Addio Geminiani, uno degli ultimi eroi a due ruote

07.07.2024
5 min
Salva

“Quel naso triste come una salita, quegli occhi allegri da italiano in gita”. E’ un verso di Paolo Conte dedicato a Bartali, ma potrebbe benissimo adattarsi anche a Raphael Geminiani, che ci ha lasciato alle soglie del secolo di vita. In lui convivevano due anime: quella delle origini romagnole derivate dal padre Giovanni, emigrato in Francia, a Clermont Ferrand nel 1924 lasciando il suo negozio di biciclette a Lugo di Romagna per non sottostare al giogo fascista (Raphael parlava perfettamente il dialetto romagnolo, mentre faceva più fatica con l’italiano). L’altra era quella fieramente francese, quasi pugnace, fumantina, come un eroe dei romanzi di Rostand.

Raphael Geminiani era nato il 12 giugno 1925. Ha vinto 19 corse, laureandosi campione di Francia nel 1953
Raphael Geminiani era nato il 12 giugno 1925. Ha vinto 19 corse, laureandosi campione di Francia nel 1953

La litigata con Robic

Ne sapeva qualcosa Robic, uno dei grandi rivali che hanno attraversato la sua epopea. Al Tour del 1952 Geminiani era suo compagno di squadra. Verso Namur l’ordine era proteggere la maglia gialla di Nello Lauredi, ma lui tirava e tirava, Robic faticava e diceva di essere in crisi. Solo che quando è scattato Coppi, proprio Robic gli è andato dietro.

Tornati in hotel, Raphael sentì il compagno esprimersi in maniera non proprio lusinghiera nei suoi confronti: «Non volevo fare come quel coglione di Gem che lavorava per uno che era alla frutta…». Salito in camera, Robic trovò davanti a sé un Gem furibondo, che gli ficcò la testa nella tazza del water…

Al Tour Geminiani fu 2° nel ’51 e 3° nel ’58, perdendo per la rivalità dei suoi connazionali (foto Flickr)
Al Tour Geminiani fu 2° nel ’51 e 3° nel ’58, perdendo per la rivalità dei suoi connazionali (foto Flickr)

Il lusso “assaggiato” alla Bianchi

Geminiani, soprannominato “Le Grand Fucil” per il suo fisico alto e allampanato proprio come la canna di un fucile era uno che in salita andava forte nonostante si portasse addosso non poco peso, ma questo limitava il suo raggio d’azione e Raphael fu lesto a comprenderlo. Non era un capitano, poteva essere un vincente, sicuramente era un luogotenente di lusso e infatti i big se lo contendevano. Coppi lo volle con sé alla Bianchi, con cui condivise il trionfale Giro del 1952.

«Alla Bianchi si viveva nel lusso – raccontò qualche anno fa su L’Equipeti massaggiavano le gambe con acqua di colonia, io ero abituato a passarci l’alcol quando andava bene… Fausto era mio grande amico, ma anche con Bartali andavo d’accordo. Un giorno mi disse che avevo sbagliato: se fossi passato con lui alla Legnano, lui avrebbe “distratto” Coppi e mi avrebbe fatto vincere quello stesso Giro. Chissà se aveva ragione…».

Alla Bianchi il transalpino accompagnò Coppi alla conquista del Giro 1952, vincendo la classifica degli scalatori
Alla Bianchi il transalpino accompagnò Coppi alla conquista del Giro 1952, vincendo la classifica degli scalatori

La ricerca degli sponsor

Naso grosso e cervello fino, si dice. Geminiani era molto moderno. Intuì ad esempio che l’epopea del ciclismo meritava di essere sfruttata anche dal punto di vista economico, ma si poteva fare solo coinvolgendo realtà diverse, elevando la sua popolarità: «Non potrò mai dimenticare il Tour del 1947, la folla di gente a Parigi. Capii in quel mentre che davvero la guerra era qualcosa che ci eravamo messi alle spalle». Questa popolarità, Geminiani la spese andando a cercare sponsor al di fuori del territorio prettamente ciclistico: la Saint Raphael Geminiani Dunlop del 1954 fu uno dei primissimi esempi di team con uno sponsor non appartenente al mondo delle due ruote.

Questa sua saggezza seppe spenderla anche quando chiuse la sua carriera: per molti anni è stato apprezzato direttore sportivo, con scelte mai casuali. Ebbe a che fare da dirigente con Anquetil avversario dei suoi ultimi anni da corridore ma negli anni Settanta portò alla Fiat France anche un Merckx pronto a sparare le sue ultime cartucce. Investì su Stephen Roche incantato dal suo clamoroso anno della tripletta Giro-Tour-mondiale. Infine capì prima di altri il grande patrimonio dato dal ciclismo colombiano, dirigendo Herrera e Parra, primi campioni di una lunga serie.

Con Anquetil e Gaul. Dopo il 1960 Geminiani fu il diesse dello stesso Anquetil in molti suoi trionfi (foto L’Equipe)
Con Anquetil e Gaul. Dopo il 1960 Geminiani fu il diesse dello stesso Anquetil in molti suoi trionfi (foto L’Equipe)

Testimone del dramma di Coppi

Con Geminiani se ne va anche il testimone diretto della scomparsa di Fausto Coppi e in fin dei conti, quel dramma è legato anche a questa sua lungimiranza. Il francese infatti aveva capito che c’era possibilità di monetizzare la grande popolarità ottenuta andando alla ricerca di nuovi contesti (una politica che l’Uci ha sposato negli ultimi anni, lui l’aveva capito molto prima). Raccoglieva lauti ingaggi per criterium da correre in Africa, dove a fronte di assegni cospicui e un impegno sportivo molto relativo c’era anche la possibilità di farsi una bella vacanza tutta spesata.

Nel 1959 coinvolse anche il suo amico Fausto Coppi: «Bobet non può venire, ti va di venire con me in Alto Volta?”. Una delle ultime notti, le zanzare invasero la loro stanza e li punsero a ripetizione. Tornati a casa, Geminiani chiamò Fausto col quale era in trattativa per portare corridori da affiancare a Bahamontes: «Sai, Gem, da quando sono tornato non sto molto bene». «Neanch’io». Stessa camera, stesse zanzare, stessa malaria, cure diverse: la sua fortuna fu che le sue analisi, portate all’istituto Pasteur di Parigi evidenziarono la malattia, la cura di chinino lo salvò a un passo dalla morte, quel passo che l’Airone non riuscì a compiere, curato con antibiotici assolutamente inutili.

Al passaggio del Tour da Lugo di Romagna gli era stato dedicato uno speciale striscione
Al passaggio del Tour da Lugo di Romagna gli era stato dedicato uno speciale striscione

Il ciclismo che non c’è più

Geminiani era il più anziano detentore della maglia rosa, indossata per 3 giorni nel 1955, ma soprattutto era uno degli ultimi testimoni di un ciclismo che sapeva d’avventura, di passaparola, di imprese epiche. Delle quali, se eri fortunato, restava qualche foto sbiadita dallo scorrere del tempo. Qualcosa che, nell’era del ciclismo tecnologico fatto di radioline e rigide tabelle d’allenamento, di informazioni che ti arrivano nello spazio di microsecondi, è anche difficile da immaginare per chi non c’era…

La leggenda di Bahamontes, una vita da scalatore

07.11.2023
6 min
Salva

Toledo, 1938. La guerra civile spagnola divampa e la fame è tanta. Alejandro ha 10 anni, da qualche giorno fa la posta a un rivenditore di frutta. O meglio, alla sua bici: darebbe qualsiasi cosa per salirci su e volare via. Un giorno non resiste più, la prende al volo e inizia a pedalare. Il proprietario urla, richiama l’attenzione. La gente ferma quel ragazzino, lo porta da lui, tutti si aspettano quantomeno un sonoro ceffone. Invece avviene quel che non ci si attende: «Vuoi questa bici? Ok, potrai usarla per portare le casse di frutta. E ti pagherò, anche». Alejandro carica casse di frutta sulla bici, anche 100 chili alla volta per guadagnare di più per la sua famiglia e intanto si diverte. Per il negoziante è stato un buon affare: niente più faticosi giri per la città e soprattutto niente più rischio di furti…

Quell’uomo non sapeva, non poteva sapere che stava cambiando le sorti del ciclismo spagnolo, perché quel ragazzino era Alejandro Martin Bahamontes, chiamato ben presto Federico. Un uomo con un destino nel nome, perché Bahamontes significa “scavalcamontagne”. Ed effettivamente nessuna carriera prima della sua era stata così legata alle sue capacità di scalatore. Bahamontes iniziò così la sua carriera.

Un inizio di rapporto con la bici molto originale e lontano dagli stereotipi di oggi (foto BDC Mag)
Un inizio di rapporto con la bici molto originale e lontano dagli stereotipi di oggi (foto BDC Mag)

Tu tiri, io vinco…

Già, perché ben presto scoprì che con la bicicletta si poteva guadagnare anche senza caricarsi addosso le pesanti casse di frutta. C’erano le gare, si guadagnava cibo e anche denaro. C’era un amico, Manuel Lopez, che aveva anche lui la passione per il ciclismo. Tanto Alejandro era lungo e mingherlino, tanto l’altro era grosso e possente. Un muro in pianura, così raggiunsero un accordo: in salita avrebbe tirato Alejandro, in pianura Manuel e alla fine si sarebbero spartiti i soldi. Su 20 gare ne vinsero 16. Bahamontes non si sarebbe dimenticato di lui, richiamandolo anche come suo aiutante da professionista.

Bahamontes ha sempre avuto un soprannome, “l’aquila di Toledo”, ma probabilmente un altro si attaglia meglio alla sua storia: “Sisifo al contrario”. Se il mitologico personaggio greco odiava le salite dove doveva spingere il simbolico masso che poi rotolava giù, Bahamontes agognava le stesse, dove andava a velocità doppia degli altri e odiava con tutte le sue forze le successive discese.

In salita lo spagnolo aveva un passo irresistibile. I problemi arrivavano dopo… (foto Facebook/SportMediaset)
In salita lo spagnolo aveva un passo irresistibile. I problemi arrivavano dopo… (foto Facebook/SportMediaset)

Lo sgarbo a Gaul

Una paura che non lo ha mai lasciato e che anzi era aumentata a dismisura dopo una caduta alla Vuelta Asturias, dove atterrò su un cactus. Risultato: 140 dolorose spine conficcate nel suo corpo. Bahamontes spesso in discesa frenava puntando i piedi. Singolare a tal proposito quanto successe nella tappa del Passo Cento Croci al Giro d’Italia 1958.

Serve un preambolo, legato alla precedente frazione da St.Vincent a Superga. Bahamontes è gregario di Charly Gaul. Il francese Geminiani detta il ritmo in salita e rimangono solo in una decina, a quel punto il lussemburghese dice a Bahamontes di tirare per fare selezione. Lo spagnolo ha un ritmo altissimo, solo Gaul regge, ma fa fatica. Il capitano gli chiede di rallentare, non c’è più bisogno di spingere così. Federico non lo sente. Non lo vuole sentire. Tira dritto e va a vincere con 27” di vantaggio. Gaul dopo il traguardo è furioso e si avventa contro il compagno di squadra, il diesse lo trattiene a stento e in conferenza stampa accamperà la scusa di un problema meccanico che ha frenato il lussemburghese.

Il giorno dopo c’è il Cento Croci. Appena si sale, Bahamontes si libra in volo. Arriva in cima con 1’30” di vantaggio su tutti. Ma la tappa non finisce lì: c’è la discesa e si palesano tutti i suoi fantasmi. Lo passano tutti. Scollina con oltre un quarto d’ora di distacco. Quel Giro lo vincerà Baldini con Gaul e Bahamontes dispersi in classifica e alla fine separati, giustamente.

Bahamontes in trionfo al Tour ’59, con Coppi al suo fianco. Anche per lui fu un riscatto… (foto Facebook/SportMediaset)
Bahamontes in trionfo al Tour ’59, con Coppi al suo fianco. Anche per lui fu un riscatto… (foto Facebook/SportMediaset)

Un’aquila e un airone…

C’è qualcuno però che crede in quello spagnolo trentenne, nelle sue possibilità e non pensa tanto alla discesa. Si chiama Fausto Coppi. Il Campionissimo è a capo del team Tricofilina ed è convinto che con le sue possibilità si possa anche andare al Tour de France del 1959 e far saltare il banco. Soprattutto se i francesi si faranno la guerra in casa loro.

E’ quel che accade. Anquetil non tiene a bada le ambizioni dell’emergente Riviere, Bobet cerca l’ultimo acuto prima del ritiro, il semisconosciuto Anglade (in forza alla squadra del Centro-Sud e non alla nazionale) è un elemento disturbatore. Bahamontes ha perso tanto nella prima parte della Grande Boucle, ma poi arrivano le frazioni a lui favorevoli. Vince la cronoscalata del Puy de Dome, poi sfrutta alla meglio il tappone di St.Vincent andando a vincere la maglia gialla e diventando un eroe per il suo Paese: «E’ vero, ho sfruttato la guerra fra i francesi – afferma davanti ai giornalisti – ma devi essere davvero forte per approfittarne».

Il campione iberico nella sua bottega sotto l’Alcazar, chiusa purtroppo nel 2004 (foto Blogciclismo)
Il campione iberico nella sua bottega sotto l’Alcazar, chiusa purtroppo nel 2004 (foto Blogciclismo)

Le salite in processione

Bahamontes ha sempre avuto una lingua tagliente, non le mandava certo a dire. Quando nel 2013 L’Equipe lo premiò come miglior scalatore nella storia del Tour, l’iberico più che festeggiare ebbe molto da dire sul fatto che secondo risultò Richard Virenque, l’uomo che con le 7 maglie a pois conquistate gli aveva sottratto il suo record di 6.

«Se lui è uno scalatore – disse – io sono Napoleone Bonaparte. Non mi arriva neppure alle caviglie. Dove sono oggi le sfide faccia a faccia, i confronti veri? Ogni salita sembra la processione della Settimana Santa…».

Lo spagnolo se n’è andato lo scorso agosto, a 95 anni. Nel 2004 aveva chiuso il suo negozio di bici che a Toledo era considerato una delle vere attrazioni della città, nascosto tra le viuzze sotto la fortezza dell’Alcazar, tanto da essere segnalato anche nelle varie guide turistiche della città e molti ancora oggi vanno a cercarlo. Federico intanto continua a guardare tutti dall’alto, come faceva al termine delle salite.

Il monumento dedicato a Bahamontes nella sua Toledo (foto Ansa)
Il monumento dedicato a Bahamontes nella sua Toledo (foto Ansa)

In attesa su un paracarro…

Un giorno, Tour de France 1954, sul Galibier staccò tutti infliggendo distacchi abissali. Ma c’era la discesa… Federico si fermò, prese un gelato da un venditore locale e si sedette su un paracarro, a gustarselo in attesa degli inseguitori, per mettersi alle calcagna e farsi guidare in discesa. Così magari non avrebbe dovuto puntare i piedi per terra…

Coppi e il Vigorelli: di nuovo insieme 80 anni dopo

27.12.2022
6 min
Salva

A metà di via Padova, non lontano dalla fermata della metro Rovereto dove i palazzi si fanno sempre più alti e fitti, sorge il Parco Trotter. Una vera istituzione per i milanesi e per gli amanti del ciclismo, specialmente quello d’epoca. All’interno del parco, infatti, c’è un ippodromo, che negli anni tra il 1919 ed il 1925 ha ospitato più volte l’arrivo del Giro d’Italia e del Giro di Lombardia.

Le date ed i momenti si uniscono, e verrebbe da dire che non lo fanno mai per caso. Il 7 novembre del 1942, Fausto Coppi, all’interno del Velodromo Vigorelli, stabilì il record dell’Ora: 45,798 chilometri. Un numero impressionante per l’epoca e le condizioni in cui si svolse. Nel 1942, infatti, l’Italia e il mondo intero erano nel pieno della Seconda Guerra Mondiale. Il “Campionissimo” stampò quel record in un momento storico complicato. E proprio per questo è rimasto e rimarrà a lungo nella memoria di tutti. 

A novembre c’è stata la giornata celebrativa per il record dell’Ora di Coppi
A novembre c’è stata la giornata celebrativa per il record dell’Ora di Coppi

La celebrazione

Ad ottant’anni di distanza il Comitato Velodromo Vigorelli ha voluto ricordare il Record dell’Ora di Coppi con un evento all’interno del teatro di quell’impresa: il Vigorelli, per l’appunto. Sul parquet messo recentemente a nuovo, i membri del Comitato hanno dato vita ad una “passeggiata” che ricalca fedelmente le orme della memoria

«La giornata – ha spiegato Davide Peverali, presidente del Comitato Velodromo Vigorelli – è stata ideata per celebrare questo grande anniversario. Durante la giornata era possibile prenotare delle visite guidate per visitare la pista ed i luoghi del Vigorelli».

Il Vigorelli è aperto 3 giorni a settimana per permettere ai ragazzi di allenarsi in sicurezza
Il Vigorelli è aperto 3 giorni a settimana per permettere ai ragazzi di allenarsi in sicurezza

Il Velodromo rinato

La celebrazione di uno dei ciclisti più importanti della storia è anche un modo per affermare che il Velodromo Vigorelli è ufficialmente rinato. Il parquet è tornato lucente e cavalcato da tanti appassionati, di qualsiasi età

«Vogliamo rendere la città di Milano più vicina ai ciclisti – continua il presidente del Comitato – grazie alla presenza del velodromo possiamo eliminare i rischi esterni legati a questo sport. Si tratta di una possibilità rivolta a tutti, dai più grandi ai più piccoli. Per il momento la pista rimane aperta per 3 giorni a settimana per un totale di sei ore, anche se la disponibilità totale sarebbe del doppio. Non sfruttiamo tutto il monte ore perché la nostra comunità, una trentina di iscritti non è ancora così ampia. Il progetto è appena nato e le iniziative non mancheranno».

Look è partner tecnico del Comitato Velodromo Vigorelli e fornisce le bici per girare in pista
Look è partner tecnico del Comitato Velodromo Vigorelli e fornisce le bici per girare in pista

Il 2023 per affermarsi

Il prossimo anno diventerà importante per capire ed affermare i progetti portati avanti dal Comitato Velodromo Vigorelli. I ragazzi sono al centro del progetto che punta a crescere per far tornare il famoso velodromo un punto di riferimento del ciclismo italiano. 

«Nel 2023 – dice Peverali – abbiamo due progetti fondamentali da far proseguire: il primo è far diventare il Vigorelli un centro territoriale pista, la Federazione ha già dato il benestare. Quello dell’attività agonistica rappresenta un fiore all’occhiello per noi, i ragazzi dai tredici anni in poi potranno allenarsi con il supporto dei nostri istruttori federali. Il secondo progetto, ancora più importante è legato ai più piccoli: ai bambini. Si tratta di una scuola di ciclismo dove si insegneranno le attività basilari per guidare e gestire la bicicletta. Stiamo portando avanti anche una collaborazione futura con un’ASD (Associazione Sportiva Dilettantistica, ndr) legata alla mountain bike: i ragazzi in questo modo avranno una panoramica più ampia di tutto il mondo del ciclismo».

Coppi va in scena

I momenti per celebrare e ricordare il record dell’Ora di Coppi non finiscono. All’interno del Parco Trotter, nella chiesetta che si trova nella zona nord, è andato in scena uno spettacolo teatrale per ricordare le gesta del “Campionissimo”. Davide Ferrari ha dato vita alle parole del romanzo di Gianni Brera: Coppi e il Diavolo. 

Coppi e Brera sono nati entrambi nel 1919: il primo il 15 settembre, mentre il secondo sette giorni prima: l’8 settembre. Il giornalista ha voluto raccogliere nel suo romanzo la vita e le gesta di un uomo che ha trovato nella bici il modo di completarsi. Quello messo in scena da Davide Ferrari è un monologo che coinvolge ed appassiona. Studiato e rappresentato sulla scena con pochi elementi ma che rendono perfettamente l’idea dell’atmosfera e dell’ambiente che Coppi riusciva a radunare intorno a sé. Accendendo, dentro di noi, una piccola fiamma che ci fa riscoprire le gesta di un ciclismo eroico che ormai non c’è più.

«L’idea – racconta l’artista – è nata nel 2019, per celebrare il centenario della nascita di Coppi e Brera. Del ciclismo mi hanno sempre appassionato le storie, come quella di Coppi. E grazie a questo spettacolo, ho avuto modo di portarla in giro per tutta Italia. Portare in scena quel libro è risultato facile, perché è ricco di temi interessanti, soprattutto quelli umani. La contrapposizione a Coppi del diavolo è quel tormento che ognuno di noi ha dentro e nel quale tutti riescono a riconoscersi».

«Gli oggetti di scena – dice Ferrari – sono pochi ed intimi. Il palco si divide in tre punti: un tavolino con una macchina da scrivere, una parte centrale ed una sedia. La semplicità della scena permette a tutti gli spettatori di potersi immaginare quello che succede, usando l’immaginazione».

Museo del Ghisallo: una pagina di storia del ciclismo

07.10.2022
6 min
Salva

Se il Giro di Lombardia fosse un suono sarebbe lo scampanio della chiesa della Madonna del Ghisallo. Passaggio iconico della Classica delle Foglie Morte che dà il via alla parte finale della corsa. Accanto alla chiesa, c’è il Museo del Ghisallo (foto apertura archivio digitale Museo del Ghisallo), un posto magico per il ciclismo e per i suoi appassionati, potremmo definirlo un luogo di culto, al pari della chiesa che lo affianca.

L’interno del museo posto accanto alla chiesa della Madonna del Ghisallo (foto archivio digitale Museo del Ghisallo)
L’interno del museo posto accanto alla chiesa della Madonna del Ghisallo (foto archivio digitale Museo del Ghisallo)

16 anni di storie e leggende

«Nei primi anni ‘90 – ci racconta Antonio Molteni, presidente del museo del Ghisallo – un gruppo di persone appassionate di ciclismo, visto che nel santuario i lasciti non ci stavano più, ha deciso di costruire il museo. Grazie ai finanziamenti della Regione Lombardia siamo riusciti a costruire la struttura verso la fine degli anni ‘90. La nostra è stata una costruzione che è andata per passaggi, dopo la struttura siamo passati all’arredamento con le vetrine ed i vari cimeli».

«Il museo del Ghisallo – riprende a raccontare Molteni – è stato ufficialmente inaugurato il 14 ottobre del 2006. Pochi mesi prima, durante l’ultima tappa del Giro d’Italia di quell’anno, da Magreglio a Milano, ci fu il primo passaggio di una corsa. Anche se il museo non era ancora del tutto ultimato. La scelta di inaugurare la struttura il 14 ottobre non è casuale. Infatti, in quello stesso giorno del 1949, Papa Pio XII dichiarò la Madonna del Ghisallo la Santa protettrice dei ciclisti.

Continue donazioni

Il museo del Ghisallo è diventato, nel corso degli anni, un punto di riferimento di tutti i campioni che hanno corso e vinto per le strade di tutto il mondo.

«Negli anni il nostro museo – racconta dalla cima della salita che lo accoglie il presidente Molteni – si è ingrandito sempre più. Nonostante i due anni di Covid è rimasto vivo e vegeto e continua ad essere fonte di pellegrinaggio e donazioni. Oggi, Jan Ullrich, ha donato alla nostra collezione la bici con cui vinse il Tour de France 1997. In questi giorni, infatti, sulle strade del Giro di Lombardia, stanno girando le riprese di un film ispirato alla storia del campione tedesco».

«Abbiamo molti cimeli importantissimi, il nostro orgoglio sono le bici dei campioni: abbiamo quella con cui Coppi fece il record dell’Ora ed anche quella del mondiale di Baldini nel 1956. Uno dei pezzi più pregiati del nostro museo sono: la bici con cui Magni vinse il Tour de France nel 1949 e quella con cui vinse il Fiandre. Magni rimane l’unico corridore ad aver vinto per tre volte di fila il Giro delle Fiandre, conservare un cimelio del genere per noi è motivo di grande onore. Abbiamo anche tre bici appartenute ad Eddy Merckx, con una di queste vinse il Giro di Lombardia nel 1973».

Il Museo del Ghisallo contiene la più grande collezione di maglie rosa, l’ultima arrivata, quella di Hindley (foto archivio digitale Museo del Ghisallo)
Il Museo del Ghisallo contiene la più grande collezione di maglie rosa (foto archivio digitale Museo del Ghisallo)

Anche tante maglie

Dentro al museo del Ghisallo non ci sono solo bici, fedeli cavalli di ferro con i quali i campioni del passato hanno vinto gare eroiche ed emozionanti, ma anche tante magliette.

«Nelle nostre teche abbiamo anche tanti altri ricordi del mondo del ciclismo (riprende Molteni, ndr). Ben due magliette di campione del mondo di Coppi. Una ottenuta su pista nella disciplina dell’inseguimento individuale, l’altra conquistata su strada, ai mondiali di Lugano del 1953. La maglia di campione del mondo su pista la donò lo stesso Fausto ad un albergatore, suo grande tifoso, che lo ospitava quando si allenava al Velodromo Vigorelli. Successivamente fu poi donata al nostro museo. Disponiamo della più grossa collezione di maglie Rosa, l’ultima ci è stata portata proprio dallo stesso Hindley, il mercoledì dopo la vittoria del Giro a Verona».

Campioni recenti e tifosi

Jan Ullrich non è l’unico campione dei nostri giorni ad aver donato qualcosa al museo del Ghisallo. Tornando alla realtà, sulle strade del Lombardia, darà l’addio al ciclismo un grande campione dei nostri giorni: Nibali.

«Tornando a tempi più moderni – riprende il presidente del museo – abbiamo ricevuto in donazione anche la divisa con la quale Vincenzo Nibali vinse il Lombardia nel 2017. Gilbert (che saluterà anche lui il ciclismo domenica, ndr) ci ha regalato la divisa di campione del mondo conquistata nel 2012 sulle strade olandesi».

«Il nostro museo accoglie appassionati da tutto il mondo – precisa Molteni – nel 2019, ultimi dati utili pre-pandemia, abbiamo avuto ben 14.400 ingressi. Di cui la metà, 7.700, stranieri da ben 70 Paesi del mondo, pensate anche due ragazzi coreani. In questi giorni che precedono la Classica delle Foglie Morte, ospitiamo nel nostro parcheggio 4 camper di tifosi: due dal Belgio e due dalla Francia. Qui le camere sono piene da mesi! Speriamo di assistere ad una bella corsa, e di allargare ancora di più la nostra collezione».

Nella mattinata che anticipa il Giro di Lombardia Jan Ullrich ha donato al museo la bici con cui ha vinto il Tour nel 1997 (foto archivio digitale Museo del Ghisallo)
Il venerdì che anticipa Il Lombardia Ullrich ha donato la bici con cui ha vinto il Tour nel 1997 (foto archivio digitale Museo del Ghisallo)

Eventi

Il museo del Ghisallo sostiene tanti eventi legati al mondo del ciclismo:

Il 16 ottobre a Gravedona, presso il Palazzo Gallio verranno portate delle bici in mostra.

Il 22-23 si disputerà sulle nostre strade “La Ghisallo” una ciclo-storica dedicata alle biciclette d’epoca. Sabato pomeriggio si svolgerà una cronoscalata a squadre al santuario. Domenica, invece, si terrà una pedalata di 50 chilometri.

Infine, il 29 verrà consegnato il Premio Torriani, un riconoscimento che viene dato a persone significative del mondo del ciclismo.

Vigorelli 2021

La Sanremo al Vigorelli, tuffo nella storia con Alberto Masi

13.03.2022
6 min
Salva

Un consiglio: sabato mattina fate una scappata al Velodromo Vigorelli, teatro di partenza della Milano-Sanremo numero 113, perché diventerete parte della storia. La Classicissima prima ancora che si disputi ha un grande pregio: quello di restituire al ciclismo un autentico tempio. Al Vigorelli, riaperto al ciclismo lo scorso settembre (nella foto di apertura gli inseguitori azzurri con Ganna, Lamon e Scartezzini) è l’aria stessa che ti dice che sei in un posto magico, anche se è profondamente cambiato da quel 1935, quando venne costruito dopo la demolizione di un altro velodromo, il Sempione. Il 28 ottobre il suo battesimo, tre giorni dopo ecco arrivare il primo record dell’Ora, ad opera di Giuseppe Olmo. Ce ne saranno ben 9, più 3 femminili.

Otto anni dopo, è il 7 novembre. Milano è ancora profondamente ferita e scioccata dai bombardamenti Alleati. Un giovane alto e esile sale sulla sua bici, sfida il tempo in un silenzio spettrale. Non c’è pubblico al Vigorelli. Gli assembramenti sono rischiosi e poi nella gente non c’è tanta voglia di distrarsi, la mente è lontana, verso i propri cari al fronte. Anche Coppi partirà, ma l’anno successivo verso l’Africa, intanto alle 14,12 inizia la sua fatica, con una maglia verde addosso, pantaloncini neri, un caschetto di pelle imbottita. Per effettuare il riscaldamento, è venuto in bici direttamente da casa, da Castellania, 100 chilometri già digeriti. Bici da 7 chili e mezzo, due ruote con cerchi in legno e tubolari di seta.

Vigorelli Coppi 1942
Fausto Coppi impegnato nel riuscito tentativo di record dell’ora nel 1942
Vigorelli Coppi 1942
Fausto Coppi impegnato nel riuscito tentativo di record dell’ora nel 1942

Nel regno di Masi

L’inizio non è dei migliori, a metà tentativo è ancora dietro la distanza del francese Maurice Archambaud, ma recupera, recupera, poi passa avanti, poi gli ultimi giri in altalena, in uno perde e nell’altro ripassa avanti. Alla fine saranno 45,798 chilometri, appena 31 metri in più. La voce si sparge, in più di qualcuno in giro per la città ritorna un mesto sorriso.

Qualche anno dopo, nel 1949, al Vigorelli arriva Faliero Masi, che in Via Arona mette la sua bottega e da allora quel piccolo negozio diventa un riferimento assoluto presente ancora oggi e affidato alle sapienti mani di suo figlio Alberto: «Ora è chiuso per restauro, riaprirà ad aprile, mi dispiace che sabato io non ci sarò perché i grandi eventi del Vigorelli li ho vissuti quasi tutti».

Quella bottega ha sempre avuto un valore strategico, anno dopo anno è diventata parte integrante dell’impianto vivendone i suoi alti e bassi. Infatti il velodromo chiuse già nel ’75 per riaprire solo 9 anni dopo, poi nell’85 la grande nevicata che distrusse il Palasport ebbe conseguenze nefaste anche per il Vigorelli, cadde un pezzo di tettoia e la pista venne gravemente danneggiata: «La ricostruirono, ma non la tettoia così a ogni pioggia il legno della pista si infradiciava sempre più – ricorda Masi – così nell’88 richiuse per riaprire nel ’97, ma solo per la Coppa del Mondo di sci di fondo…».

Al Vigorelli non solo ciclismo

D’altronde il Vigorelli è sempre stato un impianto polisportivo: «Qui ci hanno allestito grandi incontri di pugilato, venne anche Ray Sugar Robinson, Mazzinghi l’1 settembre 1963 conquistò il mondiale dei superwelter battendo l’americano Dupas. Ma fecero anche altro: nel ’65 ci furono due concerti dei Beatles». E a proposito di musica, nel ’71 l’impianto fu teatro della grande contestazione a margine della data italiana dei Led Zeppelin, con concerto sospeso dopo pochi minuti, danni al palco e, naturalmente, alla pista.

Oggi il Vigorelli è, anzi già da qualche anno, teatro delle partite di football americano, ma almeno è tornato agibile anche per le bici: «Tanti vengono a girare, anzi hanno steso sulla pista una vernice speciale, in modo che quando si cade non ci sono più le schegge che ti bruciano la pelle. Il fatto è che quella pista è delicata, andrebbe bagnata ogni settimana, ma i costi di gestione sono alti e per ora non si è trovato chi possa sostenerli per permettere di allestirvi anche gare, come una volta».

Le mura della bottega di Masi sono ricche di testimonianze, foto, ricordi di decenni di grande ciclismo e ognuna di esse riporta alla mente grandi personaggi come ad esempio Antonio Maspes: «Lui e Costa avevano fortemente voluto che ci fosse un punto di appoggio tecnico nell’impianto, come c’era al Parco dei Principi a Parigi. Ho perso il conto di quante volte i corridori venivano da me a chiedere questa o quella riparazione. Lo stesso Maspes aveva problemi: quando piombava giù dalla curva, la bici scodinzolava, per questo ci inventammo un rinforzo ai foderi posteriori con lame nelle cannelle, ma era un segreto…».

Faliero e l’Airone

Con Coppi, suo padre Faliero aveva un rapporto strettissimo: «Lui c’era, quel giorno del record. Si conoscevano bene, Fausto gli portava sempre la bici per la messa a punto e quando la ritirava era pignolo nel controllo al punto che la misurava millimetro per millimetro e se non era come voleva lui, toccava rimetterci mano. Era all’avanguardia anche in quello».

In un altro record dell’Ora, la mano di Masi è presente: «Quando Anquetil decise di provarci, portò una bici che non andava bene, era sul punto di rinunciare. Studiammo la situazione, ne approntammo una adatta per il tentativo, il bello è che aveva una sola mano di vernice. Quel primato fu una grande soddisfazione».

Nel corso degli anni la bottega di Masi è diventata un riferimento: «Qui è passato il meglio del ciclismo mondiale, tutti venivano anche solo per un saluto, ma poi un’occhiata alla bici la si dava sempre. Tanti magari si trovavano senza la pompa per gonfiare le gomme, o un attrezzo in meno, sapevano tanto che c’eravamo noi… Con il Vigorelli chiuso abbiamo continuato a lavorare, ormai eravamo un riferimento in zona, ma vorrei tanto che tornasse ai fasti di un tempo. L’impianto c’è, ora è praticamente a posto. Speriamo che quello di sabato sia solo l’inizio…».

Cambiano tempi e potenze, ma la fatica?

07.12.2021
5 min
Salva

Alcuni giorni fa pubblicammo un editoriale ispirato al secondo libro di Guillaume Martin. Il corridore/filosofo francese sostiene che l’intensità dello sforzo dei professionisti contemporanei è ben superiore a quello dei pionieri di questo sport. La frase continuava a ronzarci per la mente, con qualche dubbio. Si va veloci: le bici sono super, le metodiche di allenamento avanzatissime e l’alimentazione è mirata al tipo di sforzo da affrontare. Però com’era quando le bici pesavano 12 chili, la preparazione era empirica, si mangiava seguendo abitudini e miti più che principi scientifici e le strade erano di terra? Le velocità erano innegabilmente inferiori, ma l’intensità dello sforzo? E la fatica?

Pantani stabilì il record di scalata dell’Alpe d’Huez nel 1997, scalandola in 37’35” (Vam 1704,41 m/h). Al Tour del 1952 Coppi impiegò 45’22” (Vam 1407,78 m/h): un abisso, che però dà la grandezza di Coppi pensando che Lemond e Hinault nel 1986 impiegarono 48′. La fatica di Coppi fu davvero inferiore a quella di Marco? Cos’è la fatica se non la percezione dello sforzo?

Il battito cardiaco

Dato che sarebbe impossibile quantificare le variazioni indotte dai parametri citati, la curiosità si è spostata su quali fossero gli strumenti un tempo a disposizione per valutare le prestazioni dell’atleta. Il passo giusto per renderci conto che la medicina dello sport non esisteva ancora e che l’allenatore, per come lo intendiamo oggi, non era che una suggestione. I corridori, anche i più grandi, si affidavano ai massaggiatori per allenamenti e alimentazione. Al massimo ai direttori sportivi. E i dottori controllavano quel che si poteva.

«La medicina dello sport non c’era – racconta Massimo Besnati, fino al 2021 dottore della nazionale – non c’erano alternative, per medici e corridori. Non esistevano i test, semmai le sensazioni. Poteva capitare che il corridore si prendesse il battito in cima alla salita, ma chiaramente non c’erano strumenti per la rilevazione in tempo reale. Tante cose sono cambiate, per questo è impossibile fare raffronti. Fra i primi ad affrontare la questione con un approccio scientifico, ci fu sicuramente Giovanni Falai».

Chiediamo a Falai

Il medico toscano, che nella sua carriera è stato accanto a Gimondi e Moser, Bitossi (fu lui a venire a capo ai problemi cardiaci di “Cuore matto”) e Bartalini, Francioni, Mori e ha visitato qualche volta anche Merckx, ha compiuto 91 anni a luglio e quasi si stupisce della curiosità sull’argomento.

«Quello che si poteva fare – sorride – era misurare il battito dell’atleta a riposo la mattina e la sera per valutare se recuperava bene. Ricordo Ritter con 30 battiti a riposo e Bartali con 32. Si guardava la pressione arteriosa, ma non si andava oltre perché non avevamo gli strumenti. Però sull’argomento si può dire che le velocità di oggi non sono dovute soltanto a una fatica superiore, ma anche a bici migliori e strade più scorrevoli. Una volta la bici proprio non scorreva, sembravano gare di ciclocross e il ciclismo secondo me era più faticoso dell’attuale…».

Per anni si è creduto che la carne rossa fosse il solo modo di integrare proteine e ferro
Per anni si è creduto che la carne rossa fosse il solo modo di integrare proteine e ferro

Metodi empirici

Sul fronte invece del tipo di sforzo, ovviamente si resta nel campo dell’osservazione e di una deduzione che per i motivi citati da Besnati non può essere più di tanto precisa.

«C’erano cuori più grandi – dice Falai – proprio a livello di sviluppo, ma ci sono anche oggi. Non credo che il livello di fatica cui venivano sottoposti fosse inferiore a quello attuale, anche se oggi a parità di fatica si ottengono prestazioni superiori. L’alimentazione aiuta tanto, prima si facevano tanti errori. Ci si riempiva di proteine attraverso tante bistecche e l’alimentazione sbagliata incideva sulle difese immunitarie. Ora si studia la funzione renale, una volta al massimo osservavamo il fegato per capire se eliminava le tossine nel modo giusto. Semmai si usava qualche disintossicante. Oggi si fa tanta prevenzione a livello renale ed epatico, prima era impossibile. Si facevano valutazioni a occhio. Poi con la medicina sportiva sono arrivati nuovi strumenti che oggi rendono tutto più calcolabile e persino prevedibile. La domanda perciò è un’altra: è più faticoso correre, dare il massimo e arrivare sfiniti senza conoscere i propri limiti, oppure riuscire a tirare fuori il massimo conoscendoli anche numericamente?».

Santini veste L’Étape du Tour 2022

23.10.2021
4 min
Salva

In Santini non si è ancora spento l’entusiasmo per l’ufficializzazione della notizia che sarà proprio il maglificio di Bergamo a realizzare il prossimo anno la maglia gialla del Tour de France. L’essere partner della corsa a tappe più importante del mondo garantisce nuove opportunità di collaborazione con ASO, l’ente che organizza il Tour.

Arriva L’Étape du Tour

Dal 2022 Santini sarà sponsor de L’Étape du Tour de France, manifestazione ciclo-sportiva organizzata sempre da ASO. Si tratta di un evento che permette a migliaia di amatori di pedalare sulle strade del Tour de France in uno degli happening sportivi più attraenti e popolari nel calendario internazionale. Ogni anno L’Étape du Tour vede ai nastri di partenza oltre 16.000 ciclisti provenienti da tutto il mondo. Si tratta di persone desiderose di vivere da protagonisti l’emozione di pedalare sulle stesse strade percorse dagli atleti del Tour, ma anche di scoprire le più belle e più iconiche salite delle montagne francesi.

Alla conquista dell’Alpe d’Huez

L’edizione 2022 de L’Étape du Tour andrà in scena domenica 10 luglio e porterà i corridori alla conquista dell’Alpe d’Huez, nel dipartimento dell’Isère. Si tratta di una delle salite più impegnative dell’arco alpino, famosa per i suoi 21 tornanti, numerati in ordine decrescente e dedicati ai grandi campioni che l’hanno saputa conquistare. Fra questi merita una citazione Fausto Coppi, primo vincitore assoluto su questa prestigiosa salita nel Tour de France del 1952.

Ecco la collezione Santini

Grazie all’accordo sottoscritto con ASO, Santini realizzerà per L’Étape du Tour de France 2022 una linea di capi da ciclismo dedicata. Si tratta di un completo per uomo e uno per donna. Il kit uomo gioca sul blu e sul nero, quello da donna sul blu nautica e sull’azzurro. Ciascun kit è completato da uno smanicato antivento, guantini, cappellino e calzini oltre ad una borraccia. Per celebrare il nuovo accordo è stata inoltre realizzata una T-shirt in cotone con la stessa grafica dei completi.

In omaggio a Coppi

La grafica, sviluppata dal gruppo di lavoro dei designer Santini coordinati da Fergus Niland, rende omaggio alla vittoria di Fausto Coppi nel 1952. Le immagini utilizzate come sfondo delle maglie sono tratte dalle pagine del quotidiano L’Équipe all’indomani della sua vittoria. Le bande bianche e rosse che campeggiano centralmente sulla maglia sono un riferimento ai colori della maglia indossata dal ciclista italiano e dalla sua squadra durante quegli anni.

L’Etape du Tour permette ai cicloamatori di pedalare sulle strade della Grande Boucle, per l’edizione del 2022 tocca all’Alpe d’Huez
L’Etape du Tuor permette ai ciclo-amatori di pedalare sulle strade della Grande Boucle

Ricordiamo che all’epoca il Tour de France era riservato alle squadre nazionali e nel 1952 Coppi era alla guida della formazione italiana. Numerosi sono gli altri elementi grafici dedicati a Fausto Coppi: la scritta “L’aigle solitaire au sommet de l’Alpe d’Huez”, il logo con le date 1952-2022 sulla manica e il riferimento ai 70 anni da quella vittoria e dalla presenza dell’Alpe d’Huez nel percorso gara della Grande Boucle. Tutti i capi saranno in vendita presso il Village dell’evento che, ricordiamo ancora una volta, è in programma il prossimo 10 luglio. Sarà inoltre possibile acquistarli sul sito ufficiale di Santini.

Santini

L’Etape du Tour

Pogacar Lombardia 2021

Pogacar, il perché di una vera impresa

13.10.2021
5 min
Salva

Se andiamo a guardare i numeri, emerge chiaramente come l’impresa di Tadej Pogacar al Giro di Lombardia gli abbia consentito di fare un concreto salto nella storia del ciclismo, affiancando Coppi e Merckx fra coloro che sono stati capaci di vincere un grande giro e due Classiche Monumento nello stesso anno. Sembra strano, ma proprio il fatto di avere conquistato una seconda classica dopo quanto aveva già fatto gli ha permesso di uscire da un gruppo folto, esattamente come avviene quando scatta appena la strada si rizza sotto le ruote.

Proviamo a spiegare meglio il concetto: vincere una grande corsa a tappe e una classica delle 5 considerate capisaldi del ciclismo (Sanremo, Fiandre, Roubaix, Liegi e Lombardia) è un fatto abbastanza comune. Nella storia ci sono riusciti in 46 e l’abbinamento fu normale già ai primordi, con Lucien Petit Breton, Maurice Garin ma anche Luigi Ganna.

Coppi 1949
Fausto Coppi nel 1949 vinse le tre grandi prove italiane: Sanremo, Giro e Lombardia, imitato solo da Merckx nel ’72
Coppi 1949
Fausto Coppi nel 1949 vinse le tre grandi prove italiane: Sanremo, Giro e Lombardia, imitato solo da Merckx nel ’72

Un abbinamento sempre più difficile

E’ pur vero però che ai tempi la concorrenza non era così elevata e men che meno la specializzazione, non è un caso se dei corridori attualmente in attività l’impresa sia riuscita solamente a gente come Nibali, Valverde e più recentemente ai due sloveni terribili, Roglic e per l’appunto Pogacar.

Il discorso diventa già più selettivo se chiediamo che queste vittorie siano arrivate nello stesso anno: l’elenco si restringe a 27 corridori. Il primo fu Petit Breton, che nel 1907 conquistò Milano-Sanremo e Tour de France. Qualcuno ci riuscì più volte: 6 Merckx (ma il Cannibale merita un discorso a parte), 3 Hinault e Binda, 2 Girardengo e Coppi, che però nel 1949 fu capace di un’impresa clamorosa: abbinare alla doppietta Giro-Tour anche i successi alla Sanremo e al Lombardia.

Perché lo chiamavano “il Cannibale”…

Entriamo così nel ristrettissimo novero dei vincitori di una grande corsa a tappe e due classiche. Detto di Coppi e Pogacar, resta il grande Eddy. Il campionissimo belga fu capace di farlo per ben 4 volte: nel 1969 portò a casa Sanremo, Fiandre, Liegi e Tour (e finì secondo a Roubaix…); nel ’71 Sanremo, Tour, Liegi e Lombardia; nel ’73 Roubaix, Liegi, Vuelta e Giro e perse la vittoria al Lombardia per la famosa squalifica. Ciò non bastasse, nel 1970 abbinò alla doppietta Giro-Tour anche il successo a Roubaix.

Il suo anno d’oro fu però il 1972: non solo ottenne un’altra doppietta Giro-Tour, ma condì il tutto con le vittorie a Sanremo, Liegi e Lombardia, finendo 7° nelle altre due classiche. Non corse la Vuelta, ma visto il suo strapotere, se l’avesse fatto…

Belloni 1920
Gaetano Belloni nel 1920 andò davvero vicino alla clamorosa tripletta
Belloni 1920
Gaetano Belloni nel 1920 andò davvero vicino alla clamorosa tripletta

Il problema della concorrenza

Riguardando le statistiche, emerge una curiosità. Fra coloro che andarono vicino alla grande impresa realizzata da Coppi, Merckx e Pogacar c’è Gaetano Belloni, ossia colui che è passato alla storia come “l’eterno secondo”. Nel 1920 realizzò la doppietta Sanremo-Giro (invero abbastanza comune, la Classicissima almeno nel secolo scorso era un viatico portafortuna per la corsa rosa) finendo terzo al Lombardia, battuto in volata da Brunero quando ormai Pellissier (uno dei tanti capace di vincere sia nel giorno solo che sulle tre settimane) era arrivato da 1’20”. Ma d’altronde Belloni è passato alla storia più per le sue sconfitte che per le vittorie…

Riuscirà Pogacar a elevarsi ancora di più? Merckx ne è convinto, avendo speso per lui parole di stima che non aveva mai pronunciato per nessuno, ma ci sono due fattori che rendono l’ulteriore impresa difficile: il primo è la concorrenza, forte nei grandi Giri (Roglic, Bernal, altri giovani rampanti) e fortissima nelle classiche (Van Aert, Van Der Poel, Alaphilippe e ne citiamo solo alcuni), ma quella va messa in conto e poi non è che Coppi e Merckx corressero contro nessuno…

Pogacar Merckx 2021
Tadej Pogacar ed Eddy Merckx: il campionissimo belga ha avuto parole lusinghiere per il suo erede
Pogacar Merckx 2021
Tadej Pogacar ed Eddy Merckx: il campionissimo belga ha avuto parole lusinghiere per il suo erede

Il secondo è forse ancor più problematico ed è dettato dai suoi programmi: seppur a parole Pogacar dica di essere affascinato da gare come il Giro d’Italia, il suo calendario è abbastanza statico. Il Tour è imprescindibile, Sanremo e Roubaix sono troppo lontane dalla sua mentalità per provarci davvero e questo, per chi ama il ciclismo e tifa per le grandi imprese a prescindere dalla bandiera, è un peccato.

Andrea Agostini, 2020

Agostini, la Nove Colli, Pogacar e Marco…

26.12.2020
4 min
Salva

Agostini ha appena finito di sfogliare il libro del 2020 e come capita a un certo punto intorno ai 50, compiuti proprio quest’anno, ha tracciato un primo bilancio, uscendone col sorriso. Sembra ieri che spuntò fuori come addetto stampa accanto al suo amico Marco, invece sono passati più di 20 anni e oggi Andrea è uno dei tre manager della Uae Team Emirates. Come regalo di Natale, piuttosto inatteso, si è ritrovato presidente della Fausto Coppi di Cesenatico, in cui tanti anni fa iniziò a correre.

«Mi ci hanno tirato dentro – sorride Agostini – non ci pensavo nemmeno. Non nascondo che mi fa piacere, perché è un cerchio che si chiude e mi dà il modo di restituire un po’ di quello che mi ha dato il ciclismo. E’ la mia prima società e ancora oggi ho Arrigo Vanzolini come punto di riferimento. E’ del 1934 come mio padre, ma è ancora dinamico e molto lucido. Parliamo anche della società che organizza la Nove Colli, per cui non è un ruolo assolutamente banale…».

Partenza Nove Colli 2018
Agostini è diventato il presidente della Fausto Coppi che organizza la Nove Colli
Partenza Nove Colli 2018
Nove Colli, fiore all’occhiello della Fausto Coppi
Dove troverai il tempo?

E’ quello cui sto pensando proprio adesso. La mia routine vede 10 ore di impegno quotidiano, a casa o in giro per il mondo. E un ruolo come quello alla Fausto Coppi merita che sia fatto bene, non si tratta solo di presenziare. Vorrei lasciare il segno e fare qualcosa di buono. Perciò ne ho parlato prima con Gianetti, come per ogni cosa. E quando ho capito che si può fare, ho accettato.

Dovrai avere dei validi collaboratori.

C’è già un bel gruppo e il vicepresidente sa già che avrà parecchio da fare. Il 4 gennaio in assemblea assegneremo le varie cariche sociali. Non voglio essere accentratore e voglio dividere la vetrina con i volontari, che fanno il grosso del lavoro e di cui nessuno sa niente. Forse l’unica ricompensa per il loro lavoro è che se ne parli.

E poi c’è il ruolo alla Uae Team Emirates…

Nonostante i miei sogni di bambino per cui volevo diventare un campione, sono contento dell’uomo che sono oggi. A un certo punto fu chiaro che fosse Marco quello destinato a diventare grande in bici, per me sarebbe stato troppo faticoso e forse non ne avevo le doti. Nel mio lavoro invece riesco bene. Per semplificare e tradurre in italiano il mio ruolo nella squadra (Chief Operating Officer, ndr), sono il manager che riferisce all’amministratore delegato, che nel nostro caso è Mauro Gianetti. Mi occupo di marketing, comunicazione, logistica, finanza. Il quartier generale è casa mia.

A proposito di comunicazione, amico Agostini, passi per essere il mastino blocca giornalisti…

Mi piace avere le cose sotto controllo, credo sia giusto. I corridori lo sanno e dirottano le richieste su di me o sugli addetti stampa. Non è semplice. Capita anche che ti ritrovi pubblicato su un sito un messaggio privato, che magari il corridore ha scritto per ricambiare l’attenzione di un giornalista, senza immaginare che sarebbe stato reso pubblico.

Tadej Pogacar, Tour 2020
Tadej Pogacar: dal Tour vinto, è arrivata una marea di richieste per interviste e sponsor
Tadej Pogacar, Tour 2020
Dopo il Tour, complesso gestire Pogacar
Come vi siete trovati a gestire il post Tour di Pogacar?

Bene, perché in realtà è un ragazzino molto a modo. Non ha capricci. E’ molto ligio alle regole, mai avuto un problema. Dimostra molta maturità. Anche se un paio di volte c’è stato da discutere.

Per cosa?

In certi momenti è un po’ come Roglic, tende a tagliar corto e non essere espansivo. Così dopo un paio di casi, gli ho fatto un discorso chiaro su cosa sia importante per la squadra e cosa no. Il rapporto con i media rientra fra le cose importanti, anche quello con gli sponsor. Per fortuna c’è un’ottima collaborazione con il suo manager Alex Carera.

Come vi integrate?

Lui chiede a me se abbiamo qualche obiezione a eventuali impegni e così andiamo avanti. Stavo per dire che gestisce l’extra, ma la verità è che non esiste extra, perché anche l’immagine di Tadej è al 100 per cento della squadra.

C’è chi aspetta di intervistarlo da novembre…

Lo abbiamo gestito col buon senso, per non farlo andare fuori giri. E’ un ragazzino che sa la sua, ma ad esempio avevamo previsto una conferenza stampa su Zoom per il 21 dicembre e la abbiamo rinviata a gennaio, perché in quegli stessi giorni era saltata fuori un’altra cosa in Slovenia.

Quante richieste di interviste avete avuto?

Un mare, praticamente da dopo il Tour sono state quasi soltanto per lui. Abbiamo cercato di selezionarle e farle nei tempi giusti, per non rompere il suo equilibrio personale. Per non far accavallare troppe cose.