E’ dovuto andare fino al Circolo Polare Artico, per scoprire una parte di se stesso. Erano ormai un paio d’anni che da Samuele Battistella ci si attendeva un segnale, una dimostrazione che quel titolo mondiale U23 arrivato nel 2019 non era stato casuale, ma anzi il primo segno di una carriera importante. All’Arctic Race, gara in 4 tappe disputata in Norvegia, Battistella ha chiuso con un 4° posto che vale molto di più per come è maturato, per come il corridore veneto si è comportato, per come soprattutto ha saputo gestire la sua squadra, l’Astana per la prima volta tutta stretta intorno a lui.
Inizialmente, almeno a suo dire, le cose non dovevano andare così: «Io pensavo di cercare un’occasione per vincere magari una tappa, invece con il 5° posto nella prima frazione ho visto che avevo la gamba e alla sera si è deciso di spostare le responsabilità su di me».
Una sfida al… caldo della Norvegia
Quando parla della gara norvegese, è particolare l’approccio che il giovane veneto ha mostrato: «Mi incuriosiva molto correre da quelle parti, pensavo anche a dare un’occhiata ai paesaggi che attraversavamo, non capita spesso di superare il Circolo Polare Artico. Quel che mi ha colpito di più però è stato il clima: salvo la pioggia del primo giorno, abbiamo sempre trovato temperature intorno ai 25°, lì certo non te le aspetti…».
Ma torniamo alla gara: «Quando mi hanno detto che avrebbero corso per me è stata una bella sensazione, ma sapevo anche che ci dovevo mettere molto del mio per meritarmi tanta fiducia. La gamba però girava bene e alla fine ho chiuso 4° nella frazione più dura e sono rimasto sempre con i migliori, anche nell’ultima tappa».
Ma non è finita qui…
Un piazzamento il suo che raddrizza un po’ una stagione che non era nata sotto i migliori auspici: «Tra un incidente e l’altro non sono mai riuscito ad andare come volevo per tutta la primavera, diciamo che ora comincio a raccogliere i frutti del lavoro, molto più tardi di quanto avrei voluto, ma almeno la stagione è ancora lunga e posso avere altre occasioni, tra Plouay e il BinckBank Tour, ad esempio».
Quando hai solo 23 anni, tutto ha un sapore nuovo, quando ne hai 31, l’esperienza ti porta a giudicare in maniera diversa. Fabio Felline ha preso Battistella sotto la sua ala, lo ha per così dire pilotato in corsa, anche se poi a ben guardare non ce n’era neanche tanto bisogno: «Non mi ha sorpreso più di tanto, doveva solo stare bene, sapevo che poteva gestire la corsa con autorità come ha fatto. Correndoci insieme ti accorgi subito che ha non solo talento, ma “quell’imprinting vincente”, lo si è visto quando la squadra si è votata per lui: la cosa lo ha stimolato, non spaventato».
Da Felline un gran bel giudizio
Si sente, parlando di lui, che Felline ha una grande considerazione del giovane: «Sa il fatto suo anche caratterialmente: al Giro d’Italia si è messo a disposizione della squadra svolgendo ogni compito, in Norvegia si è fatto sentire quando serviva, si vede che sa interpretare il ruolo di capitano e che sa prendersi le sue responsabilità. Di qualità ne ha a iosa, si vede, ora che sta bene deve solo sfruttare le sue potenzialità».
Parole che, dette da un corridore che ha sicuramente molto prestigio in virtù di quello che ha fatto hanno un peso. Da parte sua Felline, parlando di se stesso, è molto sincero: «Se avessi dovuto fare la Vuelta mi sarei preparato diversamente, considerando invece il programma che mi aspetta ho scelto di lavorare con più calma, quindi in Norvegia non ero certo al massimo e mettermi a disposizione di Samuele, guidarlo anche con qualche parola mi è sembrata la cosa migliore. La gara era molto veloce, basti pensare che la media peggiore nei quattro giorni è stata di 43,5. Potevo finire più avanti in classifica, ma a che cosa sarebbe servito?».