La Vuelta 2026

Una Vuelta “mediterranea” ma tremenda, vero Aru?

18.12.2025
7 min
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Adesso la lista è completa. Dopo il Tour de France e il Giro d’Italia, anche la Vuelta svela il suo percorso. E a guardare la planimetria dell’81ª edizione sembra quasi di vedere un vecchio Giro del Mediterraneo: tutta vicino alla costa. E a ribadirlo è stato lo stesso patron della corsa roja, Javier Guillen: «Sarà un’edizione molto mediterranea, dall’inizio alla fine. Monaco darà un via prestigioso a un percorso che visiterà città storiche, salite mitiche e passi inediti, prima di concludersi in una cornice unica come l’Alhambra».

Come sempre a disegnare il tracciato iberico è l’ex pro’ (scalatore) Fernando Escartín che, stavolta, pur senza i nomi più altisonanti come Angliru, Bola del Mundo o Lagos de Covadonga, ha regalato un’edizione tremenda in quanto a durezza: 3.310,6 chilometri e oltre 58.000 metri di dislivello. Una cronometro di 32,5 chilometri e sette arrivi in quota.

E da uno scalatore a un altro. Noi passiamo infatti a Fabio Aru per commentare questa Vuelta. Lui che è stato l’ultimo italiano ad averla conquistata, nel 2015. E che ieri era alla presentazione del Grande Giro spagnolo. «E’ una Vuelta dura – commenta il sardo – come d’abitudine del resto, e che a me sarebbe piaciuta moltissimo. Vero, c’è tanto Sud come si vede dalla planimetria e questo può essere un elemento in più. Sud della Spagna vuol dire caldo, tanto caldo… anche a settembre. Io ricordo dei ritiri sulla Sierra Nevada a febbraio con 20 gradi».

Fabio Au ha conquistato la maglia roja nel 2015, quando era nelle fila dell’Astana
La Vuelta 2026
Fabio Au ha conquistato la maglia roja nel 2015, quando era nelle fila dell’Astana

Start da Monaco

Si parte dal Principato di Monaco e proprio lì è stata presentata la Vuelta. Lo show, perché di show si è trattato, è andato in scena nella prestigiosa Salle des Étoiles del Monte-Carlo Sporting ed è stato un vero e proprio evento, capace di alternare sport, racconto e intrattenimento.
Dopo le partenze italiane che hanno segnato la storia recente della corsa, la Vuelta prosegue nel suo percorso internazionale, così come Monaco stessa. Il Principato infatti aveva già ospitato il Giro d’Italia del 1966 e il Tour de France del 2024.

Chiaramente non poteva mancare il Principe Alberto II, che ha espresso grande soddisfazione per l’arrivo de La Vuelta nel Principato. Tra l’altro era stato presente anche a Pechino: «Monaco è stata nel 2025 Capitale Mondiale dello Sport e questo sottolinea quanto i valori sportivi siano profondamente radicati nella vita monegasca».

Si parte con una crono. E poi ce ne sarà un’altra. Quanto sarà il peso di queste frazioni contro il tempo? «Ormai gli uomini di classifica vanno tutti forte a crono (con Remco che ha qualcosa in più, ndr). Fra tutte e due immagino distacchi di 20″-30″. Per dire, quando le facevo io era diverso. L’anno che vinsi la Vuelta Dumoulin mi rifilò 2′ in 30 chilometri più o meno!»

La Vuelta 2026
Il Principe Alberto II e il patron della Vuelta, Javier Guillen
La Vuelta 2026
Il Principe Alberto II e il patron della Vuelta, Javier Guillen

Subito crono… e salite

La prima tappa è quindi una cronometro di 9 chilometri nel Principato, in pratica sulle strade del GP di Formula 1. Già qui qualche distacco potrebbe esserci. Il giorno dopo va in scena la frazione più lunga, la Monaco-Manosque di 215 chilometri, mentre quello successivo propone già il primo arrivo in quota, a Font Romeu. Nulla di impossibile, tuttavia si sfiorano già i 2.000 metri di altitudine.

E il giorno dopo ancora salite, e che salite. C’è infatti una tappa tutta andorrana di appena 104 chilometri ma con scalate come l’Envalira e Ordino. Il dislivello si avvicina ai 4.000 metri.

La prima settimana si chiude con altre due frazioni toste: la settima con arrivo sull’Aramón Valdelinares e la nona con l’Alto de Aitana, sulla Costa Blanca.

«Ci sono salite e tanto dislivello qua e là – spiega Aru – e questo può creare scompiglio, mettere fatica nelle gambe. Se manca un salitone monster? Guardate che il dislivello complessivo è tanto per davvero.

«Ma ci sono anche tante tappe intermedie e certe frazioni potrebbero creare più scompiglio di altre arrivi in salita lunghi. Ritmi folli, tappe corte e grande caldo… Anche questo potrebbe essere un punto di vista tattico importate. Sono frazioni che possono fare danni».

Seconda settimana corposa

E’ forse la più facile sulla carta, ma di certo la più insidiosa: parliamo della seconda settimana. Ci sono almeno due tappe ondulate che potranno creare scompiglio, specie se ci fosse vento forte o maltempo. Siamo nelle zone a sud di Valencia e il vento potrebbe non mancare.
Calar Alto (lungo più di 33 chilometri), preceduto dal Velefique, potrà essere un primo vero, grosso giudice di questa Vuelta. Due giorni dopo, sulla Sierra de La Pandera, altro arrivo in quota, molte cose in più si sapranno. Siamo oltre metà Vuelta e chi ha gambe si farà vedere.

La seconda settimana si chiude con la frazione, intrigante, di Córdoba. Si annuncia un arrivo in volata, ma prima gli strappi non mancano. Pensando a quel che ci ha detto Primoz Roglic pochissimi giorni fa, e cioè che vi punta, questo potrebbe essere il passaggio più delicato per lo sloveno. Altro big annunciato al via è Joao Almeida. Mentre non si sa cosa farà il campione uscente, Jonas Vingegaard… il quale sembra dirottato sul Giro prima e sul Tour poi.

«Non conosciamo ancora il calendario di Vingegaard – va avanti Aru – ma sappiamo che ci sarà Almeida. Joao l’anno scorso ha disputato una super Vuelta, quindi questa potrebbe essere la sua grande opportunità. Solo il danese lo aveva battuto e per poco.

«Riguardo a Roglic, lui ne ha già vinte quattro e sa bene come si fa. Magari è in cerca di riscatto di questa stagione. A Pogacar poi è una delle pochissime gare che mancano in bacheca. Le contavo giusto l’altro giorno: saranno tre o quattro! Per me potrebbe farci un pensierino. Semmai posso dire che mi piacerebbe vedere Pellizzari. E Giro e Vuelta è una calendario che ci sta bene: mi piacerebbe vederlo sul podio».

Jonas Vingegaard è il campione uscente. L’anno scorso precedette Almeida e Pidcock
Jonas Vingegaard è il campione uscente. L’anno scorso precedette Almeida e Pidcock

Verso Granada

Ma torniamo a scoprire la Vuelta 2026, per i nomi ci sarà tempo visto che lo start è previsto il 22 agosto prossimo.

La terza settimana si apre in progressione: due tappe per sprinter, probabilmente le ultime. Poi ecco la grande cronometro di questa Vuelta: 32,5 chilometri a Jerez de la Frontera, una prova per veri specialisti. Il percorso è molto veloce.
Jerez de la Frontera è il terzo nome legato al motorsport: si parte sulle strade del GP di Monaco, si arriva a Jerez e non si va a Madrid, impegnata con il primo GP di Formula 1 della sua storia.

Archiviata la parte F1 e la cronometro, spazio a salite, salite e ancora salite. Penas Blancas Estepona è l’arrivo in quota della frazione 19, mentre Collado del Alguacil è quello della ventesima: 8,3 chilometri al 9,8 per cento di pendenza media. Si tratta di due tappe lunghe, entrambe oltre i 200 chilometri, e molto esigenti prima del finale. In totale sfiorano i 10.000 metri di dislivello complessivi. In particolare quest’ultima salita si annuncia davvero tosta. Sarà un grande spettacolo, anche paesaggistico: siamo infatti nella Sierra Nevada, la regina delle montagne spagnole.

Occhio poi alla frazione finale. In conferenza stampa la rampa dell’Alhambra è stata già ribattezzata la Montmartre di Granada. La tappa 21 non sarà una passerella: appena 99 chilometri, ma ricchi di strappi e curve. E se i distacchi saranno minimi, ne vedremo delle belle.

«Conosco bene il Sud della Spagna – conclude Aru – e credo davvero che il gran caldo potrà incidere: sarà un fattore. E poi il dislivello. Prima si diceva che mancano salite monster, ma una tappa come la penultima con la Sierra Nevada ha 5.200 metri di dislivello e quando si superano quei numeri, ma anche dopo 4.000 metri, cambia tutto. Per di più arriva alla 20ª tappa. Anche se non ci saranno pendenze e si salirà veloci importanti i distacchi ci saranno».

Fabio Aru Academy

Torniamo alla Fabio Aru Academy: come vanno le cose?

17.11.2025
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Fabio Aru Academy: vi ricordate? Ne parlammo quasi due anni fa, proprio quando l’ex professionista sardo lanciò questo ambizioso e lodevole progetto nella sua terra d’origine. E’ un’iniziativa nata per dare un futuro al ciclismo isolano, offrendo ai giovani una struttura stabile e un percorso formativo completo. Oggi, a distanza di questo lasso di tempo, vediamo come stanno andando le cose. E perché è così importante insistere anche laddove fare ciclismo non è semplice né naturale, benché il territorio paradossalmente lo consentirebbe meglio che altrove, con meno traffico e un clima ideale.

Vi anticipiamo subito che la crescita c’è ed è costante. I ragazzi dell’Aru Academy vanno forte, non solo in gara, ma nell’attività quotidiana su strada, in Mtb e nel cross. E’ questo l’aspetto che più conta.

Aru con Federico Balconi (Zerosbatti) e gli esponenti di Luna Rossa (tra cui si riconosce Simion) nella base della nota imbarcazione
Aru con Federico Balconi (Zerosbatti) e gli esponenti di Luna Rossa (tra cui si riconosce Simion) nella base della nota imbarcazione
E dunque Fabio, come procedono i lavori della tua Academy?

La base è sempre a Villacidro. Abbiamo le squadre da G1 ad allievi. L’attività la svolgiamo prevalentemente nel nostro territorio e in tutta la Sardegna, anche se quest’anno siamo andati sulla terraferma. Infatti con dieci bambini siamo stati al Meeting Nazionale dei Giovanissimi a Viareggio. Portiamo avanti con decisione anche il progetto scuole: così facendo abbiamo messo in sella 2.600 bambini.

Cioè?

Con i nostri tecnici, i caschi Specialized e le nostre bici andiamo nelle scuole e facciamo provare i ragazzi: li mettiamo in sella e li avviamo al ciclismo. Non solo: con l’aiuto di Zerosbatti e Imago Mundi cerchiamo di proporre la bici non soltanto come mezzo sportivo o agonistico, ma come stile di vita sano e strumento per la mobilità sostenibile. Abbiamo anche fatto degli incontri alla base di Luna Rossa a Cagliari. C’erano tanti enti: e’ stato un bel risultato, che ha riscosso attenzione anche a livello nazionale.

Tra progetti con le scuole ed eventi promozionali, in due anni la Fabio Aru Academy ha messo in bici 2.600 bambini
Tra progetti con le scuole ed eventi promozionali, in due anni la Fabio Aru Academy ha messo in bici 2.600 bambini
Una vera attività promozionale…

Esatto. Ma secondo me noi corridori del passato dobbiamo farlo. Anche perché se vogliamo i campioni del domani, da qualche parte bisogna iniziare. Penso per esempio anche a Sbaragli, che tempo fa ha postato la foto della sua squadra a Castiglion Fiorentino, mi pare… Dobbiamo fare qualcosa per l’attività giovanile.

Invece, Fabio, qual è lo stato dell’attività agonistica in Sardegna? In poche parole: le gare ci sono?

Alla fine le gare per giovanissimi, esordienti e anche allievi ci sono. Il problema semmai è il livello, perché restando solo in Sardegna inevitabilmente è più basso. Per questo ogni tanto è vitale andare fuori regione. Serve un confronto più ampio.

Chiaro, altrimenti resta un “circuito chiuso”…

Esatto. Per chi vive in Lombardia, Toscana, Veneto… con 200-300 chilometri, ma anche molto meno, hai un raggio enorme di possibilità e di confronto. Per noi è tutto più complesso e costoso: dobbiamo prendere un aereo o una nave, prenotare un hotel, imbarcare i mezzi e impiegare molto tempo. Non sarebbe sostenibile farlo sempre. Tuttavia, grazie al supporto di alcune aziende, ogni tanto ci riusciamo. Servirebbero più fondi. Stiamo lottando da tre anni per provare a perseguire obiettivi più grandi.

Sono dieci le persone dello staff che supportano la Fabio Aru Academy
Sono dieci le persone dello staff che supportano la Fabio Aru Academy
E quali sono?

Provare ad alzare il livello del confronto. Ma vorrei ricordare che la Fabio Aru Academy non punta solo a creare campioni. Una nostra prerogativa è il rispetto delle regole, l’educazione. Preferisco avere bravi bambini, prima ancora di piccoli corridori che vincono. Che siano composti e che la bici per loro sia una scuola di vita.

Tu non vivi in Sardegna: ogni quanto vai a trovare la tua Academy?

Una decina di volte l’anno. Mi piace seguire i ragazzi. Però devo dire che ho un bel team: una squadra di dieci persone tra direttori sportivi e collaboratori che li seguono in allenamento, gli stanno vicino e mantengono le nostre strutture.

Cosa intendi per strutture?

Abbiamo un percorso di ciclocross di due chilometri e mezzo, uno di MTB cross country di cinque chilometri e una piccola pista dove facciamo anche delle gimkane.

Presenti anche tante bambine. Si corre su strada, in MTB e nel cross
Presenti anche tante bambine. Si corre su strada, in MTB e nel cross
Torniamo alle gare in Sardegna: quanti partenti ci sono mediamente?

Varia. Ci sono gare con 150 giovanissimi ed altre con 60-70. Noi organizziamo tre-quattro gare l’anno. Quest’anno, per esempio, abbiamo allestito il campionato regionale di MTB e al via c’erano 150 ragazzi nelle varie categorie. E’ vero: qualche anno fa erano di più, ma questi sono i numeri.

Ma questo non è un problema solo della Sardegna, Fabio…

A Villacidro, per esempio, nelle gare giovanissimi da G1 a G6 abbiamo avuto 117 partenti. In altre ce ne sono 40-50. E man mano che si sale di categoria sono ancora meno: tra chi lascia, chi prova e poi cambia, chi non prosegue.

Il vero spartiacque per un ragazzo che vuole fare ciclismo agonistico arriva sempre prima. Siamo ormai agli juniores… tu come la vedi?

Di certo oggi fare l’allievo è molto diverso rispetto a quando correvo io. I primi lavori specifici li ho fatti da junior. Oggi iniziano dagli esordienti con certi lavori e qualche test. E’ chiaro che il mondo va avanti, ma non metterei una regola unica per questo spartiacque. Ognuno ha il suo sviluppo e le sue tempistiche. Io, per esempio, sono cresciuto dopo i miei coetanei: se non avessi avuto pazienza, avrei smesso.

E per i più grandicelli ecco i primi test
E per i più grandicelli ecco i primi test
Dunque è possibile fare lo junior in Sardegna?

No, è molto difficile. Torniamo al discorso del livello del confronto. In quella categoria serve misurarsi la domenica con altri ragazzi. Io l’ho fatto viaggiando, ma alla base ci deve essere la consapevolezza da parte del ragazzo (e della sua famiglia aggiungiamo noi, ndr) di un grande impegno, una predisposizione al viaggio e al sacrificio. Potresti anche fare la preparazione invernale sull’isola, anzi dal punto di vista climatico sarebbe perfetta, ma poi devi viaggiare.

El Giro de Rigo, Aru e Uran

El Giro de Rigo: ricordi e sorrisi a casa di Uran. Aru racconta

08.11.2025
5 min
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Lo scorso weekend per un po’ è sembrato non solo che ci fosse ancora una corsa, ma anche di essere tornati indietro nel tempo. In un grande gruppo c’erano nello stesso momento Rigoberto Uran, Vincenzo Nibali, Fabio Aru, Egan Bernal, Valerio Agnoli, Nairo Quintana… Era El Giro de Rigo, la tradizionale gran fondo organizzata da Uran che è ormai sempre più un giorno di festa.

A raccontarci come è andata è proprio Aru, fortemente voluto da Uran. A Barranquilla, nella sua Colombia, Rigoberto ogni anno raduna migliaia di appassionati provenienti da tutto il Paese, ma anche da molte nazioni vicine e lontane.

Il fiume degli 8.000 al via, da 28 Nazioni per El Giro de Rigo
Il fiume degli 8.000 al via, da 28 Nazioni per El Giro de Rigo

La grandezza di Uran

Prima di entrare nel dettaglio con Aru, bisogna sapere che Uran è una vera star nel suo Paese, nonostante abbia vinto meno rispetto a gente come Bernal o Quintana. Sui social è seguitissimo, ha un tour operator specializzato, una catena di ristoranti e gode di enorme rispetto tra i colleghi, anzi ex colleghi. In tanti anni di interviste non c’è stato uno che non abbia espresso parole di stima nei suoi confronti. L’ultimo in ordine di tempo è stato Gianluca Brambilla.

«Posso confermare che è così – ha detto Aru – anche se non ho mai corso con Rigo, tra di noi c’è un ottimo rapporto. Nel 2020 passai alcuni giorni in Colombia, dalle sue parti a Medellín: ci allenammo insieme e restammo amici. In gruppo era sempre rispettato e benvoluto».

E’ così che in una soleggiata mattina di Barranquilla, cittadina colombiana nel distretto dell’Atlantico affacciata sul mar dei Caraibi, 8.000 ciclisti si sono ritrovati per affrontare due percorsi: uno da 165 chilometri e uno da 72.

«E’ stato un evento veramente bellissimo – ha raccontato Aru – Rigoberto è davvero popolare e in Colombia è una star, ha un seguito pazzesco. Per non parlare poi dell’organizzazione: perfetta. Tanti spazi dedicati dopo l’arrivo, servizi ad hoc… Agnoli ha anche fatto i massaggi! C’erano ciclisti dal Venezuela, dall’Argentina, dall’Ecuador e tutto questo bene Rigo se lo merita. Tra l’altro una giornata così è un’ottima propaganda per il ciclismo. E il fatto che tanti campioni abbiano risposto presente la dice lunga».

Campioni tra la gente

E’ stata così una due giorni di festa. Dall’Italia, Agnoli, Nibali e appunto Aru sono volati tutti insieme. Già l’accoglienza all’aeroporto è stata super calorosa, tra foto, fan e l’ospite di casa ad attenderli. Sono arrivati il venerdì, hanno fatto un giro per la città, anche in barca, e il sabato sono stati con Uran al villaggio della gara per le attività legate all’evento. Poi, la domenica mattina, si sono buttati nella mischia.

«Abbiamo fatto il tracciato da 165 chilometri – prosegue Aru – ci siamo fatti una bella foto davanti al grande gruppo e poi abbiamo pedalato con la gente. L’obiettivo era proprio quello di stare tra gli appassionati. Alla fine il dislivello era di 1.500-1.600 metri, quindi non era impossibile. Ho pedalato con Vincenzo, Rigoberto ed Henao, mentre Bernal e Quintana erano più avanti. Ai ristori ci siamo fermati, fatto foto… e oltre ai sali e alle barrette ho mangiato anche le tipiche papas, una sorta di patate bollite!.

«Ci siamo divertiti molto, sia durante che dopo la gara. Nibali e Quintana sono saliti sul palco e si sono messi a cantare, altri hanno ballato. Io ci ho provato, ma sono davvero un pessimo ballerino!».

Il podio del Giro 2014: Quintana, Uran e Aru. Nairo fu il primo colombiano a conquistare la maglia rosa
Il podio del Giro 2014: Quintana, Uran e Aru. Nairo fu il primo colombiano a conquistare la maglia rosa

Il podio del Giro 2014

Aru rimarca il grande calore che Barranquilla e la Colombia intera hanno riservato a Uran. Questo evento è nato nel 2018 e ogni anno è cresciuto, diventando un vero must. Si dice anche che Uran voglia “esportare” le sue gare in tutto il mondo: sponsor e amici certo non gli mancano.
Come ricorda Aru, pur essendo una gara, esattamente come una nostra granfondo, c’è chi ha spinto, ma la maggior parte era lì per godersi la giornata.

L’occasione è stata anche un modo per raccontare aneddoti. «Alla fine – ricorda Aru – c’era presente il podio del Giro d’Italia 2014: primo Quintana, secondo Uran e terzo io. Fu una bella sfida e l’abbiamo ricordata».

Tra l’altro, una cosa che piace molto ai fan italiani è che, nonostante il Tour o la Vuelta, Uran abbia voluto chiamare la sua granfondo “Giro”, come il Giro d’Italia, per sottolineare il legame profondo con il nostro Paese e con la nostra corsa.

«Ma forse la cosa che mi ha colpito di più – aggiunge Aru – è stato il soprannome che mi hanno affibbiato i colombiani: El hombre de las mil caras, l’uomo dalle mille facce, per le mie espressioni quando pedalavo. Un po’ come Julian Alaphilippe. Gli ho spiegato che ero così perché facevo una gran fatica e spesso davo più di quello che avevo. Per il resto non abbiamo parlato troppo di ciclismo, ma ci siamo davvero divertiti e rilassati».

Indurain e Aru, dalla Maratona con lo sguardo alla Francia

06.07.2025
6 min
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CORVARA IN BADIA – Circondati dalle maestose Dolomiti, ma col pensiero che vola al Tour de France. Impossibile non parlarne nel weekend della Grand Depart quando ti imbatti in due campioni come Miguel Indurain e Fabio Aru, ospiti speciali della Maratona ciclistica amatoriale che ogni anno porta 8.000 appassionati da ogni angolo del mondo in Alta Badia e poi su e giù per le montagne patrimonio dell’Unesco che tutti ci invidiano.

Indurain è un veterano della Maratona delle Dolomiti, Aru è alla seconda partecipazione (foto Enervit)
Indurain è un veterano della Maratona delle Dolomiti, Aru è alla seconda partecipazione (foto Enervit)

I campioni e la Maratona

Entrambi stelle del Team Enervit, i due assi del pedale amano tornare in questi luoghi che hanno visto solo di sfuggita quando correvano da pro’, ma che ora possono godersi con un po’ più di tranquillità.

«Qui a Corvara una volta arrivai secondo (dietro a Franco Vona, 13ª tappa del 1992, ndr) – parte a raccontare il Navarro – ma poi vinsi quel Giro, per cui ho bei ricordi. Ho perso il conto di quante Maratone ho fatto qui, ma posso dire che è una manifestazione bellissima. Incontro sempre grandi amici, come Bugno, Sagan e tanti altri. L’anno scorso ero insieme a Fabio sul Falzarego. Lui faceva la diretta per la televisione mentre pedalava, mentre io ero al gancio in crisi e facevo fatica a tenere il suo passo». 

Il Cavaliere dei 4 Mori al suo fianco sorride e esordisce: «Per me è un piacere tornare qui dopo la prima volta dello scorso anno: è una gara unica e si pedala in posti fantastici. L’atmosfera e il calore degli appassionati sono incredibili. E’ un piacere godersi questo bellissimo momento di sport».

Dopo aver vinto il Giro del 1992, Indurain tornò al Tour, ottenendo il secondo di 5 successi, sfidato da Chiappucci e Bugno
Dopo aver vinto il Giro del 1992, Indurain tornò al Tour, ottenendo il secondo di 5 successi, sfidato da Chiappucci e Bugno

Pogacar favorito, ma…

Col pensiero si vola Oltralpe e si parla della corsa a tappe più attesa. «Non so dire chi la vincerà, perché il Tour è lungo e in tre settimane può succedere di tutto», ribatte Miguelon, vincitore di 5 Tour consecutivi dal 1991 al 1995. «Pogacar ci arriva sicuramente da favorito, poi vedremo come andrà. Ci sono i migliori corridori del mondo. Dietro a Tadej e Vingegaard, un gradino sotto, ci sono Evenepoel e tanti giovani che stanno crescendo, per cui sarà un Tour interessante».

Fabio, che si vestì di giallo e chiuse quinto nella generale otto anni fa, dà ragione allo spagnolo: «Quello che dice Miguel è vero, il Tour è lungo e ci sono tante dinamiche e cose che possono accadere, comprese cadute e problemi tecnici. Col Delfinato, Pogacar ha dimostrato ad oggi di essere il favorito, però Vingegaard è lì vicino, per cui speriamo che sia una bella sfida». 

Al Tour del 2017, Aru indossò la maglia gialla. Fu l’ultimo anno di grandi risultati per il sardo
Al Tour del 2017, Aru indossò la maglia gialla. Fu l’ultimo anno di grandi risultati per il sardo

La squadra e i dettagli

Con gregari di lusso come Joao Almeida per la Uae e Simon Yates per la Visma, la differenza potrebbero farla anche i compagni nei momenti chiave. «Sono due squadre fortissime, così come anche la Bora. Poi c’è Mas che va sempre forte – aggiunge Indurain, che poi si sposta sul suo connazionale in forza alla Movistar – ma gli manca sempre qualcosa per fare quel salto di qualità. Un po’ è una questione di “motore”, un po’ gli manca anche un po’ di sicurezza nei propri mezzi. Non deve aver paura di perdere e deve provarci di più».

Aru torna sulle guerre stellari: «Penso che Tadej e Vingegaard siano, soprattutto per i Grandi Giri, un pelino superiori a tutti gli altri. Poi corridori come Remco, O’Connor e tanti altri hanno senza dubbio qualità, ma sono sicuramente meno forti degli altri due. Scongiurando problemi, Tadej lo vedo un gradino sopra a Jonas. Nel ciclismo di oggi devi essere attento a tutti i dettagli, così come già quando ho smesso io. Sicuramente in questo lo sloveno è davvero un esempio, con una grande programmazione in allenamento, nel recupero e nell’alimentazione. Bisogna essere perfetti in tutto». 

Pogacar è il corridore che più piace al sardo: «Tadej senza dubbio, perché è un corridore completo. Ci ho fatto due anni in squadra insieme e sin da subito ha dimostrato il suo valore. Consigli? Non gliene ho mai dovuto dare, visto che ha sempre vinto. Si merita tutto quello che sta ottenendo perché è davvero un bravo ragazzo».

Alle intervist con Alan Marangoni, A Corvara c’è anche Peter Sagan
Alle intervist con Alan Marangoni, A Corvara c’è anche Peter Sagan

La crisi del ciclismo italiano

Indurain, invece, svela: «L’ultimo corridore che mi piaceva molto e che mi poteva un po’ assomigliare era Dumoulin. Era alto come me e andava forte a cronometro, ma anche in salita sapeva difendersi bene. Ora, invece, ci sono corridori meno di ritmo e molto più esplosivi come Pogacar, Vingegaard, Evenepoel e Van der Poel. Tutti gli sport cambiano, le tappe sono più corte e così anche le cronometro, ma è normale che sia così».

Negli anni di Indurain, l’Italia era una super potenza del ciclismo, mentre ora arranca. «Non so se all’Italia manchino corridori o il fatto di avere una squadra di spessore o forse ancora entrambe le cose. Non so quale sia il fattore scatenante di questa crisi, ma è davvero doloroso non vedere l’Italia protagonista. Nei miei anni aveva tanta abbondanza di grandi corridori sia per le classiche sia per i Grandi Giri. E’ un momento difficile perché poi si lotta contro superpotenze che hanno budget enormi, come la Uae Emirates».

Aru commenta così la situazione: «Per quanto riguarda le corse a tappe, non voglio mettermi in mezzo, ma direi che mancano corridori come Nibali. E’ un periodo in cui non abbiamo corridori per i Grandi Giri, per cui dobbiamo lavorare sui giovani e sperare di raccogliere qualcosa. Per quanto riguarda questo Tour, invece, mi aspetto qualcosa di buono da Milan, visto che già anche al Giro ha dimostrato il suo valore. Lo conosco poco, ma faccio il tifo per lui».

L’evento di Corvara richiama ogni anno 8.000 cicloturisti ed è in pieno svolgimento (foto Maratona delle Dolomiti)
L’evento di Corvara richiama ogni anno 8.000 cicloturisti ed è in pieno svolgimento (foto Maratona delle Dolomiti)

In Piemonte con la Vuelta

Italia e Spagna è un binomio che si fonderà anche ad agosto alla prossima Vuelta, vista la Gran Salida dal Piemonte. E, a proposito della saga di guerre stellari del pedale, ai nastri di partenza potrebbero esserci sia Pogacar sia Vingegaard. 

«Spero che Miguel possa esserci nella mia regione adottiva», fa Aru con un sorriso. «Se posso molto volentieri perché amo l’Italia e la Vuelta che partirà da voi sarà qualcosa di unico», ribatte Miguelon prima di concedersi un dolcino e lanciare uno sguardo alle Dolomiti che sono pronte ad abbracciarlo chilometro dopo chilometro lungo la Maratona. 

Fabio Aru nuovo ambassador dell’abbigliamento Ekoi

04.02.2025
3 min
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Fabio Aru, ex corridore professionista sardo e vincitore della Vuelta España 2015, ha intrapreso una nuova avventura nel mondo del ciclismo, questa volta nel ruolo di ambassador per quanto riguarda la linea di abbigliamento prodotta marchio francese Ekoi. L’azienda, specializzata nella produzione e vendita online di occhiali, caschi, scarpe, abbigliamento e accessori per il ciclismo, ha difatti scelto Aru come volto della propria linea di abbigliamento tecnico, consolidando così un rapporto iniziato già molti anni fa.

«Il primo viaggio di lavoro del 2025 – ha dichiarato Aru – ha segnato l’inizio della collaborazione con Ekoi come ambassador dell’abbigliamento. Sono legato a questa azienda dal 2015: con i loro occhiali ho colto i miei successi più importanti. Inoltre, cosa non da poco, ho personalmente visto da vicino l’impegno e la professionalità che hanno portato a una crescita costante senza mai trascurare l’aspetto umano di ogni singolo dipendente».

L’ex professionista ha fatto il suo esordio ufficiale come ambassador durante un evento speciale organizzato negli Stati Uniti, la prima Ekoi VIP Experience a Los Angeles. Qui ha avuto l’opportunità di incontrare alcuni clienti statunitensi del brand e condividere con loro la passione per il ciclismo.

«È stato un piacere – ha aggiunto Aru – poter incontrare alcuni dei clienti statunitensi durante la prima Ekoi VIP Experience a Los Angeles, pedalando tra l’altro sulla pista che ospiterà i Giochi Olimpici del 2028, e vedere il loro apprezzamento verso l’azienda e la passione per il nostro sport».

Fabio Aru insieme ai clienti della VIP Experience a Los Angeles
Fabio Aru insieme ai clienti della VIP Experience a Los Angeles

Un testimonial credibile

La scelta di Ekoi di puntare su un ex atleta di alto livello come Fabio Aru conferma la volontà del marchio di consolidare la propria immagine nel panorama internazionale del ciclismo. Con la sua esperienza e il suo carisma, Aru rappresenta un punto di riferimento per molti appassionati e un testimone importante della qualità e dell’innovazione dei prodotti Ekoi.

L’azienda francese, fondata nel 2001, è ormai una realtà consolidata nel mercato degli accessori per il ciclismo, distinguendosi per la sua strategia di vendita da sempre esclusivamente online, che le permette di offrire prodotti di alta qualità a prezzi competitivi. Con questa nuova collaborazione, Ekoi rafforza ulteriormente la propria presenza nel settore, avvalendosi dell’esperienza e della notorietà di un campione come Fabio Aru per promuovere la sua linea di abbigliamento tecnico.

Dopo una carriera agonistica di altissimo livello, che lo ha visto protagonista nei grandi giri e nelle corse più prestigiose, Aru continua quindi a essere una figura riconosciuta nel mondo del ciclismo, seppur con un ruolo diverso. La sua passione per la disciplina e il legame con marchi di eccellenza come Ekoi dimostrano come il suo contributo al settore sia tutt’altro che terminato.

Ekoi

Slongo, i giovani e i Grandi Giri: non è solo un fatto di gambe

05.06.2024
6 min
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Ieri Tiberi ha lasciato il Criterium del Delfinato, confermando che nella scelta di mandarcelo ci fosse qualcosa di stonato. Ne avevamo parlato lunedì con Fabio Aru, affrontando il tema della partecipazione del laziale alla Vuelta dopo il quinto posto del Giro. E mentre Aru si era detto tutto sommato favorevole al Delfinato e meno alla corsa spagnola di agosto, qualche preparatore aveva visto proprio nell’impegno francese uno sforzo immotivato subito dopo il Giro: se non fisicamente, di certo psicologicamente. Pertanto, prima di sapere che Tiberi sarebbe tornato a casa, avevamo chiamato Paolo Slongo.

L’attuale allenatore di Elisa Longo Borghini alla Lidl-Trek era all’Astana negli stessi anni di Aru, ma dalla parte di Nibali che ha ottenuto i migliori risultati sotto la sua guida. La curiosità era andare a fondo nelle parole di Fabio, secondo cui aver partecipato a due grandi Giri per anno sin dalla seconda stagione da pro’ potrebbe averlo danneggiato (in apertura il sardo batte Froome alla Vuelta 2014, dopo il podio del Giro, ndr). Il confronto con Pogacar che invece farà l’accoppiata quest’anno, al sesto da professionista, fa in qualche modo riflettere.

«Magari sul fatto che Tiberi possa fare due Giri – spiega però Slongo – sono un po’ contro corrente. Tra Giro e Vuelta c’è tutto il tempo per recuperare e non essere troppo tirati, cosa che magari non c’è se fai Giro e Tour oppure Tour e Vuelta. Anche se Antonio è un atleta giovane, nei due anni scorsi ha già fatto una corsa a tappe per stagione, quindi il terzo anno può fare due Grandi Giri, avendo il tempo di recupero. Secondo me non è male. Piuttosto nel caso di Tiberi non approvo il fatto che stia correndo il Delfinato, proprio perché in prospettiva deve fare anche la Vuelta».

Nel 2020, a 22 anni, Pogacar debuttò al Tour vincendolo
Nel 2020, a 22 anni, Pogacar debuttò al Tour vincendolo
Perché?

Dopo il Giro l’avrei lasciato tranquillo e non gli avrei chiesto, anche se era in condizione, di affrontare un’ulteriore gara. Perché tante volte, anche se fisicamente stai bene, per la testa certe scelte possono fare la differenza. Ci vai contro voglia dopo un ottimo Giro, in cui per la prima volta hai fatto classifica e sei arrivato quinto. Vorresti rilassarti qualche giorno, invece sei costretto ad andare a correre. Quello secondo me è controproducente, però i due Giri nello stesso anno non li vedo male.

Secondo Slongo, perché per Pogacar si è aspettato il sesto anno da pro’?

Secondo me perché puntavano al Tour e nei primi due o tre anni che sei professionista basta farne uno solo: vale sempre la gradualità del carico di quello che fai. Essendo il Tour in mezzo alle altre due corse e quindi troppo vicino a Giro e Vuelta, hanno dato la precedenza agli interessi della squadra, che come tutte, mira alla vetrina del Tour. Quindi secondo me la scelta non è stata dovuta solo alla crescita, ma anche a questo aspetto del calendario e all’opportunità di andare al 100 per cento solo in un Grande Giro.

Però gli ultimi due Tour non li ha vinti e ugualmente non lo hanno mandato alla Vuelta. Avrebbe potuto…

Probabilmente ci può essere anche una questione di gestione. Pogacar già è un talento precoce e magari, facendo così, gli allunghi un po’ la vita sul piano psicologico. Nel senso che non lo stressi troppo facendo subito due Grandi Giri, con tutto quello che gli va dietro. Quindi i ritiri, le cose fatte in una certa maniera e poi fare classifica, che è usurante anche se l’atleta è predisposto. La scelta è quella di dire: «Non gli diamo troppo subito, in modo che gli allunghiamo la vita negli anni». Questo sì ha senso.

Slongo ricorda che al Giro del 2007, Nibali corse in appoggio a Di Luca, che vinse la maglia rosa.
Slongo ricorda che al Giro del 2007, Nibali corse in appoggio a Di Luca, che vinse la maglia rosa.
Perché secondo te Aru dice che aver fatto due Grandi Giri da subito non è stato un bene?

Forse per questo aspetto. Secondo me c’è da mettere sul piatto anche in che modo li fai. Magari ad Aru veniva chiesto di essere competitivo, come poi è stato, e questo era usurante. Probabilmente lui non era ancora pronto, forse perché gli pesava psicologicamente oltre che fisicamente, quindi avrebbe preferito una crescita più graduale e meno stressante. Ognuno è diverso e forse col senno di poi Fabio avrebbe preferito fare qualcosa di più graduale, come Pogacar nei primi sei anni di carriera.

Nibali l’avete gestito diversamente. Lui ha fatto il primo Giro nel 2007, al terzo anno da professionista.

Vincenzo ha avuto una buona gradualità. E soprattutto quello che cambiava rispetto ad oggi è che, se anche lo portavamo ai Grandi Giri, andava a imparare dai capitani. Ha avuto davanti Di Luca, Basso e Pellizotti. Lui scalpitava, però non andava in corsa con la pressione psicologica di dover fare classifica in prima persona. Questo cambia anche l’approccio rispetto al ciclismo che c’è adesso. Oggi i giovani – il Tiberi di turno, come prima Pogacar ed Evenepoel – non hanno in squadra qualcuno che faccia classifica al posto loro. Qualcuno dietro cui nascondersi, avendo una gradualità di 2-3 anni in cui possano imparare il mestiere e semmai provare a vincere una tappa o mettersi alla prova. Una volta era un ciclismo diverso, invece adesso questi giovani si trovano subito in prima linea. E anche se sono forti fisicamente, l’aspetto mentale secondo me ha un peso importante. E poi c’è un altro aspetto…

Quale?

Quello dei punteggi dell’UCI. Il 2025 è l’anno delle promozioni e retrocessioni e per le squadre i punti diventeranno nuovamente un’ossessione. Quando hai un buon budget che però non ti colloca fra le prime 4-5 squadre al mondo, hai meno corridori da far girare. Un po’ come la panchina delle squadre di calcio o di basket. Segafredo Bologna e Milano sono quelle che hanno più soldi e se mandano in campo un sostituto, sei certo che sia competitivo. Se invece quelli forti sono solo nel quintetto base e gli altri non sono all’altezza, contro gli squadroni hai un problema. Una volta per essere nel WorldTour bastavano il budget, l’etica e la professionalità: non c’era il sistema di promozioni e retrocessioni. Ora è tutto diverso. E i corridori vengono mandati in gara per fare i punti. E fra i vari punti, quelli delle classifiche generali valgono tanto.

Una bella differenza…

Una volta andavi a correre, imparavi dal capitano e intanto crescevi senza pressioni psicologiche, perché lavorare è diverso dal fare la corsa. Adesso, anche se non puoi vincere, devi andare a fare punti: anche un ottavo posto diventa importante. E a quel punto certe scelte vengono dettate dalla ragione di Stato. Per carità, la squadra paga ed è giusto che pretenda se la cosa è importante. Però queste dinamiche ti impediscono di guardare solo all’aspetto tecnico e anche come preparatore devi fare lo slalom fra le esigenze del team e quelle del corridore.

EDITORIALE / Due grandi Giri per Tiberi, sicuri che serva?

03.06.2024
5 min
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Quantunque sia un campione e forse proprio per questo, Tadej Pogacar si accinge ad affrontare il secondo grande Giro nello stesso anno per la prima volta alla sesta stagione da professionista. Questa è certamente una gestione accorta e magari è alla base dei miglioramenti che lo sloveno riesce a fare ogni anno, contando su una grande freschezza atletica e una maturazione graduale. In questo, Matxin e lo staff tecnico del UAE Team Emirates non sbagliano un colpo.

Se il dubbio sulla durata delle carriere di questi giovani fenomeni riguarda l’eccesso di attività e il conseguente logorio, forse un’attività intensa ma non estenuante permetterà loro di andare avanti non tanto finché ne avranno le forze, ma finché ne avranno la testa. Se infatti chiedessimo a Pogacar cosa gli sia pesato di più del Giro d’Italia appena dominato, molto probabilmente non parlerebbe delle tappe, ma di tutto quello che vi girava attorno.

Due grandi Giri

Dall’articolo di ieri, in cui Fabio Aru commenta la maglia bianca di Tiberi, salta fuori uno spunto che non è passato inosservato. Provando con grande garbo a dare un consiglio al laziale della Bahrain Victorious, Fabio gli suggerisce di fare le cose per gradi.

«Deve avere un po’ di calma – ha detto Aru – poi logicamente ci saranno i suoi tecnici alla Bahrain Victorious a prendere sicuramente le scelte giuste: ormai le squadre sono gestite da professionisti. Io personalmente mi buttai un po’ troppo a capofitto. Già dal 2014 iniziai col fare sempre due grandi Giri ogni anno e non fu un bene. Guardiamo anche come è stato gestito Pogacar, che fino a quest’anno non ha mai fatto due grandi Giri nella stessa stagione. Giro, Tour e Vuelta sono belli, ma ti logorano. Quindi per Tiberi ci sta adesso fare il Delfinato, ma attenderei ad aggiungere il secondo Giro».

Tiberi ha corso un ottimo Giro, spendendo parecchio. E’ già in gara al Delfinato e ad agosto alla Vuelta
Tiberi ha corso un ottimo Giro, spendendo parecchio. E’ già in gara al Delfinato e ad agosto alla Vuelta

Gambe e testa

Aru, a ben vedere, corse il Giro del 2013 al primo anno da pro’ in appoggio a Nibali. L’anno successivo, a 24 anni, corse Giro e Vuelta. Stessa cosa nel 2015. Nel 2016 corse soltanto il Tour, nel 2017 Tour e Vuelta. Nel 2018, Giro e Vuelta, prima che la sua carriera iniziasse a declinare in modo piuttosto rapido.

Quei primi anni all’Astana furono frenetici, belli e anche singolari. Di fatto a partire dal 2014 nel team kazako si era creata una sorta di spaccatura fra il gruppo Nibali e il gruppo Aru. Una competizione interna che faceva pensare a un dualismo all’antica, senza considerare che si stesse parlando di due compagni di squadra. Perché spingere Aru costantemente al doppio impegno? Erano anni in cui si potevano sostenere due grandi Giri all’anno senza grandi conseguenze, oppure si spinse troppo sul gas? Nonostante la sua carriera sia iniziata ben prima del Covid, quel tipo di attività l’ha resa inaspettatamente breve. Che sia stato per logorìo mentale oppure fisico, il percorso più bello di Aru nel professionismo è durato per quattro stagioni.

Nel 2019 Pogacar ha corso la Vuelta, conquistando il podio e la maglia dei giovani
Nel 2019 Pogacar ha corso la Vuelta, conquistando il podio e la maglia dei giovani

La cura del campione

Tiberi ha partecipato al suo primo grande Giro nel 2022, a 21 anni: la Vuelta, alla terza stagione da professionista. Ha replicato lo scorso anno, mentre nel 2024 ha debuttato al Giro d’Italia, arrivando quinto. Il suo programma 2024 prevede nuovamente la Vuelta: è un passaggio utile per un atleta che il 22 giugno compirà 23 anni? Magari sono solo considerazioni personali: dopo il Delfinato e fino a Burgos, Antonio avrà un calendario tranquillo. E se ha voglia di fare la Vuelta, forse non sarà troppo pesante. Oppure la squadra non ha altri leader da schierare e, mandando Buitrago e Jack Haig al Tour, deve spedire Tiberi in Spagna. Sono considerazioni che invitano al ragionamento.

Vincenzo Nibali, cui Tiberi viene affiancato per caratteristiche caratteriali e in parte anche tecniche, affrontò il doppio impegno nel 2008, a 24 anni. Evenepoel, 24 anni, ha doppiato l’impegno lo scorso anno, anche se si era ritirato dal Giro alla nona tappa. Non si può dire pertanto che abbia partecipato a due grandi Giri nella stessa stagione e non è dato di sapere se quest’anno dopo il Tour parteciperà anche alla Vuelta. Vingegaard solo nel 2023, a 27 anni, ha partecipato al Tour e alla Vuelta.

Perché fare due grandi Giri all’anno, avendone appena 23? Costruire la carriera dell’atleta, rendere redditizio l’investimento oppure fare punti? L’esempio di Pogacar dovrebbe far riflettere. Al netto dei soldi, delle bici, degli sceicchi, della nutrizione e di tutto quello che gira attorno a uno squadrone come la UAE Emirates, quello che colpisce è la cura dell’atleta. Quanto durerebbe Pogacar facendo tutti gli anni due grandi Giri? Forse per questo, a meno di clamorosi ripensamenti, non andrà alla Vuelta. Significherebbe rimangiarsi ben più di una parola.

Da Aru a Tiberi, la “bianca” e l’esempio di Tadej: «Fai con calma!»

02.06.2024
7 min
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Fabio Aru è appena tornato dalla Cina. Per il secondo anno consecutivo ha partecipato a Desafio China by La Vuelta, un evento organizzato da ASO, pedalando assieme a Oscar Freire, Nicolas Roche, Anna Van der Breggen e un immenso pubblico cinese. Il Giro pertanto l’ha seguito dalle classifiche, riuscendo a vedere occasionalmente anche qualche immagine. Non gli è sfuggito tuttavia che il suo primato di ultimo italiano in maglia bianca è stato rilevato da Antonio Tiberi. Nei nove anni che sono trascorsi da allora, il mondo del ciclismo è cambiato radicalmente e così anche la sua vita. Eppure le speranze di un corridore che si affaccia sulla grande ribalta sono spesso simili. Che cosa passa per la testa di Tiberi? E cosa passò nella sua? E cosa deve fare ora il laziale? E cosa invece farebbe meglio ad evitare?

Il rapporto fra Aru e la maglia bianca fu a dire il vero piuttosto lungo. Nel primo Giro, quello del 2013, la indossò dalla 3ª alla 7ª tappa, perdendola a favore di Majka nel diluvio di Pescara in cui il suo capitano Nibali iniziò a crocifiggere Wiggins. Nel 2014 del Giro chiuso al terzo posto, la indossò dalla 19ª tappa alla fine, portandola al posto del detentore Quintana in maglia rosa. Infine nel 2015 la conquistò, piazzandosi secondo nella classifica finale, alle spalle di Contador. Nello stesso anno, il sardo avrebbe vinto la Vuelta.

Quanto vale la maglia bianca? E che cosa rappresenta in prospettiva di carriera?

Quando l’ho vinta, ero già entrato in una dimensione superiore. L’anno che per me fu una super soddisfazione vestire la maglia bianca è stato il 2013, il primo da professionista. Ero passato ad agosto 2012, però diciamo che il 2013 fu la prima stagione. Ero arrivato quarto al Trentino vincendo la maglia dei giovani. Così ero stato convocato per il Giro che vinse Nibali. E vestire la maglia bianca nelle prime tappe fu una grossissima soddisfazione. L’anno dopo la vinse Quintana. Mentre nel 2015, quando l’ho vinta io, ero molto più focalizzato sulla classifica. L’anno prima ero arrivato terzo, per cui nel 2015 la maglia dei giovani fu la conseguenza della classifica generale che chiusi al secondo posto. Fu una bella soddisfazione vincerla, però ero più focalizzato sulla maglia rosa. Tiberi invece l’ha vinta al primo Giro…

Che cosa significa?

Significa che è andato forte e che ha fatto una buona classifica. E’ arrivato quinto nel suo primo Giro d’Italia (al debutto Fabio arrivò 42°, lavorando per Nibali che lo vinse, ndr), quindi ovviamente il suo è stato un ottimo risultato.

Par di capire che nei tuoi Giri non abbia mai fatto corsa sui rivali per la maglia bianca.

No, mai. Anche quando ero dilettante non mi sono mai focalizzato sulle classifiche parziali, guardavo un po’ più avanti e, se venivano, erano una conseguenza. Se fai una buona classifica, puoi avere un buon risultato per la maglia bianca.

Per come sono andate le cose, con Nibali ritirato a fine carriera e tu un po’ prima, avere Tiberi quinto al Giro e in maglia bianca è un buon segnale?

Assolutamente, certo. Da italiani stavamo aspettando di avere qualche altro giovane. Mentre nelle classiche, magari abbiamo qualche nome che può farci ben sperare, nei Giri eravamo un po’ indietro. Invece quest’anno abbiamo avuto dei bei segnali. Da Tiberi, certo, ma anche da Pellizzari e Piganzoli. Credo sia questione di tempo, ci sono sempre stati dei cicli. Qualunque nazione vorrebbe avere un Tadej per le mani, ma di Tadej ce n’è uno, quindi dobbiamo aspettare.

Nel finale del Giro 2015, Aru vince due tappe: a Cervinia (foto) e Sestriere
Nel finale del Giro 2015, Aru vince due tappe: a Cervinia (foto) e Sestriere
Pensa che, a cose normali, alla UAE Emirates Pogacar avrebbe dovuto tirare per te…

Guardando i suoi risultati sin da quando era più giovane, nulla faceva presagire che sarebbe passato per tirare. Da ragazzo aveva già vinto tutto, fra il Tour de l’Avenir, il Lunigiana, insomma varie corse. Io non li avevo vinti e quasi neanche fatti (sorride, ndr).

Il Giro del 2015 lo vinse Contador, che non faceva tanti regali. Secondo te c’è tanta differenza tra il suo modo di correre e quello di Pogacar?

Guardate, Alberto, a parte essere un amico, è stato il mio idolo da quando iniziai ad appassionarmi di ciclismo. Ma senza nulla togliere a quello che ha fatto, Tadej è di un altro livello. Tadej è completo, Alberto era estremamente forte in salita. Tadej è estremamente forte in volata, in salita e anche a cronometro. Non me ne voglia Alberto, ma so che anche lui ha espresso delle parole di apprezzamento molto importanti nei confronti di Pogacar. Per cui, anche se Contador mi ha battuto in quel Giro perché era un grandissimo, Tadej ha una completezza che lo mette su un gradino più alto. Uno che vince un Fiandre, tre Lombardia di fila, due Liegi, la Freccia, l’Amstel, due Tour e un Giro… 

Aru e Pogacar hanno corso poco insieme: qui alla Vuelta 2019, quella della rivelazione di Tadej
Aru e Pogacar hanno corso poco insieme: qui alla Vuelta 2019, quella della rivelazione di Tadej
Torniamo a Tiberi: quinto al Giro di Pogacar, adesso va al Delfinato. Che cosa dovrebbe fare a questo punto della sua carriera?

Deve avere un po’ di calma, poi logicamente ci saranno i suoi tecnici alla Bahrain Victorious a prendere sicuramente le scelte giuste: ormai le squadre sono gestite da professionisti. Io personalmente mi buttai un po’ troppo a capofitto.  Già dal 2014 iniziai col fare sempre due grandi Giri ogni anno e non fu un bene. Guardiamo anche come è stato gestito Pogacar, che fino a quest’anno non ha mai fatto due grandi Giri nella stessa stagione. Giro, Tour e Vuelta sono belli, ma ti logorano. Quindi per Tiberi ci sta adesso fare il Delfinato, ma attenderei ad aggiungere il secondo Giro.

Potresti aver esagerato?

Nel 2014 arrivai terzo al Giro e quinto alla Vuelta. Nel 2015, secondo al Giro e vinsi la Vuelta. Nel 2017, quinto al Tour e 13° alla Vuelta, però spendevo tanto. I Giri ti logorano fisicamente e mentalmente, quindi per Antonio avrei un po’ di accortezza da questo punto di vista. Tiberi ha fatto un ottimo Giro, ci sono tante altre gare e lui è ancora giovane, ha tanti anni davanti. Non dico che sia sconsigliato fare sempre due grandi Giri, si possono fare, però non per tanti anni di fila. Non è più un ciclismo che ti permette di gestire gli sforzi.

Col Giro siamo arrivati a Sappada, forse il luogo del tuo primo crollo nel 2018: distacco di 19 minuti…

Posso dire una cosa. Personalmente nel ciclismo ho vissuto dei momenti bellissimi, ma ne ho vissuti anche di tremendi. Se mi guardo allo specchio oggi che sono passati due anni e mezzo da quando ho smesso, posso dire consapevolmente di essere contento di come sono. Vado in bici, ma non sono il classico ex che fa 20-30 mila chilometri all’anno. Non sono questo, mi piace andare in bici qualche volta a settimana, mi piace fare gli eventi, stare in mezzo alla gente e fare anche altri sport. Però ho passato dei momenti di sofferenza e Sappada fu uno di quelli. Però questa è la vita, fatta di alti e bassi: l’importante è crescere.