Ciccone, un po’ di fortuna e tanti sassolini da togliere…

15.12.2021
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«Se puoi – dice Ciccone – riportala alle stesse misure del Giro d’Italia. Alla fine sono le migliori, mi trovavo bene. E anche le selle… Se riusciamo a fare tutta la stagione con quella nera, io sono contento».

Mauro Adobati prende nota. Il primo ritiro serve proprio per mettere a posto i materiali e il lavorìo dei meccanici della Trek-Segafredo va avanti instancabile dal mattino e sarà così fino a domenica, quando torneranno a casa. Tra bici tirate a lucido e altre con il divieto di fare foto perché probabilmente esordiranno durante la stagione, il parcheggio dell’hotel è come la piazza di un paese brulicante di attività. Le strade di Altea, nella Comunità Valenciana, hanno accolto i corridori con il consueto calore di sole e di gente. E com’era prima del Covid, anche se il Covid c’è ancora, si può vivere qualche ora con loro per capire, conoscersi meglio, raccontare.

A confronto con Adobati per la messa a punto della bici per il 2022
A confronto con Adobati per la messa a punto della bici per il 2022

Nuova maglia da allenamento

Ciccone indossa la nuova tenuta da allenamento. Non più il giallo fluo degli scorsi anni, ma un rosa salmone, ugualmente fluo, cui dovremo fare gli occhi e che avevamo intravisto passando nel laboratorio Santini quando si trattò di annunciare la maglia gialla del Tour. Il 2021 dell’abruzzese ha avuto luci e ombre, ma se si vuole leggere completamente la stagione di un corridore, non ci si deve limitare ai soli piazzamenti, che pure resteranno negli albi. Eppure questa semplice annotazione lo mette di buon umore.

«Un conto è se nel bilancio di fine anno – conferma – devi mettere dei pessimi risultati e delle prestazioni non all’altezza. Un altro se i risultati sono al di sotto, ma le prestazioni finché sei stato… in piedi erano delle migliori. Sono caduto troppe volte e sempre nei momenti importanti. Così ora passa in secondo piano che alla fine della seconda settimana del Giro fossi a ridosso dei primi cinque e che a lungo il solo che abbia lottato con i migliori sia stato io. Eppure nei commenti continuano a dire che non sono più quello del 2019. E dopo un po’ che li leggi, diventa pesante…».

Giro d'Italia 2021, Nibali Ciccone
Con Nibali passato all’Astana, gli equilibri in Trek sono diversi. Ma la coppia secondo Ciccone non ha funzionato
Giro d'Italia 2021, Nibali Ciccone
La coppia Nibali-Ciccone non ha funzionato. Ciccone spiega…

Due anni con lo Squalo

Non c’è più Nibali e la sensazione, più sulla pelle che suffragata da fatti, è che per lui sia come aver perso un condizionamento. Positivo o negativo che fosse. Ma siamo qui per capire e così, partendo da Vincenzo, andiamo indietro provando a guardare in avanti.

Come è andata con lo Squalo?

Adesso che posso guardarla da fuori, sono stati due anni difficili. La coppia per vari motivi non ha funzionato. Lui ha vissuto i due anni più difficili della carriera, io ho avuto qualche sfortuna e qualche tensione di troppo. La sintesi c’è stata al campionato italiano.

Che cosa è successo?

E’ venuto fuori il nervosismo classico delle corse, che quando hai due leader può diventare brutto da vedere. Vincenzo doveva dimostrare di essere all’altezza della convocazione olimpica, io stavo vivendo un momento di forma molto buono dopo il Giro e alla fine ci siamo inseguiti fra noi. I rapporti fra noi sono buoni. Mi ha trasmesso la tranquillità nell’affrontare e vivere le corse. Lui in questo è un freddo. Ma tecnicamente non posso dire di aver imparato qualcosa, perché non c’è stato proprio modo di lavorare insieme.

In questi primi giorni, la squadra esce in gruppi differenziati in base al tipo di lavoro
In questi primi giorni, la squadra esce in gruppi differenziati in base al tipo di lavoro
Come va il cantiere Ciccone, continui a crescere?

Siamo ancora in fase di costruzione, anche se qualcosa ci è un po’ sfuggito. A livello di crescita fisica e mentale, vedo un grosso cambiamento, i risultati non ci sono ancora.

Perché dicono che vai meno che nel 2019?

Si parla del Giro. Partivo da leader e secondo me è stato un Giro importante. Nel 2019 correvo all’arrembaggio, ho vinto una tappa e conquistato la maglia dei Gpm, ma nelle altre tappe prendevo venti minuti e nessuno diceva niente. Io non voglio essere così, voglio tenere duro e quest’anno non ho mai preso quei distacchi e ugualmente ero lì a giocarmi le tappe.

La fase di costruzione prevede la cura di quali dettagli?

Negli ultimi anni è cambiato parecchio, tutti curano i dettagli. Quel che fa più la differenza è la tensione con cui vengono vissute le gare, senza mai un momento di tranquillità. Il ritmo è sempre alto per questi giovani che non perdono un solo colpo. Una volta ai miei 27 anni sarei stato considerato sulla porta del periodo migliore, ora è diverso. Un aspetto su cui ho capito di dover migliorare è la crono, per la quale abbiamo già fatto dei lavori specifici prima della Vuelta, anche se al Giro non ce ne saranno…

Luca Guercilena, Giulio Ciccone, Tour de France 2019
Si torna al Tour per ricercare vecchie sensazioni. Qui con Luca Guercilena in quei giorni indimenticabili
Luca Guercilena, Giulio Ciccone, Tour de France 2019
Con Guercilena al Tour del 2019: questppanno si torna in Francia
Farai il Giro?

Il Giro e il Tour, come nel 2019. Prima un bel programma con la Valenciana, la Tirreno, il Catalunya, finalmente la Freccia e la Liegi, che non vedevo l’ora di rifare. L’ho corsa solo nel 2019, una delle edizioni più dure, e mi è piaciuta molto.

Perché quelle osservazioni sulla sella con Adobati?

Sono un maniaco dei dettagli e quando trovo un’imbottitura che mi va bene, non la mollo più. Con gli ingegneri Trek stiamo facendo selle personalizzate. Lo stesso ho fatto delle scelte per quanto riguarda il manubrio. Abbiamo provato quello integrato per scendere un po’ di peso, ma alla fine ho scelto di tornare a uno tradizionale. Attacco e curva.

Hai parlato delle critiche: dite spesso di infischiarvene, ma alla fine siete sempre lì a leggere…

Solo un tipo solare, mi piace tenere i contatti con i tifosi. Le critiche le sento e a volte fanno male. Del confronto con il 2019 abbiamo detto, mentre quelle durante la Vuelta in cui arrivavo a un minuto da Roglic… Ero deluso anche io, ma Roglic è il numero uno al mondo e quei distacchi li abbiamo presi in tanti.

Nella Trek è arrivato Cataldo: suo padre è stato ds di Ciccone nelle giovanili
Nella Trek è arrivato Cataldo: suo padre è stato ds di Ciccone nelle giovanili
Al tuo fianco ci sarà Cataldo.

E’ una grande novità per la squadra, l’uomo giusto per creare un progetto. Ha grande esperienza in corsa e gli riconosco il fatto di avere potere su di me, perché lo conosco e lo stimo da quando ero bambino. Ciclisticamente sono cresciuto con i consigli di suo padre. Quel che mi dice è per il mio bene, come Brambilla.

Cosa chiedi al 2022?

Un po’ di fortuna. Negli ultimi due anni, tra cadute e Covid, è girato tutto storto. Dopo la caduta della Vuelta ho avuto problemi al ginocchio e sono restato senza bici per 50 giorni: un’eternità. Ma andrà bene partire calmo, dovendo fare Giro e Tour. Ecco, vorrei non cadere e le stesse prestazioni del 2021, poi ne riparliamo. E poi vivere gli ultimi due anni a Monaco non è stato il massimo. Ora mi sono trasferito a San Marino, più vicino a casa e con spazi che mi si adattano meglio. Spero di avere la tranquillità che serve. Perché è vero che il 2019 può essere un bel metro di paragone, ma è anche vero che dal 2020 è cominciata la pandemia e niente è più stato come prima. Nemmeno io.

Nei segreti del Blockhaus con Dario Cataldo

24.11.2021
4 min
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Continua il nostro viaggio alla scoperta delle strade del Giro d’Italia numero 105. Con Gilberto Simoni avevamo individuato le tre scalate più dure della prossima corsa rosa. Il Blockhaus, il Santa Cristina e il Fedaia. 

Con Dario Cataldo, abruzzese, andiamo a scoprire da vicino la prima di queste salite, il Blockhaus. E qui consentiteci un piccolissimo cenno storico legato a questo curioso nome. Nome di lingua chiaramente tedesca, come il generale austriaco che glielo diede durante la lotta al brigantaggio a cavallo tra il 1800 e il 1900. La sua etimologia si lega alla sua natura: “casa dei sassi”, come le numerose pietre sparse sull’altopiano. Ma tornando a Cataldo, lui su queste rampe è praticamente di casa. 

«Non frequento spessissimo quel versante – dice il nuovo corridore della Trek-Segafredo – perché è dalla parte opposta della Majella rispetto a casa mia, ma certamente lo conosco e ci vado di tanto in tanto.

«In realtà il Blockhaus vero e proprio è più in alto, ma il Giro non può arrivarci. Non ci sarebbe spazio per la logistica e ci sarebbe da fare una strada ciclopedonale chiusa al traffico, una stradina. Perciò si arriva in una località che si chiama Mammarosa».

L’arrivo in località Mammarosa a 1.648 metri. Mentre punta Blockhaus (una delle cime della Majella) misura quota 2.140 metri
L’arrivo in località Mammarosa a 1.648 metri. Mentre punta Blockhaus (una delle cime della Majella) misura quota 2.140 metri

Doppia scalata

La frazione numero nove scalerà due volte la Majella. La prima fino a Passo Lanciano, la seconda fino in cima. Si sale da due versanti differenti e da un terzo si scende. E’ quasi un “Majella day”.

«Quello da dove salirà il Giro – spiega Cataldo – è il versante più duro della Majella ed è lo stesso che si affrontò nel Giro del 2017, quando vinse Quintana. La cosa diversa rispetto ad altre volte è che in passato la tappa appenninica prevedeva la salita finale o poco più in precedenza. Il dislivello era inferiore (qui si parla di 4.990 metri, ndr). Stavolta invece anche il resto della frazione è molto duro».

«Roccaraso, poi Passo Lanciano una prima volta e il Blockhaus. E nel mezzo tante altre salite brevi. Già a Passo Lanciano le pendenze sono abbastanza importanti (7-9%, ndr). No, no… è dura. Si dice sempre che in certe tappe non si vede chi vincerà il Giro ma chi lo perderà. Per me in questo caso invece si vede chi è da podio. E’ molto indicativa e la metto fra le tappe decisive».

Regolarmente irregolare

Ma come è davvero questa salita? Cataldo è molto preciso e inizia la sua descrizione già un po’ prima della scalata vera e propria. 

«Salendo da Scafa e fino a Roccamorice c’è la parte più pedalabile e lì già si misura la temperatura a molti corridori, quando le squadre prendono le posizioni. Si crea un po’ di confusione, specie in vista di Roccamorice dove c’è uno “sciacquone” (una spianata e un tratto di breve discesa in paese, ndr). E infatti proprio lì caddero Landa e Thomas nel 2017».

Per Cataldo non si può dividere in più tronconi, tutto sommato il susseguirsi dei chilometri è molto simile fra loro. Solo l’immediata uscita da Roccamorice e le ultime centinaia di metri sono più pedalabili.

«E’ una salita abbastanza costante nella sua irregolarità. Nel senso che ci sono continui cambi di pendenza e diventa molto importante riuscire a recuperare nei tratti meno duri. E’ davvero difficile trovare il ritmo su una salita così. Bisognerà sapersi gestire bene».

Cataldo in azione nel Giro 2017 sulle rampe del Blockhaus. All’epoca fu 13° a 3′ spaccati da Quintana
Cataldo in azione nel Giro 2017 sulle rampe del Blockhaus. All’epoca fu 13° a 3′ spaccati da Quintana

Serve sensibilità

La gestione pertanto diventa fondamentale. Restare “impiccati” presto o nel momento sbagliato significa perdere minuti o comunque del terreno prezioso. E se si è uomini di classifica… non è mai una bella cosa. Inoltre più di qualche volta ci sono rettilinei abbastanza lunghi, nei quali se dovesse esserci vento o si dovesse restare soli, non sarebbe il massimo.

«Come facciamo a gestirla? Beh, ci aiutiamo molto controllando i watt, ma nel finale quando si è a tutta bisogna gestire le sensazioni. Diventa una scalata personale. Si usa il rapporto e l’intensità secondo le proprie sensazioni. L’esperienza conta moltissimo».

E quanto incide conoscere una salita così particolare?

«Conta molto – conclude Cataldo – però lo sforzo è così duro che esperienza e una buona gestione non bastano a compensare il tutto. Servono le gambe. Tante gambe. I rapporti? Per me un 39×25 dovrebbe bastare, ma per risparmiare c’è chi monterà anche il 30».

E se fosse Cataldo il regista giusto per Ciccone?

09.11.2021
5 min
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«Vado con un altro abruzzese – sorride Dario Cataldo – direi un passaggio naturale. Con Giulio ci stiamo inseguendo da anni. Suggerivo di prenderlo prima che passasse, ma poche persone in gruppo sanno fidarsi dell’esperienza dei corridori. Poi l’ho segnalato quando era alla Bardiani, ma ancora niente. Ora si è concretizzato ed è come se il cerchio si fosse chiuso».

Dario Cataldo, abruzzese classe 1985, parla così di Giulio Ciccone, anche lui abruzzese, ma del 1994. In quei nove anni c’è il mondo, compreso il fatto che uno dei primi direttori sportivi di Ciccone fu Michele Cataldo, padre di Dario. E’ una storia di storie che si intrecciano e che alla Trek-Segafredo vedrà dal prossimo anno i due con la stessa maglia, come mai successo prima.

Cataldo è andato alla Movistar nel 2020 dopo 5 anni all’Astana con Aru e Nibali
Cataldo è andato alla Movistar nel 2020 dopo 5 anni all’Astana con Aru e Nibali

Eppure non è stato un passaggio facile, perché a un certo punto della storia il nome di Dario era fra quelli in cerca di squadra e nonostante il suo procuratore Manuel Quinziato si stesse dando un gran da fare, per la fatidica firma c’è stato da aspettare novembre. Tanto avanti.

Qualcosa di buono

Ne avevamo parlato a settembre, nei giorni della Vuelta per la quale non era stato convocato, avendo così il primo sentore del fatto che la Movistar non lo avrebbe confermato. Avevamo parlato dell’attitudine dei team nel far firmare ragazzini di primo pelo, quasi… drogati dall’ansia di trovare il nuovo Evenepoel soffiandolo a qualcun altro.

«Che non fosse una bella situazione ne ero consapevole – racconta – perché arrivi a ottobre e non hai ancora chiuso… Però avevo fiducia di aver seminato bene e mi chiedevo perché mai non dovesse venire fuori qualcosa di buono. Con Trek-Segafredo si parlava da giugno, ma ho firmato solo un paio di giorni fa. Resta però che questa situazione dei giovani sta cambiando la direzione delle squadre».

E’ anche difficile immaginare il modo per cambiarlo…

Ho riflettuto tanto sulle persone che gestiscono le squadre e su come certe volte commettano degli errori grossolani. Pochi sanno vedere le cose come stanno ed è singolare che nel prendere certe decisioni non si senta il parere dei corridori, che correndo accanto tutto il tempo, potrebbero dare indicazioni molto precise.

Che valutazione daresti a questo punto di Ciccone?

E’ certo che abbia tanto potenziale, difficile dire quale sia il terreno migliore su cui possa esprimersi. Sul fronte delle corse a tappe conta tanto la gestione sua e di chi gli sta intorno e dietro, perché per restare a galla per tre settimane devi fare tutto nel miglior modo possibile. Giulio è tanto istintivo, si butta nelle mischie. Questo nelle classiche può essere un’arma vincente, nei Giri un po’ meno.

Ti ricorda qualcuno?

Mi ricorda Vincenzo (Nibali, ndr), che all’inizio era così. Capace di inventarsi le classiche e nei Giri un mix di motore e fantasia. Chissà che Giulio non possa percorrere quella strada…

Invece della tua strada cosa diciamo?

Ho fatto 15 anni di professionismo, sempre in squadre WorldTour. Ho sempre fatto il massimo, qualche volta ho provato a fare la mia corsa e non sempre è andata bene. Ho corso accanto a grandi corridori, per cui è capitato che qualche possibilità mi sia stata preclusa.

Nel 2015 ha scortato Aru fino alla vittoria della Vuelta
Nel 2015 ha scortato Aru fino alla vittoria della Vuelta
Che cosa intendevi poco fa dicendo di aver seminato bene?

Penso di essere un corridore che riesce a mantenere la serietà in gruppo, non sono uno che fa cavolate. Cerco di rispettare i compiti che ricevo e non c’è mai stato motivo di mettere in discussione il mio impegno e la mia serietà. Perché sono uno di cui ci si può fidare, che ha sempre fatto la vita del corridore…

Un po’ come Bennati, con cui ti sei incrociato per un anno alla Liquigas e che ha corso con la Movistar e prima ancora nel gruppo Trek?

Bennati è sempre riuscito a fare squadra. Sa cosa vuol dire lavorare per un leader e sa esserlo a sua volta. E’ sempre stato rispettoso del lavoro altrui e per questo ha sempre avuto la stima del gruppo. Sono certo che sarà un ottimo cittì.

Cataldo si rimbocca le maniche e strizza l’occhio a Nibali

05.09.2021
4 min
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Le parole di Unzue due giorni fa sembrano aver chiuso le porte del Team Movistar anche per Dario Cataldo. E poco importa che in altre occasioni, lo stesso manager spagnolo lo avesse lodato per il suo ruolo di regista in corsa. Così per l’abruzzese, che comincia oggi il Tour of Britain, e il suo agente Manuel Quinziato questi sono giorni di valutazioni e scelte, fra le possibilità che ci sono sul tappeto. Oggi è anche il giorno dell’ultima corsa di Fabio Aru e non è possibile dimenticare che proprio sei anni Dario facesse parte del gruppo che con il sardo si apprestava a conquistare la Vuelta.

Dal Polonia alla Germania, ancora in fuga con Cavagna
Dal Polonia alla Germania, ancora in fuga con Cavagna

«Il mio 2021 – dice Cataldo – è stato un anno a metà. Ho avuto bei momenti di condizione e ci ho messo tanto impegno per trovarla, ma in corsa non sono riuscito a concretizzarla. Come avere il colpo in canna e non poter sparare. Le ultime corse che ho fatto non sono state le più adatte, con il Polonia più facile degli ultimi anni, il Germania che è notoriamente una corsa veloce e ora qui in Gran Bretagna su un percorso di strappi secchi e corti che non tanto si sposano con le mie caratteristiche».

Perché non sei andato alla Vuelta?

Perché la squadra è stata per due anni a rincorrere e la Vuelta di colpo si è ritrovata con la priorità assoluta. Hanno portato lo zoccolo duro della squadra, con Rojas, Erviti e Oliveira. Poi i capitani spagnoli Valverde, Mas e Soler. Lopez non si discute e alla fine la squadra è fatta. Solo che s’è pensato così tanto alla Vuelta che il resto dell’attività è stato fatto come capita, è passato in secondo piano.

La voglia di continuare c’è ancora, giusto?

Assolutamente, considerando però che ci sono tanti giovani che vanno forte e impongono un modo di correre molto aggressivo.

Nel 2015 anche Cataldo faceva parte dell’Astana che scortò Aru alla Vuelta
Nel 2015 anche Cataldo faceva parte dell’Astana che scortò Aru alla Vuelta
Capisci la scelta di Aru di appendere la bici al chiodo?

Sì, la capisco. Stava cercando di risollevarsi e c’era anche riuscito. Ma quando arrivi tanto in basso, tornare ad alto livello è difficilissimo, perché ogni giorno ti trovi a dover dimostrare qualcosa. Per avere la fiducia delle squadre devi fare più di quello che sarebbe necessario e probabilmente Fabio ha capito che nei 3-4 di carriera che avrebbe davanti, dovrebbe sempre rincorrere quello che era. Immagino abbia pensato a questo e visto che ha anche una vita e che il ciclismo non è tutto, si sarà chiesto se ne valesse davvero la pena.

Tu senti mai questa necessità di doverti confermare?

La sento anche io, lo confermo. Ci sono momenti in cui le necessità delle squadre cambiano e adesso sono tutti a cercare giovani fortissimi che possano fare risultati. E se poi non riescono, li hanno comunque pagati poco. Il corridore può essere forte, ma può anche non essere una punta. Invece per come va adesso, si perde il concetto di squadra. Il mio dimostrare si basa sul lavoro e non sul risultato, solo che sta diventando molto complicato. Già non se ne accorgono nelle squadre, figurarsi al di fuori.

Al Giro di Germania, chiuso con il 2° posto nella classifica dei Gpm, firma autografi
Al Giro di Germania, chiuso con il 2° posto nella classifica dei Gpm, firma autografi
E’ possibile un ritorno all’Astana? Se torna Nibali, sarà un po’ come ricomporre la famiglia…

E’ una delle ipotesi. Quando mi chiamò la Movistar, la prima cosa che valutai fu la voglia di cambiare dopo cinque anni nello stesso posto. Mi inorgogliva entrare a far parte di una delle squadre con la maggior tradizione. Per contro ero anche dispiaciuto perché in Astana si era creato un bel gruppo di lavoro, si stava bene.

Un anno con Nibali e poi basta?

In realtà mi augurerei di farne di più. Ho un anno meno di Vincenzo e l’idea di ritirarmi ancora non ha bussato alla mia porta…

Con Cataldo dietro le quinte della 2ª serie Netflix sulla Movistar

12.06.2021
5 min
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Sudore, strategie, segreti di corsa. Per il secondo anno consecutivo, gli appassionati di ciclismo hanno potuto dare una sbirciata dietro le quinte di ciò che accade in casa Movistar grazie alla nuova stagione de El día menos pensado (letteralmente “Il giorno meno atteso”, anche se il titolo che troverete in italiano è “Dietro la prossima curva”), il documentario in 6 puntate che si è confermato una delle mini-serie sportive più riuscite sulla piattaforma Netflix.

La seconda serie sulla Movistar è in onda su Netflix
La seconda serie sulla Movistar è in onda su Netflix

Dietro le quinte

Se nella prima stagione, riferita all’anno 2019, ci avevano raccontato del trionfo rosa di Richard Carapaz, ma anche degli addii al team di Eusebio Unzue dello stesso ecuadoriano e di Nairo Quintana, anche stavolta, ripercorrendo i tre grandi Giri del pazzo 2020 sconquassato dal Covid, non sono mancati i momenti davvero caldi come il Tour de France che ha visto la squadra spagnola conquistare la classifica a squadre o la Vuelta di Spagna con la polemica finale, quando sono arrivate le accuse di aver tirato per Roglic per penalizzare l’ex Carapaz.

Cataldo è alla Movistar dal 2020, ci ha raccontato il backstage
Cataldo è alla Movistar dal 2020, ci ha raccontato il backstage

In presa diretta

Senza svelarvi troppo, ma per incuriosirvi nel caso vogliate vederla dopo aver letto questo articolo, siamo andati a chiederne di più a Dario Cataldo, per capire come ci si sente a essere parte di un progetto del genere.

«Quando fai sport – comincia a raccontare il trentaseienne abruzzese, arrivato in Movistar nel 2020 – avere telecamere e macchine fotografiche puntate addosso fa parte della routine, ti ci abitui. In realtà, in quei momenti non percepisci quello che poi verrà prodotto, perché ormai il cameraman diventa uno di noi e ciò fa sì che tutti possano muoversi in libertà, soprattutto nei momenti sul bus prima e dopo di una corsa. Non ho mai l’impressione che la telecamera sia una presenza invasiva, anzi, a volte serve a raccontare le cose come realmente stanno. Ci sono tanti episodi che possono venir letti male nel ciclismo perché le interpretazioni dall’esterno delle tattiche non sono semplici ed è difficile capire cosa capita realmente in corsa: la polemica della Vuelta è uno di questi episodi travisati».

Vuelta 2020, La Covatilla: la Movistar tira dietro Carapaz: un momento di grande tensione
Vuelta 2020, La Covatilla: la Movistar tira dietro Carapaz: un momento di grande tensione

Sul podio a Parigi

La naturalezza delle azioni dei protagonisti viene raccontata senza filtri in una serie che piace perché non nasconde anche gli attimi di contrasto e confronto dopo una sconfitta che, talvolta, portano poi alla vittoria successiva. Tra i momenti speciali per Cataldo c’è stato sicuramente l’ultimo giorno della Grande Boucle.

«Per un motivo o per l’altro – dice – non riuscivo mai a fare il Tour e l’unica volta che l’avevo disputato (nel 2017, ndr) non l’avevo terminato. E’ stato davvero emozionante pensare che la prima volta che sono arrivato a Parigi e sono entrato nel circuito degli Champs Elysées, poi mi sono ritrovato sul podio con i miei compagni di squadra grazie al primo posto nella classifica per i team».

Eterno Valverde

Uno dei più ricercati dall’occhio delle telecamere nel corso di tutta la stagione è stato l’eterno Alejandro Valverde, che nel 2020 non è riuscito ad alzare le braccia come abitudine. Uno sfizio che l’Embatido si è tolto qualche giorno fa al Delfinato ed ecco il ritratto che ci fa Dario.

Una camera in ammiraglia racconta le decisioni: qui Unzue con Arrieta
Una camera in ammiraglia racconta le decisioni: qui Unzue con Arrieta

«Alejandro è un ragazzino di 40 anni – sorride – corre con la stessa voglia di un giovane appassionato per la bici. Adora fare il corridore e tutto quello che fa, lo fa perché gli piace. Non è un sacrificio, gli viene proprio naturale. L’anno scorso è stato difficilissimo per lui e per tutte le persone che gli sono state attorno, soffriva questa situazione perché per lui era inusuale. Vederlo ritrovare il suo colpo di pedale e vincere al Delfinato, oltre a essere bello perché siamo felici per lui, è un’ispirazione per tutti gli altri. Ha una classe infinita, ma dimostra anche che quello che si fa con il massimo impegno dà risultati. Con noi compagni è un leader, ma al tempo stesso un giocherellone, che scherza con tutti. E’ uno spasso pedalare al suo fianco».

I due capitani

Nel 2020, Valverde ha fatto da chioccia a Enric Mas (i due sono insieme nella foto di apertura), atteso quest’anno alla prova del nove alla Grande Boucle, dove però dividerà i gradi di capitano con il neo arrivato Miguel Angel Lopez, trionfatore martedì sul Ventoux.

« Valverde si è trovato in questo ruolo – prosegue Cataldo – che gli ha fatto piacere e che è servito a Enric. Quest’ultimo, pur essendo molto sveglio, è giovanissimo e non ha l’esperienza di un corridore come Alejandro. Avere lui accanto gli è stato molto utile. Nei grandi Giri è sempre meglio avere una seconda opzione, altrimenti può capitare quello che è successo a noi all’ultimo Giro d’Italia con Marc Soler e per un imprevisto al capitano, la squadra resta spiazzata».

Nella serie su Netflix, i calcoli e le strategie per conquistare la classifica a squadre del Tour
Nella serie su Netflix, i calcoli e le strategie per conquistare la classifica a squadre del Tour

Il giorno di Cortina

Vedremo anche una terza stagione su Netflix? Cataldo intanto ci racconta qualcosa della sua 12ª avventura rosa terminata qualche settimana fa: «C’era sempre lo stesso cameraman che faceva i contenuti della squadra – dice – ma non sappiamo come e se li useranno. Per quanto riguarda il Giro, si è corso in modo intenso, quasi come se non ci fosse un domani. Il percorso era abbastanza duro e ha fatto sì che arrivassimo molto stanchi. Si è parlato tanto della tappa “tagliata” di Cortina, ma quel giorno non si è quasi vista nemmeno la corsa dei primi, figurarsi cosa è successo dietro ai gregari che stavano soffrendo. Se l’avessimo fatta per intero, ci sarebbero ancora corridori che scollinano il Fedaia adesso».

Soler a casa. E Cataldo torna ad essere un battitore libero

21.05.2021
4 min
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«Dobbiamo difenderci in attesa delle grandi montagne», ci aveva detto Dario Cataldo, pensando al leader della Movistar, Marc Soler, prima della frazione di Montalcino. Ci aveva visto lungo. E infatti nell’ultima frazione tra gli Appennini lo spagnolo è caduto e si è ritirato.

Così da ieri sera nell’hotel che dava proprio sulla linea di arrivo di Bagno di Romagna, Dario è andato a dormire con la consapevolezza che il suo ruolo cambierà in questo Giro d’Italia. Anzi, è già cambiato. Non dovrà più correre con un occhio davanti e uno dietro, ma focalizzarsi sulle fughe. Su sé stesso. Dovrà risparmiare quando potrà farlo e affondare il colpo quando ce ne sarà l’occasione. Ma non è facile quando si è partiti con altri obiettivi.

Cataldo al traguardo di Bagno di Romagna, il massaggiatore gli indica l’hotel
Cataldo al traguardo di Bagno di Romagna, il massaggiatore gli indica l’hotel

Movistar in controllo

Cataldo è il capitano della Movistar, il diesse in corsa, e sino a ieri aveva controllato bene la gara di Soler. Non solo, aveva anche trovato un po’ di spazio per lui andando in fuga nella tappa dei Sibillini e in quella di Campo Felice.

«Stavamo mantenendo la situazione sotto controllo – dice Cataldo – per arrivare nelle migliori posizioni all’inizio delle grandi montagne. Poi ieri Marc è caduto. Non ho visto la sua scivolata, ma mi hanno detto che non è stata pericolosa. Lo hanno preso forte da dietro ed è in quel momento che si è fatto male – poi sconsolato aggiunge – Mi è dispiaciuto tantissimo».

I Movistar, proprio grazie alla sapiente guida di Cataldo, si erano mossi bene. Avevano corso sempre coperti, presenti ma senza farsi vedere. Insomma minima spesa, massima resa. Dario aveva tenuto davanti il giovane spagnolo nei momenti più difficili e lo consigliava costantemente.

«Cercavo sempre di fargli anticipare un po’ i tempi – spiega – per esempio quando stare davanti, mettersi una mantellina prima di un determinato punto. Ma comunque Marc si sa muovere bene».

Per Cataldo e i suoi compagni da oggi inizia “un altro” Giro
Non solo per Cataldo, anche per Villella (alla sua ruota) inizia “un altro” Giro

Cataldo in fuga 

E adesso? Adesso è tempo di cambiare, di rimboccarsi le maniche, come tante volte ha fatto durante la sua carriera l’abruzzese. E le maniche Dario ha iniziato a rimboccarsele sin da subito, cercando di risparmiare energie. E’ arrivato a Bagno di Romagna con il gruppetto ad oltre 26 minuti. Dopo l’arrivo non era affaticato. Certo, era stanco, scavato, ma come tutti del resto dopo 12 tappe, 212 chilometri, tanta salita e tanta pioggia.

«Abbiamo cercato anche la vittoria con qualche fuga in questo Giro – sottolinea l’abruzzese – purtroppo non è arrivata ma non è sempre così semplice e scontato. Ci riproveremo ancora sicuramente. Sin qui ero sempre stato in appoggio al capitano, Soler, ma a questo punto il mio Giro cambia tutto. E non solo per me, anche per la mia squadra. Dovremmo inventarci qualcosa. Io però sto bene».

E su questo “Io sto bene” detto con decisione c’è da ripartire, c’è da sfruttare quel che resta da qui a Milano.

Cataldo in fuga verso San Giacomo con Mader e Mollema
Cataldo in fuga verso San Giacomo con Mader e Mollema

Parola a Sciandri

«Soler lo hanno preso da dietro – spiega Sciandri, diesse della Movistar – e subito ha accusato dolori alle costole. Non respirava bene. Era un momento caotico. Ho fermato Torres. Il dottore in corsa gli ha dato l’ibuprofène. Abbiamo insistito fino al chilometro 45-47 ma poi proprio non ce la faceva. Si è anche gustato il bus. E’ stata una giornata difficile da gestire.

«Mi ha chiamato Eusebio Unzue mentre eravamo in corsa e mi ha detto: teniamo duro, andiamo avanti. Ma non è facile. Le tappe sono sempre meno e quelle da fuga non sono molte. Il Giro è duro. E quando perdi il leader devi fare il punto della situazione.

«Quanto è importante Cataldo? Molto, ma sono tutti importanti. Tutti avranno la possibilità di andare in fuga. E già da oggi (ieri per chi legge, ndr) per lui era determinante iniziare a risparmiare energie». E Dario lo ha fatto sin da subito…

Cataldo: «Che disastro quando l’hotel è lontano…»

14.05.2021
2 min
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«Una passeggiata serale? Mai fatta in 15 anni. Ho girato l’Italia in lungo e in largo e non ne ho vista neanche un po’…». Dario Cataldo, uomo d’esperienza della Movistar con i suoi 36 anni, sorride alla domanda se alla sera, per recuperare anche mentalmente, viene data una seppur minima libera uscita. D’altro canto uno degli aspetti per molti versi più complicati in un grande Giro è il tempo che la logistica toglie al riposo, con i continui cambi di hotel.

Il 36enne corridore della Movistar ormai non ci fa quasi più caso: «Siamo abituati, sai che al mattino devi consegnare la valigia pronta al massaggiatore che te la farà trovare nell’hotel successivo. Per la squadra è un impegno non da poco, non si può sbagliare. Per noi corridori conta molto se l’hotel è vicino all’arrivo o alla partenza perché è tempo guadagnato. L’ideale è quando le località coincidono, ma capita ormai di rado».

hotel Dorelan 2021
La distanza dell’hotel dall’arrivo è un aspetto importante, che può influire molto sul recupero
Hotel Dorelan 2021
La distanza dell’hotel dall’arrivo è un aspetto importante, che può influire molto sul recupero
Quanto influiscono i trasferimenti sulla prestazione?

Secondo me molto: se l’hotel è vicino puoi tornare con calma e farti la doccia, i massaggi, cenare in orario utile e andare a letto presto, tutto ciò favorisce il recupero. Quando invece è distante, è tempo perso. Il trasferimento in pullman ora è più comodo perché sono stati attrezzati per i nostri bisogni, ma non riposi comunque.

Quando la tappa termina tardi i problemi aumentano?

Notevolmente, lo scorso anno è capitato spesso – ricorda Cataldo – e questo pesava perché i ritardi si concatenavano. Alla fine abbiamo contato che abbiamo fatto più ore in sella che di sonno…

Una distanza ideale?

Finché l’hotel è a una trentina di chilometri è perfetto, il problema è quando te ne devi sobbarcare dai 100 in su, non arrivi mai. Capisco che gli organizzatori facciano i salti mortali e devono anche accontentare più località possibili, ma per noi resta un problema.

A parte il recupero fisico, come cercate di staccare mentalmente?

Come detto ogni minuto rubato al sonno è recupero in meno, noi però dopo la cena ci ritroviamo un quarto d’ora nel camion cucina: tra una tisana e un decaffeinato scambiamo due chiacchiere, condividiamo le nostre sensazioni sulla tappa affrontata e quella che arriva. Quei pochi minuti sono per molti una necessità.

Quanto tempo dedicate allo smartphone?

Bella domanda – Cataldo ride – noi più anziani lo ripetiamo sempre ai più giovani, se passi mezz’ora a smanettare al telefono è tempo che togli al sonno e in gara rischi di pagarlo. Diciamo che piano piano imparano…

Cataldo regista titolare (e Villella purosangue)

20.02.2021
4 min
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Il ruolo del regista in corsa è uno dei più delicati, ma anche uno dei più affascinanti. Di solito lo ricopre un corridore esperto e di personalità. Per questo Dario Cataldo ha il patentino per fare il regista e per farlo bene. Unzue non per niente ci ha messo molto poco a prenderlo e a “dargli le chiavi” della sua Movistar.

L’abruzzese è a Tenerife per allenarsi in vista del Giro, dove correrà in appoggio a Marc Soler. Ci arriverà facendo Tirreno, Catalunya e Romandia.

Dario Cataldo dal 2009 al 2012 è stato nel gruppo Quick Step
Cataldo dal 2009 al 2012 è stato nel gruppo Quick Step

Regista col tempo

Fare il regista, dicevamo, richiede esperienza. Ma questa non basta e il cammino può essere lungo e variegato.

«Non c’è stato – racconta Cataldo – un momento specifico in cui ho capito che ero diventato un regista. E’ stato un insieme di diverse cose. Io ero passato con altre ambizioni. Volevo far classifica nelle grandi corse a tappe. Ero in un team, la Quick Step, che mi ha lasciato spazio, ma che era votato per le classiche e di fatto ero solo, non avevo nessuna guida. Poi sono passato alla Sky, che al contrario era organizzatissima per queste corse, e mi sono accorto che la mia esperienza personale che mi vedeva fare da solo, non bastava. Anche io poi devo aver fatto degli errori. 

«Le cose sono cominciate a cambiare quando sono arrivato all’Astana e mi hanno messo nel gruppo Aru, che puntava a Giro e Vuelta. Lì ho messo a frutto l’esperienza fatta. Vedevo le cose con anticipo. Nelle decisioni delle tattiche avevo la mia influenza. Vedendo che i miei ragionamenti erano validi, piano piano anche gli altri mi cercavano e mi ascoltavano».

Cataldo (appena arrivato) regista della Movistar al Giro 2020
Cataldo regista della Movistar al Giro 2020

Fiducia Movistar

«Mi sono accorto in diverse occasioni che potevo essere un buon regista, ma non se ne sono accorti gli altri. Certe cose le sapevi tu. Tu avevi delle intuizioni, le facevi presente ma non eri ascoltato. Ce n’è voluto di tempo. E’ stata questa la parte più difficile: farlo capire agli altri».

Però in Movistar la musica è totalmente diversa e Cataldo stesso lo ammette. Appena è arrivato gli hanno dato tanta fiducia. Evidentemente anche le chiacchiere del gruppo non sono rimaste sorde ad Unzue. «Soprattutto al Giro – dice Cataldo – ho avvertito questa fiducia, con tutti quei giovani. Le mie intuizioni erano giuste e loro erano contenti. Ed io ne ero lusingato».

Esperienza, diplomazia, dedizione

Sono queste tre le qualità principali che dovrebbe aver un regista secondo Cataldo.

«L’esperienza è la prima cosa. Serve un grosso bagaglio di corse per capire come va la gara. Bisogna mettere insieme un sacco di variabili: il meteo, i chilometri, la classifica, il vento, la composizione delle altre squadre, i loro interessi…

«Serve poi diplomazia. Bisogna essere diplomatici con i compagni, devi capire i diversi caratteri di ognuno a partire da quello del leader. E anche quelli degli avversari. Serve il giusto rispetto.

«Terzo pilastro: la dedizione in quel che si fa. Avere stimoli per ottenere risultati per se stessi è facile, ma avere stimoli, appunto dedizione, per far vincere un’altra persona è tutt’altra cosa. Quell’obiettivo deve essere comune e lo devi fare tuo».

Davide Villella re delle salite alla Vuelta 2017
Davide Villella re delle salite alla Vuelta 2017

Un messaggio a Villella

Infine chiediamo a Cataldo un parere su Villella. Il lombardo è con lui alla Movistar e già prima erano insieme all’Astana. Davide ci ha detto che avrebbe corso in appoggio ad altri, che il regista in corsa era appunto Cataldo e che lui non era certo di poter fare altrettanto. «Non chiedetelo a me», ci disse Villella. Bene, noi lo abbiamo chiesto al regista “titolare”!

«Più che regista, per me Davide ha la qualità per fare risultato, solo che ancora deve esprimersi – spiega Cataldo – Se l’esperienza la può acquisire, nella parte della diplomazia è un po’ carente. Lui ha un carattere chiuso e riservato e questo lo fa perdere nella gestione della squadra.

«Davide ha un grosso motore. Io stesso al Giro in qualche tappa lo spronavo. In qualche fuga gli dicevo: io anticipo così tu stai coperto e provi nel finale. Deve imparare a gestire la corsa e potrà ottenere grandi risultati. Alla fine anche Fuglsang è esploso a 33 anni. Bisognerebbe trovare il modo di fargli esprimere questo suo potenziale. Magari metterlo sotto pressione, tirargli fuori un po’ di rabbia. Insomma, stargli dietro un po’. Ma uno che vince la maglia di miglior scalatore alla Vuelta (2017, ndr) è forte».

Dario Cataldo, Uae Tour, 2020

Cataldo ci guida nel ciclismo dei dettagli

03.12.2020
4 min
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Dario Cataldo si prepara a trascorrere il Natale in Svizzera. Non tanto perché non vorrebbe tornare dai suoi genitori in Abruzzo, ma per semplice senso di responsabilità.

«Sono convinto anch’io – dice – che se andassi in macchina, non mi fermerebbero e al massimo avrei da pagare una multa. Ma so anche che se vado in un negozio con la mascherina o anche al ristorante e la sera torno a casa mia, sono molto più protetto e rischio di fare meno danni che se andassi giù e dentro casa dei miei ci togliessimo tutte le protezioni. Bisogna essere onesti nell’ammetterlo…».

E così nella sua casa a pochi passi dal confine italiano, l’abruzzese ha ripreso gli allenamenti in modo ancora blando con motivazioni che vanno dalla voglia di riscatto personale a quella di dimostrare alla Movistar di aver scelto bene.

Dario Cataldo, Miguel Angel Lopez.Vuelta Espana 2018
Il prossimo anno alla Movistar arriva Miguel Angel Lopez. Eccoli insieme alla Vuelta 2018
Dario Cataldo, Miguel Angel Lopez.Vuelta Espana 2018
Alla Movistar lo raggiunge Miguel Angel Lopez
Stato d’animo di Cataldo?

Sono tranquillo e molto concentrato. In quel poco di stagione che si è fatta, hanno dominato sempre gli stessi. Ci sono corridori che normalmente avrebbero fatto vedere qualcosa, ma sono rimasti schiacciati. Capisco che uno come Nibali senta forte la voglia di rifarsi, perché lui ha responsabilità maggiori. Io sento lo stesso stimolo per me stesso, perché sono stato al di sotto di quello che avrei potuto e voglio dimostrare ciò che so fare. Preparare Tour e Giro così ravvicinati forse mi ha messo in difficoltà più di quanto avrei creduto.

Hai mai discusso sull’opportunità di farne uno solo?

No, davvero. Con le corse tutte sovrapposte, ho detto subito che avrei fatto quel che c’era da fare, mettendoci il massimo impegno. Ovviamente sapevo che sarebbe stata dura, ma avevo in testa che il mio focus principale sarebbe stato comunque il Giro con Soler capitano. Per questo non sono arrivato in super forma all’inizio del Tour, ma di colpo Soler lo hanno portato in Francia togliendolo dal Giro. Mentre io a metà della Boucle, che è stata super esigente, ho iniziato a sentire la fatica e ad imbarcare acqua. E con questa difficoltà addosso, al Giro non ho avuto il picco in cui speravo.

Come è andata nella Movistar che in un solo colpo ha perso Quintana, Landa e Carapaz?

I giovani scalpitavano ed è stato un peccato non aver fatto la stagione normale. Dopo il Tour, Soler si è rifatto vincendo una tappa alla Vuelta. Mas è stato quinto sia in Francia che in Spagna. Non ha brillato, ma credo che tanti firmerebbero per i suoi risultati. Diciamo che è stato un anno complicato anche per le novità e magari dal prossimo andrà tutto meglio. E poi arriva il piccolo Lopez

Andrà d’accordo con Mas e Soler?

Non è un gallo che crea scompiglio e noi non siamo Ineos, con 15 capitani. Abbiamo corso insieme all’Astana, lo conosco. Si divideranno la stagione cercando di portare a casa il meglio in ogni momento.

Come ti stai allenando?

Piano. Su strada, Mtb e qualche camminata. Dal 2020 lavoro con Patxi Vila (ex professionista basco che fino al 2019 era con Sagan alla Bora-Hansgrohe, ndr). E’ molto, molto, molto preparato. Una persona che stimo e ha la testa giusta per il suo lavoro. Mi ha cambiato qualche abitudine, come quella di farmi lavorare sulla forza. Non lo facevo, ma è bastato incrociare i test prima e dopo e ho capito che è necessario. E comunque anche i cambiamenti di preparazione richiedono adattamenti.

Dario Cataldo, La Roche sur Foron, Tour de France 2020
Al Tour del 2020, Cataldo pedala sulle strade bianche verso La Roche sur Foron
Dario Cataldo, La Roche sur Foron, Tour de France 2020
Tour 2020, sulla strada per la Roche sur Foron
Impossibile dimenticare una cena al tuo primo anno con Sky e la tristezza dei piatti che ordinasti…

E’ cambiato tutto. Sono cambiate le teorie con cosa, come, quando e perché. Si seguiva una linea nutrizionale che gli studi successivi hanno sconfessato o aggiustato. Ora si parla di alimentazione funzionale, in base all’allenamento o la corsa e addirittura in base al momento della giornata.

Mai più da soli?

Devi avere persone molto aggiornate per seguirti. Prima potevi avere delle linee in cui tenere il bilancio delle quantità e delle calorie. Ora si distingue fra quali tipi di grassi mangiare, quali proteine e quando. Essendo uno sport di endurance, tutto quello che facciamo noi ha una ricaduta in termini di salute sulle persone normali. Il bello è che tutti ormai seguono ke stesse linee e le nuove generazioni sono nate con questo imprinting.

Secondo te è il motivo di tanto ricambio?

Una buona parte. O stai al passo o sei fuori sin dalle prime corse. Andare a correre indietro di condizione per prepararsi ti porta più sberle che giovamenti. Il ciclismo è sempre stato duro, ma ora si sta andando tanto verso l’esasperazione.

Come in Formula Uno…

Il dettaglio fa la differenza. Il ciclismo ormai è velocità, bellissimo sotto l’aspetto sportivo. Ma in gruppo parliamo di come arginare tutto questo spingersi verso il limite. E non potendo limitare l’uomo, si ragionava di intervenire sulla bici. Che pesi di più e sia meno aerodinamica, per abbassare le andature. Ma sono discorsi che durano poco, il tempo di rendersi conto che sarebbe brutto fermare lo sviluppo delle bici. E’ uno sport bellissimo, che deve trovare i suoi equilibri.