Slongo, i giovani e i Grandi Giri: non è solo un fatto di gambe

05.06.2024
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Ieri Tiberi ha lasciato il Criterium del Delfinato, confermando che nella scelta di mandarcelo ci fosse qualcosa di stonato. Ne avevamo parlato lunedì con Fabio Aru, affrontando il tema della partecipazione del laziale alla Vuelta dopo il quinto posto del Giro. E mentre Aru si era detto tutto sommato favorevole al Delfinato e meno alla corsa spagnola di agosto, qualche preparatore aveva visto proprio nell’impegno francese uno sforzo immotivato subito dopo il Giro: se non fisicamente, di certo psicologicamente. Pertanto, prima di sapere che Tiberi sarebbe tornato a casa, avevamo chiamato Paolo Slongo.

L’attuale allenatore di Elisa Longo Borghini alla Lidl-Trek era all’Astana negli stessi anni di Aru, ma dalla parte di Nibali che ha ottenuto i migliori risultati sotto la sua guida. La curiosità era andare a fondo nelle parole di Fabio, secondo cui aver partecipato a due grandi Giri per anno sin dalla seconda stagione da pro’ potrebbe averlo danneggiato (in apertura il sardo batte Froome alla Vuelta 2014, dopo il podio del Giro, ndr). Il confronto con Pogacar che invece farà l’accoppiata quest’anno, al sesto da professionista, fa in qualche modo riflettere.

«Magari sul fatto che Tiberi possa fare due Giri – spiega però Slongo – sono un po’ contro corrente. Tra Giro e Vuelta c’è tutto il tempo per recuperare e non essere troppo tirati, cosa che magari non c’è se fai Giro e Tour oppure Tour e Vuelta. Anche se Antonio è un atleta giovane, nei due anni scorsi ha già fatto una corsa a tappe per stagione, quindi il terzo anno può fare due Grandi Giri, avendo il tempo di recupero. Secondo me non è male. Piuttosto nel caso di Tiberi non approvo il fatto che stia correndo il Delfinato, proprio perché in prospettiva deve fare anche la Vuelta».

Nel 2020, a 22 anni, Pogacar debuttò al Tour vincendolo
Nel 2020, a 22 anni, Pogacar debuttò al Tour vincendolo
Perché?

Dopo il Giro l’avrei lasciato tranquillo e non gli avrei chiesto, anche se era in condizione, di affrontare un’ulteriore gara. Perché tante volte, anche se fisicamente stai bene, per la testa certe scelte possono fare la differenza. Ci vai contro voglia dopo un ottimo Giro, in cui per la prima volta hai fatto classifica e sei arrivato quinto. Vorresti rilassarti qualche giorno, invece sei costretto ad andare a correre. Quello secondo me è controproducente, però i due Giri nello stesso anno non li vedo male.

Secondo Slongo, perché per Pogacar si è aspettato il sesto anno da pro’?

Secondo me perché puntavano al Tour e nei primi due o tre anni che sei professionista basta farne uno solo: vale sempre la gradualità del carico di quello che fai. Essendo il Tour in mezzo alle altre due corse e quindi troppo vicino a Giro e Vuelta, hanno dato la precedenza agli interessi della squadra, che come tutte, mira alla vetrina del Tour. Quindi secondo me la scelta non è stata dovuta solo alla crescita, ma anche a questo aspetto del calendario e all’opportunità di andare al 100 per cento solo in un Grande Giro.

Però gli ultimi due Tour non li ha vinti e ugualmente non lo hanno mandato alla Vuelta. Avrebbe potuto…

Probabilmente ci può essere anche una questione di gestione. Pogacar già è un talento precoce e magari, facendo così, gli allunghi un po’ la vita sul piano psicologico. Nel senso che non lo stressi troppo facendo subito due Grandi Giri, con tutto quello che gli va dietro. Quindi i ritiri, le cose fatte in una certa maniera e poi fare classifica, che è usurante anche se l’atleta è predisposto. La scelta è quella di dire: «Non gli diamo troppo subito, in modo che gli allunghiamo la vita negli anni». Questo sì ha senso.

Slongo ricorda che al Giro del 2007, Nibali corse in appoggio a Di Luca, che vinse la maglia rosa.
Slongo ricorda che al Giro del 2007, Nibali corse in appoggio a Di Luca, che vinse la maglia rosa.
Perché secondo te Aru dice che aver fatto due Grandi Giri da subito non è stato un bene?

Forse per questo aspetto. Secondo me c’è da mettere sul piatto anche in che modo li fai. Magari ad Aru veniva chiesto di essere competitivo, come poi è stato, e questo era usurante. Probabilmente lui non era ancora pronto, forse perché gli pesava psicologicamente oltre che fisicamente, quindi avrebbe preferito una crescita più graduale e meno stressante. Ognuno è diverso e forse col senno di poi Fabio avrebbe preferito fare qualcosa di più graduale, come Pogacar nei primi sei anni di carriera.

Nibali l’avete gestito diversamente. Lui ha fatto il primo Giro nel 2007, al terzo anno da professionista.

Vincenzo ha avuto una buona gradualità. E soprattutto quello che cambiava rispetto ad oggi è che, se anche lo portavamo ai Grandi Giri, andava a imparare dai capitani. Ha avuto davanti Di Luca, Basso e Pellizotti. Lui scalpitava, però non andava in corsa con la pressione psicologica di dover fare classifica in prima persona. Questo cambia anche l’approccio rispetto al ciclismo che c’è adesso. Oggi i giovani – il Tiberi di turno, come prima Pogacar ed Evenepoel – non hanno in squadra qualcuno che faccia classifica al posto loro. Qualcuno dietro cui nascondersi, avendo una gradualità di 2-3 anni in cui possano imparare il mestiere e semmai provare a vincere una tappa o mettersi alla prova. Una volta era un ciclismo diverso, invece adesso questi giovani si trovano subito in prima linea. E anche se sono forti fisicamente, l’aspetto mentale secondo me ha un peso importante. E poi c’è un altro aspetto…

Quale?

Quello dei punteggi dell’UCI. Il 2025 è l’anno delle promozioni e retrocessioni e per le squadre i punti diventeranno nuovamente un’ossessione. Quando hai un buon budget che però non ti colloca fra le prime 4-5 squadre al mondo, hai meno corridori da far girare. Un po’ come la panchina delle squadre di calcio o di basket. Segafredo Bologna e Milano sono quelle che hanno più soldi e se mandano in campo un sostituto, sei certo che sia competitivo. Se invece quelli forti sono solo nel quintetto base e gli altri non sono all’altezza, contro gli squadroni hai un problema. Una volta per essere nel WorldTour bastavano il budget, l’etica e la professionalità: non c’era il sistema di promozioni e retrocessioni. Ora è tutto diverso. E i corridori vengono mandati in gara per fare i punti. E fra i vari punti, quelli delle classifiche generali valgono tanto.

Una bella differenza…

Una volta andavi a correre, imparavi dal capitano e intanto crescevi senza pressioni psicologiche, perché lavorare è diverso dal fare la corsa. Adesso, anche se non puoi vincere, devi andare a fare punti: anche un ottavo posto diventa importante. E a quel punto certe scelte vengono dettate dalla ragione di Stato. Per carità, la squadra paga ed è giusto che pretenda se la cosa è importante. Però queste dinamiche ti impediscono di guardare solo all’aspetto tecnico e anche come preparatore devi fare lo slalom fra le esigenze del team e quelle del corridore.

EDITORIALE / Due grandi Giri per Tiberi, sicuri che serva?

03.06.2024
5 min
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Quantunque sia un campione e forse proprio per questo, Tadej Pogacar si accinge ad affrontare il secondo grande Giro nello stesso anno per la prima volta alla sesta stagione da professionista. Questa è certamente una gestione accorta e magari è alla base dei miglioramenti che lo sloveno riesce a fare ogni anno, contando su una grande freschezza atletica e una maturazione graduale. In questo, Matxin e lo staff tecnico del UAE Team Emirates non sbagliano un colpo.

Se il dubbio sulla durata delle carriere di questi giovani fenomeni riguarda l’eccesso di attività e il conseguente logorio, forse un’attività intensa ma non estenuante permetterà loro di andare avanti non tanto finché ne avranno le forze, ma finché ne avranno la testa. Se infatti chiedessimo a Pogacar cosa gli sia pesato di più del Giro d’Italia appena dominato, molto probabilmente non parlerebbe delle tappe, ma di tutto quello che vi girava attorno.

Due grandi Giri

Dall’articolo di ieri, in cui Fabio Aru commenta la maglia bianca di Tiberi, salta fuori uno spunto che non è passato inosservato. Provando con grande garbo a dare un consiglio al laziale della Bahrain Victorious, Fabio gli suggerisce di fare le cose per gradi.

«Deve avere un po’ di calma – ha detto Aru – poi logicamente ci saranno i suoi tecnici alla Bahrain Victorious a prendere sicuramente le scelte giuste: ormai le squadre sono gestite da professionisti. Io personalmente mi buttai un po’ troppo a capofitto. Già dal 2014 iniziai col fare sempre due grandi Giri ogni anno e non fu un bene. Guardiamo anche come è stato gestito Pogacar, che fino a quest’anno non ha mai fatto due grandi Giri nella stessa stagione. Giro, Tour e Vuelta sono belli, ma ti logorano. Quindi per Tiberi ci sta adesso fare il Delfinato, ma attenderei ad aggiungere il secondo Giro».

Tiberi ha corso un ottimo Giro, spendendo parecchio. E’ già in gara al Delfinato e ad agosto alla Vuelta
Tiberi ha corso un ottimo Giro, spendendo parecchio. E’ già in gara al Delfinato e ad agosto alla Vuelta

Gambe e testa

Aru, a ben vedere, corse il Giro del 2013 al primo anno da pro’ in appoggio a Nibali. L’anno successivo, a 24 anni, corse Giro e Vuelta. Stessa cosa nel 2015. Nel 2016 corse soltanto il Tour, nel 2017 Tour e Vuelta. Nel 2018, Giro e Vuelta, prima che la sua carriera iniziasse a declinare in modo piuttosto rapido.

Quei primi anni all’Astana furono frenetici, belli e anche singolari. Di fatto a partire dal 2014 nel team kazako si era creata una sorta di spaccatura fra il gruppo Nibali e il gruppo Aru. Una competizione interna che faceva pensare a un dualismo all’antica, senza considerare che si stesse parlando di due compagni di squadra. Perché spingere Aru costantemente al doppio impegno? Erano anni in cui si potevano sostenere due grandi Giri all’anno senza grandi conseguenze, oppure si spinse troppo sul gas? Nonostante la sua carriera sia iniziata ben prima del Covid, quel tipo di attività l’ha resa inaspettatamente breve. Che sia stato per logorìo mentale oppure fisico, il percorso più bello di Aru nel professionismo è durato per quattro stagioni.

Nel 2019 Pogacar ha corso la Vuelta, conquistando il podio e la maglia dei giovani
Nel 2019 Pogacar ha corso la Vuelta, conquistando il podio e la maglia dei giovani

La cura del campione

Tiberi ha partecipato al suo primo grande Giro nel 2022, a 21 anni: la Vuelta, alla terza stagione da professionista. Ha replicato lo scorso anno, mentre nel 2024 ha debuttato al Giro d’Italia, arrivando quinto. Il suo programma 2024 prevede nuovamente la Vuelta: è un passaggio utile per un atleta che il 22 giugno compirà 23 anni? Magari sono solo considerazioni personali: dopo il Delfinato e fino a Burgos, Antonio avrà un calendario tranquillo. E se ha voglia di fare la Vuelta, forse non sarà troppo pesante. Oppure la squadra non ha altri leader da schierare e, mandando Buitrago e Jack Haig al Tour, deve spedire Tiberi in Spagna. Sono considerazioni che invitano al ragionamento.

Vincenzo Nibali, cui Tiberi viene affiancato per caratteristiche caratteriali e in parte anche tecniche, affrontò il doppio impegno nel 2008, a 24 anni. Evenepoel, 24 anni, ha doppiato l’impegno lo scorso anno, anche se si era ritirato dal Giro alla nona tappa. Non si può dire pertanto che abbia partecipato a due grandi Giri nella stessa stagione e non è dato di sapere se quest’anno dopo il Tour parteciperà anche alla Vuelta. Vingegaard solo nel 2023, a 27 anni, ha partecipato al Tour e alla Vuelta.

Perché fare due grandi Giri all’anno, avendone appena 23? Costruire la carriera dell’atleta, rendere redditizio l’investimento oppure fare punti? L’esempio di Pogacar dovrebbe far riflettere. Al netto dei soldi, delle bici, degli sceicchi, della nutrizione e di tutto quello che gira attorno a uno squadrone come la UAE Emirates, quello che colpisce è la cura dell’atleta. Quanto durerebbe Pogacar facendo tutti gli anni due grandi Giri? Forse per questo, a meno di clamorosi ripensamenti, non andrà alla Vuelta. Significherebbe rimangiarsi ben più di una parola.

Da Aru a Tiberi, la “bianca” e l’esempio di Tadej: «Fai con calma!»

02.06.2024
7 min
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Fabio Aru è appena tornato dalla Cina. Per il secondo anno consecutivo ha partecipato a Desafio China by La Vuelta, un evento organizzato da ASO, pedalando assieme a Oscar Freire, Nicolas Roche, Anna Van der Breggen e un immenso pubblico cinese. Il Giro pertanto l’ha seguito dalle classifiche, riuscendo a vedere occasionalmente anche qualche immagine. Non gli è sfuggito tuttavia che il suo primato di ultimo italiano in maglia bianca è stato rilevato da Antonio Tiberi. Nei nove anni che sono trascorsi da allora, il mondo del ciclismo è cambiato radicalmente e così anche la sua vita. Eppure le speranze di un corridore che si affaccia sulla grande ribalta sono spesso simili. Che cosa passa per la testa di Tiberi? E cosa passò nella sua? E cosa deve fare ora il laziale? E cosa invece farebbe meglio ad evitare?

Il rapporto fra Aru e la maglia bianca fu a dire il vero piuttosto lungo. Nel primo Giro, quello del 2013, la indossò dalla 3ª alla 7ª tappa, perdendola a favore di Majka nel diluvio di Pescara in cui il suo capitano Nibali iniziò a crocifiggere Wiggins. Nel 2014 del Giro chiuso al terzo posto, la indossò dalla 19ª tappa alla fine, portandola al posto del detentore Quintana in maglia rosa. Infine nel 2015 la conquistò, piazzandosi secondo nella classifica finale, alle spalle di Contador. Nello stesso anno, il sardo avrebbe vinto la Vuelta.

Quanto vale la maglia bianca? E che cosa rappresenta in prospettiva di carriera?

Quando l’ho vinta, ero già entrato in una dimensione superiore. L’anno che per me fu una super soddisfazione vestire la maglia bianca è stato il 2013, il primo da professionista. Ero passato ad agosto 2012, però diciamo che il 2013 fu la prima stagione. Ero arrivato quarto al Trentino vincendo la maglia dei giovani. Così ero stato convocato per il Giro che vinse Nibali. E vestire la maglia bianca nelle prime tappe fu una grossissima soddisfazione. L’anno dopo la vinse Quintana. Mentre nel 2015, quando l’ho vinta io, ero molto più focalizzato sulla classifica. L’anno prima ero arrivato terzo, per cui nel 2015 la maglia dei giovani fu la conseguenza della classifica generale che chiusi al secondo posto. Fu una bella soddisfazione vincerla, però ero più focalizzato sulla maglia rosa. Tiberi invece l’ha vinta al primo Giro…

Che cosa significa?

Significa che è andato forte e che ha fatto una buona classifica. E’ arrivato quinto nel suo primo Giro d’Italia (al debutto Fabio arrivò 42°, lavorando per Nibali che lo vinse, ndr), quindi ovviamente il suo è stato un ottimo risultato.

Par di capire che nei tuoi Giri non abbia mai fatto corsa sui rivali per la maglia bianca.

No, mai. Anche quando ero dilettante non mi sono mai focalizzato sulle classifiche parziali, guardavo un po’ più avanti e, se venivano, erano una conseguenza. Se fai una buona classifica, puoi avere un buon risultato per la maglia bianca.

Per come sono andate le cose, con Nibali ritirato a fine carriera e tu un po’ prima, avere Tiberi quinto al Giro e in maglia bianca è un buon segnale?

Assolutamente, certo. Da italiani stavamo aspettando di avere qualche altro giovane. Mentre nelle classiche, magari abbiamo qualche nome che può farci ben sperare, nei Giri eravamo un po’ indietro. Invece quest’anno abbiamo avuto dei bei segnali. Da Tiberi, certo, ma anche da Pellizzari e Piganzoli. Credo sia questione di tempo, ci sono sempre stati dei cicli. Qualunque nazione vorrebbe avere un Tadej per le mani, ma di Tadej ce n’è uno, quindi dobbiamo aspettare.

Nel finale del Giro 2015, Aru vince due tappe: a Cervinia (foto) e Sestriere
Nel finale del Giro 2015, Aru vince due tappe: a Cervinia (foto) e Sestriere
Pensa che, a cose normali, alla UAE Emirates Pogacar avrebbe dovuto tirare per te…

Guardando i suoi risultati sin da quando era più giovane, nulla faceva presagire che sarebbe passato per tirare. Da ragazzo aveva già vinto tutto, fra il Tour de l’Avenir, il Lunigiana, insomma varie corse. Io non li avevo vinti e quasi neanche fatti (sorride, ndr).

Il Giro del 2015 lo vinse Contador, che non faceva tanti regali. Secondo te c’è tanta differenza tra il suo modo di correre e quello di Pogacar?

Guardate, Alberto, a parte essere un amico, è stato il mio idolo da quando iniziai ad appassionarmi di ciclismo. Ma senza nulla togliere a quello che ha fatto, Tadej è di un altro livello. Tadej è completo, Alberto era estremamente forte in salita. Tadej è estremamente forte in volata, in salita e anche a cronometro. Non me ne voglia Alberto, ma so che anche lui ha espresso delle parole di apprezzamento molto importanti nei confronti di Pogacar. Per cui, anche se Contador mi ha battuto in quel Giro perché era un grandissimo, Tadej ha una completezza che lo mette su un gradino più alto. Uno che vince un Fiandre, tre Lombardia di fila, due Liegi, la Freccia, l’Amstel, due Tour e un Giro… 

Aru e Pogacar hanno corso poco insieme: qui alla Vuelta 2019, quella della rivelazione di Tadej
Aru e Pogacar hanno corso poco insieme: qui alla Vuelta 2019, quella della rivelazione di Tadej
Torniamo a Tiberi: quinto al Giro di Pogacar, adesso va al Delfinato. Che cosa dovrebbe fare a questo punto della sua carriera?

Deve avere un po’ di calma, poi logicamente ci saranno i suoi tecnici alla Bahrain Victorious a prendere sicuramente le scelte giuste: ormai le squadre sono gestite da professionisti. Io personalmente mi buttai un po’ troppo a capofitto.  Già dal 2014 iniziai col fare sempre due grandi Giri ogni anno e non fu un bene. Guardiamo anche come è stato gestito Pogacar, che fino a quest’anno non ha mai fatto due grandi Giri nella stessa stagione. Giro, Tour e Vuelta sono belli, ma ti logorano. Quindi per Tiberi ci sta adesso fare il Delfinato, ma attenderei ad aggiungere il secondo Giro.

Potresti aver esagerato?

Nel 2014 arrivai terzo al Giro e quinto alla Vuelta. Nel 2015, secondo al Giro e vinsi la Vuelta. Nel 2017, quinto al Tour e 13° alla Vuelta, però spendevo tanto. I Giri ti logorano fisicamente e mentalmente, quindi per Antonio avrei un po’ di accortezza da questo punto di vista. Tiberi ha fatto un ottimo Giro, ci sono tante altre gare e lui è ancora giovane, ha tanti anni davanti. Non dico che sia sconsigliato fare sempre due grandi Giri, si possono fare, però non per tanti anni di fila. Non è più un ciclismo che ti permette di gestire gli sforzi.

Col Giro siamo arrivati a Sappada, forse il luogo del tuo primo crollo nel 2018: distacco di 19 minuti…

Posso dire una cosa. Personalmente nel ciclismo ho vissuto dei momenti bellissimi, ma ne ho vissuti anche di tremendi. Se mi guardo allo specchio oggi che sono passati due anni e mezzo da quando ho smesso, posso dire consapevolmente di essere contento di come sono. Vado in bici, ma non sono il classico ex che fa 20-30 mila chilometri all’anno. Non sono questo, mi piace andare in bici qualche volta a settimana, mi piace fare gli eventi, stare in mezzo alla gente e fare anche altri sport. Però ho passato dei momenti di sofferenza e Sappada fu uno di quelli. Però questa è la vita, fatta di alti e bassi: l’importante è crescere.

Aru torna in Sardegna con un’Academy e porta le bici nelle scuole

25.03.2024
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«Voglio restituire quello che la mia terra mi ha dato»: una frase carica di emozione e piena di significato quella che Fabio Aru ha pronunciato quando gli abbiamo chiesto il perchè di questa suo progetto. Stiamo parlando della Fabio Aru Academy, una squadra nata dalla volontà del sardo di dare la possibilità a ciclisti dai 6 anni in su di pedalare e praticare ciclismo in Sardegna. 

Cosa fa oggi Fabio Aru?

Per scelta appena terminata la carriera, non ho voluto seguire la strada di entrare in un team. Ci sono tanti ex atleti professionisti che magari intraprendono la carriera del direttore sportivo piuttosto che altri ruoli nei team professionistici. Sono ruoli che danno anche tante soddisfazioni, perché mi capita di parlare spesso con dei miei ex colleghi. Io ho preferito avere dei ruoli in alcune aziende che rappresento e faccio una serie di attività, dalla prova dei materiali agli eventi che facciamo. Questo mi permette di essere più presente a casa rispetto all’essere via 200 giorni all’anno. Mi dà anche la possibilità di conoscere anche un altro ambiente. Sono ambassador di Specialized Italy, Assos per quanto riguarda l’abbigliamento, Ekoi per quanto riguarda gli occhiali. Sono ambassador di Forte Village che è un resort in Sardegna per cui faccio anche delle academy da maggio fino a ottobre. Infine l’anno scorso è nata ufficialmente la Fabio Aru Academy.

L’Academy va dai più piccoli fino ad arrivare agli juniores
L’Academy va dai più piccoli fino ad arrivare agli juniores
Parlaci di questa Academy…

Già nel 2017, assieme ad alcuni amici del mio paese, era nata l’idea di dedicarsi al settore giovanile, sulle basi della mia prima storica società ciclistica, la Mountain bike Piscina Irgas. Inizialmente c’era un team satellite e si chiamava Accademia Fabio Aru. Da quando ho smesso c’è stata comunque l’idea e l’ambizione di creare la Fabio Aru Academy. Abbiamo così dato vita a questo progetto con tanto impegno e ci sta portando delle belle soddisfazioni.

Cosa ti ha spinto a creare questa realtà?

L’idea che ha dato il via a tutto è stata quella di restituire qualcosa alla mia terra, al mio paese, alla mia gente. Infatti la Fabio Aru Accademy ha base a Villacidro, che è il mio paese natale, proprio perché so quanti sacrifici ho dovuto fare per andare a prendermi il sogno di diventare ciclista. Logicamente la Sardegna è una terra bellissima, però ricordiamo che essendo un’isola, dal punto di vista dei viaggi è tutto più complicato rispetto a un giovane che nasce in Lombardia o in Piemonte, nel senso che magari con due ore di macchina riesci a fare una certa attività. So quanto è stato difficile per me anche dal punto di vista economico, per cui ho voluto cercare di aiutare il più possibile dei ragazzi che coltivano la mia stessa passione, supportandoli in questo percorso.

Tra le specialità non può mancare la MTB
Tra le specialità non può mancare la MTB
Che età hanno i ragazzi della Academy?

Partiamo dai G1, quindi praticamente dai 6 anni fino agli juniores. Abbiamo un paio di ragazzi U23, che fanno qualche gara anche fuori. Quindi abbiamo una parte di giovanissimi, G1 e G6, che è quella più importante e poi una parte tra esordienti e allievi e juniores, anch’essa molto importante.

Che specialità fate fare ai giovani atleti?

Più o meno il percorso che ho fatto anche io quando ero giovane. Ho iniziato con la mountain bike e con il ciclocross prima di trovare la disciplina a cui ero più adatto, cioè la strada. Secondo me, non smetterò mai di dirlo, è importante soprattutto nelle categorie dai giovanissimi ma anche dagli esordienti e allievi, fare un po’ di multidisciplina. Fare soprattutto le discipline dell’offroad, quindi MTB e ciclocross. Lo stanno dimostrando i tempi moderni con Van der Poel, Van Aert, Pidcock e potrei fare almeno una decina di nomi di atleti che venendo dalla MTB, hanno acquisito delle capacità di guida superiori alla media degli stradisti. Mi capita certe volte anche usando la bici da strada di trovare delle curve con un po’ di brecciolino e di intuire in anticipo come si comporterà la bicicletta.

Il tuo è un esempio che oggi ha acquisito sempre più conferme…

Dieci anni fa, uno stradista che si cimentava in una gara di ciclocross non era visto benissimo. Però oggi dai dati che abbiamo tutto questo funziona ed è diventato un aspetto prezioso su cui lavorare. Lo stesso Pogacar ha fatto delle gare di ciclocross e ne ha anche vinte, quindi possiamo dire che la multidisciplina porta dei grandi risultati.

E la strada, invece, questi giovani la praticano?

Sì, fanno anche strada. Logicamente si alternano tra strada e mountain bike durante il periodo primaverile-estivo e poi ciclocross durante la stagione invernale. Concentriamo gli allenamenti e ci sono due tecnici che seguono i ragazzi: gli esordienti, gli allievi e gli junior. In più abbiamo 3-4 tecnici che seguono i giovanissimi. I ragazzi sono sempre seguiti, facciamo due allenamenti a settimana per i piccolini mentre i grandi fanno ovviamente qualcosa in più

Per quanto riguarda il calendario, dicevi che logisticamente non è così facile gestire le trasferte…

Tra le gare in Sardegna e quelle fuori riusciamo a farne una trentina all’anno. Partecipiamo a tutte le competizioni organizzate dalla Federazione. A livello nazionale abbiamo partecipato per esempio al Meeting dei Giovanissimi con i più piccoli, abbiamo fatto una tappa del Giro d’Italia Ciclocross, abbiamo partecipato ai vari campionati italiani su strada, in mountain bike e nel ciclocross. C’è anche una rappresentativa regionale che talvolta convoca alcuni dei nostri atleti per gare di livello nazionale e questo fa sì che il calendario sia fitto. Supportiamo i nostri giovani anche nelle trasferte, che siano via mare o in aereo.

Un bell’impegno…

Non è semplice, ma cerchiamo di non fargli mancare niente. Il ciclismo è uno sport dispendioso, anche quando si tratta di categorie giovanili. Abbiamo una serie di bici per tutti, logicamente con un piccolissimo contributo. Ovviamente quello delle famiglie è un supporto molto importante trattandosi di categorie giovanili. Non siamo una squadra professionistica dove tutto è dovuto, però sono contento perché stiamo riuscendo sempre di più a dare un grande supporto ai ragazzi.

Fabio ci tiene ad essere presente il più possibile agli incontri con i più piccoli
Fabio ci tiene ad essere presente il più possibile agli incontri con i più piccoli
Com’è vista la Fabio Aru Academy in Sardegna?

Devo dire che pian piano stiamo raggiungendo tutti gli obiettivi che ci siamo posti. Abbiamo appena inaugurato la nuova sede a Villacidro: 200 metri quadri che utilizziamo anche per alcuni allenamenti indoor durante le giornate più brutte. Anche se siamo in Sardegna, ogni tanto capita che piova (ride, ndr). Stiamo ricevendo supporto anche dalle istituzioni, anche se non è proprio così semplice. Logicamente l’aiuto dei nostri sponsor è il motore di tutto con Assos, Specialized, Ekoi, Crai. In più sin dall’anno scorso abbiamo lanciato un progetto nelle scuole. Cinque giornate, in cui abbiamo organizzato una mattinata incentrata sul ciclismo e sullo spiegare come funziona. Siamo riusciti a coinvolgere 1.600 ragazzi e questo non ha prezzo. Loro sono il futuro e noi dobbiamo dargli la possibilità di innamorarsi di questo sport. 

Monte Grappa: analisi, ricordi e numeri con Fabio Aru

24.10.2023
5 min
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«Quel giorno sul Grappa c’era un grande tifo. Il supporto del pubblico fu tantissimo. Io poi ero giovane ed erano le prime volte che mi affacciavo ai piani alti delle classifiche. In più non mi funzionava la radiolina. Ad un certo punto “Martino” mi urlò dall’ammiraglia che ero sul filo con Quintana e allora andai ancora di più a tutta». Fabio Aru ricorda così la scalata del Monte Grappa.

Era la 19ª tappa del Giro d’Italia del 2014 e quell’anno una cronometro individuale portava da Bassano alla vetta del Grappa appunto, passando da Semonzo. Lo stesso versante che si affronterà, per due volte, nella prossima edizione della corsa rosa. 

«In carriera ho scalato tre versanti del Grappa – dice Aru – di quel giorno ricordo che cercai di trattenermi nei primi 7-8 chilometri di pianura e poi mi scatenai in salita, soprattutto dopo il cambio di bici. Ero partito con quella da crono. Io non ero tipo da fare troppi calcoli o sopralluoghi. E anche quella mattina ricordo che visionai in bici solo un pezzetto, poi il resto lo feci in macchina. Preferivo prestare più attenzione ad aspetti come quello dell’alimentazione, per dire».

Fabio Aru impegnato sul Grappa. Era il 30 maggio 2014 e dopo quella scalata il sardo guadagnò il podio del Giro
Fabio Aru impegnato sul Grappa. Era il 30 maggio 2014 e dopo quella scalata il sardo guadagnò il podio del Giro

Come l’Alpe Huez

I dati ufficiali della salita dicono che è lunga 18,1 chilometri, che ha una pendenza massima del 17 per cento e una media dell’8,1, per un dislivello pari a 1.475 metri. Fino a Campo Croce, metà salita, la strada è abbastanza stretta, nella vegetazione, e si conta una ventina di tornanti. Poi lo scenario si apre sempre di più… Anche fino a scorgere il campanile di San Marco a Venezia, ma non è certo questa l’occasione per ammirare la Serenissima!

«Si tratta di una salita dura – prosegue Aru – ma soprattutto lunga. Le pendenze non sono impossibili tipo uno Zoncolan. Il Monte Grappa ricorda quasi una scalata del Tour, ma è proprio la sua lunghezza a far sì che non passi “inosservata”.

E guarda caso la pendenza media del Monte Grappa dal versante di Semonzo è identica a quella dell’Alpe d’Huez, che in Francia è un totem. 

«La prima parte, se ben ricordo, è quella che tirava di più, poi nella parte centrale c’erano dei tratti in cui ti faceva respirare un po’. E di nuovo era molto dura nel finale». 

Il profilo del Grappa da Semonzo che il prossimo Giro affronterà due volte, prima di planare su Bassano
Il profilo del Grappa da Semonzo che il prossimo Giro affronterà due volte, prima di planare su Bassano

Quasi un’ora

Ma come diceva Aru la caratteristica principale del Monte Grappa è la sua lunghezza. La salita è piuttosto regolare e le pendenze raramente vanno in doppia cifra. L’effetto quota poi è limitato visto che non si toccano i 1.700 metri.

«Parliamo di uno sforzo di circa un’ora e anche alimentarsi sarà importante. Rispetto ai miei tempi – spiega Aru – anche se sono passati pochi anni, sono stati fatti passi da gigante su questo campo. Oggi si usa molto di più l’alimentazione liquida, con malto e gel. Alimentarsi servirà senza ombra di dubbio, poi saranno i team a definire al dettaglio questi aspetti».

Quali rapporti?

C’è poi un altro discorso legato alle pendenze, quello dei distacchi e delle differenze. E’ vero che non ci sono molti tratti sopra al 10 per cento, ma proprio per questo ci si possono attendere delle velocità non bassissime. E questo porta con sé altri ragionamenti tecnici.

«Sinceramente non ricordo di preciso a quanto salissi, anche perché sul computerino non tenevo sott’occhio i watt. Ricordo però che all’epoca in Astana avevamo il Campagnolo e di sicuro avevo la corona da 39 con la cassetta posteriore 11-29. Ovviamente il 29 non l’ho mai utilizzato. Al massimo ho usato il 21 nei tratti più duri e poi a scendere negli altri. E quando spingi questi rapporti, su queste pendenze che non sono quelle di uno Zoncolan i distacchi possono essere alti. Stare a ruota può aiutare tantissimo».

Con queste velocità, chi è al gancio potrebbe davvero sfruttare al massimo la scia e salvarsi. Ma se si aprisse un buco ecco che il divario di velocità sarebbe subito importante.  La questione è delicata quanto interessante.

La doppia scalata da Semonzo è inserita nella Alpago – Bassano del Grappa, 20ª tappa del prossimo Giro
La doppia scalata da Semonzo è inserita nella Alpago – Bassano del Grappa, 20ª tappa del prossimo Giro

Vam, velocità, tattica

Tattica e non solo gambe. Aru sottolinea questo aspetto molto importante. E’ presumibile che viste la VAM (velocità ascensionali medie) attuali, la scalata potrebbe durare 54′-58′, il che significa una velocità media sul filo dei 20-21 all’ora.

Per farci un’idea. Quintana vinse quella crono con 17” su Aru e impiegò 1h05’37” alla media di 24,5 chilometri orari, compreso però il tratto pianeggiante di 8 chilometri, che i big come Nairo, impiegarono in circa 9′. Pertanto la scalata di Quintana fu di 56′, pari ad una VAM di 1.580 metri/ora, la stessa identica VAM di Pogacar e Vingegaard sul Ventoux nel 2021 al Tour, tanto per individuare una salita di durata simile.

Ma quella era una cronoscalata. Quindi corridori a tutta per tutto il tempo, gambe fresche. Stavolta ci si arriverà in gruppo, ci sarà anche una componente tattica. Quindi veramente si potrebbe salire per un’ora.

Il tutto senza considerare il fattore vento. Nelle giornate “normali” si avverte solo nel finale, quando si è in prossimità della vetta. Ci sono davvero dunque tutti i presupposti per godersi un grande spettacolo e soprattutto che questa montagna possa davvero essere decisiva ai fini della maglia rosa.

L’analisi di Mazzoleni sull’ultima cronoscalata del Giro

27.01.2023
5 min
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Dopo le considerazioni di Baldato sulla tappa numero venti del prossimo Giro d’Italia (la cronoscalata di Monte Lussari) cerchiamo di entrare maggiormente nello specifico. Una frazione del genere ha tante possibili sfaccettature ed altrettanti finali pronti per essere scritti. In compagnia virtuale di Maurizio Mazzoleni, il preparatore dell’Astana Qazaqstan che al momento si trova sul Teide, cerchiamo di entrare in queste mille sfaccettature. 

«La prima valutazione – spiega Mazzoleni – vedendo la tappa, è che si presuppone un cambio bici. Però non è assolutamente detto, ogni squadra dovrà valutare i materiali a disposizione e capire, tramite le proiezioni dei dati, se converrà optare per questa soluzione».

Maurizio Mazzoleni segue tutti i corridori dell’Astana Qazaqstan
Maurizio Mazzoleni segue tutti i corridori dell’Astana Qazaqstan
Credi che l’eventuale cambio di bici possa essere una fase fondamentale della tappa?

Sì, nel senso che sarà un passaggio delicato, ma più per quanto riguarda i tempi e le difficoltà tecniche del cambio da un mezzo all’altro. 

Dal punto di vista atletico?

Quello no, il corridore passa da una situazione biomeccanica e posturale estrema ad una più comoda. Ogni situazione dovrà essere curata al meglio ma alla fine si tratta più di gestire lo sforzo.

Undici chilometri di pianura prima della salita non sono molti ma possono incidere.

Andrà valutata bene l’intensità con la quale affrontare quel tratto, non si può richiedere all’atleta uno sforzo massimale perché rischia di arrivare ai piedi della salita finito. La grande differenza la farà la condizione con la quale arriverà a fine Giro. Ci si giocherà la classifica finale, quindi la pressione psicologica sarà alle stelle. 

Con la vittoria della cronoscalata del Grappa, Quintana consolidò il Giro 2014
Con la vittoria della cronoscalata del Grappa, Quintana consolidò il Giro 2014
Come si prepara una tappa del genere?

Si svolgono lavori specifici all’interno di macrocicli e microcicli di allenamento, per la parte in salita si prepara uno sforzo intenso ma molto simile a quello di un normale arrivo in salita. Avremo i classici trenta minuti con sforzo massimale, ai quali si aggiunge il lavoro specifico con la bici da crono. Una cosa è certa…

Quale?

Una tappa così la prepara solamente il leader o uno scalatore che punta alla vittoria. Gli altri componenti della squadra non ne hanno il minimo interesse. Ogni leader o comunque ogni corridore è diverso e i modi di preparare questa tappa sono tanti. 

C’è una caratteristica di questa frazione che ti ha colpito?

Direi la salita. I primi cinque chilometri sono davvero tosti con pendenze anche al 15 per cento. Poi spiana per più o meno mille metri e lì i corridori potranno rifiatare prima di lanciarsi nuovamente nel tratto finale. 

Nella cronometro del Tour nel 2016 Aru ha utilizzato una ruota con una raggiatura speciale al posteriore
Nella cronometro del Tour nel 2016 Aru ha utilizzato una ruota con una raggiatura speciale al posteriore
Con tutte le strumentazioni si riesce ad essere precisi nelle indicazioni?

Ormai gli atleti nelle cronometro, soprattutto in quelle di questo genere, hanno delle predisposizioni di wattaggio che devono rispettare. Sta al preparatore essere bravo e trovare i momenti giusti nei quali l’atleta, seppur spingendo, potrà comunque rifiatare. Un altro aspetto fondamentale da curare sarà la respirazione, per una corretta ossigenazione dei muscoli. 

Nel passato hai seguito tanti corridori, ti ricordi di altre cronoscalate?

Me ne ricordo una al Giro d’Italia del 2014, quella del Monte Grappa, con Aru (foto di apertura, ndr). Vinse Quintana e secondo arrivò Fabio. Anche in quel caso ci fu il cambio di bici perché il tratto che da Bassano portava all’attacco della salita era molto veloce. Ne ricordo anche un’altra.

Quale?

La tappa numero 18 del Tour de France del 2016: da Sallanches a Megeve. Sempre con Fabio Aru che aveva fatto veramente bene. In quel caso non optammo per il cambio bici perché si potevano ancora adoperare le estensioni per il manubrio da strada. Ricordo che studiammo i materiali per avere la massima performance e Aru utilizzò una ruota posteriore con una raggiatura particolare. Fabio nei tratti in salita si alzava spesso sui pedali e quella ruota aveva una grande reattività che permetteva di spingere a terra tutta la potenza impressa dal sardo. 

La tappa di Megeve del 2018 la vinse Froome con la bici da cronometro, i mezzi sono migliorati molto da allora
La tappa di Megeve del 2018 la vinse Froome con la bici da cronometro, i mezzi sono migliorati molto da allora
E’ impensabile fare una cronoscalata come quella di quest’anno con la bici da crono?

Non del tutto, la tecnologia è andata avanti molto ed ora i modelli da cronometro sono estremamente leggeri. Alcuni telai che vengono utilizzati su quei mezzi sono “aero” e cambia solamente il manubrio. La posizione in sella fa tanto, una bici da strada risulta più comoda, il cambio bici lo si potrebbe fare anche per questo motivo. 

Baldato, guardando in “casa sua” ha fatto il nome di Almeida. Un corridore costante e forte mentalmente, conterà tanto questa caratteristica?

Una tappa del genere è in mano al cento per cento all’atleta. La concentrazione è una capacità intrinseca al corridore, si può allenare ma poi ognuno è fatto a suo modo. Una figura importante in una corsa del genere è il mental coach perché può aiutare il ciclista a trovare la sua dimensione ideale e rendere al massimo. 

Di solito ci si attiene a quello che può considerarsi un “rito” per isolarsi e trovare la concentrazione.

Certo, per ogni cronometro noi abbiamo dei protocolli che vanno seguiti. Si parte dalla ricognizione, poi il pranzo e l’avvicinamento, il warm up. Sono tempi canonici che aiutano a scandire il tempo ed allontanare le pressioni. Diventa quasi più un fatto mentale che fisico. 

Un anno dopo, parlando ancora con Aru di Baroncini

03.12.2022
5 min
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Leggendo il pezzo di ieri in cui Filippo Baroncini (gs_ph.oto in apertura) raccontava la sua prima gara di ciclocross, la memoria è tornata a quel giorno di fine 2021 in cui l’allora campione del mondo degli U23 si ritrovò a pedalare sui Monti Sibillini accanto a Fabio Aru, fresco di ritiro. Baroncini indossava la maglia iridata con le insegne della Colpack-Ballan, Aru quella del Team Qhubeka-Assos con cui aveva chiuso la carriera dedicandosi anche lui al cross nei mesi prima del debutto su strada.

Aru e Baroncini si conobbero sulle strade di #NoiConVoi2021 e da lì iniziò lo scambio di consigli
Aru e Baroncini si conobbero sulle strade di #NoiConVoi2021 e da lì iniziò lo scambio di consigli

L’idea giusta

Fabio è in Sardegna per delle cose da fare nella sua Academy di ciclismo e domattina rientrerà a casa. Però intanto, avendo letto del debutto di Baroncini nel cross e della sua idea di correre domani a Vittorio Veneto (Filippo è iscritto nella categoria Uomini Open con il numero 46) , gli abbiamo chiesto un parere ricordando quella loro uscita e perché Baroncini quanto a statura e peso (1,88 per 74 chili) ricorda da vicino Van Aert (1,90 per 78 chili) anche nell’attitudine.

«Forse del cross avevamo anche parlato quella volta – ricorda il sardo – ma non ricordo bene. Di sicuro è qualcosa che gli servirà molto, sia all’inizio di stagione sia alle classiche. Vittorio Veneto è una gara durissima. Io l’ho vinto quando ero under 23, mentre non l’ho fatto nel 2021. Ero stato a San Fior e in Friuli. Comunque per un ragazzo di 22 anni come lui fare cross in inverno non è male, ma di certo è un po’ inusuale».

Fabio Aru, Montodino 2020
Alla vigilia della sua ultima stagione da pro’, Aru cercò (e trovò) entusiasmo e gamba nel ciclocross
Fabio Aru, Montodino 2020
Alla vigilia della sua ultima stagione da pro’, Aru cercò (e trovò) entusiasmo e gamba nel ciclocross
Perché inusuale?

Solitamente si parte da piccolini, poi da under 23 ti fanno smettere. Però la trovo un’ottima alternativa. Se piove o c’è tempo brutto, invece di andare su strada, l’alternativa di fare ciclocross o mountain bike è molto valida. Quando è freddo, le velocità più basse possono salvarti, oltre ad eliminare i problemi della strada. In meno tempo, fai un allenamento super, invece su strada servono sempre tante ore e poi magari fa freddo.

Baroncini avrà dei benefici?

Il cross è un’ottima alternativa alla strada. Magari non puoi fare la stagione da ottobre a febbraio, però fare un po’ di cross a fine novembre e dicembre, qualche gara può funzionare. Quando l’ho fatto l’anno scorso, mi accorsi di avere un colpo di pedale molto più pronto. A maggior ragione quando inizi su strada e inizi a fare un po’ più di endurance, hai la gamba già molto più pronta. Alla fine, anche chi fa pista ha gli stessi benefici. Comunque sia, sono sforzi brevi e intensi, che su strada tornano bene. 

Quindi una fase di preparazione?

Tutto sommato, Filippo ha le caratteristiche fisiche di un Van Aert e magari se le corse cui punterà diventano quelle, come capacità muscolare e cardiaca, avrà dei giovamenti. Gli uomini delle classiche ormai partono a tutta. Le gare sono diventate sempre più esigenti già da inizio stagione, a gennaio ci si deve presentare già con dei valori molto importanti. Perciò il cross ti permette di mantenere il motore sempre bello attivo e in spinta. Il giusto numero di gare: vedo che anche i big, Van der Poel e Van Aert, ormai fanno un calendario limitato.

Baroncini ha raccontato di aver tenuto la stessa altezza di sella della strada e di aver sofferto con le gomme…

Solitamente io ero sempre un centimetro scarso più basso e uno più corto. Nel fuoristrada sei sempre un pelino più basso, però magari lui si trova bene così. Un consiglio che posso dargli è di curare la pressione delle gomme. Quando facevo cross 15 anni fa, avevo imparato a scegliere in base ai percorsi e al mio peso. L’anno scorso invece ho sbagliato completamente le prime 2-3 gare perché gonfiavo troppo alto. Facevo 1,7-1,8, su percorsi dove potevo andare a 1,3-1,4 per il peso che avevo, che era a 62-63 chili. Serve avere lo strumento per misurarla con precisione, la semplice pompa non basta.

Oggi Aru è testimonial di Specialized ed Ekoi: qui con i bimbi della sua Academy in Sardegna
Oggi Aru è testimonial di Specialized ed Ekoi: qui con i bimbi della sua Academy in Sardegna
Come va in Sardegna con la tua Academy?

Stiamo definendo delle cose per il prossimo anno. Però intanto c’è questo circuito da ciclocross che è chiuso tutto l’anno, completamente tracciato e a nostra disposizione. Ce lo dà il Comune nella zona industriale del mio paese e lì dentro si possono allenare quando vogliono. I tre direttori della Academy fanno anche la manutenzione, perché sono tuttofare e appassionati. Con i piccoli c’è bisogno di questo.

All4Cycling, due mondi in uno e la community cresce

10.11.2022
6 min
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Viaggio curioso nel mondo di All4Cycling a Gazzada Schianno, in provincia di Varese, fra le vetrine del negozio fisico e i meccanismi dell'online, le social ride e la community degli utenti

Alle spalle del negozio inizia un altro mondo. Come nei film western, quando alle spalle del bancone c’erano quelli che giocavano a poker. Alle spalle del banco di All4Cycling c’è invece il mondo dell’e-commerce ed è davvero la porta su un universo parallelo. Dalle postazioni, gli addetti ai lavori maneggiano gli oggetti venduti e dispongono la spedizione. Il magazzino, come tutti i magazzini, è il regno del caos organizzato. Ma alla base si respirano una grande passione per la bicicletta e un’ancora più grande voglia di lavorare.

Matteo Ruzza è il responsabile marketing di All4Cycling
Matteo Ruzza è il responsabile marketing di All4Cycling

Provincia di Varese

Siamo a Gazzada Schianno, comune varesino di neanche 5.000 abitanti, dove ha sede il negozio di All4Cycling. Ne abbiamo già parlato altre volte, ma oggi siamo venuti a guardarlo da vicino. Ci guida Matteo Ruzza, responsabile marketing dell’azienda, e intanto spiega quali siano le strategie commerciali e in che modo il negozio fisico interagisca con quello online.

«All4Cycling – dice – è una realtà e-commerce completamente italiana, con sede a Varese. Nasce appunto come sito Internet nel 2006. Nel 2011, dall’esigenza di avere un punto di riferimento anche sul territorio, si attiva con un pick and pay, quindi soltanto per il ritiro degli ordini online».

Specialized è uno dei marchi più presenti nel negozio di All4Cycling a Gazzada: come bici e accessori
Specialized è uno dei marchi più presenti nel negozio di All4Cycling a Gazzada: come bici e accessori

«Nel corso degli anni, per l’esigenza di essere presenti sul territorio e di rifornire anche gli appassionati di qui, inizia la vendita di abbigliamento. Fino ad avere, ingrandendosi ulteriormente, un punto vendita molto fornito nel quale è possibile trovare tutto quello che viene messo a disposizione online».

Negozio e community

Quel che ha distinto All4Cycling dal post pandemia e fino a pochi giorni fa sono state le iniziative social messe in atto, nella forma di uscite in bici e interventi di campioni, per raccontare, spiegare, intrattenere e consolidare la community.

«Inizialmente – spiega Matteo Ruzza – volevamo introdurre e valorizzare il mercato gravel, poi alla fine abbiamo capito che c’era l’esigenza di creare una community e di portare gli appassionati a conoscenza del territorio. Quindi le social ride hanno smesso di essere solo gravel raid e ci siamo aperti anche a diverse pedalate. Con le mountain bike e poi anche su strada qualche settimana fa con Fabio Aru. 

«I valori aggiunti di forza di All4Cycling – prosegue – sono due: il fatto di avere delle persone che conoscono il ciclismo perché lo praticano o lo hanno praticato. E poi c’è proprio il cercare di fare community per evitare di rimanere soltanto su un rapporto venditore/cliente. Questo secondo noi è importante».

All4Cycling è anche un punto Oakley, con la possibilità di personalizzare i propri occhiali
All4Cycling è uno Shimano Service Center, centri di riferimento presenti in tutto il mondo
Come è suddiviso il vostro mercato?

Inizialmente il pubblico era strettamente road, perché questo era il percorso di crescita di All4cycling, nato vendendo principalmente prodotti per la strada. Partendo dall’abbigliamento delle squadre professionistiche, per arrivare all’abbigliamento di collezione, introducendo successivamente componenti e accessori. Come ultima cosa sono state portate dentro le bici. Questo è stato il nostro percorso. Ora la strada è ancora predominante.

E la gravel?

La gravel non dico che sia altalenante, però fondamentalmente non sappiamo ancora dove si posizionerà. In questo momento sta andando molto bene. E anche la mountain bike fa la sua parte, forse possiamo dire che ci stiamo avvicinando un punto di pareggio fra le tre discipline in gioco.

All4Cycling è anche un punto Oakley, con la possibilità di personalizzare i propri occhiali
All4Cycling è anche un punto Oakley, con la possibilità di personalizzare i propri occhiali
A cosa serve portare i campioni nel negozio?

Nelle attivazioni con i clienti, i campioni hanno ancora sicuramente il loro fascino. Abbiamo fatto un meet and greet con Vingegaard che è andato molto bene. Poi abbiamo fatto una social ride con Fabio Aru e anche quella, al pari dell’incontro con Vingegaard, è andata sold out in pochissimo tempo. Il campione ha il suo fascino, ma è stato bello vedere che dopo il periodo della pandemia la gente ha voluto essere presente, riscoprendo la socialità della bici. E questo per noi è molto importante e non smetteremo di farne.

C’è differenza fra il cliente del negozio e quello dell’online?

Chi acquista in rete, si concentra più su abbigliamento, componentistica e accessori. Con la bici è più complicato, perché arriva smontata e non tutti sono in grado di montarla. Quel che funziona nell’online è l’immediatezza e se mi arriva la bici e poi devo andare in un altro negozio per farla montare, l’immediatezza sparisce.

Riuscite a seguirli entrambi nella stessa maniera?

Nella fase della consulenza, noi cerchiamo in tutti i modi di essere il più possibile presenti anche online. E’ vero che il cliente arrivando in negozio ha la possibilità di confrontarsi con i ragazzi che sono super esperti, ma anche online abbiamo aperto tutti i canali. Abbiamo una chat, abbiamo le mail, abbiamo il servizio clienti telefonico. Insomma vogliamo far percepire al cliente online che dietro al robot dell’e-commerce c’è anche una persona competente, in grado di consigliare come se ce l’avessero davanti nel negozio.