Search

L’analisi di Mazzoleni sull’ultima cronoscalata del Giro

27.01.2023
5 min
Salva

Dopo le considerazioni di Baldato sulla tappa numero venti del prossimo Giro d’Italia (la cronoscalata di Monte Lussari) cerchiamo di entrare maggiormente nello specifico. Una frazione del genere ha tante possibili sfaccettature ed altrettanti finali pronti per essere scritti. In compagnia virtuale di Maurizio Mazzoleni, il preparatore dell’Astana Qazaqstan che al momento si trova sul Teide, cerchiamo di entrare in queste mille sfaccettature. 

«La prima valutazione – spiega Mazzoleni – vedendo la tappa, è che si presuppone un cambio bici. Però non è assolutamente detto, ogni squadra dovrà valutare i materiali a disposizione e capire, tramite le proiezioni dei dati, se converrà optare per questa soluzione».

Maurizio Mazzoleni segue tutti i corridori dell’Astana Qazaqstan
Maurizio Mazzoleni segue tutti i corridori dell’Astana Qazaqstan
Credi che l’eventuale cambio di bici possa essere una fase fondamentale della tappa?

Sì, nel senso che sarà un passaggio delicato, ma più per quanto riguarda i tempi e le difficoltà tecniche del cambio da un mezzo all’altro. 

Dal punto di vista atletico?

Quello no, il corridore passa da una situazione biomeccanica e posturale estrema ad una più comoda. Ogni situazione dovrà essere curata al meglio ma alla fine si tratta più di gestire lo sforzo.

Undici chilometri di pianura prima della salita non sono molti ma possono incidere.

Andrà valutata bene l’intensità con la quale affrontare quel tratto, non si può richiedere all’atleta uno sforzo massimale perché rischia di arrivare ai piedi della salita finito. La grande differenza la farà la condizione con la quale arriverà a fine Giro. Ci si giocherà la classifica finale, quindi la pressione psicologica sarà alle stelle. 

Con la vittoria della cronoscalata del Grappa, Quintana consolidò il Giro 2014
Con la vittoria della cronoscalata del Grappa, Quintana consolidò il Giro 2014
Come si prepara una tappa del genere?

Si svolgono lavori specifici all’interno di macrocicli e microcicli di allenamento, per la parte in salita si prepara uno sforzo intenso ma molto simile a quello di un normale arrivo in salita. Avremo i classici trenta minuti con sforzo massimale, ai quali si aggiunge il lavoro specifico con la bici da crono. Una cosa è certa…

Quale?

Una tappa così la prepara solamente il leader o uno scalatore che punta alla vittoria. Gli altri componenti della squadra non ne hanno il minimo interesse. Ogni leader o comunque ogni corridore è diverso e i modi di preparare questa tappa sono tanti. 

C’è una caratteristica di questa frazione che ti ha colpito?

Direi la salita. I primi cinque chilometri sono davvero tosti con pendenze anche al 15 per cento. Poi spiana per più o meno mille metri e lì i corridori potranno rifiatare prima di lanciarsi nuovamente nel tratto finale. 

Nella cronometro del Tour nel 2016 Aru ha utilizzato una ruota con una raggiatura speciale al posteriore
Nella cronometro del Tour nel 2016 Aru ha utilizzato una ruota con una raggiatura speciale al posteriore
Con tutte le strumentazioni si riesce ad essere precisi nelle indicazioni?

Ormai gli atleti nelle cronometro, soprattutto in quelle di questo genere, hanno delle predisposizioni di wattaggio che devono rispettare. Sta al preparatore essere bravo e trovare i momenti giusti nei quali l’atleta, seppur spingendo, potrà comunque rifiatare. Un altro aspetto fondamentale da curare sarà la respirazione, per una corretta ossigenazione dei muscoli. 

Nel passato hai seguito tanti corridori, ti ricordi di altre cronoscalate?

Me ne ricordo una al Giro d’Italia del 2014, quella del Monte Grappa, con Aru (foto di apertura, ndr). Vinse Quintana e secondo arrivò Fabio. Anche in quel caso ci fu il cambio di bici perché il tratto che da Bassano portava all’attacco della salita era molto veloce. Ne ricordo anche un’altra.

Quale?

La tappa numero 18 del Tour de France del 2016: da Sallanches a Megeve. Sempre con Fabio Aru che aveva fatto veramente bene. In quel caso non optammo per il cambio bici perché si potevano ancora adoperare le estensioni per il manubrio da strada. Ricordo che studiammo i materiali per avere la massima performance e Aru utilizzò una ruota posteriore con una raggiatura particolare. Fabio nei tratti in salita si alzava spesso sui pedali e quella ruota aveva una grande reattività che permetteva di spingere a terra tutta la potenza impressa dal sardo. 

La tappa di Megeve del 2018 la vinse Froome con la bici da cronometro, i mezzi sono migliorati molto da allora
La tappa di Megeve del 2018 la vinse Froome con la bici da cronometro, i mezzi sono migliorati molto da allora
E’ impensabile fare una cronoscalata come quella di quest’anno con la bici da crono?

Non del tutto, la tecnologia è andata avanti molto ed ora i modelli da cronometro sono estremamente leggeri. Alcuni telai che vengono utilizzati su quei mezzi sono “aero” e cambia solamente il manubrio. La posizione in sella fa tanto, una bici da strada risulta più comoda, il cambio bici lo si potrebbe fare anche per questo motivo. 

Baldato, guardando in “casa sua” ha fatto il nome di Almeida. Un corridore costante e forte mentalmente, conterà tanto questa caratteristica?

Una tappa del genere è in mano al cento per cento all’atleta. La concentrazione è una capacità intrinseca al corridore, si può allenare ma poi ognuno è fatto a suo modo. Una figura importante in una corsa del genere è il mental coach perché può aiutare il ciclista a trovare la sua dimensione ideale e rendere al massimo. 

Di solito ci si attiene a quello che può considerarsi un “rito” per isolarsi e trovare la concentrazione.

Certo, per ogni cronometro noi abbiamo dei protocolli che vanno seguiti. Si parte dalla ricognizione, poi il pranzo e l’avvicinamento, il warm up. Sono tempi canonici che aiutano a scandire il tempo ed allontanare le pressioni. Diventa quasi più un fatto mentale che fisico. 

Un anno dopo, parlando ancora con Aru di Baroncini

03.12.2022
5 min
Salva

Leggendo il pezzo di ieri in cui Filippo Baroncini (gs_ph.oto in apertura) raccontava la sua prima gara di ciclocross, la memoria è tornata a quel giorno di fine 2021 in cui l’allora campione del mondo degli U23 si ritrovò a pedalare sui Monti Sibillini accanto a Fabio Aru, fresco di ritiro. Baroncini indossava la maglia iridata con le insegne della Colpack-Ballan, Aru quella del Team Qhubeka-Assos con cui aveva chiuso la carriera dedicandosi anche lui al cross nei mesi prima del debutto su strada.

Aru e Baroncini si conobbero sulle strade di #NoiConVoi2021 e da lì iniziò lo scambio di consigli
Aru e Baroncini si conobbero sulle strade di #NoiConVoi2021 e da lì iniziò lo scambio di consigli

L’idea giusta

Fabio è in Sardegna per delle cose da fare nella sua Academy di ciclismo e domattina rientrerà a casa. Però intanto, avendo letto del debutto di Baroncini nel cross e della sua idea di correre domani a Vittorio Veneto (Filippo è iscritto nella categoria Uomini Open con il numero 46) , gli abbiamo chiesto un parere ricordando quella loro uscita e perché Baroncini quanto a statura e peso (1,88 per 74 chili) ricorda da vicino Van Aert (1,90 per 78 chili) anche nell’attitudine.

«Forse del cross avevamo anche parlato quella volta – ricorda il sardo – ma non ricordo bene. Di sicuro è qualcosa che gli servirà molto, sia all’inizio di stagione sia alle classiche. Vittorio Veneto è una gara durissima. Io l’ho vinto quando ero under 23, mentre non l’ho fatto nel 2021. Ero stato a San Fior e in Friuli. Comunque per un ragazzo di 22 anni come lui fare cross in inverno non è male, ma di certo è un po’ inusuale».

Fabio Aru, Montodino 2020
Alla vigilia della sua ultima stagione da pro’, Aru cercò (e trovò) entusiasmo e gamba nel ciclocross
Fabio Aru, Montodino 2020
Alla vigilia della sua ultima stagione da pro’, Aru cercò (e trovò) entusiasmo e gamba nel ciclocross
Perché inusuale?

Solitamente si parte da piccolini, poi da under 23 ti fanno smettere. Però la trovo un’ottima alternativa. Se piove o c’è tempo brutto, invece di andare su strada, l’alternativa di fare ciclocross o mountain bike è molto valida. Quando è freddo, le velocità più basse possono salvarti, oltre ad eliminare i problemi della strada. In meno tempo, fai un allenamento super, invece su strada servono sempre tante ore e poi magari fa freddo.

Baroncini avrà dei benefici?

Il cross è un’ottima alternativa alla strada. Magari non puoi fare la stagione da ottobre a febbraio, però fare un po’ di cross a fine novembre e dicembre, qualche gara può funzionare. Quando l’ho fatto l’anno scorso, mi accorsi di avere un colpo di pedale molto più pronto. A maggior ragione quando inizi su strada e inizi a fare un po’ più di endurance, hai la gamba già molto più pronta. Alla fine, anche chi fa pista ha gli stessi benefici. Comunque sia, sono sforzi brevi e intensi, che su strada tornano bene. 

Quindi una fase di preparazione?

Tutto sommato, Filippo ha le caratteristiche fisiche di un Van Aert e magari se le corse cui punterà diventano quelle, come capacità muscolare e cardiaca, avrà dei giovamenti. Gli uomini delle classiche ormai partono a tutta. Le gare sono diventate sempre più esigenti già da inizio stagione, a gennaio ci si deve presentare già con dei valori molto importanti. Perciò il cross ti permette di mantenere il motore sempre bello attivo e in spinta. Il giusto numero di gare: vedo che anche i big, Van der Poel e Van Aert, ormai fanno un calendario limitato.

Baroncini ha raccontato di aver tenuto la stessa altezza di sella della strada e di aver sofferto con le gomme…

Solitamente io ero sempre un centimetro scarso più basso e uno più corto. Nel fuoristrada sei sempre un pelino più basso, però magari lui si trova bene così. Un consiglio che posso dargli è di curare la pressione delle gomme. Quando facevo cross 15 anni fa, avevo imparato a scegliere in base ai percorsi e al mio peso. L’anno scorso invece ho sbagliato completamente le prime 2-3 gare perché gonfiavo troppo alto. Facevo 1,7-1,8, su percorsi dove potevo andare a 1,3-1,4 per il peso che avevo, che era a 62-63 chili. Serve avere lo strumento per misurarla con precisione, la semplice pompa non basta.

Oggi Aru è testimonial di Specialized ed Ekoi: qui con i bimbi della sua Academy in Sardegna
Oggi Aru è testimonial di Specialized ed Ekoi: qui con i bimbi della sua Academy in Sardegna
Come va in Sardegna con la tua Academy?

Stiamo definendo delle cose per il prossimo anno. Però intanto c’è questo circuito da ciclocross che è chiuso tutto l’anno, completamente tracciato e a nostra disposizione. Ce lo dà il Comune nella zona industriale del mio paese e lì dentro si possono allenare quando vogliono. I tre direttori della Academy fanno anche la manutenzione, perché sono tuttofare e appassionati. Con i piccoli c’è bisogno di questo.

All4Cycling, due mondi in uno e la community cresce

10.11.2022
6 min
Salva
Viaggio curioso nel mondo di All4Cycling a Gazzada Schianno, in provincia di Varese, fra le vetrine del negozio fisico e i meccanismi dell'online, le social ride e la community degli utenti

Alle spalle del negozio inizia un altro mondo. Come nei film western, quando alle spalle del bancone c’erano quelli che giocavano a poker. Alle spalle del banco di All4Cycling c’è invece il mondo dell’e-commerce ed è davvero la porta su un universo parallelo. Dalle postazioni, gli addetti ai lavori maneggiano gli oggetti venduti e dispongono la spedizione. Il magazzino, come tutti i magazzini, è il regno del caos organizzato. Ma alla base si respirano una grande passione per la bicicletta e un’ancora più grande voglia di lavorare.

Matteo Ruzza è il responsabile marketing di All4Cycling
Matteo Ruzza è il responsabile marketing di All4Cycling

Provincia di Varese

Siamo a Gazzada Schianno, comune varesino di neanche 5.000 abitanti, dove ha sede il negozio di All4Cycling. Ne abbiamo già parlato altre volte, ma oggi siamo venuti a guardarlo da vicino. Ci guida Matteo Ruzza, responsabile marketing dell’azienda, e intanto spiega quali siano le strategie commerciali e in che modo il negozio fisico interagisca con quello online.

«All4Cycling – dice – è una realtà e-commerce completamente italiana, con sede a Varese. Nasce appunto come sito Internet nel 2006. Nel 2011, dall’esigenza di avere un punto di riferimento anche sul territorio, si attiva con un pick and pay, quindi soltanto per il ritiro degli ordini online».

Specialized è uno dei marchi più presenti nel negozio di All4Cycling a Gazzada: come bici e accessori
Specialized è uno dei marchi più presenti nel negozio di All4Cycling a Gazzada: come bici e accessori

«Nel corso degli anni, per l’esigenza di essere presenti sul territorio e di rifornire anche gli appassionati di qui, inizia la vendita di abbigliamento. Fino ad avere, ingrandendosi ulteriormente, un punto vendita molto fornito nel quale è possibile trovare tutto quello che viene messo a disposizione online».

Negozio e community

Quel che ha distinto All4Cycling dal post pandemia e fino a pochi giorni fa sono state le iniziative social messe in atto, nella forma di uscite in bici e interventi di campioni, per raccontare, spiegare, intrattenere e consolidare la community.

«Inizialmente – spiega Matteo Ruzza – volevamo introdurre e valorizzare il mercato gravel, poi alla fine abbiamo capito che c’era l’esigenza di creare una community e di portare gli appassionati a conoscenza del territorio. Quindi le social ride hanno smesso di essere solo gravel raid e ci siamo aperti anche a diverse pedalate. Con le mountain bike e poi anche su strada qualche settimana fa con Fabio Aru. 

«I valori aggiunti di forza di All4Cycling – prosegue – sono due: il fatto di avere delle persone che conoscono il ciclismo perché lo praticano o lo hanno praticato. E poi c’è proprio il cercare di fare community per evitare di rimanere soltanto su un rapporto venditore/cliente. Questo secondo noi è importante».

All4Cycling è anche un punto Oakley, con la possibilità di personalizzare i propri occhiali
All4Cycling è uno Shimano Service Center, centri di riferimento presenti in tutto il mondo
Come è suddiviso il vostro mercato?

Inizialmente il pubblico era strettamente road, perché questo era il percorso di crescita di All4cycling, nato vendendo principalmente prodotti per la strada. Partendo dall’abbigliamento delle squadre professionistiche, per arrivare all’abbigliamento di collezione, introducendo successivamente componenti e accessori. Come ultima cosa sono state portate dentro le bici. Questo è stato il nostro percorso. Ora la strada è ancora predominante.

E la gravel?

La gravel non dico che sia altalenante, però fondamentalmente non sappiamo ancora dove si posizionerà. In questo momento sta andando molto bene. E anche la mountain bike fa la sua parte, forse possiamo dire che ci stiamo avvicinando un punto di pareggio fra le tre discipline in gioco.

All4Cycling è anche un punto Oakley, con la possibilità di personalizzare i propri occhiali
All4Cycling è anche un punto Oakley, con la possibilità di personalizzare i propri occhiali
A cosa serve portare i campioni nel negozio?

Nelle attivazioni con i clienti, i campioni hanno ancora sicuramente il loro fascino. Abbiamo fatto un meet and greet con Vingegaard che è andato molto bene. Poi abbiamo fatto una social ride con Fabio Aru e anche quella, al pari dell’incontro con Vingegaard, è andata sold out in pochissimo tempo. Il campione ha il suo fascino, ma è stato bello vedere che dopo il periodo della pandemia la gente ha voluto essere presente, riscoprendo la socialità della bici. E questo per noi è molto importante e non smetteremo di farne.

C’è differenza fra il cliente del negozio e quello dell’online?

Chi acquista in rete, si concentra più su abbigliamento, componentistica e accessori. Con la bici è più complicato, perché arriva smontata e non tutti sono in grado di montarla. Quel che funziona nell’online è l’immediatezza e se mi arriva la bici e poi devo andare in un altro negozio per farla montare, l’immediatezza sparisce.

Riuscite a seguirli entrambi nella stessa maniera?

Nella fase della consulenza, noi cerchiamo in tutti i modi di essere il più possibile presenti anche online. E’ vero che il cliente arrivando in negozio ha la possibilità di confrontarsi con i ragazzi che sono super esperti, ma anche online abbiamo aperto tutti i canali. Abbiamo una chat, abbiamo le mail, abbiamo il servizio clienti telefonico. Insomma vogliamo far percepire al cliente online che dietro al robot dell’e-commerce c’è anche una persona competente, in grado di consigliare come se ce l’avessero davanti nel negozio.

Dan Martin, Pogacar e il ciclismo delle persone normali

08.11.2022
6 min
Salva

Dopo un anno dal ritiro, Daniel Martin ha mandato alle stampe un libro dal titolo emblematico: “All’inseguimento del panda”. Il riferimento è alla Liegi del 2013, quando l’irlandese fu inseguito da un tifoso mascherato da Panda mentre era in fuga con “Purito” Rodriguez (foto di apertura).

«Vedere la parola panda nel titolo di un libro di ciclismo – ha raccontato a The Guardian al momento del lancio – se non conosci la storia, ti intriga e ti interroga. Questo trascrive lo spirito del libro, che vuole essere più leggero della maggior parte delle autobiografie che siamo abituati a vedere. Avrei voluto disegnare io un panda per la copertina, ma l’editore ha rifiutato. Temeva che sarebbe stato scambiato per un libro per bambini. Non so chi ci fosse sotto quel costume. Mi ha sempre sorpreso che nessuno mi abbia mai contattato».

Martin è nato nel 1986 ed è passato pro’ nel 2008. Ha corso con Garmin, Cannondale, Quick Step, UAE e Israel
Martin è nato nel 1986 ed è passato pro’ nel 2008. Ha corso con Garmin, Cannondale, Quick Step, UAE e Israel

Bisogno del cielo

Martin non è mai stato bellissimo in bici, ma era un grande attaccante. Ha vinto la Liegi, il Lombardia, tappe al Giro, al Tour e alla Vuelta. Suo zio è Stephen Roche, padre di suo cugino Nicholas. La sua carriera è stata anche una ripicca contro David Brailsford che non lo volle nell’allora Team Sky, quando Dan gli disse che non aveva alcuna intenzione di lasciare la strada per la pista, come ad esempio avevano accettato di fare il suo coetaneo Geraint Thomas e Wiggins prima di lui.

«Avevo bisogno del cielo – racconta – volevo sentire la pioggia e il sole sulla pelle. Volevo vedere le sagome degli alberi. Ho sempre corso per divertimento. Se ho bisogno di vivere come un monaco per essere un buon ciclista, non voglio farlo. Forse se fossi andato a Tenerife e avessi vissuto sul Teide per tre settimane prima del Tour, ogni anno sarei stato un po’ meglio. Oppure non sarei ancora innamorato del ciclismo».

Vuelta 2018, Martin con il cugino Roche. Dan ha corso alla UAE per due stagioni
Vuelta 2018, Martin con il cugino Roche. Dan ha corso alla UAE per due stagioni

Una cosa normale

Il primo colpo di martello sul cuneo che alla fine del viaggio aprirà una breccia sul ciclismo estenuante di questi tempi, ma senza puntare il dito. Si è liberi di stare al gioco o si può accettare di viverlo diversamente.

«Mio padre Neil – spiega – era un ciclista professionista. Mio zio Stephen l’ho visto più volte tagliare il tacchino che vincere corse. Quindi sono stato educato sul fatto che essere corridori non è sovrumano, è semplicemente normale. Anche se nel 2005 ero giovanissimo e lottavo per rimanere attaccato al gruppo, sapevo comunque che prima o poi sarei finito al Tour. Sin da quando ho iniziato a correre a 14 anni, mi fu detto che avevo qualcosa di speciale. Non fu facile vincere una tappa nel 2013, Sky sembrava inespugnabile. Ugualmente capii perché non ho mai voluto farne parte. Perché io amavo soprattutto lo stile offensivo delle corse».

Nel 2018, Froome vince il Giro e Thomas il Tour: il dominio del Team Sky appare inscalfibile
Nel 2018, Froome vince il Giro e Thomas il Tour: il dominio del Team Sky appare inscalfibile

Tattiche e vita

Un fatto di stile di corsa, ma anche di modello di vita. Tuttavia, ogni volta che ha parlato dei colleghi dello squadrone britannico, lo ha fatto con grande rispetto, pur rimarcando la distanza.

«Non sarei potuto diventare come loro – spiega – ugualmente penso che Thomas sia uno degli uomini più duri che abbia mai incontrato. Il sacrificio a cui si è sottoposto per sei mesi prima di vincere il Tour è incredibile. Io ero dotato fisicamente, ma avevo la capacità mentale di affrontare quel sacrificio? Non lo so. Geraint e anche Froome sono andati ben oltre le loro capacità fisiche, grazie alla capacità di essere incredibilmente concentrati».

Nel 2014, Martin ha vinto il Lombardia sul traguardo di Bergamo
Nel 2014, Martin ha vinto il Lombardia sul traguardo di Bergamo

Margini ristretti

Si può fare senza, ma dal momento che certe abitudini hanno invaso il gruppo e si sono estese a tutte le fasce di corridori, a un certo punto Martin si è sentito fuori posto.

«Ecco perché l’anno scorso ho smesso di correre – racconta – perché lo sport stava diventando troppo controllato. Avevo perso il vantaggio dell’imprevedibilità, perché ora a ogni ciclista viene detto esattamente cosa stanno facendo gli altri e le metodologie delle squadre si adeguano. Voglio essere in grado di decidere perché, quando e quale allenamento faccio e quali tattiche utilizzare. Il ciclismo che amo è anche libertà di espressione. Ora invece le corse sono piuttosto noiose da guardare, perché nessuno commette più errori. Tutti sono perfetti nell’alimentazione, l’allenamento è perfetto e manca però l’elemento umano. Le corse sono diventate prevedibili».

La crisi del Granon è stata a vantaggio di Vingegaard, ma è stata conseguenza della sfrontatezza di Pogacar
La crisi del Granon è stata a vantaggio di Vingegaard, ma è stata conseguenza della sfrontatezza di Pogacar

La crisi del Granon

Al punto che la crisi di Pogacar sul Granon è stata il vero momento forte del Tour 2022. Merito a Vingegaard, ma soprattutto a Tadej che in qualche modo… se l’è cercata.

«La gente dice che quella tappa è stata la migliore corsa di sempre – spiega – ma è ugualmente merito di Pogacar. E’ la mina vagante che attacca ogni volta che ne ha voglia, mentre il resto della corsa è programmato e controllato. Pogacar torna all’idea del ciclismo romantico, ma allo stesso tempo ha il peso della squadra. E la UAE Emirates si sta già preparando per il futuro, anche se Pogacar ha solo 24 anni. Quindi la questione di quanto potrà durare è già sul tavolo. Normalmente si sarebbe detto che ha davanti altri 10 anni, ma ci sono in arrivo giovani fortisssimi, pronti per sostituirlo alla prima difficoltà. Ho sentito storie di sedicenni che facevano 30 ore di allenamento a settimana. Stanno già lavorando come dei professionisti incalliti».

Martin si è ritirato a fine 2021, ma quello stesso anno ha vinto la tappa di Sega di Ala al Giro
Martin si è ritirato a fine 2021, ma quello stesso anno ha vinto la tappa di Sega di Ala al Giro

Come Aru e Dumoulin

Quanto si può durare andando avanti così? Non esiste una regola assoluta. Probabilmente i caratteri meno fragili rischiano di cedere, altri tengono duro e sapremo solo col tempo se le carriere saranno più brevi.

«Dumoulin – dice – ha continuato a correre negli ultimi due anni, ma non era lo stesso. Si è sostanzialmente ritirato due anni fa a 29 anni. Anche Fabio Aru, un talento incredibile, si è ritirato a 30 anni. Questi ragazzi hanno sostenuto questo enorme impegno e sacrificio. Erano giovani corridori fenomenali, ma sono stati schiacciati. Va bene per chi in cambio di questa vita viene pagato con somme pazzesche, come Pogacar. Ma i gregari guadagnano potenzialmente meno di quanto avrebbero preso 10 anni fa, in cambio di sacrifici raddoppiati.

«Guardo le mie foto da neoprofessionista nel 2008. Avevo 22 anni, ne dimostravo 15. Nel ciclismo moderno mi sarebbe stato permesso il tempo per svilupparmi? Sono stato fortunato che una volta fosse possibile andare in bicicletta alle proprie condizioni e con il sorriso sulle labbra».

Chirico riparte da casa e dalla… fuga giusta

27.10.2022
6 min
Salva

«La mia ultima corsa – dice Chirico – è stato il Lombardia. Ero stato male, non dovevo neanche farlo. Però mancava un corridore, così sono partito dicendo alla squadra che potevo fare al massimo 50 chilometri. A quel punto sono salito in ammiraglia. A Como, sono andato da amici a vedere il finale della corsa e da lì ho preso la bici e sono venuto a casa. Non è stato facile, perché avevo ancora il numero sulla schiena e un po’ di magone. Sono arrivato, c’era la mia compagna e sinceramente ho pianto. Perché ho capito che in quel momento finiva la mia carriera agonistica. Ho ancora a casa la maglia col numero, non l’ho lavata. Quella maglia resterà l’unica che non lavo. Non ho vinto la Roubaix, non ho fatto niente, però non la lavo e rimane lì. La mia ultima maglia».

Nelle ultime quattro stagioni, Chirico ha corso alla corte di Gianni Savio
Nelle ultime quattro stagioni, Chirico ha corso alla corte di Gianni Savio

Un autunno stranissimo

Porto Ceresio sonnecchia placido sulla sponda del lago di Lugano. La giornata è calda in modo strano, si va in bici in maglietta e pantaloncini, ma lo capisci che non è normale. L’autunno somiglia a una timida estate, mentre Luca Chirico ci aspetta sulla porta del negozio nuovo. L’ha chiamato “In fuga – Luca Chirico Bike Experience” e l’ha inaugurato giovedì scorso, anche se i lavori erano iniziati in primavera. L’idea era di aprirlo per l’estate e intercettare un po’ di stranieri, ma il progetto è cambiato perciò è slittato tutto in avanti.

«E io nel frattempo correvo – sorride – il cantiere l’ha seguito mio cognato che ha un’impresa edile. Quindi per fortuna mi ha alleggerito un po’ su quel fronte. La parte che ha coinvolto me invece è stata più che altro cercare i fornitori e le bici in un momento in cui non c’erano bici. Il lavoro è stato incastrare gli incontri rispetto ai miei impegni di allenamento. Non è facile passare da atleta a imprenditore, cambia tutto. Ancora non sono entrato nell’ottica, alcune cose mi mancano. Ho delle lacune, però piano piano inizio a entrare nel meccanismo che ti fa capire come andare avanti, come procedere. All’inizio c’è un casino in testa, incredibile. Mille cose cui pensare, soprattutto la burocrazia. Per fortuna mi ha aiutato mia sorella che ha due pasticcerie…».

Il negozio è stato inaugurato il 20 ottobre: si trova a Porto Ceresio, paese natale di Chirico
Il negozio è stato inaugurato il 20 ottobre: si trova a Porto Ceresio, paese natale di Chirico
Perché non dovevi fare il Lombardia?

Da giugno sono stato alle prese con un’infiammazione dolorosissima di tutto il fianco sinistro. Prima andava e veniva, poi a volte non lo sentivo. Invece da agosto mi ha sempre fatto male, senza capire a cosa sia dovuto. Dopo il ritiro di Livigno, sono rientrato a Peccioli e ho avuto ancora problemi. Da lì ho annullato tutte le gare, era inutile prendere in giro me stesso e la squadra. Era veramente avvilente. Pedalavo al 30 per cento con la sinistra e al 70 con la destra.

Nel frattempo la Drone Hopper ha avuto i suoi problemi. Hai pensato di guardarti intorno?

La verità? Non ho neanche provato a cercare una squadra per l’anno prossimo. Non me la sentivo, ero veramente giù di morale. Non sono stato il professionista che mi aspettavo, perché comunque da quando ho avuto il problema all’arteria iliaca non sono mai più tornato sui livelli che avrei voluto. Ma non mi piango addosso e non ho mai cercato scuse. Sono felicissimo della mia vita. Sabato mi sono sposato con Francesca, in due settimane è cambiato tutto. Avremmo voluto anticipare perché suo padre stava molto male, ma non ce l’ha fatta. Alla fine ci siamo sposati lo stesso, era quello che anche lui avrebbe voluto. 

La carriera da pro’, fra varie sfortune, è stata inferiore alle sue attese
La carriera da pro’, fra varie sfortune, è stata inferiore alle sue attese
Qualche rimpianto?

Ne ho dal punto di vista dei risultati, perché mi rendo conto che avrei davvero potuto dare di più. Sono frasi fatte, che magari dicono tutti. Però mi guardo indietro e dico che se il fisico non si fosse messo in mezzo, avrei potuto fare molto di più. E cosa posso farci?

Perché il nome “In fuga”?

Perché per me questa è una fuga da quello che sono stato. Sono stato un corridore e per il nome del negozio cercavo un nome dal gergo ciclistico che mi appartenesse. Mi rendo conto che nella mia vita non ho fatto tante fughe, però spero che questa qua sia quella più importante che mi porti lontano.

Gli arredi sono tutti su misura: nel negozio si vendono le bici Aurum, Hersh e Focus e si noleggiano e-Bike
Gli arredi sono tutti su misura: nel negozio si vendono le bici Aurum, Hersh e Focus e si noleggiano e-Bike
Ti mancherà la vita del corridore?

Ultimamente facevo fatica ad andare via da casa, ma era una fatica legata alla sofferenza fisica e quindi non andava bene. Ogni volta che preparavo la valigia, ero col magone a chiedermi: ma perché lo sto facendo? Il problema alla gamba persiste, ne ho girate tante. Ancora adesso sto andando in fisioterapia, stamattina ero a Bellinzona a farmi trattare dall’unico che un po’ mi ha tolto il dolore. Vorrei provare a stare bene perché un domani vorrei uscire in bici con i miei amici e uno dei migliori è Fabio Aru.

Anche lui ha si è operato all’arteria iliaca…

Infatti ci confrontiamo tanto su questo tema, perché abbiamo avuto praticamente lo stesso problema. La differenza è che lui era già un campione affermato, io avevo 22 anni e mi sono trovato a dover affrontare questo problema più grande di me. E alla fine cosa si fa? Ci si mette il cuore in pace, ma si vive lo sport in modo totalmente diverso.

I risultati più belli da U23: nel 2014 in maglia Trevigiani, Chirico vince il Memorial Rusconi
I risultati più belli da U23: nel 2014 in maglia Trevigiani, Chirico vince il Memorial Rusconi
Come si vive?

Fabio stesso negli ultimi anni non era il Fabio che conosco adesso. Era spesso nervoso perché essendo abituato alla competizione ad alto livello, a causa di questo problema era diventato solo un numero. Perdi sicurezza. Prima che venisse anche a me, nel 2015 a 23 anni feci un bel Giro d’Italia. Mi dissi che quello era l’inizio di un percorso, invece l’anno scorso dalla prima gara venne fuori il problema.

Il resto della mattinata se ne va in chiacchiere e racconti. La torta preparata da sua sorella per la festa a sorpresa per l’addio di Nibali. I percorsi di allenamento nella zona del lago. I ricordi dei compagni dei primi tempi, da Barbin a Rino Gasparrini che avrebbe meritato di passare. Milesi direttore sportivo e gli ultimi tempi da pro’ in quel clima pesante della squadra. Ora tutto questo appartiene al passato e forse un po’ di magone verrà a galla quando gli amici partiranno per i primi ritiri. Ma per il momento non ci pensa. E piuttosto abbiamo un problema: non ha ancora detto a sua madre che ha deciso di smettere. Speriamo l’abbia fatto prima dell’uscita di questo articolo…

Aru su Nibali: da amico a rivale (e ritorno)

10.10.2022
6 min
Salva

Era l’estate del 2012 quando Fabio Aru sbarcò all’Astana. Martinelli lo aveva adocchiato e acchiappato l’anno precedente e a quel tempo di Nibali nella squadra kazaka non si parlava. Invece quell’estate iniziarono le voci e poi di colpo la notizia divenne ufficiale. Nibali lasciava la Liquigas che l’anno successivo sarebbe diventata Cannondale per accasarsi con Vinokourov. Era l’inizio del dualismo che prometteva di rinverdire i fasti di Coppi e Bartali, Moser e Saronni, ma la storia seguì altre strade.

Al ritiro di Montecatini nel 2012, l’ufficialità di Nibali all’Astana
Al ritiro di Montecatini nel 2012, l’ufficialità di Nibali all’Astana

La Mtb a Montecatini

Nibali si è ritirato, Aru ricorda. Sei anni di differenza non sono pochi e l’arrivo del siciliano significava avere un riferimento da seguire. Nibali era già Nibali, con podi al Giro e al Tour e la vittoria della Vuelta. Aru invece veniva da due Val d’Aosta consecutivi e il secondo posto al GiroBio U23. Chi avrebbe mai potuto dire che proprio il sardo avrebbe smesso prima di Vincenzo, quando prometteva di esserne l’erede dopo averlo sfidato?

«Quando sono andato in Astana – racconta Aru – c’erano dei rumor. Io avevo firmato l’anno prima, nell’estate del 2011 e nel 2012 si cominciò a sentire che sarebbe arrivato anche Nibali. Lo conobbi alla USA Pro Cycling Challenge in Colorado, che è stata la mia prima gara da professionista e lui era in maglia Liquigas. Il giorno che feci secondo in una tappa, la penultima a Boulder, in hotel ci trovammo a scherzare. Poi ci siamo incontrati direttamente in Astana, prima a Montecatini in ritiro e poi in Sardegna».

Giro 2013: si va verso le Tre Cime di Lavaredo, Agnoli e Aru in testa, Nibali in rosa
Giro 2013: si va verso le Tre Cime di Lavaredo, Agnoli e Aru in testa, Nibali in rosa

«In quegli anni c’era ancora Basso – prosegue – ma Vincenzo era già uno dei più forti. I primi anni ci siamo divertiti parecchio in mountain bike a inizio stagione. A lui è sempre piaciuto il fuoristrada, basterebbe riguardare i video che caricava ai tempi su Instagram…».

La scuola di Nibali

Il rapporto fra i due è subito molto buono. Nibali ha davanti il mondo da conquistare, Aru muove i primi passi. Che abbia numeri interessanti è noto, come possa adattarsi al professionismo è un punto di domanda. Così nel 2013 Martinelli prende la via più breve e lo porta al Giro d’Italia. Il primo Giro di Nibali.

«Il Giro del 2013 – ricorda – per me è stata sicuramente un’esperienza molto importante in una delle squadre più forti. Vincenzo era in super condizione. Io stetti male, però poi nell’ultima settimana trovai un po’ di energie. Fu un passaggio che augurerei a ogni giovane. Valse come tanti anni di esperienza».

Al Tour del 2016, Nibali salva Aru nella tappa di Andorra: la sua condizione è in crescita
Al Tour del 2016, Nibali salva Aru nella tappa di Andorra: la sua condizione è in crescita

«Non era tanto lui che insegnava – ricorda Aru – quanto io che logicamente lo osservavo in tutto e per tutto. Da come era posizionato in bici e ogni cosa che faceva. Ricordo un aneddoto importante di qualche anno dopo, quando lui, tra virgolette, si mise nella parte di chi poteva insegnarmi qualcosa. Accadde al mio primo Tour e quindi stiamo parlando del 2016. Lui arrivava dalla vittoria al Giro, quando ribaltò la classifica contro Kruijswijk e Chavez…».

Dal Tour a Rio

Nibali arrivava dalla seconda maglia rosa e dal Tour di due anni prima, Fabio aveva vinto la Vuelta ed era arrivato il momento di debuttare in Francia. Il calendario era stato organizzato nei dettagli. Nibali avrebbe puntato sul Giro e poi, passando per il Tour, sarebbe arrivato alle Olimpadi di Rio. Aru invece ci sarebbe arrivato passando per la Grande Boucle.

«Mi ricordo che partimmo per quel Tour – ricorda – e logicamente io avevo preparato l’appuntamento. Prima dell’inizio del Tour, Vincenzo mi disse di mettermi alla sua ruota, perché mi avrebbe fatto da pilota nelle tappe di pianura. Era il primo Tour, una gara difficile per quanto riguarda il limare e lo stare davanti. Arrivammo all’ultima settimana, poi saremmo dovuti andare assieme alle Olimpiadi».

Quello del 2016 fu il primo Tour di Aru, Nibali tirava per lui
Quello del 2016 fu il primo Tour di Aru, Nibali tirava per lui

«Lui dopo il Giro non aveva una grandissima condizione – ancora Aru – mi dava una mano e provava ad entrare in qualche fuga, però a livello personale non stava andando tanto forte. Quando sei abituato a vincere le gare e ti vedi un po’ sotto tono, inizi ad avere dei dubbi. Ricordo che eravamo in una tappa di pianura l’ultima settimana e stavamo parlando. Io lo vedevo moralmente un po’ giù e allora ne approfittai per ringraziarlo di quello che aveva fatto in quei giorni.

«Gli dissi di tener duro, che mancavano poche tappe. E che alle Olimpiadi sarebbe arrivato con un’ottima condizione e io sarei stato al suo fianco. Anche a Rio ci fu un momento difficile. Lui aveva un principio di crampi, io gli dissi di tenere duro. Lui mi rispose di fare la mia gara, io gli risposi ancora di tenere duro, perché il momento sarebbe passato».

Nibali e Aru assieme alla Vuelta del 2017: Vincenzo con la maglia a punti
Nibali e Aru assieme alla Vuelta del 2017: Vincenzo con la maglia a punti

Scoppia la rivalità

Fra loro nel frattempo le cose erano cambiate. Il giovane Aru reclamava spazio, Nibali difendeva il suo e presto la grande intesa finì.

«Come corridori eravamo diversi – ricorda Aru – perché lui ha sempre cercato di approfittare di tutte le occasioni, anche quelle in cui magari non aveva delle super gambe. Però ha sempre cercato di dare la sua impronta a qualunque gara partecipasse. E tante volte è riuscito a tirare fuori delle prestazioni di alto livello, una cosa che magari avrei dovuto fare di più anche io.

«E’ capitato che a un certo punto ci trovammo contro, ma non come raccontavano certe testate che gonfiavano la situazione perché sono solite farlo. Ora siamo entrambi cambiati a livello caratteriale, col passare degli anni si inizia a ragionare in maniera diversa. Siamo stati contro, ma non nel senso che litigavamo, magari però ci sono stati momenti di tensione. Anche se abbiamo sei anni di differenza, siamo entrambi competitivi e quindi ognuno aveva voglia di arrivare sempre più in alto. Però negli ultimi anni questa rivalità è cambiata ed è diventata un prendersi in giro un po’ a vicenda. C’è tanto rispetto».

Presentazione del Giro 2019, dopo il 2018 non troppo positivo per entrambi
Presentazione del Giro 2019, dopo il 2018 non troppo positivo per entrambi

L’eredità dello Squalo

Sarebbe stato difficile nel 2017, quando Nibali passò al Team Bahrain-Merida, immaginare cha la loro rivalità tanto attesa e annunciata, non sarebbe mai sbocciata.

«Non ho mai nascosto che il fattore età fosse dalla mia parte – sorride Aru – e mi avrebbe permesso di continuare alcuni anni ancora. Ma come ho detto più volte, questa è stata la mia decisione e sono contento così. Vincenzo mancherà al ciclismo. Tranne forse gli ultimi anni, è sempre stato presente: un atleta che garantiva delle ottime prestazioni. Sia per quanto riguardava le gare a tappe, sia per le gare di un giorno.

«Quindi sicuramente lascia un grande vuoto e un’eredità importante. Io mi auguro sempre che vengano atleti capaci di fare altrettanto bene. Insomma, qualcuno che possa avvicinarsi a quello che ha fatto lui…».

La nuova vita di Aru, tutto casa, lavoro e… Sardegna

08.05.2022
7 min
Salva

Si fa in fretta a passare oltre, il più delle volte è necessario. Mentre il Giro d’Italia chiude la parentesi ungherese e prepara il ritorno a casa, Aru si gode gli ultimi giorni in Sardegna. Fabio non ne ha corsi tanti, appena quattro, eppure il suo nome resterà legato alla corsa rosa per il bello mostrato e quello che sarebbe potuto essere. Oggi, a distanza di otto mesi dall’ultima gara, il ragazzo che lasciò Villacidro per rincorrere i suoi sogni è un uomo sereno, che proprio dalla sua isola ha deciso di ripartire. Lo ha fatto pedalando con i cicloturisti del Giro di Sardegna e riscoprendo un territorio dato spesso per scontato. Lo stesso che accadde a Visconti, prima di ritrovare i colori della Sicilia lungo le rotte della Sicily Divide.

«L’anno scorso – racconta Aru – prima ancora che smettessi e dicessi di volerlo fare, l’organizzatore Tonino Scarpitti mi mandò una mail per chiedermi se volessi fare da testimonial. Parlammo di tutto e solo dopo io diedi l’annuncio del ritiro. Ci andai lo stesso, ma come presenza incostante, perché volevo capire di cosa si trattasse. Si correva a ottobre e mi trovai molto bene. E così, vista la voglia di avermi ancora a bordo, quest’anno ci sono tornato».

Lo scorso anno, Aru partecipò al Giro di Sardegna per farsi un’idea, quest’anno lo ha seguito tutto (foto Instagram)
Lo scorso anno, Aru partecipò al Giro di Sardegna per farsi un’idea, quest’anno lo ha seguito tutto (foto Instagram)

Tutti i giorni in bici

Le immagini pubblicate sui social parlavano di vacanza e belle giornate in bicicletta: gli amatori davanti a correre, il campione dietro a curare le pubbliche relazioni.

«Il Giro di Sardegna era a tutti gli effetti una gara – conferma – ma io mi sono ben guardato dal correre ed ero fuori classifica. E’ stata un’esperienza molto positiva, anche se l’ultimo giorno, è venuto a mancare un signore. Sono state ore difficili, poi la famiglia ha chiesto che la gara continuasse. C’è stata una piccola celebrazione, un momento toccante. E poi per il resto, partecipando alla formula cicloturistica, ho visto più posti adesso che negli ultimi trent’anni. In aggiunta ho avuto modo di passare una giornata con le ragazze del team Pink Flamingos. Sono guarite dal cancro e organizzano anche un raid che collega le oncologie della regione. Mi piace stare in mezzo alla gente…».

E’ bello avere il tempo per farlo…

Ne ho di più, è vero. La mia idea per il futuro è di tornare qui per un paio di mesi all’anno. I sardi vedono il mare come una cosa bellissima, ma anche come un ostacolo per gli spostamenti. E così spesso ci si dimentica dei posti bellissimi che abbiamo a due passi da casa

Sembra di sentire il racconto di Visconti.

Ma lui, per quello che ho letto, ha fatto un giro lunghissimo. Io parlo di posti vicini, che si danno per scontati e che comunque ho lasciato per fare il corridore.

Che sensazioni ti ha dato dover risalire in bici ogni giorno per questo Giro di Sardegna?

Mi sono sempre mantenuto in allenamento (sorride, ndr), solo che se prima facevo 30-35 ore di bici a settimana, adesso ne faccio 10. Un terzo, più o meno. Il fatto di non averla mollata completamente mi ha permesso di essere in grado di reggere questa settimana di tappe. La bilancia segna un più 6 rispetto al peso forma, ma devo dire che non si vedono. E comunque sono stato contento di poter pedalare tutti i giorni seguendo una routine, visto che anche la risposta di chi c’era è stata entusiasta.

Con la figlia Ginevra, tifosa d’eccezione (foto Instagram)
Con la figlia Ginevra, tifosa d’eccezione (foto Instagram)
Come sei stato accolto dalla tua gente?

Molto bene. A parte questa esperienza, ero già tornato due volte. Ci sono stati due step ben precisi. Il primo periodo è stato tutto nel segno delle domande. «Come mai? Sei sicuro? Sei ancora giovane, potresti continuare…». Dopo 7-8 mesi la mia scelta è stata digerita. Si sono abituati al mio nuovo ruolo e anche io sto cominciando a farlo.

Quindi come la prenderanno ora che annuncerai il tuo ritorno con la Bardiani?

Ho già dato, grazie, ma sai che facce farebbero… (si mette a ridere fragorosamente, ndr). Mi piace la vita che faccio. Vado in giro, ma non come prima. Passo del bel tempo con la famiglia. Sto bene.

Sei testimonial di Specialized e di Assos, altre novità sono in arrivo…

C’è anche Ekoi, con cui collaboro anche da prima. Ho passato giusto qualche giorno a non fare nulla, poi mi sono rimboccato le maniche. Avevo già in mente di dedicarmi a quello che sto facendo. La mia nuova vita è fatta di giornate impegnate, la normalità è averle tutte piene. Con la differenza che ora posso permettermi di arrivare la sera sfinito, perché il giorno dopo non ho l’allenamento o la corsa.

Il tuo ruolo è quello di partecipare a eventi per conto dei marchi che rappresenti?

Diciamo che sarò presente più spesso nel mondo amatoriale che nel professionismo. Da giugno mi vedrete alle prove delle Specialized Granfondo Series. Non ero a quella di Bra, proprio per la concomitanza con il Giro di Sardegna. Ma farò le altre. La Ganten Mont Blanc a Courmayeur, Sestriere-Colle delle Finestre e la Tre Valli Varesine. Oltre alla Assietta Legend e la Hero in mountain bike. Insomma, devo allenarmi…

Così buttiamo via quei 6 chili di troppo?

La gente dice che è impossibile, ma mi sono pesato ed ero a più 6 a fine Giro di Sardegna. Avevo messo in preventivo di cambiare taglia, ma evidentemente un professionista in attività è davvero magrissimo, così entro ancora nella small (ride, pericolo scampato, ndr).

Avete comprato casa in Sardegna?

No, siamo a Villacidro a casa dei miei. Abbiamo sistemato l’ultimo piano e così abbiamo il nostro appartamento.

Quali sono i posti bellissimi che hai scoperto?

Oltre alla gara, sono stato a fare degli shooting fotografici con Assos. E mi ha colpito la zona a sud, da Cagliari, Pula, Chia, il Pan di Zucchero. Tuerredda, che si trova 20 chilometri dopo Pula, mi lascia sempre senza parole. Mentre per vedere il tramonto più bello, il posto è Masua. Ai primi di maggio, la mattina alle 9 si usciva già in maniche corte. In Sardegna può piovere qualche giorno, ma da aprile a ottobre, è… vacanza! Il mese più bello però è settembre, meno caotico rispetto a luglio e agosto, con colori e clima spettacolari.

E il Giro d’Italia?

Quando correvo, se al mattino mi allenavo, il pomeriggio era dedicato al divano e alle corse. Ora magari vado in bici, ma poi ho cose da fare. Mi capita di vederle, vedrò delle tappe, ma questa nuova vita mi piace molto. Sono molto soddisfatto. Ognuno deve essere portato per quello che fa e a me piace stare a contatto con la gente, che investe e tiene in piedi il mercato della bicicletta. Lo capisci dopo, perché quando corri non te ne accorgi. Invece stare in mezzo a loro è una bella scuola…

Sembra quasi un consiglio per i tuoi ex colleghi.

Intendiamoci, lo so bene che il tempo è sempre poco e si preferisce curare al massimo le cose che ci sono da fare. Ma è anche vero che partecipiamo al minimo indispensabile. Ti invitano e quasi ti girano le scatole. Eppure ogni tanto concedersi di più farebbe davvero bene.

Novità Assos da gara: RSR S9 Targa, in vendita da oggi

04.04.2022
5 min
Salva

Quando si muove Assos, non è mai a caso e tantomeno per caso. E così il lancio di oggi sul mercato dei pantaloncini Equipe RSR Bib Shorts S9 Targa, con Fabio Aru come modello d’eccezione (il sardo è ambassador del marchio svizzero e di Specialized), è la risposta alle esigenze degli atleti in cerca di un capo più leggero e avvolgente che in qualche modo si trasformi in una seconda pelle. E’ l’orientamento nel mondo dell’abbigliamento tecnico e non si poteva assolutamente restare giù dal treno. Vediamo però nel dettaglio di cosa si tratta.

Compressione e leggerezza

Il tessuto ha un nome che dice già molto. Il Type.701kompressor è un tessuto ortogonale (formato cioè da due o più sistemi di fili incrociati tra loro perpendicolarmente) che comprime in modo energico i muscoli, riducendo l’affaticamento. Ad esso si aggiunge il tessuto Ossidia, che completa il sostegno e la compressione del Type.701, con un’elasticità superiore nelle aree sensibili. Questo aumento dell’elasticità e del sostegno non avviene a caso, giacché a fronte dell’aumento della compressione, l’uso di tessuti differenziati permette di ridurre la pressione dove essa non è necessaria.

La nuova struttura inoltre si asciuga più rapidamente, evitando che il sudore impregni il tessuto, portando disagio all’atleta e aumentando il peso. Come effetto secondario, ma non meno importante, si ottiene la riduzione degli odori e una migliore protezione dai raggi UV, grazie al fattore di protezione UPF 50+.

Disegno RacingFit

Trattandosi di capo per correre, per il taglio Assos ha fatto ricorso alla filosofia RacingFit, la più veloce della collezione, con la gamba leggermente più lunga rispetto ai pantaloncini delle linee Equipe RS e Mille GT. 

A sostegno del taglio, si riconoscono le bretelle rollBar, che concorrono a sostenere il peso sulla sella e insieme garantiscono stabilità e comfort senza sfregamenti durante gli sforzi più intensi. Essendo realizzate in materiale reversibile in carbonio X-Frame, hanno la capacità di ridurre il tempo di asciugatura rispetto alle versioni precedenti non reversibili.

La cucitura del fondello Assos non impedisce allo stesso di muoversi assecondando il corpo del ciclista
La cucitura del fondello Assos non impedisce allo stesso di muoversi assecondando il corpo del ciclista

A fondo gamba, il sistema skinGrip Finish ha una rifinitura con transfer in silicone grippante che impedisce al pantaloncino di sollevarsi o comunque scivolare sulla coscia, che al contrario riceve un forte sostegno compressivo.

Fondello e igiene

Completa il quadro il fondello Assos S9 Sundeck, anch’esso rinnovato per ridurne peso e volume, senza cedere nulla in termini di traspirabilità.

Il sistema Shock-Absorb Damping System Mono 9 discende dal mondo delle corse, è spesso 9 millimetri e ottenuto grazie a schiume compressive e pannelli in 3D Waffle per ridurre il peso e incrementare la circolazione dell’aria. La struttura termoformata aiuta inoltre a ridurre pieghe e irritazioni.

A ciò si aggiunge il sistema whirlKrater, caratterizzato da fori distribuiti lungo tutto il fondello e negli strati di schiuma, per creare un vortice di aria fresca: evitando l’aderenza totale tra fondello e pelle, si favorisce l’asciugatura quasi istantanea delle parti intime. Concorre a ciò anche il pannello Sundeck Superlight, costituito da un tessuto morbido e confortevole nella parte frontale del fondello per incrementare la circolazione dell’aria ed eliminare la pressione sulle aree sensibili.

Ultimo tocco molto interessante è l’adozione della tecnologia goldenGate. Si tratta di cuciture che fissano il fondello nella parte anteriore e posteriore, ma gli permettono comunque di muoversi per assecondare i movimenti del corpo.

I pantaloncini Equipe RSR Bib Shorts S9 Targa sono sul mercato da oggi e chi volesse un total look all’altezza di un team WorldTour (fino al 2021 Assos ha vestito il Team Qhubeka-Nexthash) potrebbe abbinarli alla maglia Equipe RSR Jersey.

Assos

Forza esplosiva: lo scalatore l’allena così…

24.12.2021
4 min
Salva

Buttare giù il rapporto, alzarsi sui pedali e con una botta secca attaccare. Ecco l’immagine forse più bella del ciclismo, specie se in salita e a farla è uno scalatore. La forza, soprattutto quella esplosiva, quella in grado di fare le differenze in un ciclismo sempre più livellato, è al centro dei discorsi tecnici e atletici del ciclismo, ma forse sarebbe meglio dire dello sport. E’ così nel tennis, nella pallavolo, nel calcio… E chiaramente lo è ancora di più in uno sport come quello del pedale in cui vince chi arriva prima.

Come dicevamo, l’attacco brutale è uno dei momenti più intensi. Pensiamo a Pantani, alle bordate di Contador e anche a quelle di Fabio Aru. Ma alle spalle c’è un grande lavoro e proprio al sardo chiediamo come allenava questa sua caratteristica.

Lo scatto secco era una delle armi vincenti di Fabio Aru
Lo scatto secco era una delle armi vincenti di Fabio Aru
Fabio, l’esplosività è importantissima per uno scalatore che deve fare la differenza. Come la allenavi?

Ricordo che da dilettante, ma anche da professionista, cercavo la classica salita a tornanti e rilanciavo alla morte o quasi all’uscita di ognuno. Cercavo salite con 10-20 tornanti. E quando non era così, in allenamento si cercava di fare un passo bello sostenuto. Mi sono accorto che quando attaccavo, dovevo davvero spingere forte. Inutile insistere sul medio. Era tutto soglia e fuori soglia.

Che tipologie di lavori facevi?

Lavori brevi e intensi, ma che non fanno solo gli scalatori, magari loro ne fanno un po’ di più. Penso ai 40”-20“, ai 20”-40”, ai 30”-30”. Quando la parte intensa erano i 40”, li facevo a soglia o appena sopra, quando erano i 20” li facevo a tutta. E lo stesso metodo, una via di mezzo, valeva per i 30”-30”.

E quante ripetute facevi?

Facevo queste variazioni per dieci minuti, poi man mano che andavo avanti con la condizione, ripetevo i dieci minuti due volte, tre nei periodi più intensi di carico. Ma sono arrivato a farle anche quattro volte.

Per i suoi lavori esplosivi Aru andava alla ricerca di salite con molti tornanti
Per i suoi lavori esplosivi Aru andava alla ricerca di salite con molti tornanti
Come gestivi i 20”-40”, che sono i più esplosivi?

I 20 secondi erano davvero fatti forte, pieno fuori soglia. Mentre il recupero, i 40”, erano ad un ritmo più blando. Ma non si trattava di un recupero totale, si andava in quella che per me era la “zona due”, vale a dire sui 300 watt. Ai tempi dell’Astana con Slongo e Mazzoleni abbiamo fatto spesso lavori così.

E i 40”-20”?

I 40 secondi erano fatti poco al di sopra della soglia, mentre i 20 secondi erano un recupero più completo.

E invece la palestra è prevista nel “menu” dello scalatore?

Sì, io ne facevo soprattutto d’inverno. Parecchie ripetute veloci sui 15″-20” a prescindere dall’esercizio, magari con poco peso.

E la facevi anche nel pieno della stagione?

Andavo in palestra soprattutto d’inverno, ma è capitato di riprenderla anche in stagione nel periodo dello stacco estivo. Durante le corse invece non ne facevo.

Contador dava vere fucilate. Soprattutto se c’erano salite pedalabili, era in grado di spingere il 53 come pochi e di procedere poi in agilità
Contador era in grado di spingere il 53 come pochi e di procedere poi in agilità
Nell’arco della settimana quanti lavori specifici facevi per la salita?

Di salita ce n’era sempre, ad esclusione della sgambata, quindi almeno cinque volte su sette. Comunque non facevo mai meno di mille metri di dislivello. Se invece intendete dei carichi importanti, intensi, quelli non erano più di due volte a settimana. Consideriamo che anche le SFR sono lavori per la salita, quindi già saremmo a tre volte. Anche se poi le SFR non riguardano solo la salita, però sono degli specifici che si fanno dove la strada sale.

Cosa ti passava per la testa quando facevi quei lavori sui tornanti? C’era anche una sorta di tensione?

Sicuramente ero molto concentrato, ma era più stimolante quando c’erano anche altri: subentrava la sfida. Magari in quel caso c’era sempre un passo piuttosto spinto. Ma quando si è motivati, si spingeva forte anche da soli. Un atleta si basa molto sulle sue sensazioni. Ricordo di essere tornato a casa alcune volte contento e motivato perché le sensazioni erano state più che positive ed altre volte, invece, di essere rientrato con le orecchie basse. Poi tensione vera e propria no, era pur sempre un allenamento.

E invece le volate in pianura: l’allenamento dello scalatore esplosivo passa anche da quelle? Ti è capitato di farle?

Non spessissimo, ma mi è capitato. Eseguivo le volate quando facevo la ruota fissa, tipo con il 53×14. Facevo delle partenze quasi da fermo, da 10 chilometri orari. E mi è capitato di fare anche delle volate vere proprie.

E poi sentivi la differenza in salita?

Sì, servivano anche quelle per scattare forte in salita.