Il tempo di finire il Tour e portare a casa la maglia verde e per Biniam Girmay è arrivato il prolungamento di contratto con la Intermarché-Wanty fino al 2028. Il ferro va battuto finché è caldo e mai come ora l’occasione era propizia per chiudere un accordo favorevole.
«Questa squadra – queste le parole di Girmay sul profilo X del team – è come una famiglia per me. E’ l’ambiente perfetto per raggiungere i miei obiettivi. Mi hanno supportato nella buona e nella cattiva sorte e hanno sempre avuto fiducia in me, anche nei momenti più difficili. Prolungare di due anni la mia avventura è stata una scelta logica. Sono convinto che insieme potremo realizzare cose fantastiche. Attendo con ansia i prossimi obiettivi, a cominciare dai Giochi Olimpici».
L’uomo dei record
Mentre infatti Pogacar ha comunciato la sua rinuncia, Girmay sarà a Parigi e probabilmente avrà buone chance di dire la sua. Le tre tappe appena vinte al Tour e la Gand-Wevelgem del 2022 dicono che il corridore eritreo, che fra i suoi primati ha anche quello di aver dato la prima tappa al Tour alla Intermarché, ha tutto quello che serve per restare a galla in una corsa che si annuncia priva di controllo e schemi.
I suoi record si succedono. Il primo africano a vincere una classica del Nord. Il primo a vincere una tappa al Giro. Il primo a vincere una tappa al Tour. E il primo a vincerne la classifica a punti. Nella considerazione di chi opera nel mondo del ciclismo, i suoi risultati apriranno porte molto importanti. Con perfetto tempismo, essendo nella stagione che precede il mondiale del Rwanda.
Pertanto nei giorni del Tour, approfittando del suo passaggio quotidiano nella zona mista e di qualche incontro occasionale al via delle tappe, abbiamo raccolto le risposte alle tante domande. E ora che abbiamo avuto il tempo di riordinare appunti e registrazioni, in questa settimana che conduce alle Olimpiadi, ecco quello che ha detto Girmay sui vari temi che gli sono stati proposti.
Sugli inizi
«Ho iniziato a pedalare – ha detto nel riposo di Gruissan – perché guardavo il Tour de France in TV. Sono cresciuto con quelle immagini, gli sprint e i campioni. Poi nel tempo i miei sogni sono cambiati. Quando sei bambino pensi che sia impossibile diventare un professionista. E’ solo un sogno. Poi, quando lo diventi, dici a te stesso che è impossibile vincere una tappa. E diventa anche un sogno. Ed è così bello riuscire finalmente a realizzare i propri sogni».
Sulla caduta di Nimes
«Quando cadi va sempre così. Il giorno stesso ti senti bene – ha detto dopo l’arrivo – ma il giorno dopo ti fa molto male quando ti svegli. Vedremo, spero di sentirmi bene domani. Mentalmente sto sicuramente bene, non sarà un problema. Quando mi sono rialzato, ho visto che potevo pedalare ancora ed ero felice. Non mi preoccupo se perdo o meno la maglia verde, soprattutto voglio arrivare a Nizza senza preoccupazioni».
Sulla popolarità
«Ancora non è cambiato molto – ha detto dopo la tappa di Pau – forse perché sono ancora in gara. La mia vita, per ora, consiste semplicemente nell’alzarmi, correre, mangiare e dormire. Però so che sui social il mio nome è ovunque. Sono finito sulle prime pagine. Penso che vedrò la differenza quando tornerò a casa. E’ bello vedere il mio nome per le strade, la gente con i cartelli che mi chiama, che mi fa grandi gesti. L’anno scorso nessuno mi conosceva. In squadra le cose non sono cambiate, mi pare che giri tutto allo stesso modo. Però sono aumentate le responsabilità, anche se per me si tratta sempre di fare fatica divertendosi».
Sul suo ruolo in squadra
«In realtà sono partito per tirare le volate a Gerben Thijssen – ha detto dopo la prima vittoria a Torino – ma il finale era confuso e via radio mi hanno detto di fare la mia volata e di provare a vincere la tappa. Era la prima volata del Tour, c’erano tanti velocisti ancora freschi e alla fine ho vinto io. E’ stata una sensazione incredibile. Quello che mi piace delle tappe in volata è vedere come cambia la mia concentrazione negli ultimi 10 chilometri. Smetto di pensare al resto, guardo soltanto davanti a me: penso solo a quello che devo fare».
Sul Tour de France
«L’anno scorso – ha detto a Nizza – non sapevo nulla di questa corsa e dopo le prime due tappe nei Paesi Baschi avevo già speso una montagna di energie. Ora ho più esperienza, lo scorso anno ho gettato le basi e ora ho imparato qualcosa ogni giorno. Ho imparato che devo lavorare duro e avere fiducia in te stesso. Però è sbagliato mettersi troppa pressione addosso. L’anno scorso guardavo molto cosa facessero gli altri, quest’anno ho ragionato solo su me stesso».
Sulla lontananza da casa
«Non è così difficile stare lontano – ha detto nel secondo giorno di riposo a Gruissan – perché cerco di far coincidere i programmi della squadra con quelli della famiglia. Bisogna trovare equilibrio. La squadra rispetta questa mia esigenza e mi permette di trascorrere del tempo con la mia famiglia. Anche i ritiri qua in Europa non sono così lunghi, parliamo di due o tre settimane prima di una gara importante. Ho fiducia nel piano e l’ho condiviso con mia moglie».
Sulla caduta del Giro
«Volevo fare bene al Giro d’Italia – ha detto dopo la vittoria di Torino – ma sono caduto nella quarta tappa e ho dovuto mollare. I medici e la squadra mi hanno proposto tre settimane per recuperare bene, ma io sapevo quanti sacrifici avessi fatto per arrivare bene al Giro e mi sono imposto di ripartire subito. Sono andato forte e ho anche vinto, non volevo aspettare a casa. E adesso ogni volta che vado in gara, parto per vincere. Lavoro per questo, non mi interessa quali avversari ho davanti, io voglio arrivare primo. Per questo non so neanche dire quale sia il mio limite, perché lavoro al 200 per cento per superarlo».
Sulla maglia verde
«Per fortuna non mi sono ritirato dopo la caduta di Nimes – ha detto domenica dopo la crono – perché per qualche momento ci ho pensato davvero. Avevo vinto tre tappe, quando l’obiettivo era vincerne una. Poi mi sono detto che forse avrei potuto vincere la quarta. E quando non l’ho vinta, mi è scattato in testa di portare la maglia verde fino a qui. I piani sono cambiati col passare delle tappe. E’ stato un viaggio incredibile. Mio padre dice che ad Asmara si è fermato tutto per seguire le tappe. Forse davvero per capire cosa ho fatto dovrò aspettare di tornare laggiù».