Non di sole gambe, ha detto l’altro giorno anche Paolo Slongo. La vita del corridore si fonda soprattutto sull’aspetto psicologico. E in base alla formazione ricevuta, l’atleta sarà in grado di gestirsi fra le sue aspirazioni e le richieste di chi lo paga. Gianpaolo Mondini è stato corridore fino al 2003, vincitore di una tappa nel Tour del 1999. E anche se dal 2010 tutti lo conoscono come uomo di Specialized, nel cassetto ha una laurea in psicologia presa in quello stesso anno. Finora gli americani gli hanno dato da mangiare, ma questa volta abbiamo chiesto al romagnolo di Faenza di rispolverare il suo titolo.
Intendiamoci, in gruppo operano diversi psicologi, alcuni molto bravi e più preparati di lui. Tuttavia parlando con Mondini alla partenza della Freccia Vallone, avevamo notato quanto l’aver corso e poi frequentato il gruppo in una veste differente gli abbia dato un punto di vista piuttosto completo. Perciò, con il discorso di Slongo nelle orecchie a proposito di giovani atleti e pressioni da sopportare, abbiamo deciso di metterlo alla prova.
«Quello che bisogna cercare di fare è non generalizzare – dice sicuro Mondini – perché il problema grosso è capire quanto il soggetto sia indipendente per riuscire a gestire certe dinamiche. Quello che secondo me viene a mancare e che invece bisognerebbe riuscire a fare, è una sorta di adattamento, di preparazione mentale già partendo dagli juniores. Adottare pratiche per imparare a gestire lo stress nei vari momenti: nella preparazione, nella corsa e nel dopocorsa. Qualcuno potrebbe dire che sono cose basilari, ma non vengono fatte».
Un esempio?
La gestione della sconfitta e della vittoria. Sembra banale, ma alcune vittorie possono mettere in difficoltà più di alcune sconfitte. E’ più facile imparare quando perdi, perché comunque davanti al risultato non ottimale, hai una spinta a fare meglio. Prima ci sarà una fase di depressione o di accettazione. Poi però ti arriva la reazione che quasi sempre corrisponde a un allenarsi di più, a un incentivo per migliorarsi. Ma quando vinci, come fai a migliorarti? Quando arrivi al numero uno, cosa fai?
Già, cosa fai?
Chi vince corre il rischio di sedersi o comunque di dire a se stesso di aver ottenuto quello che voleva e sentirsi appagato. Mi riposo e mi guardo attorno. Questa è la fase più pericolosa. Pogacar ha stravinto il Giro d’Italia, ha dominato. E’ riuscito praticamente a vincere tutto quello che voleva, forse l’unica cosa che gli è scappata è stata la prima tappa. Ha fatto tutto quello che voleva e anche secondo i piani. Può succedere che alla prima difficoltà non prevista, potrebbe soffrire più di quanto si aspetti e questo può creare grossi problemi.
Il crollo dello scorso anno al Tour all’indomani della batosta nella crono potrebbe spiegarsi anche così? Non pensi però che siano fasi legate anche alla maturazione personale?
Certamente. Quello che secondo me intanto bisognerebbe riconoscere, parlando di atleti molto giovani, è che alcuni di loro sono ancora in fase preadolescenziale. E’ quella in cui viene sviluppata la capacità di risolvere i problemi in maniera autonoma e di imparare a risolvere i conflitti. Quando fai l’atleta professionista a questo livello, è una fase che viene accantonata, ma non vuol dire che sia risolta. Questi sono gli aspetti che creano la personalità. E questo capitolo andrebbe approfondito per capire come sono fatti questi campioni.
Che personalità hanno secondo te?
Devono avere il classico killer instinct. Quando vedono l’avversario in difficoltà, gli passano sopra: in quei momenti non hanno pietà. Magari altri sono fortissimi, ma al momento di affondare il colpo si livellano verso il basso e alla lunga finiscono col perdere. Ultimamente ci troviamo davanti ad atleti che si preparano al 100% dal punto di vista fisico in una bolla, che può essere anche l’allenamento in altura. Sono in una comfort zone senza collegamenti con l’esterno, senza relazioni. Sei addirittura tolto dal tuo ambiente familiare, dove ci potrebbero essere delle dinamiche di vita normale. Al contrario, sei in un ambiente gestito da altri. E se non sei in grado di rispettare le indicazioni del direttore sportivo, rischi il panico, la caduta, rischi di fare degli errori banali.
Slongo parla dell’importanza di avere acanto un corridore più esperto a fare da parafulmine.
Ha due facce. Da una parte ti aiuta, dall’altra restare nell’ombra del campione può non essere utile. Potresti non uscirne fuori, potrebbe affermarsi la personalità di gregario, più che di leader della squadra. Avere davanti uno come Basso o Pellizotti può aver aiutato Nibali, ma sicuramente l’ha aiutato anche il fatto di aver pianificato obiettivi alla sua portata. Quando devi costruire un atleta, gli insegni come preparare la gara in tutti dettagli: dalla vigilia a quello che c’è dopo l’arrivo. Definisci con la squadra obiettivi a breve, medio e lungo termine, che possono essere anche modificati leggermente durante la stagione, ma cui bisogna attenersi. Ogni volta che cambi gli obiettivi, rischi di perdere un po’ di incisività.
Aru dice che fare due Grandi Giri in un anno potrebbe averlo danneggiato.
E’ assolutamente fondamentale che gli obiettivi siano determinati con la squadra, ma devono essere condivisi anche a livello concettuale. Se la squadra ti dice che quest’anno punti al Giro e alla Vuelta, ma tu nella tua testa sai che sarà dura riuscire a fare il Giro, non avrai mai la determinazione che serve. Perché Pogacar fa solo ora il secondo Grande Giro? Forse perché è in grado e ha la forza per definire gli obiettivi con la squadra. Altri invece si affidano ai preparatori e ai tecnici e accettano qualsiasi cosa gli venga detto di fare, spesso senza averli introiettati. Però aggiungerei una cosa…
Prego.
Quando vai a stipulare un contratto, se hai delle pretese dal punto di vista economico, è chiaro che la squadra si aspetta che tu rispetti certe consegne o certi accordi. Quindi a volte potrebbe essere meglio accettare di guadagnare qualcosa in meno, ma poter incidere sugli obiettivi. Pogacar finora si è gestito il calendario. Quando ha voluto fare il Fiandre, gliel’hanno fatto fare. Quando ha voluto fare le Ardenne, glielo hanno permesso, ma era un rischio enorme. Tanto che per una caduta alla Liegi, ha compromesso il Tour.
Avere accanto uno psicologo aiuta a non subire i piani fatti da altri?
Puoi arrivare alla partenza meno impreparato. Lo scheduling aiuta a calcolare quasi tutto quello che può succedere durante la gara. Quindi non è solo il team che ti dice la strategia, sta a te essere nella condizione di prevedere tutto quello che ti può capitare. Dall’alimentazione, alle condizioni del meteo, fino ai punti critici in gara. La sera prima di competizione dovresti fare questo. Chiederti: qual è il mio ruolo all’interno della gara? Molti atleti durante il Giro d’Italia, passate le prime 4-5 tappe, entrano in una sorta di trance non agonistica. Praticamente stanno in gruppo, ma non danno nessun contributo al team. Non sfruttano nessuna occasione di gara e tirano a finire il Giro. Questo secondo me è completamente inutile.
Lo psicologo gli impedirebbe di cadere in questi blackout?
Se hai iniziato il lavoro da prima, puoi provarci (Mondini su questo punto è perplesso, ndr). Purtroppo invece viene gestita con direttori sportivi che cercano di fare da motivatori, per tirare fuori il massimo. Lo psicologo invece cercherebbe di smuoverti internamente per trovare le tue risposte: le dinamiche perché tu riesca da solo a gestire questi aspetti. E’ una cosa che oggi manca. Siamo davanti a un sistema che funziona sempre più dall’esterno verso l’interno, cioè dal team verso l’atleta. Se non si costruiscono individui forti, avranno dei problemi alla fine della carriera anche nel gestire la quotidianità. Cosa che per certi versi succede anche ora.
In che senso?
Ci sono ragazzi che non sanno gestire il quotidiano. Il giorno in cui devono fare il lungo, escludono tutto il resto, anche cose di breve durata. Non si rendono conto che la giornata è fatta di 24 ore e possono tranquillamente fare altre cose. Non hanno una programmazione, non sanno risolvere le questioni più semplici. Quella fase di preadolescenza resta latente, poi esplode e provoca l’altissima percentuale di divorzi, separazioni e problemi dal punto di vista relazionale. Una volta che vengono a mancare l’obiettivo e le regole che ti dà lo sport, rischi di trovare individui completamente disequilibrati che perdono le facoltà quotidiane delle persone normali. Devono reimparare da zero, esattamente come fanno i ragazzi in comunità di recupero.
Perché il supporto degli psicologi, soprattutto nelle categorie giovanili, viene spesso escluso?
Perché in qualche modo ti può anche rallentare la prestazione. Se si trova davanti un ragazzo che sta facendo fatica come individuo ad affrontare certe dinamiche, che è in preda all’ansia, lo psicoterapeuta ti dice che per il suo bene è meglio che cali un pochino con la bici. Che stacchi un attimo, si rilassi e faccia un percorso per poi ritornare al suo livello. Ma questo vorrebbe dire stare fuori dalle corse per qualche mese e spesso la squadra non se lo può permettere. Stessa cosa per l’atleta, che ha paura di rimanere fuori squadra. Dicono che lo psicologo è un guaio perché tira fuori il problema…
Invece?
Se il problema c’è, non individuarlo e affrontarlo può diventare un guaio anche superiore.