Dan Martin, Pogacar e il ciclismo delle persone normali

08.11.2022
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Dopo un anno dal ritiro, Daniel Martin ha mandato alle stampe un libro dal titolo emblematico: “All’inseguimento del panda”. Il riferimento è alla Liegi del 2013, quando l’irlandese fu inseguito da un tifoso mascherato da Panda mentre era in fuga con “Purito” Rodriguez (foto di apertura).

«Vedere la parola panda nel titolo di un libro di ciclismo – ha raccontato a The Guardian al momento del lancio – se non conosci la storia, ti intriga e ti interroga. Questo trascrive lo spirito del libro, che vuole essere più leggero della maggior parte delle autobiografie che siamo abituati a vedere. Avrei voluto disegnare io un panda per la copertina, ma l’editore ha rifiutato. Temeva che sarebbe stato scambiato per un libro per bambini. Non so chi ci fosse sotto quel costume. Mi ha sempre sorpreso che nessuno mi abbia mai contattato».

Martin è nato nel 1986 ed è passato pro’ nel 2008. Ha corso con Garmin, Cannondale, Quick Step, UAE e Israel
Martin è nato nel 1986 ed è passato pro’ nel 2008. Ha corso con Garmin, Cannondale, Quick Step, UAE e Israel

Bisogno del cielo

Martin non è mai stato bellissimo in bici, ma era un grande attaccante. Ha vinto la Liegi, il Lombardia, tappe al Giro, al Tour e alla Vuelta. Suo zio è Stephen Roche, padre di suo cugino Nicholas. La sua carriera è stata anche una ripicca contro David Brailsford che non lo volle nell’allora Team Sky, quando Dan gli disse che non aveva alcuna intenzione di lasciare la strada per la pista, come ad esempio avevano accettato di fare il suo coetaneo Geraint Thomas e Wiggins prima di lui.

«Avevo bisogno del cielo – racconta – volevo sentire la pioggia e il sole sulla pelle. Volevo vedere le sagome degli alberi. Ho sempre corso per divertimento. Se ho bisogno di vivere come un monaco per essere un buon ciclista, non voglio farlo. Forse se fossi andato a Tenerife e avessi vissuto sul Teide per tre settimane prima del Tour, ogni anno sarei stato un po’ meglio. Oppure non sarei ancora innamorato del ciclismo».

Vuelta 2018, Martin con il cugino Roche. Dan ha corso alla UAE per due stagioni
Vuelta 2018, Martin con il cugino Roche. Dan ha corso alla UAE per due stagioni

Una cosa normale

Il primo colpo di martello sul cuneo che alla fine del viaggio aprirà una breccia sul ciclismo estenuante di questi tempi, ma senza puntare il dito. Si è liberi di stare al gioco o si può accettare di viverlo diversamente.

«Mio padre Neil – spiega – era un ciclista professionista. Mio zio Stephen l’ho visto più volte tagliare il tacchino che vincere corse. Quindi sono stato educato sul fatto che essere corridori non è sovrumano, è semplicemente normale. Anche se nel 2005 ero giovanissimo e lottavo per rimanere attaccato al gruppo, sapevo comunque che prima o poi sarei finito al Tour. Sin da quando ho iniziato a correre a 14 anni, mi fu detto che avevo qualcosa di speciale. Non fu facile vincere una tappa nel 2013, Sky sembrava inespugnabile. Ugualmente capii perché non ho mai voluto farne parte. Perché io amavo soprattutto lo stile offensivo delle corse».

Nel 2018, Froome vince il Giro e Thomas il Tour: il dominio del Team Sky appare inscalfibile
Nel 2018, Froome vince il Giro e Thomas il Tour: il dominio del Team Sky appare inscalfibile

Tattiche e vita

Un fatto di stile di corsa, ma anche di modello di vita. Tuttavia, ogni volta che ha parlato dei colleghi dello squadrone britannico, lo ha fatto con grande rispetto, pur rimarcando la distanza.

«Non sarei potuto diventare come loro – spiega – ugualmente penso che Thomas sia uno degli uomini più duri che abbia mai incontrato. Il sacrificio a cui si è sottoposto per sei mesi prima di vincere il Tour è incredibile. Io ero dotato fisicamente, ma avevo la capacità mentale di affrontare quel sacrificio? Non lo so. Geraint e anche Froome sono andati ben oltre le loro capacità fisiche, grazie alla capacità di essere incredibilmente concentrati».

Nel 2014, Martin ha vinto il Lombardia sul traguardo di Bergamo
Nel 2014, Martin ha vinto il Lombardia sul traguardo di Bergamo

Margini ristretti

Si può fare senza, ma dal momento che certe abitudini hanno invaso il gruppo e si sono estese a tutte le fasce di corridori, a un certo punto Martin si è sentito fuori posto.

«Ecco perché l’anno scorso ho smesso di correre – racconta – perché lo sport stava diventando troppo controllato. Avevo perso il vantaggio dell’imprevedibilità, perché ora a ogni ciclista viene detto esattamente cosa stanno facendo gli altri e le metodologie delle squadre si adeguano. Voglio essere in grado di decidere perché, quando e quale allenamento faccio e quali tattiche utilizzare. Il ciclismo che amo è anche libertà di espressione. Ora invece le corse sono piuttosto noiose da guardare, perché nessuno commette più errori. Tutti sono perfetti nell’alimentazione, l’allenamento è perfetto e manca però l’elemento umano. Le corse sono diventate prevedibili».

La crisi del Granon è stata a vantaggio di Vingegaard, ma è stata conseguenza della sfrontatezza di Pogacar
La crisi del Granon è stata a vantaggio di Vingegaard, ma è stata conseguenza della sfrontatezza di Pogacar

La crisi del Granon

Al punto che la crisi di Pogacar sul Granon è stata il vero momento forte del Tour 2022. Merito a Vingegaard, ma soprattutto a Tadej che in qualche modo… se l’è cercata.

«La gente dice che quella tappa è stata la migliore corsa di sempre – spiega – ma è ugualmente merito di Pogacar. E’ la mina vagante che attacca ogni volta che ne ha voglia, mentre il resto della corsa è programmato e controllato. Pogacar torna all’idea del ciclismo romantico, ma allo stesso tempo ha il peso della squadra. E la UAE Emirates si sta già preparando per il futuro, anche se Pogacar ha solo 24 anni. Quindi la questione di quanto potrà durare è già sul tavolo. Normalmente si sarebbe detto che ha davanti altri 10 anni, ma ci sono in arrivo giovani fortisssimi, pronti per sostituirlo alla prima difficoltà. Ho sentito storie di sedicenni che facevano 30 ore di allenamento a settimana. Stanno già lavorando come dei professionisti incalliti».

Martin si è ritirato a fine 2021, ma quello stesso anno ha vinto la tappa di Sega di Ala al Giro
Martin si è ritirato a fine 2021, ma quello stesso anno ha vinto la tappa di Sega di Ala al Giro

Come Aru e Dumoulin

Quanto si può durare andando avanti così? Non esiste una regola assoluta. Probabilmente i caratteri meno fragili rischiano di cedere, altri tengono duro e sapremo solo col tempo se le carriere saranno più brevi.

«Dumoulin – dice – ha continuato a correre negli ultimi due anni, ma non era lo stesso. Si è sostanzialmente ritirato due anni fa a 29 anni. Anche Fabio Aru, un talento incredibile, si è ritirato a 30 anni. Questi ragazzi hanno sostenuto questo enorme impegno e sacrificio. Erano giovani corridori fenomenali, ma sono stati schiacciati. Va bene per chi in cambio di questa vita viene pagato con somme pazzesche, come Pogacar. Ma i gregari guadagnano potenzialmente meno di quanto avrebbero preso 10 anni fa, in cambio di sacrifici raddoppiati.

«Guardo le mie foto da neoprofessionista nel 2008. Avevo 22 anni, ne dimostravo 15. Nel ciclismo moderno mi sarebbe stato permesso il tempo per svilupparmi? Sono stato fortunato che una volta fosse possibile andare in bicicletta alle proprie condizioni e con il sorriso sulle labbra».

Chirico riparte da casa e dalla… fuga giusta

27.10.2022
6 min
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«La mia ultima corsa – dice Chirico – è stato il Lombardia. Ero stato male, non dovevo neanche farlo. Però mancava un corridore, così sono partito dicendo alla squadra che potevo fare al massimo 50 chilometri. A quel punto sono salito in ammiraglia. A Como, sono andato da amici a vedere il finale della corsa e da lì ho preso la bici e sono venuto a casa. Non è stato facile, perché avevo ancora il numero sulla schiena e un po’ di magone. Sono arrivato, c’era la mia compagna e sinceramente ho pianto. Perché ho capito che in quel momento finiva la mia carriera agonistica. Ho ancora a casa la maglia col numero, non l’ho lavata. Quella maglia resterà l’unica che non lavo. Non ho vinto la Roubaix, non ho fatto niente, però non la lavo e rimane lì. La mia ultima maglia».

Nelle ultime quattro stagioni, Chirico ha corso alla corte di Gianni Savio
Nelle ultime quattro stagioni, Chirico ha corso alla corte di Gianni Savio

Un autunno stranissimo

Porto Ceresio sonnecchia placido sulla sponda del lago di Lugano. La giornata è calda in modo strano, si va in bici in maglietta e pantaloncini, ma lo capisci che non è normale. L’autunno somiglia a una timida estate, mentre Luca Chirico ci aspetta sulla porta del negozio nuovo. L’ha chiamato “In fuga – Luca Chirico Bike Experience” e l’ha inaugurato giovedì scorso, anche se i lavori erano iniziati in primavera. L’idea era di aprirlo per l’estate e intercettare un po’ di stranieri, ma il progetto è cambiato perciò è slittato tutto in avanti.

«E io nel frattempo correvo – sorride – il cantiere l’ha seguito mio cognato che ha un’impresa edile. Quindi per fortuna mi ha alleggerito un po’ su quel fronte. La parte che ha coinvolto me invece è stata più che altro cercare i fornitori e le bici in un momento in cui non c’erano bici. Il lavoro è stato incastrare gli incontri rispetto ai miei impegni di allenamento. Non è facile passare da atleta a imprenditore, cambia tutto. Ancora non sono entrato nell’ottica, alcune cose mi mancano. Ho delle lacune, però piano piano inizio a entrare nel meccanismo che ti fa capire come andare avanti, come procedere. All’inizio c’è un casino in testa, incredibile. Mille cose cui pensare, soprattutto la burocrazia. Per fortuna mi ha aiutato mia sorella che ha due pasticcerie…».

Il negozio è stato inaugurato il 20 ottobre: si trova a Porto Ceresio, paese natale di Chirico
Il negozio è stato inaugurato il 20 ottobre: si trova a Porto Ceresio, paese natale di Chirico
Perché non dovevi fare il Lombardia?

Da giugno sono stato alle prese con un’infiammazione dolorosissima di tutto il fianco sinistro. Prima andava e veniva, poi a volte non lo sentivo. Invece da agosto mi ha sempre fatto male, senza capire a cosa sia dovuto. Dopo il ritiro di Livigno, sono rientrato a Peccioli e ho avuto ancora problemi. Da lì ho annullato tutte le gare, era inutile prendere in giro me stesso e la squadra. Era veramente avvilente. Pedalavo al 30 per cento con la sinistra e al 70 con la destra.

Nel frattempo la Drone Hopper ha avuto i suoi problemi. Hai pensato di guardarti intorno?

La verità? Non ho neanche provato a cercare una squadra per l’anno prossimo. Non me la sentivo, ero veramente giù di morale. Non sono stato il professionista che mi aspettavo, perché comunque da quando ho avuto il problema all’arteria iliaca non sono mai più tornato sui livelli che avrei voluto. Ma non mi piango addosso e non ho mai cercato scuse. Sono felicissimo della mia vita. Sabato mi sono sposato con Francesca, in due settimane è cambiato tutto. Avremmo voluto anticipare perché suo padre stava molto male, ma non ce l’ha fatta. Alla fine ci siamo sposati lo stesso, era quello che anche lui avrebbe voluto. 

La carriera da pro’, fra varie sfortune, è stata inferiore alle sue attese
La carriera da pro’, fra varie sfortune, è stata inferiore alle sue attese
Qualche rimpianto?

Ne ho dal punto di vista dei risultati, perché mi rendo conto che avrei davvero potuto dare di più. Sono frasi fatte, che magari dicono tutti. Però mi guardo indietro e dico che se il fisico non si fosse messo in mezzo, avrei potuto fare molto di più. E cosa posso farci?

Perché il nome “In fuga”?

Perché per me questa è una fuga da quello che sono stato. Sono stato un corridore e per il nome del negozio cercavo un nome dal gergo ciclistico che mi appartenesse. Mi rendo conto che nella mia vita non ho fatto tante fughe, però spero che questa qua sia quella più importante che mi porti lontano.

Gli arredi sono tutti su misura: nel negozio si vendono le bici Aurum, Hersh e Focus e si noleggiano e-Bike
Gli arredi sono tutti su misura: nel negozio si vendono le bici Aurum, Hersh e Focus e si noleggiano e-Bike
Ti mancherà la vita del corridore?

Ultimamente facevo fatica ad andare via da casa, ma era una fatica legata alla sofferenza fisica e quindi non andava bene. Ogni volta che preparavo la valigia, ero col magone a chiedermi: ma perché lo sto facendo? Il problema alla gamba persiste, ne ho girate tante. Ancora adesso sto andando in fisioterapia, stamattina ero a Bellinzona a farmi trattare dall’unico che un po’ mi ha tolto il dolore. Vorrei provare a stare bene perché un domani vorrei uscire in bici con i miei amici e uno dei migliori è Fabio Aru.

Anche lui ha si è operato all’arteria iliaca…

Infatti ci confrontiamo tanto su questo tema, perché abbiamo avuto praticamente lo stesso problema. La differenza è che lui era già un campione affermato, io avevo 22 anni e mi sono trovato a dover affrontare questo problema più grande di me. E alla fine cosa si fa? Ci si mette il cuore in pace, ma si vive lo sport in modo totalmente diverso.

I risultati più belli da U23: nel 2014 in maglia Trevigiani, Chirico vince il Memorial Rusconi
I risultati più belli da U23: nel 2014 in maglia Trevigiani, Chirico vince il Memorial Rusconi
Come si vive?

Fabio stesso negli ultimi anni non era il Fabio che conosco adesso. Era spesso nervoso perché essendo abituato alla competizione ad alto livello, a causa di questo problema era diventato solo un numero. Perdi sicurezza. Prima che venisse anche a me, nel 2015 a 23 anni feci un bel Giro d’Italia. Mi dissi che quello era l’inizio di un percorso, invece l’anno scorso dalla prima gara venne fuori il problema.

Il resto della mattinata se ne va in chiacchiere e racconti. La torta preparata da sua sorella per la festa a sorpresa per l’addio di Nibali. I percorsi di allenamento nella zona del lago. I ricordi dei compagni dei primi tempi, da Barbin a Rino Gasparrini che avrebbe meritato di passare. Milesi direttore sportivo e gli ultimi tempi da pro’ in quel clima pesante della squadra. Ora tutto questo appartiene al passato e forse un po’ di magone verrà a galla quando gli amici partiranno per i primi ritiri. Ma per il momento non ci pensa. E piuttosto abbiamo un problema: non ha ancora detto a sua madre che ha deciso di smettere. Speriamo l’abbia fatto prima dell’uscita di questo articolo…

Aru su Nibali: da amico a rivale (e ritorno)

10.10.2022
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Era l’estate del 2012 quando Fabio Aru sbarcò all’Astana. Martinelli lo aveva adocchiato e acchiappato l’anno precedente e a quel tempo di Nibali nella squadra kazaka non si parlava. Invece quell’estate iniziarono le voci e poi di colpo la notizia divenne ufficiale. Nibali lasciava la Liquigas che l’anno successivo sarebbe diventata Cannondale per accasarsi con Vinokourov. Era l’inizio del dualismo che prometteva di rinverdire i fasti di Coppi e Bartali, Moser e Saronni, ma la storia seguì altre strade.

Al ritiro di Montecatini nel 2012, l’ufficialità di Nibali all’Astana
Al ritiro di Montecatini nel 2012, l’ufficialità di Nibali all’Astana

La Mtb a Montecatini

Nibali si è ritirato, Aru ricorda. Sei anni di differenza non sono pochi e l’arrivo del siciliano significava avere un riferimento da seguire. Nibali era già Nibali, con podi al Giro e al Tour e la vittoria della Vuelta. Aru invece veniva da due Val d’Aosta consecutivi e il secondo posto al GiroBio U23. Chi avrebbe mai potuto dire che proprio il sardo avrebbe smesso prima di Vincenzo, quando prometteva di esserne l’erede dopo averlo sfidato?

«Quando sono andato in Astana – racconta Aru – c’erano dei rumor. Io avevo firmato l’anno prima, nell’estate del 2011 e nel 2012 si cominciò a sentire che sarebbe arrivato anche Nibali. Lo conobbi alla USA Pro Cycling Challenge in Colorado, che è stata la mia prima gara da professionista e lui era in maglia Liquigas. Il giorno che feci secondo in una tappa, la penultima a Boulder, in hotel ci trovammo a scherzare. Poi ci siamo incontrati direttamente in Astana, prima a Montecatini in ritiro e poi in Sardegna».

Giro 2013: si va verso le Tre Cime di Lavaredo, Agnoli e Aru in testa, Nibali in rosa
Giro 2013: si va verso le Tre Cime di Lavaredo, Agnoli e Aru in testa, Nibali in rosa

«In quegli anni c’era ancora Basso – prosegue – ma Vincenzo era già uno dei più forti. I primi anni ci siamo divertiti parecchio in mountain bike a inizio stagione. A lui è sempre piaciuto il fuoristrada, basterebbe riguardare i video che caricava ai tempi su Instagram…».

La scuola di Nibali

Il rapporto fra i due è subito molto buono. Nibali ha davanti il mondo da conquistare, Aru muove i primi passi. Che abbia numeri interessanti è noto, come possa adattarsi al professionismo è un punto di domanda. Così nel 2013 Martinelli prende la via più breve e lo porta al Giro d’Italia. Il primo Giro di Nibali.

«Il Giro del 2013 – ricorda – per me è stata sicuramente un’esperienza molto importante in una delle squadre più forti. Vincenzo era in super condizione. Io stetti male, però poi nell’ultima settimana trovai un po’ di energie. Fu un passaggio che augurerei a ogni giovane. Valse come tanti anni di esperienza».

Al Tour del 2016, Nibali salva Aru nella tappa di Andorra: la sua condizione è in crescita
Al Tour del 2016, Nibali salva Aru nella tappa di Andorra: la sua condizione è in crescita

«Non era tanto lui che insegnava – ricorda Aru – quanto io che logicamente lo osservavo in tutto e per tutto. Da come era posizionato in bici e ogni cosa che faceva. Ricordo un aneddoto importante di qualche anno dopo, quando lui, tra virgolette, si mise nella parte di chi poteva insegnarmi qualcosa. Accadde al mio primo Tour e quindi stiamo parlando del 2016. Lui arrivava dalla vittoria al Giro, quando ribaltò la classifica contro Kruijswijk e Chavez…».

Dal Tour a Rio

Nibali arrivava dalla seconda maglia rosa e dal Tour di due anni prima, Fabio aveva vinto la Vuelta ed era arrivato il momento di debuttare in Francia. Il calendario era stato organizzato nei dettagli. Nibali avrebbe puntato sul Giro e poi, passando per il Tour, sarebbe arrivato alle Olimpadi di Rio. Aru invece ci sarebbe arrivato passando per la Grande Boucle.

«Mi ricordo che partimmo per quel Tour – ricorda – e logicamente io avevo preparato l’appuntamento. Prima dell’inizio del Tour, Vincenzo mi disse di mettermi alla sua ruota, perché mi avrebbe fatto da pilota nelle tappe di pianura. Era il primo Tour, una gara difficile per quanto riguarda il limare e lo stare davanti. Arrivammo all’ultima settimana, poi saremmo dovuti andare assieme alle Olimpiadi».

Quello del 2016 fu il primo Tour di Aru, Nibali tirava per lui
Quello del 2016 fu il primo Tour di Aru, Nibali tirava per lui

«Lui dopo il Giro non aveva una grandissima condizione – ancora Aru – mi dava una mano e provava ad entrare in qualche fuga, però a livello personale non stava andando tanto forte. Quando sei abituato a vincere le gare e ti vedi un po’ sotto tono, inizi ad avere dei dubbi. Ricordo che eravamo in una tappa di pianura l’ultima settimana e stavamo parlando. Io lo vedevo moralmente un po’ giù e allora ne approfittai per ringraziarlo di quello che aveva fatto in quei giorni.

«Gli dissi di tener duro, che mancavano poche tappe. E che alle Olimpiadi sarebbe arrivato con un’ottima condizione e io sarei stato al suo fianco. Anche a Rio ci fu un momento difficile. Lui aveva un principio di crampi, io gli dissi di tenere duro. Lui mi rispose di fare la mia gara, io gli risposi ancora di tenere duro, perché il momento sarebbe passato».

Nibali e Aru assieme alla Vuelta del 2017: Vincenzo con la maglia a punti
Nibali e Aru assieme alla Vuelta del 2017: Vincenzo con la maglia a punti

Scoppia la rivalità

Fra loro nel frattempo le cose erano cambiate. Il giovane Aru reclamava spazio, Nibali difendeva il suo e presto la grande intesa finì.

«Come corridori eravamo diversi – ricorda Aru – perché lui ha sempre cercato di approfittare di tutte le occasioni, anche quelle in cui magari non aveva delle super gambe. Però ha sempre cercato di dare la sua impronta a qualunque gara partecipasse. E tante volte è riuscito a tirare fuori delle prestazioni di alto livello, una cosa che magari avrei dovuto fare di più anche io.

«E’ capitato che a un certo punto ci trovammo contro, ma non come raccontavano certe testate che gonfiavano la situazione perché sono solite farlo. Ora siamo entrambi cambiati a livello caratteriale, col passare degli anni si inizia a ragionare in maniera diversa. Siamo stati contro, ma non nel senso che litigavamo, magari però ci sono stati momenti di tensione. Anche se abbiamo sei anni di differenza, siamo entrambi competitivi e quindi ognuno aveva voglia di arrivare sempre più in alto. Però negli ultimi anni questa rivalità è cambiata ed è diventata un prendersi in giro un po’ a vicenda. C’è tanto rispetto».

Presentazione del Giro 2019, dopo il 2018 non troppo positivo per entrambi
Presentazione del Giro 2019, dopo il 2018 non troppo positivo per entrambi

L’eredità dello Squalo

Sarebbe stato difficile nel 2017, quando Nibali passò al Team Bahrain-Merida, immaginare cha la loro rivalità tanto attesa e annunciata, non sarebbe mai sbocciata.

«Non ho mai nascosto che il fattore età fosse dalla mia parte – sorride Aru – e mi avrebbe permesso di continuare alcuni anni ancora. Ma come ho detto più volte, questa è stata la mia decisione e sono contento così. Vincenzo mancherà al ciclismo. Tranne forse gli ultimi anni, è sempre stato presente: un atleta che garantiva delle ottime prestazioni. Sia per quanto riguardava le gare a tappe, sia per le gare di un giorno.

«Quindi sicuramente lascia un grande vuoto e un’eredità importante. Io mi auguro sempre che vengano atleti capaci di fare altrettanto bene. Insomma, qualcuno che possa avvicinarsi a quello che ha fatto lui…».

La nuova vita di Aru, tutto casa, lavoro e… Sardegna

08.05.2022
7 min
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Si fa in fretta a passare oltre, il più delle volte è necessario. Mentre il Giro d’Italia chiude la parentesi ungherese e prepara il ritorno a casa, Aru si gode gli ultimi giorni in Sardegna. Fabio non ne ha corsi tanti, appena quattro, eppure il suo nome resterà legato alla corsa rosa per il bello mostrato e quello che sarebbe potuto essere. Oggi, a distanza di otto mesi dall’ultima gara, il ragazzo che lasciò Villacidro per rincorrere i suoi sogni è un uomo sereno, che proprio dalla sua isola ha deciso di ripartire. Lo ha fatto pedalando con i cicloturisti del Giro di Sardegna e riscoprendo un territorio dato spesso per scontato. Lo stesso che accadde a Visconti, prima di ritrovare i colori della Sicilia lungo le rotte della Sicily Divide.

«L’anno scorso – racconta Aru – prima ancora che smettessi e dicessi di volerlo fare, l’organizzatore Tonino Scarpitti mi mandò una mail per chiedermi se volessi fare da testimonial. Parlammo di tutto e solo dopo io diedi l’annuncio del ritiro. Ci andai lo stesso, ma come presenza incostante, perché volevo capire di cosa si trattasse. Si correva a ottobre e mi trovai molto bene. E così, vista la voglia di avermi ancora a bordo, quest’anno ci sono tornato».

Lo scorso anno, Aru partecipò al Giro di Sardegna per farsi un’idea, quest’anno lo ha seguito tutto (foto Instagram)
Lo scorso anno, Aru partecipò al Giro di Sardegna per farsi un’idea, quest’anno lo ha seguito tutto (foto Instagram)

Tutti i giorni in bici

Le immagini pubblicate sui social parlavano di vacanza e belle giornate in bicicletta: gli amatori davanti a correre, il campione dietro a curare le pubbliche relazioni.

«Il Giro di Sardegna era a tutti gli effetti una gara – conferma – ma io mi sono ben guardato dal correre ed ero fuori classifica. E’ stata un’esperienza molto positiva, anche se l’ultimo giorno, è venuto a mancare un signore. Sono state ore difficili, poi la famiglia ha chiesto che la gara continuasse. C’è stata una piccola celebrazione, un momento toccante. E poi per il resto, partecipando alla formula cicloturistica, ho visto più posti adesso che negli ultimi trent’anni. In aggiunta ho avuto modo di passare una giornata con le ragazze del team Pink Flamingos. Sono guarite dal cancro e organizzano anche un raid che collega le oncologie della regione. Mi piace stare in mezzo alla gente…».

E’ bello avere il tempo per farlo…

Ne ho di più, è vero. La mia idea per il futuro è di tornare qui per un paio di mesi all’anno. I sardi vedono il mare come una cosa bellissima, ma anche come un ostacolo per gli spostamenti. E così spesso ci si dimentica dei posti bellissimi che abbiamo a due passi da casa

Sembra di sentire il racconto di Visconti.

Ma lui, per quello che ho letto, ha fatto un giro lunghissimo. Io parlo di posti vicini, che si danno per scontati e che comunque ho lasciato per fare il corridore.

Che sensazioni ti ha dato dover risalire in bici ogni giorno per questo Giro di Sardegna?

Mi sono sempre mantenuto in allenamento (sorride, ndr), solo che se prima facevo 30-35 ore di bici a settimana, adesso ne faccio 10. Un terzo, più o meno. Il fatto di non averla mollata completamente mi ha permesso di essere in grado di reggere questa settimana di tappe. La bilancia segna un più 6 rispetto al peso forma, ma devo dire che non si vedono. E comunque sono stato contento di poter pedalare tutti i giorni seguendo una routine, visto che anche la risposta di chi c’era è stata entusiasta.

Con la figlia Ginevra, tifosa d’eccezione (foto Instagram)
Con la figlia Ginevra, tifosa d’eccezione (foto Instagram)
Come sei stato accolto dalla tua gente?

Molto bene. A parte questa esperienza, ero già tornato due volte. Ci sono stati due step ben precisi. Il primo periodo è stato tutto nel segno delle domande. «Come mai? Sei sicuro? Sei ancora giovane, potresti continuare…». Dopo 7-8 mesi la mia scelta è stata digerita. Si sono abituati al mio nuovo ruolo e anche io sto cominciando a farlo.

Quindi come la prenderanno ora che annuncerai il tuo ritorno con la Bardiani?

Ho già dato, grazie, ma sai che facce farebbero… (si mette a ridere fragorosamente, ndr). Mi piace la vita che faccio. Vado in giro, ma non come prima. Passo del bel tempo con la famiglia. Sto bene.

Sei testimonial di Specialized e di Assos, altre novità sono in arrivo…

C’è anche Ekoi, con cui collaboro anche da prima. Ho passato giusto qualche giorno a non fare nulla, poi mi sono rimboccato le maniche. Avevo già in mente di dedicarmi a quello che sto facendo. La mia nuova vita è fatta di giornate impegnate, la normalità è averle tutte piene. Con la differenza che ora posso permettermi di arrivare la sera sfinito, perché il giorno dopo non ho l’allenamento o la corsa.

Il tuo ruolo è quello di partecipare a eventi per conto dei marchi che rappresenti?

Diciamo che sarò presente più spesso nel mondo amatoriale che nel professionismo. Da giugno mi vedrete alle prove delle Specialized Granfondo Series. Non ero a quella di Bra, proprio per la concomitanza con il Giro di Sardegna. Ma farò le altre. La Ganten Mont Blanc a Courmayeur, Sestriere-Colle delle Finestre e la Tre Valli Varesine. Oltre alla Assietta Legend e la Hero in mountain bike. Insomma, devo allenarmi…

Così buttiamo via quei 6 chili di troppo?

La gente dice che è impossibile, ma mi sono pesato ed ero a più 6 a fine Giro di Sardegna. Avevo messo in preventivo di cambiare taglia, ma evidentemente un professionista in attività è davvero magrissimo, così entro ancora nella small (ride, pericolo scampato, ndr).

Avete comprato casa in Sardegna?

No, siamo a Villacidro a casa dei miei. Abbiamo sistemato l’ultimo piano e così abbiamo il nostro appartamento.

Quali sono i posti bellissimi che hai scoperto?

Oltre alla gara, sono stato a fare degli shooting fotografici con Assos. E mi ha colpito la zona a sud, da Cagliari, Pula, Chia, il Pan di Zucchero. Tuerredda, che si trova 20 chilometri dopo Pula, mi lascia sempre senza parole. Mentre per vedere il tramonto più bello, il posto è Masua. Ai primi di maggio, la mattina alle 9 si usciva già in maniche corte. In Sardegna può piovere qualche giorno, ma da aprile a ottobre, è… vacanza! Il mese più bello però è settembre, meno caotico rispetto a luglio e agosto, con colori e clima spettacolari.

E il Giro d’Italia?

Quando correvo, se al mattino mi allenavo, il pomeriggio era dedicato al divano e alle corse. Ora magari vado in bici, ma poi ho cose da fare. Mi capita di vederle, vedrò delle tappe, ma questa nuova vita mi piace molto. Sono molto soddisfatto. Ognuno deve essere portato per quello che fa e a me piace stare a contatto con la gente, che investe e tiene in piedi il mercato della bicicletta. Lo capisci dopo, perché quando corri non te ne accorgi. Invece stare in mezzo a loro è una bella scuola…

Sembra quasi un consiglio per i tuoi ex colleghi.

Intendiamoci, lo so bene che il tempo è sempre poco e si preferisce curare al massimo le cose che ci sono da fare. Ma è anche vero che partecipiamo al minimo indispensabile. Ti invitano e quasi ti girano le scatole. Eppure ogni tanto concedersi di più farebbe davvero bene.

Novità Assos da gara: RSR S9 Targa, in vendita da oggi

04.04.2022
5 min
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Quando si muove Assos, non è mai a caso e tantomeno per caso. E così il lancio di oggi sul mercato dei pantaloncini Equipe RSR Bib Shorts S9 Targa, con Fabio Aru come modello d’eccezione (il sardo è ambassador del marchio svizzero e di Specialized), è la risposta alle esigenze degli atleti in cerca di un capo più leggero e avvolgente che in qualche modo si trasformi in una seconda pelle. E’ l’orientamento nel mondo dell’abbigliamento tecnico e non si poteva assolutamente restare giù dal treno. Vediamo però nel dettaglio di cosa si tratta.

Compressione e leggerezza

Il tessuto ha un nome che dice già molto. Il Type.701kompressor è un tessuto ortogonale (formato cioè da due o più sistemi di fili incrociati tra loro perpendicolarmente) che comprime in modo energico i muscoli, riducendo l’affaticamento. Ad esso si aggiunge il tessuto Ossidia, che completa il sostegno e la compressione del Type.701, con un’elasticità superiore nelle aree sensibili. Questo aumento dell’elasticità e del sostegno non avviene a caso, giacché a fronte dell’aumento della compressione, l’uso di tessuti differenziati permette di ridurre la pressione dove essa non è necessaria.

La nuova struttura inoltre si asciuga più rapidamente, evitando che il sudore impregni il tessuto, portando disagio all’atleta e aumentando il peso. Come effetto secondario, ma non meno importante, si ottiene la riduzione degli odori e una migliore protezione dai raggi UV, grazie al fattore di protezione UPF 50+.

Disegno RacingFit

Trattandosi di capo per correre, per il taglio Assos ha fatto ricorso alla filosofia RacingFit, la più veloce della collezione, con la gamba leggermente più lunga rispetto ai pantaloncini delle linee Equipe RS e Mille GT. 

A sostegno del taglio, si riconoscono le bretelle rollBar, che concorrono a sostenere il peso sulla sella e insieme garantiscono stabilità e comfort senza sfregamenti durante gli sforzi più intensi. Essendo realizzate in materiale reversibile in carbonio X-Frame, hanno la capacità di ridurre il tempo di asciugatura rispetto alle versioni precedenti non reversibili.

La cucitura del fondello Assos non impedisce allo stesso di muoversi assecondando il corpo del ciclista
La cucitura del fondello Assos non impedisce allo stesso di muoversi assecondando il corpo del ciclista

A fondo gamba, il sistema skinGrip Finish ha una rifinitura con transfer in silicone grippante che impedisce al pantaloncino di sollevarsi o comunque scivolare sulla coscia, che al contrario riceve un forte sostegno compressivo.

Fondello e igiene

Completa il quadro il fondello Assos S9 Sundeck, anch’esso rinnovato per ridurne peso e volume, senza cedere nulla in termini di traspirabilità.

Il sistema Shock-Absorb Damping System Mono 9 discende dal mondo delle corse, è spesso 9 millimetri e ottenuto grazie a schiume compressive e pannelli in 3D Waffle per ridurre il peso e incrementare la circolazione dell’aria. La struttura termoformata aiuta inoltre a ridurre pieghe e irritazioni.

A ciò si aggiunge il sistema whirlKrater, caratterizzato da fori distribuiti lungo tutto il fondello e negli strati di schiuma, per creare un vortice di aria fresca: evitando l’aderenza totale tra fondello e pelle, si favorisce l’asciugatura quasi istantanea delle parti intime. Concorre a ciò anche il pannello Sundeck Superlight, costituito da un tessuto morbido e confortevole nella parte frontale del fondello per incrementare la circolazione dell’aria ed eliminare la pressione sulle aree sensibili.

Ultimo tocco molto interessante è l’adozione della tecnologia goldenGate. Si tratta di cuciture che fissano il fondello nella parte anteriore e posteriore, ma gli permettono comunque di muoversi per assecondare i movimenti del corpo.

I pantaloncini Equipe RSR Bib Shorts S9 Targa sono sul mercato da oggi e chi volesse un total look all’altezza di un team WorldTour (fino al 2021 Assos ha vestito il Team Qhubeka-Nexthash) potrebbe abbinarli alla maglia Equipe RSR Jersey.

Assos

Forza esplosiva: lo scalatore l’allena così…

24.12.2021
4 min
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Buttare giù il rapporto, alzarsi sui pedali e con una botta secca attaccare. Ecco l’immagine forse più bella del ciclismo, specie se in salita e a farla è uno scalatore. La forza, soprattutto quella esplosiva, quella in grado di fare le differenze in un ciclismo sempre più livellato, è al centro dei discorsi tecnici e atletici del ciclismo, ma forse sarebbe meglio dire dello sport. E’ così nel tennis, nella pallavolo, nel calcio… E chiaramente lo è ancora di più in uno sport come quello del pedale in cui vince chi arriva prima.

Come dicevamo, l’attacco brutale è uno dei momenti più intensi. Pensiamo a Pantani, alle bordate di Contador e anche a quelle di Fabio Aru. Ma alle spalle c’è un grande lavoro e proprio al sardo chiediamo come allenava questa sua caratteristica.

Lo scatto secco era una delle armi vincenti di Fabio Aru
Lo scatto secco era una delle armi vincenti di Fabio Aru
Fabio, l’esplosività è importantissima per uno scalatore che deve fare la differenza. Come la allenavi?

Ricordo che da dilettante, ma anche da professionista, cercavo la classica salita a tornanti e rilanciavo alla morte o quasi all’uscita di ognuno. Cercavo salite con 10-20 tornanti. E quando non era così, in allenamento si cercava di fare un passo bello sostenuto. Mi sono accorto che quando attaccavo, dovevo davvero spingere forte. Inutile insistere sul medio. Era tutto soglia e fuori soglia.

Che tipologie di lavori facevi?

Lavori brevi e intensi, ma che non fanno solo gli scalatori, magari loro ne fanno un po’ di più. Penso ai 40”-20“, ai 20”-40”, ai 30”-30”. Quando la parte intensa erano i 40”, li facevo a soglia o appena sopra, quando erano i 20” li facevo a tutta. E lo stesso metodo, una via di mezzo, valeva per i 30”-30”.

E quante ripetute facevi?

Facevo queste variazioni per dieci minuti, poi man mano che andavo avanti con la condizione, ripetevo i dieci minuti due volte, tre nei periodi più intensi di carico. Ma sono arrivato a farle anche quattro volte.

Per i suoi lavori esplosivi Aru andava alla ricerca di salite con molti tornanti
Per i suoi lavori esplosivi Aru andava alla ricerca di salite con molti tornanti
Come gestivi i 20”-40”, che sono i più esplosivi?

I 20 secondi erano davvero fatti forte, pieno fuori soglia. Mentre il recupero, i 40”, erano ad un ritmo più blando. Ma non si trattava di un recupero totale, si andava in quella che per me era la “zona due”, vale a dire sui 300 watt. Ai tempi dell’Astana con Slongo e Mazzoleni abbiamo fatto spesso lavori così.

E i 40”-20”?

I 40 secondi erano fatti poco al di sopra della soglia, mentre i 20 secondi erano un recupero più completo.

E invece la palestra è prevista nel “menu” dello scalatore?

Sì, io ne facevo soprattutto d’inverno. Parecchie ripetute veloci sui 15″-20” a prescindere dall’esercizio, magari con poco peso.

E la facevi anche nel pieno della stagione?

Andavo in palestra soprattutto d’inverno, ma è capitato di riprenderla anche in stagione nel periodo dello stacco estivo. Durante le corse invece non ne facevo.

Contador dava vere fucilate. Soprattutto se c’erano salite pedalabili, era in grado di spingere il 53 come pochi e di procedere poi in agilità
Contador era in grado di spingere il 53 come pochi e di procedere poi in agilità
Nell’arco della settimana quanti lavori specifici facevi per la salita?

Di salita ce n’era sempre, ad esclusione della sgambata, quindi almeno cinque volte su sette. Comunque non facevo mai meno di mille metri di dislivello. Se invece intendete dei carichi importanti, intensi, quelli non erano più di due volte a settimana. Consideriamo che anche le SFR sono lavori per la salita, quindi già saremmo a tre volte. Anche se poi le SFR non riguardano solo la salita, però sono degli specifici che si fanno dove la strada sale.

Cosa ti passava per la testa quando facevi quei lavori sui tornanti? C’era anche una sorta di tensione?

Sicuramente ero molto concentrato, ma era più stimolante quando c’erano anche altri: subentrava la sfida. Magari in quel caso c’era sempre un passo piuttosto spinto. Ma quando si è motivati, si spingeva forte anche da soli. Un atleta si basa molto sulle sue sensazioni. Ricordo di essere tornato a casa alcune volte contento e motivato perché le sensazioni erano state più che positive ed altre volte, invece, di essere rientrato con le orecchie basse. Poi tensione vera e propria no, era pur sempre un allenamento.

E invece le volate in pianura: l’allenamento dello scalatore esplosivo passa anche da quelle? Ti è capitato di farle?

Non spessissimo, ma mi è capitato. Eseguivo le volate quando facevo la ruota fissa, tipo con il 53×14. Facevo delle partenze quasi da fermo, da 10 chilometri orari. E mi è capitato di fare anche delle volate vere proprie.

E poi sentivi la differenza in salita?

Sì, servivano anche quelle per scattare forte in salita.

Giro: sul “piattone” della tappa 11 critiche giuste o sbagliate?

17.11.2021
5 min
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Su alcuni social è stata fortemente criticata la tappa numero 11 del prossimo Giro d’Italia, la Sant’Arcangelo di Romagna-Reggio Emilia: 201 chilometri piatti come un biliardo, quasi tutti lungo la Via Emilia (foto di apertura). «Sarà una noia mortale». «Basterà accendere la Tv solo negli ultimi cinque chilometri». E ancora: «Oggi è improponibile una tappa così». «Sembra una tappa d’inizio Tour di qualche anno fa».

Commenti negativi dunque, ma davvero è così brutta una frazione del genere? Anche se valutata nel contesto di una gara che si disputa nell’arco di tre settimane?

Ne parliamo con tre corridori che rispondono ad altrettante categorie: un velocista, Alessandro Petacchi, un attaccante da percorsi misti, Andrea Vendrame, e uno scalatore, Fabio Aru.

Parola al velocista

«Oggi organizzare un Giro non è semplice – dice Petacchi – Si parte e si arriva nelle località che richiedono l’ospitalità e che pagano. Le frazioni vengono disegnate in base a queste. Se Mauro Vegni avesse avuto a disposizione un budget maggiore probabilmente avrebbe disegnato un Giro migliore. Ma in questo caso se deve fare un collegamento tra queste due località… deve passare di lì (vanno considerate anche le località che ospitano i traguardi volanti, ndr). E se l’Italia è fatta così c’è poco da fare».

Ale Jet poi continua. E a dire il vero un po’ ci stupisce…

«Una tappa così è noiosa anche per i corridori e non solo per chi la guarda da casa. Non è come la pianura francese o quella spagnola dove spesso piove, c’è vento o sono vallonate. In quel caso non sarebbe noiosa per nessuno. Al Tour o alla Vuelta non esiste una tappa così. In Francia soprattutto anche quando è piatta fai 2.000 metri di dislivello, ma come ripeto il territorio italiano è così».

A questo punto facciamo notare a Petacchi che negli ultimi anni le frazioni per gli sprinter erano arrivate a 1.800-2.500 metri di dislivello e che gli stessi velocisti si dovevano “guadagnare” la volata. A loro dovrebbe andare bene una frazione così.

«Non è detto che una tappa piatta sia per forza per un velocista – conclude l’ex sprinter – Io non aspettavo le frazioni piatte per fare la volata. Non bisogna pensare che questa frazione sia stata fatta per i velocisti, ma semplicemente perché è capitata in pianura. Se avessero voluto le colline sarebbero passati dalla Toscana».

La tappa “icriminata”. Sant’Arcangelo di Romagna – Reggio Emilia: 201 chilometri e appena 480 metri di dislivello
La tappa “icriminata”. Sant’Arcangelo di Romagna – Reggio Emilia: 201 chilometri e appena 480 metri di dislivello

Parola all’attaccante

Andrea Vendrame è un vero attaccante e i percorsi vallonati sono il suo terreno. Da buon cacciatore di tappe, la prima cosa che è andato a guardare è stata la collocazione della Sant’Arcangelo di Romagna – Reggio Emilia. Se arriva cioè dopo frazioni intermedie, dopo un giorno di riposo o prima di una tappa di montagna.

«Duecento chilometri non sono pochi – spiega Vendrame – oggi anche 150 chilometri fanno la differenza e in tappe così lunghe e piatte già si sa che al 99,9% si arriverà in volata. Ho chiesto conferma su come fosse collocata perché se volevano creare un giorno di riposo attivo dovevano metterla prima di un tappone di montagna. L’anno scorso la tappa di Bagno di Romagna (che vinse proprio Vendrame, ndr) alla fine fece registrare 4.500 metri di dislivello e la tappa del giorno dopo, la Ravenna-Verona fu un giorno di transizione prima dello Zoncolan e di Cortina, anche per questo motivo.

«Dal mio punto di vista, essendo posizionata tra due tappe intermedie è un bene. Mi consente di recuperare un po’. Se ci fossero state due frazioni adatte a me attaccate mi sarei focalizzato di più su una. In questo modo invece posso recuperare un po’ e puntare ad entrambe. Si tratta di un recupero attivo, perché 200 chilometri non sono comunque una passeggiata, ma vedendola così sembra abbastanza soft».

Appurato il fatto che Vendrame in qualche modo può trarne vantaggio, il veneto parla poi dal punto di vista dei tifosi.

«Sarà poco spettacolare per il pubblico e “bella per noi corridori”, anche se fare 200 chilometri piatti ha poco senso. Un po’ quindi hanno ragione i tifosi quando dicono che ci sarà spettacolo solo nel finale.

«Se un corridore si annoia in una frazione così? Eh, diciamo che la distanza non è poca, ma se ci si trova un buon compagno di chiacchierate il tempo passa!».

Lo scorso anno nella piattissima Ravenna-Verona andatura turistica per lunghi tratti. La Ineos di Bernal controllò agevolmente
Lo scorso anno nella piattissima Ravenna-Verona andatura turistica per lunghi tratti. La Ineos di Bernal controllò agevolmente

Parola allo scalatore

Anche se Fabio Aru ha appeso la bici al chiodo resta uno scalatore. E ancora di più un uomo di classifica.

«Questa tappa è stata criticata: e perché, che problema c’è? – si chiede il sardo – Capisco l’attesa dei tifosi che vorrebbero sempre avere l’arrivo su uno strappo, in fondo ad una discesa o su una salita, però una tappa del genere non la vedo come un male. E poi non è detto che non possa esserci spettacolo. Se c’è vento? Anche una tappa piatta può diventare dura, credetemi. Nel vento si possono fare gli stessi wattaggi che in salita. Non è detto insomma che sia noiosa. Tante volte dalla Tv non si vede, non si percepisce la velocità o lo stress che c’è in gruppo.

Anche se la tappa 11 misura 201 chilometri è però un “mezzo giorno di riposo” per gli uomini di classifica. E Aru lo ammette.

«Se al mattino ti svegli e vedi che non piove e non tira vento, sì: la prendi come una giornata di quasi riposo. La prendi in tranquillità, soprattutto nella prima parte. Sai che magari andrà via una fuga e che dovrai stare attento gli ultimi 30-40 chilometri. Ecco, lì non è facile per gli uomini di classifica. Nell’ultima ora di gara l’insidia ci può essere sempre. Ricordate quest’anno quando è caduto Landa? Anche quella era una tappa per velocisti.

«No, io non ci vedo niente di male – conclude Aru – Pensiamo ai velocisti puri. E poi da quello che ho visto il prossimo Giro dovrebbe essere molto duro, con tante tappe che piacciono ai tifosi».

Aru e Baroncini, amicizia a sorpresa sulle strade dei Sibillini

25.10.2021
6 min
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Hanno pedalato fianco a fianco per tutto il finale, almeno per 15 chilometri (in apertura nella foto di Martino Areniello). Poi si sono seduti allo Spuntino di Montegallo e hanno continuato a tavola fino al pomeriggio inoltrato, mentre fuori il ristoro andava avanti in una giornata d’autunno al profumo di lenticchia, di farro e d’inverno. Aru e Baroncini: un ex corridore e uno che si sta appena affacciando sulla scena. Due che tecnicamente non si somigliano neanche volendo e che invece si sono scoperti lungo i chilometri di #NoiConVoi2021, pedalata di solidarietà sui Monti Sibillini, nata nel 2016 dopo il primo terremoto e aggrappata con le unghie al suo grande obiettivo.

Anche quest’anno, per NoiConVoi le borracce Andriolo, realizzate a tempo di record
Anche quest’anno, per NoiConVoi le borracce Andriolo, realizzate a tempo di record

Dieci anni giusti

Il primo è nato il 30 luglio del 1990. Il secondo il 26 agosto di dieci anni dopo. Il primo ha vinto bene da U23, spingendo parecchio in salita e con le diete, poi si è portato a casa la Vuelta, due podi al Giro, la maglia tricolore e un assaggio della gialla. Il secondo ha appena conquistato l’iride degli U23 e debutterà nel 2022 con la Trek-Segafredo. Giusto dieci anni dopo il battesimo del sardo, che passò con l’Astana nel 2012. Numeri che tornano e pensieri che si accavallano.

Baroncini con Gaetano Gazzoli, organizzatore del Gp Capodarco
Baroncini con Gaetano Gazzoli, organizzatore del Gp Capodarco

Aru da Lugano

Il corridore che smette te lo immagini finito. Scavato, demotivato e scarico. Aru è arrivato sorridendo di buon mattino, con un paio di chili in più rispetto alla Vuelta, ma in gran forma. Ha viaggiato da Lugano con Maurizio Anzalone, compagno fra i dilettanti, amico e lo scorso anno sua spalla nell’avventura del cross. Potrebbe correre anche subito, ma forse il sollievo nel suo sguardo deriva proprio dall’aver preso la decisione di smettere. Diventerà testimonial di brand del ciclismo, alcuni che già lo hanno sostenuto, e poi non nasconde che gli piacerebbe fare qualcosa per il ciclismo in Sardegna.

«Baroncini – dice – mi è parso veramente bravo. Non lo lo conoscevo e veramente mi ha fatto un’ottima impressione. Mi ha fatto piacere scambiarci due parole. Un bravo ragazzo si vede subito. E lui sembra una persona intelligente, umile, per niente montato, anche dopo una vittoria così importante come il mondiale. Benvenga, sicuramente questi sono buoni presupposti per un gran futuro». 

Tratti in comune

Anche Fabio ai suoi 21 anni era così. Semplice, piedi per terra. Ambizioso come si può essere dopo aver assaporato la grande vittoria, ma abbastanza intelligente da stare al suo posto.

«Mi ha chiesto un po’ di tutto – racconta – abbiamo parlato un po’ della della mia carriera, un po’ di vacanze visto che il periodo si avvicina. Mi ha chiesto qualche consiglio per quanto riguarda l’avvicinamento ai professionisti. E un po’ davvero mi ci rivedo. Ha un bell’entusiasmo, ma anche la sua semplicità mi ha fatto molto piacere. In un periodo in cui, non è per criticare, le nuove leve hanno meno i piedi per terra e si vedono alcuni ragazzi un po’ esaltati. E questo non mi piaceva molto…».

Baroncini, padre e figlio

Baroncini è arrivato con suo padre Carlo da Massa Lombarda, entrambi altissimi. #NoiConVoi aveva avuto al via la maglia di campione d’Europa di Marta Bastianelli, mai però quella iridata nella quale il romagnolo sembra ancora più statuario. La strada è lunga, i presupposti perché possa percorrerla bene ci sono tutti.

Al via, il campione del mondo ha realizzato la sua storia su Instagram e posato per tante foto. Ha fatto due chiacchiere con Gilberto Simoni, che lo ha visto correre a San Daniele del Friuli e insieme hanno commentato il lungo inseguimento. Poi, dopo aver affrontato con… dignità gli ultimi tre chilometri di salita piuttosto impegnativa, il romagnolo ha posato per qualche foto all’interno delle strutture donate dopo il terremoto da associazioni emiliane e romagnole, accolto per questo come un eroe.

«Con Fabio – dice – abbiamo parlato un po’ di tutto. Mi ha dato un po’ di dritte anche per come arrivare ai primi ritiri. Gli ho chiesto se ci sia tanta fretta, oppure si possa fare con calma. Mi ha detto che comunque è meglio arrivarci un pelo pronti. Poi abbiamo parlato del più e del meno, anche della vita fuori corsa. Di come gestire le interviste, perché comunque lui ha tanta esperienza su quelle. Non lo conoscevo, mi ha fatto piacere».

Aru, ricordo di Scarponi

Prima di andare, Aru e Baro si sono guardati intorno per l’ultima volta e poi sono partiti verso casa.

«Fa un certo effetto – dice Baroncini – vedere ancora sulle case i segni del terremoto».

«Sinceramente – dice Aru – un giorno è troppo poco per vedere tutto, ma sicuramente il motivo di questa manifestazione è molto importante. Per troppi anni ho rimandato l’appuntamento. Della prima edizione ricordo che mi parlò Scarponi, l’ho detto a qualcuno poco fa in gruppo. Nel 2017 eravamo ancora in squadra insieme e mi raccontò di quando venne nel 2016 per la prima edizione…»

Michele avrebbe partecipato anche nel 2017, la storia è nota. Ma la sua vita si fermò ben prima. Troppo presto. Per questo la manifestazione porterà per sempre il suo nome.

Aru, l’ultima tappa di un cammino non sempre agevole

07.09.2021
6 min
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La fine del cammino è segnata dal tic tac. Con i loro bastoncini da nordic walking, i pellegrini si mettono stanchi e sorridenti in coda, davanti all’Oficina de Acogida per mettere il “sello”, il sigillo sul loro registro di viaggio. Poco più in là, davanti alla Cattedrale di Santiago di Compostela, un altro tic tac, quello del cronometro, scandisce le ultime pedalate della carriera di Fabio Aru. Il Cavaliere dei 4 Mori ha scelto la Spagna, dove fu consacrato re nel 2015, per scendere di sella. Voleva conservare nelle orecchie e nel cuore l’applauso di un pubblico che l’ha conosciuto nel massimo splendore, che non l’ha dimenticato.

La scena perfetta

La scena è semplicemente perfetta, forse neppure lui se lo sarebbe potuto immaginare. Taglia il traguardo mentre la voce inconfondibile dello speaker Juan Mari Guajardo lo acclama. Sale sulla rampa che porta al podio allargando il suo sorriso più felice, quello dei giorni migliori e si lascia travolgere dagli applausi, dagli abbracci. Ci sono i suoi compagni, lo staff della Qhubeka-NextHash con la quale è rinato, ci sono mamma Antonella e papà Alessandro, c’è Valentina (che ha lasciato ai nonni la piccola Ginevra). E c’è il manager Alberto Ziliani che ha preparato per tutti magliette con la scritta “Il Cavaliere dei Quattro Mori” che ritraggono Fabio con le quattro maglie più importanti: tricolore, gialla, rosa e roja. Fabio è confuso, emozionatissimo, ringrazia e sorride. Improvvisamente è di nuovo al 100 per cento il campione che ha voluto essere, non sempre riuscendoci, non sempre per demerito proprio. 

La squadra gli ha riconosciuto l’impegno, tributandogli un saluto molto caloroso
La squadra gli ha riconosciuto l’impegno, tributandogli un saluto molto caloroso

Scrive Locatelli

Fabio abbraccia i genitori, come faceva quando li salutava nelle rare visite sul “continente”, ai tempi della Palazzago e della rigorosa conduzione di Olivano Locatelli. «E’ stato il solo che ha tirato fuori tutto il meglio di me a livello caratteriale, la grinta, la voglia di non mollare mai. Anche in questa Vuelta, lui che non scrive mai a nessuno, a me ha mandato un messaggio in cui mi diceva di non mollare. Ed è ciò che ho imparato da lui».

In quell’abbraccio c’è la riconoscenza verso chi gli ha consentito di spiccare il volo. Fabio ha trovato in casa le risorse per inseguire il proprio sogno, con “caparbietà”. Poi abbraccia a lungo Valentina, la donna della sua vita: «Lei è senza ombra di dubbio sopra tutti. E’ parte del mio percorso e di me stesso».

Del passato e del futuro, come lo sono stati tanti personaggi che idealmente sono ai piedi di quel palco, lungo quel “cammino” che per Fabio non è stato forse un pellegrinaggio, ma certo ha avuto tanti momenti di sofferenza. Entusiasmante nella prima fase, dal ciclocross ai successi da under 23 (doppio Val d’Aosta, su tutti). Dal debutto con podio in Colorado nel 2012 al trionfo nel Giro 2013 come gregario di Vincenzo Nibali. E poi le due annate d’oro, il 2014 e 2015 con i tre gradini del podio di Giro e Vuelta, il 2016 olimpico, il 2017 tricolore e giallo.

Dalla Sardegna, oltre a Carlo Alberto Melis, sono arrivati i genitori Alesandro e Antonella
Dalla Sardegna, oltre a Carlo Alberto Melis, sono arrivati i genitori Alesandro e Antonella

Figure chiave

Due i personaggi-cardine di quel periodo dell’Astana. Il primo è Paolo Tiralongo. «Con Tira abbiamo passato molti bei momenti e mi godo più quelli da corridore che non gli ultimi anni, come la sua vittoria al Giro. Quelli sono stati i momenti migliori».

L’altro è Beppe Martinelli: «A Martino devo la tattica, l’esperienza sui percorsi». Un rapporto schietto, intenso: «Da parte mia con certe persone il rapporto è sempre profondo».

Anche nel periodo buio della Uae Emirates, con l’operazione all’arteria iliaca e la difficile risalita, ci sono stati personaggi di spicco. Matxin o Saronni? «Matxin tutta la vita! A lui voglio bene e gliene vorrò sempre, una persona che mi ha dato e mi ha lasciato tanto, Saronni per me non esiste».

Le scelte di getto

Ecco, da lì in poi il percorso di Fabio Aru diventa un cammino in salita, talvolta al buio. Fabio, che recentemente ha rivelato a Famiglia Cristiana la propria fede, si chiude, come fa quando non riesce a dare in corsa la miglior immagine di sé. I suoi interlocutori sono selezionatissimi, evita i proclami, lavora in silenzio e in silenzio soffre per quelle critiche che arrivano come un fuoco amico. Spesso ha detto di non essersi mai allenato con l’intensità e la costanza degli anni in cui non ha vinto. «Le decisioni che ho preso di getto si sono rivelate meno buone», ammette. Tra queste, la scelta di alcune persone che accanto a lui non hanno funzionato. E in quei momenti che il filo invisibile con la Sardegna è stato la sua salvezza. Il conforto degli amici veri gli ha fatto digerire il voltafaccia dei finti tifosi. «Sono sempre stato nell’occhio del ciclone, si parla spesso di me, fa notizia se non arrivano i risultati. Adesso magari se ne parlerà un po’ meno…», dice tradendo l’amarezza.

Sorridente alle interviste alla fine del cammino, come dopo essersi tolto un peso dalle spalle
Sorridente alle interviste alla fine del cammino, come dopo essersi tolto un peso dalle spalle

L’asticella sempre alta

Sul podio della Vuelta (con la bandiera sarda che lo fece ribattezzare da Riccardo Magrini “Il Cavaliere dei 4 Mori”) o ciondolante sulla bici in coda al gruppo nei giorni più bui, Fabio è sempre rimasto se stesso. Ed è così, può piacere o no. Il suo carattere testardo, deciso, lo ha fatto arrivare dove le gambe non lo avrebbero portato. La sua determinazione lo ha spinto oltre un’asticella che ha sempre cercato di sollevare al massimo. Ha sempre voluto competere al massimo livello. Soltanto quest’anno, quando è entrato in una squadra diversa dalle altre, la Qhubeka-NextHash dopo la consapevole rinuncia al Tour de France, ha accettato di ridimensionarsi. In Romania ha fatto una scelta in linea con quella di tornare alla semplicità del fango, al ciclocross. E lì ha ritrovato la sua dimensione. Quella di corridore d’attacco, a caccia della vittoria.

E con la mascherina si riconosce Valentina Bugnone, sua compagna e mamma di Ginevra, rimasta con i nonni
E con la mascherina si riconosce Valentina Bugnone, sua compagna e mamma di Ginevra, rimasta con i nonni

Cuore sardo

A quel punto ha capito di essere nel punto giusto del cammino. Gli mancava fare la stessa cosa al cospetto dei rivali più forti e il secondo posto di Burgos lo ha fatto sentire di nuovo Fabio Aru. Adesso poteva lasciare senza che sembrasse una fuga dall’incubo. Ha scelto lui quando smettere, ha fatto di testa sua, come sempre. Scende dalla bici a 31 anni e 2 mesi, la stessa età che aveva Gigi Riva quando lasciò il calcio accasciandosi sul prato con un grido di dolore. Fabio Aru lascia con il sorriso, dopo aver dato un nuovo simbolo alla Sardegna che già ne sente la mancanza e ha chi gli chiede perché risponde: «Perché voglio godere appieno della mia grande passione, andare in bicicletta».