Toledo, 1938. La guerra civile spagnola divampa e la fame è tanta. Alejandro ha 10 anni, da qualche giorno fa la posta a un rivenditore di frutta. O meglio, alla sua bici: darebbe qualsiasi cosa per salirci su e volare via. Un giorno non resiste più, la prende al volo e inizia a pedalare. Il proprietario urla, richiama l’attenzione. La gente ferma quel ragazzino, lo porta da lui, tutti si aspettano quantomeno un sonoro ceffone. Invece avviene quel che non ci si attende: «Vuoi questa bici? Ok, potrai usarla per portare le casse di frutta. E ti pagherò, anche». Alejandro carica casse di frutta sulla bici, anche 100 chili alla volta per guadagnare di più per la sua famiglia e intanto si diverte. Per il negoziante è stato un buon affare: niente più faticosi giri per la città e soprattutto niente più rischio di furti…
Quell’uomo non sapeva, non poteva sapere che stava cambiando le sorti del ciclismo spagnolo, perché quel ragazzino era Alejandro Martin Bahamontes, chiamato ben presto Federico. Un uomo con un destino nel nome, perché Bahamontes significa “scavalcamontagne”. Ed effettivamente nessuna carriera prima della sua era stata così legata alle sue capacità di scalatore. Bahamontes iniziò così la sua carriera.
Tu tiri, io vinco…
Già, perché ben presto scoprì che con la bicicletta si poteva guadagnare anche senza caricarsi addosso le pesanti casse di frutta. C’erano le gare, si guadagnava cibo e anche denaro. C’era un amico, Manuel Lopez, che aveva anche lui la passione per il ciclismo. Tanto Alejandro era lungo e mingherlino, tanto l’altro era grosso e possente. Un muro in pianura, così raggiunsero un accordo: in salita avrebbe tirato Alejandro, in pianura Manuel e alla fine si sarebbero spartiti i soldi. Su 20 gare ne vinsero 16. Bahamontes non si sarebbe dimenticato di lui, richiamandolo anche come suo aiutante da professionista.
Bahamontes ha sempre avuto un soprannome, “l’aquila di Toledo”, ma probabilmente un altro si attaglia meglio alla sua storia: “Sisifo al contrario”. Se il mitologico personaggio greco odiava le salite dove doveva spingere il simbolico masso che poi rotolava giù, Bahamontes agognava le stesse, dove andava a velocità doppia degli altri e odiava con tutte le sue forze le successive discese.
Lo sgarbo a Gaul
Una paura che non lo ha mai lasciato e che anzi era aumentata a dismisura dopo una caduta alla Vuelta Asturias, dove atterrò su un cactus. Risultato: 140 dolorose spine conficcate nel suo corpo. Bahamontes spesso in discesa frenava puntando i piedi. Singolare a tal proposito quanto successe nella tappa del Passo Cento Croci al Giro d’Italia 1958.
Serve un preambolo, legato alla precedente frazione da St.Vincent a Superga. Bahamontes è gregario di Charly Gaul. Il francese Geminiani detta il ritmo in salita e rimangono solo in una decina, a quel punto il lussemburghese dice a Bahamontes di tirare per fare selezione. Lo spagnolo ha un ritmo altissimo, solo Gaul regge, ma fa fatica. Il capitano gli chiede di rallentare, non c’è più bisogno di spingere così. Federico non lo sente. Non lo vuole sentire. Tira dritto e va a vincere con 27” di vantaggio. Gaul dopo il traguardo è furioso e si avventa contro il compagno di squadra, il diesse lo trattiene a stento e in conferenza stampa accamperà la scusa di un problema meccanico che ha frenato il lussemburghese.
Il giorno dopo c’è il Cento Croci. Appena si sale, Bahamontes si libra in volo. Arriva in cima con 1’30” di vantaggio su tutti. Ma la tappa non finisce lì: c’è la discesa e si palesano tutti i suoi fantasmi. Lo passano tutti. Scollina con oltre un quarto d’ora di distacco. Quel Giro lo vincerà Baldini con Gaul e Bahamontes dispersi in classifica e alla fine separati, giustamente.
Un’aquila e un airone…
C’è qualcuno però che crede in quello spagnolo trentenne, nelle sue possibilità e non pensa tanto alla discesa. Si chiama Fausto Coppi. Il Campionissimo è a capo del team Tricofilina ed è convinto che con le sue possibilità si possa anche andare al Tour de France del 1959 e far saltare il banco. Soprattutto se i francesi si faranno la guerra in casa loro.
E’ quel che accade. Anquetil non tiene a bada le ambizioni dell’emergente Riviere, Bobet cerca l’ultimo acuto prima del ritiro, il semisconosciuto Anglade (in forza alla squadra del Centro-Sud e non alla nazionale) è un elemento disturbatore. Bahamontes ha perso tanto nella prima parte della Grande Boucle, ma poi arrivano le frazioni a lui favorevoli. Vince la cronoscalata del Puy de Dome, poi sfrutta alla meglio il tappone di St.Vincent andando a vincere la maglia gialla e diventando un eroe per il suo Paese: «E’ vero, ho sfruttato la guerra fra i francesi – afferma davanti ai giornalisti – ma devi essere davvero forte per approfittarne».
Le salite in processione
Bahamontes ha sempre avuto una lingua tagliente, non le mandava certo a dire. Quando nel 2013 L’Equipe lo premiò come miglior scalatore nella storia del Tour, l’iberico più che festeggiare ebbe molto da dire sul fatto che secondo risultò Richard Virenque, l’uomo che con le 7 maglie a pois conquistate gli aveva sottratto il suo record di 6.
«Se lui è uno scalatore – disse – io sono Napoleone Bonaparte. Non mi arriva neppure alle caviglie. Dove sono oggi le sfide faccia a faccia, i confronti veri? Ogni salita sembra la processione della Settimana Santa…».
Lo spagnolo se n’è andato lo scorso agosto, a 95 anni. Nel 2004 aveva chiuso il suo negozio di bici che a Toledo era considerato una delle vere attrazioni della città, nascosto tra le viuzze sotto la fortezza dell’Alcazar, tanto da essere segnalato anche nelle varie guide turistiche della città e molti ancora oggi vanno a cercarlo. Federico intanto continua a guardare tutti dall’alto, come faceva al termine delle salite.
In attesa su un paracarro…
Un giorno, Tour de France 1954, sul Galibier staccò tutti infliggendo distacchi abissali. Ma c’era la discesa… Federico si fermò, prese un gelato da un venditore locale e si sedette su un paracarro, a gustarselo in attesa degli inseguitori, per mettersi alle calcagna e farsi guidare in discesa. Così magari non avrebbe dovuto puntare i piedi per terra…