori. I più fortunati saranno parcheggiati nelle relative continental e per il primo anno non potranno fare corse WorldTour, gli altri sono al palo.

«Se Lappartient non vuole aiutarci – dice Fedeli – che almeno lo dica, ma noi vogliamo una risposta. Oppure forse si nasconde per paura delle sue responsabilità?».

«Ho fatto 11 anni da professionista – fa eco Canola – facendomi portavoce di correttezza e non mi sta bene essere trattato così».

Le due domande

L’ultima voce che gira nel gruppo è che l’UCI abbia indetto per il 25 aprile una riunione online con tutti i professionisti, uomini e donne, e nella mailing list non siano stati inclusi gli atleti della Gazprom. Si tratterà pure di una svista, ma a un certo livello le sviste non sono consentite.

Perciò adesso le due domande le ripetiamo noi.

La prima: è possibile innalzare a 32 il limite massimo dei corridori per squadra per dar modo a chi volesse di ingaggiare uno di questi corridori?

La seconda: è possibile che gli altri corrano con una divisa neutra per non buttare una stagione e farsi semmai notare da qualcuno?

Malucelli, dietro quell’urlo non c’è solo rabbia

12.04.2022
5 min
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«Quando parti da davanti – dice Malucelli – devi essere forte da cavarli tutti di ruota. Altrimenti diventi un punto di appoggio e se qualcuno ti punta, non puoi farci più niente. Quando Moschetti è partito, a un certo punto ho pensato che non l’avrei più ripreso. Ma avevo dentro troppa grinta e troppa rabbia repressa. Così l’ho affiancato e nella mia testa gli ho detto: “Adesso ti passo!”. Ieri sera ho fatto togliere il 54 che era rimasto dal UAE Tour e ho detto al meccanico di rimettermi il 53. L’arrivo tirava al 3-4 per cento, mi è sembrato durissimo. Anche perché abbiamo fatto 200 chilometri e io non correvo dal 26 febbraio…».

Sul podio di Bagheria negli occhi di Malucelli un mix fra gioia e tristezza di fondo
Sul podio di Bagheria negli occhi di Malucelli un mix fra gioia e tristezza di fondo

Aspettando il TAS

Bagheria si specchia nel Tirreno, Palermo è là in fondo con la sagoma di Monte Pellegrino. Il pubblico del Giro di Sicilia aspettava Fiorelli, nato e cresciuto su queste strade. Ma quando nella scia di Moschetti è apparsa la maglia azzurra di Malucelli, conoscendo le recenti vicende della Gazprom, non abbiamo avuto nessun dubbio che avrebbe vinto lui. Nulla da togliere a Moschetti e Fiorelli, ma non poteva essere altrimenti.

«Tanta grinta – ammette Malucelli – e anche rabbia repressa. Se mi chiedete come sto, rispondo meglio di ieri, ma lo stesso non posso dire di stare bene. Non ho squadra, non ancora. Stiamo aspettando il Tas. Doveva venir fuori la scorsa settimana, dicono di aspettare anche questa. Sono stato per due mesi rinchiuso in casa. Le domande erano sempre le stesse, così pure le risposte. Ho detto a mio babbo di non chiedermi più del ciclismo, di non chiamarmi per sapere se c’erano novità. Però mi sono allenato. Lo sapete: noi corridori siamo delle teste di… e io da giorni avevo fatto un pensierino a questa tappa. Sapevo di avere una sola occasione».

Altri due Gazprom in gara con la nazionale: Scaroni e Carboni
Altri due Gazprom in gara con la nazionale: Scaroni e Carboni

Il segnale giusto

Mentre gli altri correvano con la maglia azzurra, Malucelli era a casa. Troppo duri il Coppi e Bartali e poi Larciano, ma Bennati aveva cerchiato il suo nome pensando proprio alla Sicilia e lui l’ha ripagato con la prima vittoria in Italia, alla prima convocazione in maglia azzurra della carriera.

«Senza questa convocazione – racconta Malucelli con il vento per sottofondo – avrei visto questa corsa in tivù. Quando ci guardiamo in faccia, vedo tanta voglia di fare bene. Perché se l’UCI non concede la benedetta deroga, rischiamo di stare per un mese e mezzo senza correre. E questa per me era l’ultima possibilità. Sono contento. E’ bello, mi dà morale e spero serva per mandare un bel segnale. Siamo tutti incazzati neri. Sono stato tutto marzo a casa a pensare. I giorni passavano e nel ciclismo conta vincere».

Fra Damiano e Martina

Due abbracci sono sembrati più intensi degli altri dopo l’arrivo: quello di Damiano Caruso, ragazzo dal cuore grande, che lo ha guardato con la gioia negli occhi. E poi quello con Martina, la sua ragazza, venuta in Sicilia per vederlo correre.

«Dopo l’arrivo, Damiano mi fa: “Fermati, che voglio abbracciarti!”. Quando un campione come lui lo vedi veramente felice per una tua vittoria – la voce gli trema – dà una bella soddisfazione. Alla fine ci siamo emozionati davvero. Quanto a Martina… Quando mi ha chiesto se poteva venirmi a vedere, le ho detto: “Perché no? Magari sarà la mia ultima corsa da professionista…”. Lei mi ha guardato e mi ha mandato a quel paese. Ha sofferto. Ognuno a casa vive i suoi problemi come se fossero i più grandi del mondo. Abbiamo passato notti senza dormire, parlando di quello che potrà accadere. E ultimamente la convivenza stava diventando pesante. Ma adesso che viene la Pasqua, speriamo che arrivi un uovo Kinder con dentro la sorpresa che aspettiamo da due mesi. E se non fosse l’uovo di cioccolata, andrà bene anche un cannolo…».

La prima tappa si è corsa per buona parte sulla Settentrionale Sicula: Italia in testa al gruppo
La prima tappa si è corsa per buona parte sulla Settentrionale Sicula: Italia in testa al gruppo

Il mare scivola nella sera, domani il Giro di Sicilia andrà da Palma di Montechiaro a Caltanissetta, terreno per gente da salita. L’ingegner Malucelli, approdato alla Gazprom-RusVelo per costruirsi un grande futuro, vincitore di tappa al Tour of Antalya e poi incappato in una guerra più grande di lui, aveva una carta da giocare e l’ha fatto alla grande. Questa dovrebbe essere la settimana in cui il TAS si pronuncerà sul ricorso della squadra russa e solo allora l’UCI prenderà posizione. Farlo prima significherebbe dover ammettere di aver commesso un grossolano errore.

EDITORIALE / Quale futuro per la nazionale fuori stagione?

11.04.2022
3 min
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Quando Davide Cassani iniziò ad aumentare la presenza della nazionale nelle corse italiane, il ciclismo era diverso da quello che abbiamo ereditato dal Covid. L’Italia era bazzicata dalle grandi squadre soltanto per le corse maggiori, mentre per tutto il resto le WorldTour andavano in cerca di risultati in giro per il mondo. La nazionale alla Coppi e Bartali oppure al Tour of the Alps era il modo per far correre gli atleti WorldTour italiani che non fossero impegnati con il proprio team.

Il Covid ha riscritto tutto. Si corre dove ci sono corse e in Italia soprattutto a primavera ce ne sono tante. Ed è così che gli squadroni hanno cominciato a rivedere le proprie pretese. Oggi si fanno trovare in massa dovunque ci siano un arrivo e un palco (alla Coppi e Bartali c’erano 10 squadre WorldTour). A queste condizioni, ha ancora senso portare a correre la nazionale, se per comporla si fa una gran fatica (dato che gli italiani sono in corsa con il club) e si deve pescare da un bacino diverso rispetto ai primi tempi? Se tramonta la ragione tecnica, il solo motivo per battere ancora questa strada potrebbe essere dare maggiore visibilità agli sponsor. E allora il tema, che non è da condannare a priori, andrebbe però approfondito.

Davide Cassani e Marco Villa hanno spesso usato la nazionale per portare i pistard su strada
Davide Cassani e Marco Villa hanno spesso usato la nazionale per portare i pistard su strada

Un simbolo importante

Quando andammo a casa sua poco dopo la nomina a commissario tecnico, Bennati ci raccontò della sua prima maglia azzurra. Era ancora uno junior, ma l’emozione e l’importanza della convocazione continua a ricordarla ancora ora. Sebbene nel frattempo abbia vissuto giornate azzurre ben più consistenti da pro’. Dopo quel racconto, Daniele ci disse che la maglia azzurra è un simbolo troppo importante per poterla concedere senza un progetto o un evidente merito. Per questo aver chiamato gli italiani della Gazprom ha permesso al tecnico azzurro di avere un gruppo competitivo e motivato.

«Io alle corse voglio andarci per fare risultato – ha detto – quella è l’Italia e non può passare attraverso una corsa come se fosse invisibile».

Fedeli è arrivato secondo a Larciano, finora è parso uno dei più determinati
Fedeli è arrivato secondo a Larciano, finora è parso uno dei più determinati

Una riflessione

Da domani, la nazionale sarà schierata al Giro di Sicilia, corsa con tre team WorldTour (Astana Qazaqstan Team, Intermarché Wanty Gobert e Trek-Segafredo), quattro professional (Eolo-Kometa, Drone Hopper-Androni, Bardiani-Csf e l’americana Human Powered Health) e un lungo elenco di continental.

Bennati poterà alcuni dei ragazzi della Gazprom-RusVelo (Carboni, Conci, Fedeli, Scaroni e Malucelli, cui si aggiungeranno Damiano Caruso e Alessandro Verre) più un lungo elenco di collaboratori e staff, come da comunicato ufficiale. Corridori validi e determinati, che si sono già messi in luce nelle prove disputate. Ma poi, quando la loro situazione sarà stata risolta (speriamo che sia oggi!), siamo certi che varrà ancora la pena insistere con tali trasferte? Avrà ancora senso in questo momento di bilanci da far quadrare, se diventerà evidente che per fare la squadra Bennati dovrà scegliere fra i pochi corridori disponibili, senza che rientrino in un disegno tecnico o abbiano dimostrato meriti particolari?

La Gazprom affonda nell’indifferenza generale

05.04.2022
5 min
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Giovedì è arrivata la lettera di risoluzione del contratto. E a questo punto, senza troppi giri di parole, la vicenda Gazprom-RusVelo potrebbe essere arrivata al capolinea. I tentativi di agganciare un altro sponsor non legato alla Russia erano parsi disperati in partenza, ma adesso che 21 corridori sono rimasti senza squadra e il personale si sta lentamente disperdendo, Rosola si guarda intorno e trova più domande che risposte.

Il tecnico bresciano, che prima fu grande velocista e poi pioniere della mountain bike, negli ultimi anni era il braccio destro di Renat Khamidulin, manager della squadra russa. Ha vissuto al suo fianco ogni fase, dalla nascita del team alla sua crescita che lasciava intuire un passaggio nel WorldTour e adesso con malinconia l’ha vista crollare come effetto delle sanzioni internazionali contro la Russia.

Rosola (al centro con la mascherina) insegna ciclismo al Liceo Scientifico Sportivo di Castelletto di Brenzone
Rosola (al centro con la mascherina) insegna ciclismo al Liceo Scientifico Sportivo di Castelletto di Brenzone

Professor Paolo

Ieri quando ci abbiamo parlato, Paolo era di rientro dal Liceo Scientifico Sportivo Sacra Famiglia di Castelletto di Brenzone, dove assieme a Paola Pezzo insegna ciclismo.

«Lo facciamo da cinque anni – dice – insegnando teoria e pratica. Seguiamo il protocollo della Federazione per la formazione dei direttori sportivi. Al quarto anno prendono il primo livello e al quinto escono con il brevetto di Guida Cicloturistica, pronti ad esercitare il mestiere. Siamo sul lago di Garda, c’è grande richiesta di questo tipo di figure. Ne abbiamo 25 per classe, dalla prima alla quinta. Faccio queste 50 ore e poi ho ricominciato a seguire la scuola di mountain bike, dove abbiamo 130 bambini, ma non nascondo che fino a poche settimane fa, la mia attività principale era la squadra dei pro’…».

Conci era appena arrivato alla Gazprom. E’ parso brillante in queste corse con la nazionale
Conci era appena arrivato alla Gazprom. E’ parso brillante in queste corse con la nazionale
Avete alzato bandiera bianca?

E’ arrivata la raccomandata, Renat deve tutelarsi. Abbiamo cercato da tutte le parti, aspettavamo una risposta per oggi (ieri, ndr), ma sarà stata negativa. Abbiamo continuato a sentirci tutti i giorni, solo che a un certo punto ci ritrovavamo a dire e fare sempre le stesse cose. Sollecitare chi ci aveva dato mezza parola, ma niente. Il personale russo è tornato a casa. La politica è scappata tutta

Perché?

Ci sta che il CIO abbia dato una direttiva, ma non c’è stato il minimo dialogo. Facevamo parte della stessa famiglia, eravamo in regola su tutto. Se pure ricevi l’ordine di fermarci, puoi anche cercare il dialogo e trovare un modo di farlo che non sia necessariamente un colpo mortale. Potevano gestirla diversamente. Perché semplicemente ci hanno privato del titolo sportivo senza volerci neppure parlare? Stavamo lavorando male? E perché gli altri corridori russi corrono, quando il CIO ha detto di non invitarli? Ce l’avevano a prescindere con noi? Sapete, alla fine quando non hai risposte, continui a farti domande…

Sarà anche difficile tornare il giorno in cui la guerra finirà?

Non sarà facile, perché perdi fiducia nelle istituzioni in cui avevi sempre creduto.

In effetti sembra quasi che non importi a nessuno.

E’ strano. C’è stata un’intervista in cui Silvio Martinello ha dichiarato che è stata presa la decisione giusta. Io mi chiedo cosa ci sia di giusto nei confronti dei nostri corridori. A Garda un signore si è messo a insultarmi dicendo che avevamo anche noi colpa in quella guerra. Ho cominciato a spiegargli e alla fine quasi mi chiedeva scusa. Ma io ci rimango male. Cosa c’entriamo noi con la guerra? Perché questi ragazzi devono pagare al pari dei civili che vi sono stati coinvolti senza avere alcuna responsabilità? Dicono che lo sport unisca, ma in che modo lo ha fatto con noi?

Hai detto che la politica non vi ha dato risposte.

Forse perché non sanno cosa dire. Ho chiamato Bugno, il presidente del sindacato dei corridori. Gli ho detto che quando in una fabbrica si pensa a dei licenziamenti, il sindacato va a trattare con la proprietà per cercare di salvare il salvabile o almeno trovare una tutela per chi perderà il lavoro. Mi ha risposto chiedendomi che cosa dovrebbero fare. Ma io dico: possibile che non si potesse pensare di ritardare di un minuto la partenza di una corsa per far notare che 21 corridori, fra cui sette italiani, erano di colpo disoccupati? Ma anche loro, a parte un incontro con l’UCI, non hanno fatto niente.

In tutto questo, la squadra ha continuato a seguire i ragazzi con la preparazione, ad esempio?

La struttura ha funzionato, i corridori non sono stati abbandonati. Ma sono professionisti e a un certo punto con i loro procuratori hanno cominciato a guardarsi intorno. Io continuo a sentirli, soprattutto i nostri. Canola e Scaroni, per esempio. Sento soprattutto quelli che hanno difficoltà a trovare squadra e non credo che la nazionale possa andare avanti a oltranza per dargli una possibilità.

Per ora ha funzionato…

Ho parlato con Bennati, mi rendo anche conto che lui ha il suo lavoro con i corridori che deve valutare per i vari impegni che verranno. Non si può pretendere che la nazionale faccia attività solo per noi, a meno che non facciano una squadra B per continuare a supportarli. Io comunque sarei disponibile a dare una mano. Fino a ieri non si poteva parlare, nell’attesa dell’ennesima risposta. Le abbiamo provate tutte, anche la via politica. Ma alla fine, se posso dire, sembra proprio che di noi non freghi niente a nessuno.