Tour de France 2025, Parigi, Montmartre, Wout Van Aert attacca, alle spalle c'è Tadej Pogacar

Parigi riapre ai velocisti? Bennati, Montmartre e la volata

11.11.2025
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«Se parliamo di Jonathan Milan – dice Bennati sicuro – secondo me c’è tutto il tempo per riorganizzare un inseguimento. Sicuramente qualcuno a Montmartre attaccherà, qualcuno farà anche la differenza. Il Van Der Poel della situazione, Van Aert (in apertura il suo forcing del 2025, ndr), Pogacar, Evenepoel, questi corridori qua. Però secondo me c’è il terreno per recuperare e per pensare a fare la volata. O comunque impostare la tappa per arrivare in volata».

C’è poco da fare: l’inserimento di Montmartre nel finale della tappa dei Campi Elisi fa storcere il naso ai velocisti, privati della ciliegina sulla torta dopo tre settimane sulle montagne del Tour. Quest’anno poi, le tre tappe precedenti hanno l’arrivo in salita in un crescendo rossiniano che sarebbe insopportabile senza la prospettiva di un’ultima chance. Forse per questo i tracciatori della Grande Boucle hanno rimescolato le carte del mazzo: Montmartre si farà, ma a 15 chilometri dal traguardo. Ben altra cosa rispetto ai tre passaggi del 2025, l’ultima a 6 chilometri dall’arrivo.

«E’ chiaro che dopo tre settimane – prosegue Bennati – le energie sono quelle che sono. Però in condizioni di asciutto sicuramente i velocisti possono pensare di giocarsi la volata».

Tour de France 2007, Parigi, Campi Elisi, podio, Daniele Bennati
Bennati ha vinto la tappa di Parigi al Tour del 2007, battendo in volata Hushovd e Zabel
Tour de France 2007, Parigi, Campi Elisi, podio, Daniele Bennati
Bennati ha vinto la tappa di Parigi al Tour del 2007, battendo in volata Hushovd e Zabel

Parigi 2025, fu vero spettacolo?

La precisazione sulla strada asciutta vale certamente un passaggio in più. L’anno scorso lo spettacolo fu incandescente, ma la neutralizzazione dei tempi nel circuito finale svilì parecchio la corsa alle spalle dei primi. Alla fine vinse Van Aert, che aggiunse i Campi Elisi all’iconica tappa delle strade bianche di Siena al Giro.

«Io non penso che pioverà anche l’anno prossimo – precisa Bennati – però questo non lo possiamo sapere. La strada bagnata da un certo punto di vista penalizza lo spettacolo, perché lo scorso anno alla prima accelerazione rimasero in sei e non fu bello per la tappa di chiusura in un palcoscenico così bello. Devo dire che da velocista, non è stato bello vedere i corridori da tutte le parti e gruppetti che si rilassavano per arrivare al traguardo. Obiettivamente se dovesse essere nuovamente così, preferirei il circuito classico. Non perché ero velocista e ho vinto su quell’arrivo, ma perché secondo me rendeva l’ultima tappa molto più adrenalinica».

Bastò un’accelerazione perché lo scorso anno a Parigi rimanessero in sei: dietro la tappa fu neutralizzata
Bastò un’accelerazione perché lo scorso anno a Parigi rimanessero in sei: dietro la tappa fu neutralizzata

Da zero a 100 in un attimo

L’ultima tappa del prossimo Tour misura 130 chilometri, che si porteranno a termine senza un dislivello di rilievo, fatta salva la salita di Montmartre. Ciò significa che i corridori, soprattutto i velocisti, avranno nelle gambe i circa 54.450 metri di dislivello delle tre settimane precedenti. Questo significa che l’ultima tappa piatta sarà una passeggiata di salute? No, sarà esattamente il contrario.

«La salita in sé non è durissima – annuisce Bennati – se la paragoni a qualsiasi muro del Fiandre è molto più leggera. Anche il pavé è abbastanza sconnesso, ma non troppo, quindi è abbastanza leggero. Però arrivi con tre settimane nelle gambe, per cui se il Pogacar della situazione vuole vincere l’ultima tappa, per i velocisti si fa comunque dura. Quelli di classifica hanno doti superiori di recupero rispetto a un velocista, quindi potenzialmente sono avvantaggiati.

«Tornando al discorso della tappa breve, per esperienza personale l’ultima tappa del Tour, del Giro o della Vuelta non è mai una passeggiata. Vieni da tre settimane molto impegnative e nei primi chilometri ci sono i festeggiamenti e un’andatura super blanda. Di conseguenza il ricordo che è sempre stato quello di una fatica tremenda quando si inizia ad accelerare sul circuito. Su un percorso del genere, sono sempre avvantaggiati corridori come Van Aert e Van Der Poel, anche se non sono scalatori. Perché il velocista ha provato a fare le volate e magari ha lottato per la maglia verde, quindi ha speso più di loro. Quindi per assurdo una tappa così corta potrebbe trasformare quella salitella in un bel problema. I velocisti dovranno mettere davanti tutti i compagni rimasti».

L’ultima tappa del Tour inizia con brindisi e saluti, ma questa volta Milan avrà la chance di giocarsi la volata
L’ultima tappa del Tour inizia con brindisi e saluti, ma questa volta Milan avrà la chance di giocarsi la volata

I velocisti ringalluzziti

Il senso però è che questa volta i velocisti potrebbero avere lo spazio per ricucire e giocarsi la volata. Magari non tutti, perché non tutti avranno le gambe per reggere quel tipo di accelerazione e il successivo inseguimento.

«Il Bennati che vinse a Parigi – dice il toscano, ricordando – negli ultimi giorni stava meglio rispetto alla maggior parte dei velocisti, perché probabilmente aveva un recupero migliore. C’è da capire se, correndo oggi, avrei messo davanti la squadra per fare Montmartre al mio ritmo, perché probabilmente il peso della corsa se lo prenderebbe Pogacar, soprattutto se vuole attaccare e provare a vincere. Magari per uno come lui 15 chilometri non sono una gran cosa, ma questo sarà un altro bel motivo per aspettare la corsa con grande curiosità».

Campionati europei 2025, Drome et Ardeche, Diego Ulissi

Da Bettini a Villa, con Ulissi diamo i voti ai cittì azzurri

07.10.2025
7 min
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Dopo gli europei corsi bene in appoggio a Scaroni, leader di nazionale e compagno di squadra alla XDS-Astana, Diego Ulissi sta ricaricando le batterie a Lugano, prima del rush finale della stagione. I suoi 36 anni ne fanno un osservatore d’eccezione sulla nazionale: il cittì Villa è il quarto con cui ha lavorato, ma in precedenza aveva avuto modo di interagire anche con Alfredo Martini e Ballerini. I due mondiali vinti da junior lo avevano fatto entrare infatti nel giro azzurro e certi incontri non si dimenticano. Così gli abbiamo proposto un viaggio fra i suoi tecnici in nazionale. Partendo da Villa che lo ha convocato per gli europei e tornando poi indietro a Bettini, Cassani e Bennati.

Sopralluogo mondiali 2013 Firenze, Paolo Bettini, Diego Ulissi
Bettini fece debuttare Ulissi in nazionale a Firenze 2013, a 24 anni
Sopralluogo mondiali 2013 Firenze, Paolo Bettini, Diego Ulissi
Bettini fece debuttare Ulissi in nazionale a Firenze 2013, a 24 anni
Che nazionale hai trovato con Villa?

Marco lo conoscevo già, perché è stato sempre in ambito nazionale e mi è capitato di lavorarci spesso e nel corso degli anni. E’ veramente una grande persona, basta vedere quello che ha fatto in questi anni con la pista. Ha portato il suo progetto fino al tetto del mondo, per i risultati che hanno ottenuto. E’ una persona con cui a livello umano si lavora benissimo, parlo per me stesso. Mi ha reso partecipe già a giugno, dopo il Giro d’Italia, che gli serviva la mia esperienza accanto a diversi giovani per gli europei. E’ una persona con le idee ben chiare, ci si lavora benissimo.

Marco stesso ha ammesso che non avendo grande esperienza, si è appoggiato molto al gruppo. E il gruppo è stato coeso.

E’ normale che quando arrivi in un mondo diverso da quello cui eri abituato, bisogna affinare certi meccanismi. Però l’esperienza gli ha permesso di fare gruppo e comunicare bene con tutti e questo è cruciale per mettere armonia tra di noi. Dovendo fare gruppo in pochi giorni, non facendo ritiri o altro, la comunicazione e la giusta pianificazione sono importanti. In modo che ognuno sappia cosa deve fare e in pochi giorni si possano mettere a fuoco tutti i meccanismi. Devo dire che su questo aspetto ci sa fare molto.

Il primo cittì che ti ha convocato da professionista è stato Bettini, due volte iridato, campione olimpico e via elencando…

Forse anche per il fatto che portava avanti tante idee di Ballerini, sopra ogni altra cosa la coesione del gruppo, era un cittì con le idee chiare. Su chi fossero i capitani e chi dovesse lavorare e chi fare il regista in corsa. “Betto” voleva un’impronta di gara all’attacco ed era esigente. Mi ricordo che lo facemmo sia mondiali di Valkenburg sia quelli di Firenze. Appena entrammo nel circuito di Firenze, che ancora pioveva, prendemmo in mano la situazione. Era lui che voleva questo e ci dirigeva. Sono appassionato di calcio e ogni cittì è come un allenatore: ciascuno ha la sua identità e il suo stile, anche in base ai corridori che ha a disposizione.

Campionati del mondo firenze 2013, casa di Alfredo Martini, visita della nazionale
Prima dei mondiali del 2013, Bettini portò gli azzurri a casa di Alfredo Martini, storico e indimenticato cittì azzurro dal 1975 al 1997
Campionati del mondo firenze 2013, casa di Alfredo Martini, visita della nazionale
Prima dei mondiali del 2013, Bettini portò gli azzurri a casa di Alfredo Martini, storico e indimenticato cittì azzurro dal 1975 al 1997
Firenze è stato il solo mondiale che hai corso in Italia, anzi in Toscana: che effetto ti fece?

Fu particolare correre così vicino a casa. Sicuramente ero molto giovane, c’era tantissima emozione. Ci ritrovammo in ritiro a Montecatini una settimana prima e io capitai in una grande camera tripla con Scarponi e Nocentini. Penso sia stata la settimana più bella di tutta la mia carriera, veramente. Si lavorava bene e mi sono veramente divertito tanto. Eravamo una nazionale forte, eravamo coesi l’uno con l’altro. E’ una delle settimane che ricordo più volentieri di tutta la mia carriera.

Un giorno, a proposito di cittì, andaste anche a trovare Alfredo Martini nella sua casa di Sesto Fiorentino. Ricordi qualcosa?

Penso di avere ancora delle foto salvate. Partimmo in allenamento e andammo direttamente a casa sua per salutarlo. Per me, un giovane di 24 anni che seguiva il ciclismo da sempre, fu straordinario. Mi ero anche documentato sulla storia precedente, che non ho potuto vivere. Fu un susseguirsi di emozioni.

L’anno dopo arrivò Cassani. Il primo mondiale con lui lo facesti a Richmond nel 2015.

Con Davide è stato un crescendo. Ha sempre seguito le gare, però arrivava da un altro tipo di lavoro e bisognava annusarsi e prendersi le misure. Si è messo in ammiraglia e i primi due anni si sono serviti di assestamento. Poi anche con lui abbiamo creato un grande gruppo. Si è ritrovato tutti i ragazzi del 1989 e del 1990 con cui si riusciva a fare bene perché eravamo molto uniti. Lui l’ha capito e ha ottenuto dei grandi risultati. Quattro europei vinti, un argento mondiale che era quasi oro e se Nibali non fosse caduto a Rio, magari ci scappava anche la medaglia olimpica. Davide cerca di capire e di farti capire se sei in forma, se veramente puoi essere utile per la squadra. Mi ha chiamato tantissime volte in causa, perché gli piaceva il modo in cui gestivo la gara. E poi, è sempre stato chiaro.

Diego Ulissi assieme a Davide Cassani
Con Cassani, Ulissi ha sempre avuto un rapporto franco e sincero. Con il cittì vinse la preolimpica 2019 a Tokyo
Con Cassani, Ulissi ha sempre avuto un rapporto franco e sincero. Con il cittì vinse la preolimpica 2019 a Tokyo
In che modo??

Mi ricordo una volta, era il 2016 e si puntava verso le Olimpiadi di Rio. Io quell’anno andavo forte perché ero nei primi dieci del ranking mondiale e avevo appena fatto un grande Giro d’Italia, con due tappe vinte. Davide aveva l’idea di portarmi, però doveva prendere delle decisioni. Mi chiamò a due settimane dalla partenza. Mi volle incontrare di persona, perché certe cose è diverso dirle guardandosi in faccia. Sicuramente meritavo di andare alle Olimpiadi però toccava a lui prendere la decisione e fu lo stesso per Tokyo. Con lui ho sempre avuto un rapporto diretto. Io gli dicevo quello che pensavo, lui mi diceva quello che pensava e siamo andati veramente d’accordo.

Resta il fatto che ti ha escluso dalla rosa di due Olimpiadi…

Per quello che è il mio carattere e quello che ho imparato nel corso degli anni, sia verso i cittì sia verso i direttori sportivi, ho cercato sempre di mettermi nei loro panni. Devono prendere delle decisioni e non possono accontentare tutti. Io pensavo di meritare entrambe le convocazioni, ma il suo lavoro di selezione non era facile. Prendiamo i mondiali di Richmond…

Con Ulissi capitano…

Senza sapere che tipo di corsa sarebbe venuta fuori. Senza gli strumenti tecnologici di oggi che ti permettono di capire una strada a distanza. Come fai le scelte se non puoi vedere il percorso? Dieci anni fa era più difficile…

Ulissi ha corso nella nazionale di Bennati soltanto lo scorso anno a Zurigo. E’ il quarto da destra

Ulissi ha corso nella nazionale di Bennati soltanto lo scorso anno a Zurigo. E’ il primo da destra

E poi Bennati, con cui hai corso lo scorso anno a Zurigo.

Mi voleva convocare anche per i mondiali in Australia, ma la squadra non mi mandò. Dissero che era una trasferta lunga e c’era già il discorso dei punti e con la UAE Emirates si lottava già per le posizioni di vertice. C’erano già diversi corridori che andavano e io ho dovuto accettare la decisione. Penso sia stata una delle scelte più sbagliate che ho fatto in carriera, perché alla maglia della nazionale non si dice di no mai e poi mai. Con “Benna” un mondiale l’ho anche corso…

A Bergen nel 2017?

Esatto! E ho sempre avuto una grandissima stima da corridore e poi da tecnico. Che cosa gli vuoi dire? Bisogna avere anche la fortuna poi di trovare le nazionali giuste e corridori adatti ai percorsi. Purtroppo miracoli non ne fa nessuno e l’anno scorso a Zurigo chi doveva fare la corsa forse non era nelle condizioni giuste e il percorso non era adattissimo ai nostri capitani. E’ stata una somma di cose.

Tornando a te, che esperienza è stata questo europeo?

Bella. Eravamo un numero ridotto di corridori, però siamo partiti subito con l’idea chiara che Scaroni era il nostro leader. Ruolo più che meritato per la stagione che ha fatto e il livello che ha dimostrato. Il mio compito era proprio quello di stare accanto a lui fino a che non esplodeva la gara, metterlo nelle condizioni giuste perché si potesse esprimere al meglio. L’avevo già fatto altre volte in questa stagione. I ragazzi si sono mossi bene, ci siamo mossi tutti bene.

Campionati europei 2025, Drome et Ardeche, Diego Ulissi
Agli europei 2025, il compito di Ulissi è stato quello di scortare Scaroni (alla sua ruota) fino alle fasi decisive di corsa
Campionati europei 2025, Drome et Ardeche, Diego Ulissi
Agli europei 2025, il compito di Ulissi è stato quello di scortare Scaroni (alla sua ruota) fino alle fasi decisive di corsa
A Scaroni sono mancati 50 metri sullo strappo, altrimenti ci giocavamo il bronzo…

Probabilmente è più veloce di Seixas e se la poteva giocare. Anni fa, quando sono passato io era impossibile vedere un 19enne che si giocava il podio in una competizione internazionale. Si può dire che è cambiato il mondo. Io a 19 anni, nonostante avessi vinto due mondiali, ero uno junior. Vedere invece gli allenamenti che fanno questi ragazzi, fa capire che sono già professionisti. Io non sono molto in linea con questa filosofia, però adesso funziona così…

Lidl-Trek, l’anno dei punti. Con Bennati fra Giro, Tour e Vuelta

03.09.2025
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Pedersen al Giro, poi Milan al Tour e ora di nuovo Pedersen, che guida la classifica a punti della Vuelta con 9 lunghezze di vantaggio su Vernon (in apertura Mads con la sua maglia verde, accanto a Vingegaard in rosso). Per la Lidl-Trek non sarà ancora la stagione dei record, ma la prospettiva di portare a casa le tre maglie è certo interessante. E allora ci siamo chiesti quali differenze ci siano nella lotta per la classifica punti fra Giro, Tour e Vuelta. E ci è venuto in mente di chiederlo a Daniele Bennati, che ha vinto la maglia verde spagnola nel 2007, la ciclamino del Giro nel 2008. Era invece terzo nella classifica a punti al Tour del 2006, dietro McEwen e Freire, quando una caduta lo rispedì a casa a cinque tappe dalla fine. In aggiunta, Bennati fu uno dei primi corridori nel 2011 a firmare per l’allora Leopard Trek di Luca Guercilena, restandoci per due stagioni con 7 vittorie, che anni dopo sarebbe diventata l’attuale Lidl-Trek.

«Senza dubbio la maglia verde al Tour – dice il toscano – è quella più difficile da conquistare. Devo essere sincero, nel 2006 ero abbastanza vicino a McEwen. Probabilmente non l’avrei vinta, però me la sarei giocata. Caddi nella discesa del Telegraphe dopo aver scalato il Galibier e dovetti tornare a casa prima. In termini di difficoltà la maglia verde al Tour è molto più complicata rispetto al Giro e alla Vuelta, ma è inevitabile che per vincerle bisogna andare super forte in tutti e tre».

Bennati ha vinto la maglia a punti di Giro e Vuelta. Nel 2006, secondo dietro Boonen in giallo, indossò la verde per un giorno
Bennati ha vinto la maglia a punti di Giro e Vuelta. Nel 2006, secondo dietro Boonen in giallo, indossò la verde per un giorno
A parte la caduta del 2006, nel 2007 hai vinto due tappe al Tour, ma arrivasti sesto nella classifica a punti. Come mai la verde era così ostica per te?

Ero una vera frana nei traguardi volanti, penso di non averne mai vinto uno in vita mia e di aver perso anche contro corridori che sulla carta erano molto meno veloci di me. Questo mi ha penalizzato molto al Tour, perché gli sprint intermedi sono sempre molto importanti per conquistare la maglia verde, oltre al vincere le tappe e fare tanti piazzamenti. Io vinsi due tappe e poi feci un sesto e un quarto posto. Petacchi ad esempio conquistò la maglia nel 2010, vinse due tappe, ma per cinque volte entrò nei primi tre. Quando va così, sei avvantaggiato, perché un po’ puoi disinteressarti dei traguardi volanti.

Puoi tornare sul tuo essere una frana negli sprint intermedi?

Non avevo la capacità di fare la volata a metà tappa. Forse un problema di motivazione, ma non riuscivo a dare tutto me stesso nei traguardi volanti. Per vincere la maglia verde al Tour devi avere anche la capacità di sprintare dopo 20 chilometri oppure dopo 80 e questo sicuramente Milan ce l’ha nelle sue corde. Ne ha vinti diversi e questo è sicuramente un valore aggiunto, forse perché, essendo un pistard, ha la capacità di andare fuori giri anche dopo pochi chilometri.

Al primo Tour, dopo due ciclamino al Giro, Milan ha vinto due tappe e la maglia verde
Al primo Tour, dopo due ciclamino al Giro, Milan ha vinto due tappe e la maglia verde
C’è differenza nella lotta per la classifica a punti fra i percorsi dei tre Grandi Giri?

Quando ho vinto la maglia a punti della Vuelta, fino all’ultima tappa non l’avevo ancora indosso. Negli anni il regolamento è cambiato. In quel 2007, le tappe di montagna e quelle di pianura davano lo stesso punteggio. Per noi velocisti diventava ancora più complicato. Io avevo vinto tre tappe, però mi ricordo che in quella finale di Madrid la maglia verde ce l’aveva Samuel Sanchez. Anche lui aveva vinto tre tappe, quindi era più avanti di me. Riuscii a conquistare la maglia a punti battendo Petacchi su quell’ultimo arrivo.

Invece al Giro?

Nel 2008 davano gli stessi punti per le tappe pianeggianti rispetto a quelle di montagna. Ricordo che Emanuele Sella aveva vinto anche lui tre tappe e un giorno venne a dirmi: «Stai attento, Benna, perché ti rubo la maglia ciclamino!». Infatti arrivò secondo nella cronoscalata di Plan de Corones e ci ritrovammo molto vicini nella classifica a punti (51 punti, ndr). Per fortuna nelle ultime tappe feci anche qualche altro piazzamento in tappe intermedie e mi salvai. Ma il fatto di avere per tutte le tappe lo stesso punteggio faceva sì che dovessimo lottare contro quelli di classifica e chi vinceva le tappe di montagna. Magari dalla mia c’era il fatto che essendo più veloce rispetto a quelli di classifica, qualche traguardo volante andando in fuga potevo vincerlo e comunque portare a casa un po’ di punti.

Dopo la maglia a punti alla Vuelta del 2022, Pedersen ha conquistato la ciclamino all’ultimo Giro
Dopo la maglia a punti alla Vuelta del 2022, Pedersen ha conquistato la ciclamino all’ultimo Giro
Quindi, che si tratti del Giro, del Tour o della Vuelta, la maglia a punti non viene per caso, ma c’è da studiare il modo per conquistarla?

Esatto. Dosando il lavoro dei compagni in rapporto al percorso della tappa. Giusto la UAE Emirates fa eccezione, ma solo perché hanno Pogacar e quando c’è lui, non portano il velocista. Anche perché Tadej volendo potrebbe vincere anche la maglia a punti. Per il resto si studiano i percorsi e si mette a punto la miglior strategia per portare a casa la maglia a punti. 

La Lidl-Trek al Tour aveva soltanto Milan, data la caduta di Skjelmose. Al Giro e alla Vuelta ha Pedersen e Ciccone, dovendo aiutarli entrambi. Un super lavoro?

Se in squadra c’è l’uomo di classifica, il velocista deve accontentarsi di un paio di compagni. Ormai le squadre sono attrezzate e possono reggere insieme l’uomo di classifica e il velocista. Poi, come per Pogacar, dipende anche dal livello dell’uomo di classifica. Quando a fine carriera ho corso per Contador, non c’era maglia a punti che reggesse: si tirava per lui e basta.

Un tuffo con Bennati nello spirito della Alpecin-Deceuninck

02.08.2025
5 min
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Con gli occhi ancora pieni della magia del concerto di Jovanotti ai Laghi di Fusine, Daniele Bennati si presta volentieri a parlare di una squadra che se ne è andata dal Tour con tre tappe vinte e la maglia gialla (con due corridori diversi).

La Alpecin-Decenunick dei fratelli Roodhooft non è la squadra più ricca del WorldTour e da quelle vette resta suo malgrado lontana. Eppure nonostante ciò, il suo campione di riferimento e il morale che sa trasmettere ai compagni ne fanno un approdo molto ambito. Vedere Mathieu Van der Poel mettersi al servizio di Philipsen per vincere una tappa al Tour o la Milano-Sanremo fa pensare a ciascun atleta che tutto sia possibile.

«Hanno vinto tre tappe – dice Bennati, l’ex tecnico della nazionale – con Philipsen che si è ritirato dopo tre giorni, sennò magari erano anche di più. Un bottino importante, ma poteva essere sicuramente superiore, anche se poi di volate vere e proprie non ce ne sono state tante».

Secondo Bennati, Philipsen dovrebbe dedicare un monumento a Van der Poel per ogni vittoria che ha propiziato
Secondo Bennati, Philipsen dovrebbe dedicare un monumento a Van der Poel per ogni vittoria che ha propiziato
Da corridore, a Bennati sarebbe piaciuto correre in una squadra così?

Mi è sempre piaciuta, fin dai loro inizi. Nonostante non avessero e non abbiano tutt’ora un budget esagerato, in corsa io li ho sempre visti muoversi molto bene. Se avessi una squadra mia, li prenderei sicuramente come esempio. Chi li dirige è molto bravo, perché sanno cavarsela sempre bene, soprattutto nelle volate. Se guardiamo i singoli e togliamo dal mazzo VdP e Philipsen, non è che ci siano nomi altisonanti, però nel loro caso è l’atteggiamento che fa la differenza.

Il fatto che Van der Poel si metta a disposizione dei compagni può essere un esempio anche per gli altri?

Non è che si limiti a tirare le volate, in certe occasioni lui diventa proprio determinante. Se ripenso alla Sanremo dello scorso anno, alcune tappe al Tour e alle gare più importanti, Philipsen dovrebbe fare un monumento a Van der Poel. E’ chiaro che quando un corridore così ha questa attitudine e si mette a disposizione di un capitano, fa la grande differenza. Chi non vorrebbe un ultimo uomo così? Eppure secondo me fa tutto parte della linea della squadra. Sicuramente però Mathieu è generoso, non pensa solo a se stesso, ma al bene di tutti.

Il fatto che lui abbia firmato a vita forse lo rende ancora più partecipe dei destini della squadra?

Questo sicuramente è un altro aspetto da tenere in considerazione. In qualche modo Van der Poel si sente riconoscente nei confronti della squadra, però anche prima di estendere così tanto il suo contratto non si è mai tirato indietro. A me personalmente piace non solo perché vince, ma perché si mette a disposizione.

Tappa di Chateauroux, Van der Poel e Rickaert in fuga per 173 km tra vento e pianura: azione eroica, ma folle secondo Bennati
Tappa di Chateauroux, Van der Poel e Rickaert in fuga per 173 km tra vento e pianura: azione eroica, ma folle secondo Bennati
Può dipendere da una mentalità di squadra che altrove non hanno?

Chi è in macchina è sicuramente bravo, ma per arrivare a vincere una tappa in fuga come ha fatto Groves, sicuramente alla base c’è proprio una mentalità di squadra. Non ti svegli la mattina e trovi un direttore che ti motiva, c’è un modo di andare in corsa che è tutto loro e che gli permette di cercare una fuga a due per 173 chilometri, a 49,6 di media, arrivando quasi a vincere la tappa.

Azioni belle, magari prive di grande logica, ma splendide…

Un’azione che forse con un finale diverso sarebbe potuta andare in porto. Ci fosse stata qualche curva in più, dietro avrebbero faticato a chiudere. Si sono sciroppati talmente tanti chilometri e hanno accumulato talmente tanta fatica, che forse quel giorno la generosità di Van der Poel è stata anche esagerata. La cosa bella è che Mathieu è un trascinatore per tutto il resto della squadra.

Sembra di capire che tu quella fuga non l’avresti fatta…

Esatto, avrei risparmiato l’energia per vincere qualche altra tappa. Secondo me quel giorno ha raschiato il fondo del barile e poi infatti si è ammalato. Però l’appassionato apprezza queste cose e l’ho apprezzato anch’io. Ha portato con sé Rickaert e voleva regalargli la soddisfazione di un podio, che sportivamente è molto bello.

Groves vince a Pontarlier e diventa uno dei 114 corridori di sempre ad aver vinto almeno una tappa nei tre i Grandi Giri
Groves vince a Pontarlier e diventa uno dei 114 corridori di sempre ad aver vinto almeno una tappa nei tre i Grandi Giri
Anche lui dà la sensazione di cercare sfide che lo divertano, come il suo amico e grande rivale Pogacar. Ogni volta che si scontrano, se ne vedono davvero delle belle…

Soprattutto grazie a Tadej, il ciclismo degli ultimi anni sta diventando più spettacolare. Non penseresti di trovare uno come lui in certe gare del Nord, invece si è buttato prima sul Fiandre e poi sulla Roubaix, scommettendo su se stesso e rendendo quelle gare più spettacolari.

Ci fosse stato Van der Poel nella tappa di Parigi, oltre a Van Aert, Ballerini e Pogacar, ci avrebbero fatto ballare…

Forse sarebbe arrivato da solo. Ma lui non c’era e sono contento che abbia vinto Van Aert, perché aveva un credito con la cattiva sorte e credo che il suo successo sia piaciuto a tutti. Obiettivamente il maltempo ha un po’ falsato l’ultima tappa, la neutralizzazione ha cambiato il finale. Al primo scatto sono rimasti in cinque e se la sono giocata loro.

Ma davvero pedalando con Jovanotti ogni giorno seguivate il Tour?

Assolutamente! E quando facevamo tardi, io piazzavo il telefono sul manubrio e ascoltavamo la cronaca, perché guardare non si poteva. La tappa che ha vinto Milan, la seconda, siamo arrivati che mancavano 4 chilometri all’arrivo e siamo andati davanti alla TV dell’hotel a guardare.

Fra Bennati e Jovanotti l’amicizia è di vecchia data: c’era anche lui nel viaggio dell’artista ai Laghi di Fusine (immagine Instagram)
Fra Bennati e Jovanotti l’amicizia è di vecchia data: c’era anche lui nel viaggio dell’artista ai Laghi di Fusine (immagine Instagram)
Hai scritto belle cose su Lorenzo e la bici.

Ho scritto che la bici non è solo un mezzo di trasporto. E’ un modo di vedere il mondo. E questo viaggio con Lorenzo ne è stata la dimostrazione più bella. E se i ragazzi vogliono fidarsi e lo ascoltano, lui che è un influencer potentissimo, forse davvero qualcosa si può iniziare a cambiare.

Ciclismo italiano malato? La cura può venire dall’atletica…

06.07.2025
6 min
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Nella domenica della vittoria tricolore di Filippo Conca è successa una cosa curiosa. In quasi contemporanea con il successo del corridore dello Swatt Club, giudicato su molti media (senza nulla togliere alla sua valorosissima impresa) come la certificazione del grave stato di crisi del ciclismo italiano, l’Italia di atletica si confermava sul trono continentale degli europei a squadre, il trofeo che definisce lo stato di salute dell’intero movimento.

Perché la cosa è curiosa? Perché se guardiamo solamente a una decina di anni fa la situazione era esattamente opposta. Il ciclismo italiano era ancora un riferimento internazionale, dall’altra parte nell’atletica ogni manifestazione internazionale era un pianto, dalla quale si tornava a casa a mani vuote. Qual è stata allora la ricetta che ha permesso alla “regina degli sport” di scalare le gerarchie e tornare un riferimento assoluto? Ed è una ricetta esportabile anche alle due ruote?

Daniele Bennati ha lasciato il suo ruolo quest’anno, dopo aver vissuto un quadriennio azzurro difficile
Daniele Bennati ha lasciato il suo ruolo quest’anno, dopo aver vissuto un quadriennio azzurro difficile

Lo scollamento tra vertice e territorio

Per trovare qualche risposta abbiamo messo di fronte due personaggi che, in tempi diversi, hanno vestito i panni del cittì nei rispettivi ruoli, Massimo Magnani per l’atletica e Daniele Bennati per il ciclismo. Dieci anni fa c’era proprio Magnani alla guida della nazionale di atletica e ricorda bene la situazione che si trovò davanti: «Mi accorsi che il problema principale era un completo scollamento fra l’atletica di vertice e la base. C’era da rifondare completamente il sistema tecnico, quello degli allenatori di periferia che scoprono i giovanissimi talenti e iniziano a farli crescere con il lavoro. Era necessario decentrare creando poli di lavoro più vicini al territorio, in modo che i tecnici potessero anche confrontarsi».

Questo è un primo aspetto fondamentale: lavorare sull’impianto tecnico. «Bisogna che ci sia un continuo e importante approfondimento culturale di chi lavora vicino ai ragazzi. I tecnici devono avere la possibilità di aggiornarsi, di confrontarsi con il mondo che li circonda. Nel mio periodo alla guida della nazionale ho portato ben 429 tecnici in giro per le gare internazionali, ho spinto molto sull’aggiornamento di ognuno perché il mondo dello sport cambia continuamente e non si finisce mai di aggiornarsi. Quei ragazzini che erano seguiti allora, hanno potuto beneficiare del lavoro dei loro tecnici e sono diventati i campioni di oggi che tutto il mondo c’invidia».

Massimo Magnani, che alla guida della nazionale di atletica ha lanciato il progetto sui tecnici locali (foto Benini)
Massimo Magnani, che alla guida della nazionale di atletica ha lanciato il progetto sui tecnici locali (foto Benini)

Un sistema esportabile, ma non è semplice farlo

Un sistema del genere è esportabile? «La ricetta può funzionare – risponde Bennati – ma dobbiamo tenere conto, fra le varie differenze fra i due sport, di una in particolare. L’atletica si svolge negli impianti, in assoluta sicurezza. Il ciclismo paga un prezzo pesantissimo alle tragedie che, purtroppo a ritmo quasi quotidiano, si svolgono sulle nostre strade con ciclisti investiti. Non si fa abbastanza in questo senso e i genitori sono preoccupati, poco propensi a mandare i loro figli ad allenarsi sulle strade. Stiamo passando un periodo di magra anche per questo.

«Il sistema evocato da Magnani però è giusto e sicuramente serve un rinnovamento a livello tecnico. Nel mio periodo azzurro mi sono confrontato con tecnici che svolgevano questo compito già quand’io ero ragazzino, applicando teorie che andavano bene allora ma nel frattempo le cose sono cambiate, il ciclismo si è evoluto. Se dici a un ragazzino “ai miei tempi si faceva così” non ti sta neanche ad ascoltare…».

L’attività juniores è ora centrale, il problema reale sono gli scarsi numeri giovanili
L’attività juniores è ora centrale, il problema reale sono gli scarsi numeri giovanili

Un processo a lungo termine

Magnani sottolinea come questo processo può funzionare se non si ha fretta: «E’ a lungo termine, i risultati si vedranno dopo anni. E’ un sistema virtuoso, nel senso che porta risultati ma anche a ricambi dietro i campioni. Oggi abbiamo tante stelle a livello internazionale, ma sappiamo che dietro ci sono altrettanti ragazzi che stanno crescendo e che potranno fare altrettanto se non di più. Proprio perché si è agito non sui singoli casi e specialità, ma riformando l’intera struttura».

«Nel ciclismo il discorso è complesso – ribatte Bennati – perché è una disciplina dove si fatica ad aspettare. Quando correvo io avevi la categoria U23 che era davvero un periodo di apprendistato, oggi vedi corridori di 20 anni che vincono grandi gare e si cercano talenti sempre più giovani. Ma per trovarli, per creare corridori capaci servono tecnici con una mentalità aperta, che sappiano andare di pari passo con i cambiamenti del mondo che li circonda».

Il lavoro sulle generazioni più giovani è fondamentale, ma fare proselitismo non basta
Il lavoro sulle generazioni più giovani è fondamentale, ma fare proselitismo non basta

Rivedere il rapporto con le società giovanili

E’ anche importante chi cura il rapporto con questi ragazzi, a cominciare da società e procuratori: «Due figure importanti, che meritano particolare attenzione – sottolinea Magnani – nel primo caso, quando un atleta ottiene risultati a livello assoluto e cambia società, parte della cifra va al club dove il suo talento è sbocciato e questo aiuta la società a proseguire nella sua opera di proselitismo. Per quanto riguarda i procuratori, anche lì è un lavoro in prospettiva: cercare talenti giovani e metterli sotto contratto può andar bene, a patto che non si punti al guadagno immediato, ma si aiuti chi lavora per farli migliorare, poi con la loro affermazione arriveranno anche le ingenti commissioni».

«Per quanto riguarda i procuratori nel ciclismo – interviene Bennati – normalmente avviene già così. E’ vero che ormai si contrattualizzano ragazzi addirittura nella categoria allievi, ma inizialmente non ci si guadagna nulla e neanche quando un corridore approda in un devo team. Se e quando riuscirà a passare professionista, allora il contratto inizierà a funzionare. Il discorso relativo alle società è più complesso.

Il ciclismo paga un prezzo altissimo alla sicurezza stradale. Questo non invoglia i genitori a far fare attività ai figli…
Il ciclismo paga un prezzo altissimo alla sicurezza stradale. Questo non invoglia i genitori a far fare attività ai figli…

Cambiare la cultura e… saper aspettare

«Bisogna considerare che bisogna stravolgere un sostrato culturale ma anche una situazione effettiva, perché una società giovanile vive sugli sponsor e questi vogliono vedere risultati. Per questo si punta, anche troppo, ai risultati in ambito giovanile e chi vince avanza, mentre bisognerebbe guardare più ad ampio spettro, le possibilità di crescita di un ragazzo. Il sistema a percentuale per la firma del contratto potrebbe funzionare, ma lì è la Federazione che deve metterci mano e non è facile».

Su un argomento i due ex cittì concordano: per avere riscontri serve tempo. «Da appassionato – afferma Magnani – posso dire che nel ciclismo è fondamentale che ci sia un aggiornamento culturale che segua l’evoluzione del tempo, perché i ragazzi di oggi sono profondamente diversi da quelli di vent’anni fa. L’aggiornamento tecnico, la loro crescita attraverso il confronto con altre scuole, la stessa progressiva responsabilizzazione anche come dirigenti dei team è un passo fondamentale, che porterà benefici se si saprà aspettare».

«L’ambiente ciclistico deve oggi dimostrare di avere questa capacità – ribatte Bennati – ma rendiamoci conto che oggi il ciclismo ha, per le ragioni dette prima, meno appeal rispetto ad altre discipline anche se le cifre che girano non sono quelle dei miei tempi. E’ chiaro comunque che ha bisogno di uno scossone, per tornare quello che era un tempo…».

Tour, rivoluzione a Parigi: 3 volte Montmartre, addio volata

23.05.2025
6 min
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«Quasi quasi – riflette Bennati sorridendo – per il corridore che ero e la gamba che avevo quell’anno, avrei vinto anche meglio se ci fosse stata anche allora la salita di Montmartre. Ma capisco che per come l’hanno disegnata adesso, l’ultima tappa del Tour non sarà più per velocisti. Non che prima fosse facile, tra il rettilineo che tirava e il pavé. E nemmeno sui Campi Elisi ha vinto sempre un velocista. Ma secondo me adesso uno come Pogacar potrebbe provare a vincere anche a Parigi…».

Tanto più che alle Olimpiadi, quale che ne sia stata la ragione, il campione del mondo non c’era e essersi perso quella scena così esaltante in qualche modo non deve essergli andato giù.

Il Tour a Montmartre

Qualcuno magari non lo sa ancora. Con un trafficare silenzioso e segreto, che ha avuto bisogno persino del benestare del governo francese, gli organizzatori del Tour hanno messo mano all’ultima tappa. Colpiti dalla baraonda delle Olimpiadi sulla salita di Montmartre, che Prudhomme ha definito l’immagine più potente di tutte le Olimpiadi di Parigi, i tracciatori di ASO sono riusciti a inserire tre passaggi sulla stretta salita in pavé

L’ultima tappa non sarà dunque la consueta attesa della volata finale, ma potrebbe addirittura incidere sulla classifica, qualora i distacchi fossero ancora minimi. Il gruppo infatti percorrerà 4 giri del classico circuito degli Champs Elysées. Nel corso del quarto cambierà direzione a Place de la Concorde e punterà verso Rue Lepic (con un attacco leggermente diverso da quello dei Giochi, a causa dei lavori stradali).

A questo punto i corridori avranno da affrontare un anello di circa 16 chilometri da ripetere per 3 volte. Dall’ultimo scollinamento all’arrivo mancheranno a quel punto 6 chilometri.

Daniele Bennati ha conquistato la tappa degli Champs Elysées al Tour del 2007
Daniele Bennati ha conquistato la tappa degli Champs Elysées al Tour del 2007

La delusione di Milan

Mentre il capo della polizia Laurent Nuñez ha garantito la fattibilità del cambiamento e ha detto che a suo avviso la modifica resterà anche in futuro, le reazioni dei corridori sono state altalenanti. Vale la pena annotare quella del nostro velocista di punta, Jonathan Milan, che il prossimo luglio farà la conoscenza del Tour.

«Gli Champs Élysées da velocista sono un sogno – ha detto il friulano della Lidl-Trek – quindi, per vari motivi, è un peccato vedere il percorso cambiato prima del mio primo Tour. L’aggiunta della salita di Montmartre avrà ovviamente un impatto sulla dinamica della gara, ma quanto complicherà le cose per noi velocisti dipenderà ovviamente da come verrà gestita e anche dalla situazione generale man mano che ci avviciniamo all’ultimo giorno. Ma non voglio pensarci ora, prima di Parigi ci saranno tanti altri obiettivi».

Parigi 2024, l’attacco di Evenepoel a Montmartre. Per un po’ Madouas resiste, poi deve arrendersi
Parigi 2024, l’attacco di Evenepoel a Montmartre. Per un po’ Madouas resiste, poi deve arrendersi

Minaccia Pogacar

Noi abbiamo pensato di affidare il commento a Daniele Bennati, ultimo italiano a vincere sui Campi Elisi e tecnico della nazionale che lo scorso anno sul circuito di Parigi partecipò alle Olimpiadi vinte da Evenepoel.

«Se non sbaglio – dice il toscano, attualmente al Giro come opinionista al Processo alla Tappa – alle Olimpiadi i chilometri dalla salita all’arrivo erano circa 10, quindi i 6 del Tour sono davvero pochi. Ovviamente cambia tutto. Se Van der Poel o Van Aert, come pure Pogacar decidono di farla forte, per i velocisti non c’è scampo. Se Tadej decide di fare un attacco sul terzo giro di Montmartre, può andare via. Anche perché all’ultima tappa non ci arrivi con tante energie e quelli di classifica ne hanno sempre più degli altri…».

Dopo aver dominato le volate del Giro del 2024, quest’anno Milan debutterà al Tour: la notizia lo ha spiazzato
Dopo aver dominato le volate del Giro del 2024, quest’anno Milan debutterà al Tour: la notizia lo ha spiazzato

Per i velocisti cambia

Non si è sempre arrivati in volata ai Campi Elisi, anche se trovare eccezioni recenti è un lavoro da archivisti. L’ultimo fu Vinokourov nel 2005, ma nel ciclismo di oggi scappare a velocità così esorbitanti è davvero un esercizio per pochi.

«Milan è un velocista – prosegue Bennati – ma forse non solo. Quindi potrebbe avere nelle sue corde uno sforzo di 3-4 minuti fuori giri. Potrebbe anche pensare di provarci, però tutto dipenderà da come faranno la salita le prime due volte. In ogni caso è una scelta che per un verso capisco e per un altro toglie una tappa comunque storica. Sicuramente a livello di spettacolo si rivelerà una mossa vincente. A Parigi non è difficile creare spettacolo dal punto di vista televisivo ed è evidente che la tappa con Montmartre sia più bella, però è chiaro che per i velocisti cambia tutto».

Tappa esplosiva

L’unico appiglio che potrebbe impedire agli uomini forti di scavare un baratro è la distanza. La nuova tappa misurerà 132,3 chilometri (la distanza va ancora definita nei dettagli), la gara olimpica ne prevedeva 272.

«Remco arrivò da solo facendo davvero il vuoto – chiosa Bennati – ma c’è anche da dire che alle Olimpiadi c’erano 70 corridori e quasi 280 chilometri da fare. E’ vero che arriva dopo tre settimane, ma con 132 chilometri non ci saranno problemi di distanza. Però sarà una tappa esplosiva. E davvero se la classifica fosse ancora aperta, ne vedremmo delle belle…».

A Lecce è tris olandese. Van Uden vince, Bennati commenta

13.05.2025
6 min
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Tre orange ai primi tre posti: Casper Van Uden, Olav Kooij e Maikel Zijlaard. Uno sprint convulso, atipico e nervoso, come il circuito cittadino che lo precedeva. Strettoie (forse sin troppo pronunciate e brusche), curve, rotatorie, curve ancora nel chilometro finale: davvero uno sprint tosto. E tecnico.

Uno sprint che abbiamo voluto commentare con l’aiuto dell’ex cittì, Daniele Bennati: «Io non sono così d’accordo sul fatto che fosse un circuito pericoloso. Sì, c’erano un paio di strettoie importanti, ma siamo in città. Il fatto è che la prima volata di gruppo è sempre molto concitata, c’è molto stress. A vederla da fuori si fa fatica a giudicare».

«Piuttosto -riprende Bennati – penso che sia i corridori che, soprattutto, le ammiraglie non sapessero di quella strettoia decisa, prima del sottopassaggio. Di conseguenza i diesse non l’hanno comunicato. Si è visto proprio da come ci sono arrivati. Tanto è vero che al secondo giro tutto è filato liscio.
E’ un circuito che ho fatto anch’io. Posso dire che c’erano 12 chilometri di asfalto nuovo, perfetto. No, non me la sento di criticare per la pericolosità».

Che bella l’Italia… Oggi la partenza da Alberobello
Che bella l’Italia… Oggi la partenza da Alberobello

Big in allerta

La Alberobello-Lecce scorre più o meno secondo copione. Magari ci si sarebbe aspettati qualche uomo in più a far compagnia a Francisco Muñoz della Polti-VisitMalta e invece il gruppo lo lascia andare al suo destino.

Sono le squadre degli uomini di classifica ad accendere la miccia. Non per vincere, chiaramente, ma per togliersi dai guai. Ci riescono bene i Red Bull-Bora-Hansgrohe, benissimo gli EF Education-EasyPost di Carapaz e in modo sontuoso gli Ineos Grenadiers di Bernal: quanto ci piace vederlo lì davanti. Sarà un protagonista in più per la generale?

Altro momento inatteso: al traguardo volante la giovane UAE Team Emirates con Del Toro e Ayuso cerca di prendere qualche secondo di abbuono, ma incassa il “colpo in contropiede” di Roglic. Lo sloveno, attento, passa terzo e allunga, seppur di soli 2”, sullo spagnolo. Dettagli che però ci dicono quanto ci tengano a questo Giro. Un Giro d’Italia che secondo molti tecnici si deciderà sul filo dei secondi.

Mads Pedersen ha mantenuto la maglia rosa (ora ha a 7″ di vantaggio su Roglic) e anche la maglia ciclamino
Pedersen ha mantenuto la maglia rosa (ora ha a 7″ di vantaggio su Roglic) e anche la maglia ciclamino

Pedersen, ancora un numero

Si decide tutto nel finale e a Lecce succede di tutto. Stavolta la Lidl-Trek non è fortunata. Mads Pedersen resta coinvolto in una caduta e poco dopo Giulio Ciccone ha una noia meccanica. La squadra si divide fra i due capitani. Cicco rientra con l’aiuto dell’immenso Jacopo Mosca, e Pedersen con Houle fa un numero.

Risale con il sangue freddo tipico della gente del Nord. Resta glaciale, non si innervosisce, spreca poche energie. Houle fa a spallate con chiunque e Mads lo segue. Risalgono da dentro il gruppo: chi ha corso sa quanto è difficile. Solo per riprendere la testa si allargano un attimo sull’esterno.

E al chilometro finale la maglia rosa è piazzata in modo perfetto. A nostro avviso a rompergli le uova nel paniere è Kaden Groves. Lo sprint è partito. Siamo agli 800 metri. L’australiano non ha il suo gregario: smette di pedalare. In quel momento cala la velocità e Pedersen resta un filo dietro.

«Ho capito perfettamente a quale momento vi riferite – spiega Bennati – è il corridore della Alpecin-Deceuninck che smette di pedalare e Pedersen viene un po’ chiuso. Magari se la sarebbe potuta giocare meglio fino alla fine. Però è anche vero che sulla carta ci sono sprinter con uno spunto più veloce di lui… almeno in una tappa piatta e facile. Perché poi alla distanza e su percorsi più duri lui è uomo di fondo e automaticamente torna ad essere il più veloce».

Come a dire che questa, al netto dei problemi avuti nel circuito e allo sprint, non era la tappa migliore per l’ex iridato.

La solitudine di Munoz: per lui fuga solitaria di 131 km
La solitudine di Munoz: per lui fuga solitaria di 131 km

Recriminazioni Kooij

E veniamo allo sconfitto: Olav Kooij. Edoardo Affini aveva fatto un ottimo lavoro e, forse, vista la velocità con cui è piombato sull’arrivo, chi ha più da recriminare è proprio Kooij. Van Uden ha toccato i 69,2 chilometri orari. Di certo Kooij ha demolito il muro dei 70.

«L’ho detto anche al Processo alla Tappa – continua Bennati – Affini ha svolto un lavoro esemplare, e Kooij ha sbagliato a non seguirlo. Semmai alla Visma | Lease a Bike è mancato un uomo (Van Aert? ndr), così mi è sembrato. Kooij non è uno sprinter che fa le volate di testa: per me si è spostato e si è lasciato scivolare un filo dietro. Ma ha sbagliato a seguire quell’istinto, in questo caso».

E a proposito dell’uomo in meno: era decisamente Wout Van Aert. Bennati ci aveva visto giusto. Il team manager dei gialloneri, Marc Reef, a fine corsa ha dichiarato che Wout voleva fare l’ultimo uomo, anche per questioni di stress inferiore. Il che ci sta, visto il momento che sta passando il fuoriclasse belga. Ma non ci è riuscito.

«Ha provato più volte, ma poi si è sempre ritrovato indietro – ha detto Reef a Wielerflits – immagino sia frustrato per non essere riuscito a svolgere il suo lavoro, tanto più che lui è un vero uomo squadra e aveva insistito per essere il lead-out».

La tripletta olandese a Lecce: Van Uden, Kooij e Zijlaard
La tripletta olandese a Lecce: Van Uden, Kooij e Zijlaard

Festa Van Uden

I ragazzi della Picnic- PostNL invece non hanno sbagliato nulla. Un lancio esemplare: compatti, veloci.

«Ammetto – continua Bennati – che Van Uden non l’avrei messo tra i superfavoriti per gli sprint. Poi magari vincerà tre tappe e parleremo di un velocista emergente. E’ stato molto bravo. Ha fatto una volata di testa, lunga, e ha mantenuto sempre una velocità molto alta. Nulla da dire».

Ma chi è Casper Van Uden? E’ un giovane olandese del 2001, ex pistard (passato che gli è tornato utile su questo circuito tortuoso), un ragazzone potente.

Lo avevamo visto anche in Turchia. Lì, a dire il vero, non aveva brillato. Ma ci dicevano stesse preparando il Giro d’Italia. Che quelle prestazioni erano figlie di un percorso di avvicinamento ad hoc al suo primo grande Giro. Evidentemente avevano ragione.

E proprio dalla Turchia parte Van Uden: «Non ho vinto da solo – ha detto subito – ha vinto tutta la squadra: i ragazzi che sono qui e tutto lo staff, anche coloro che lavorano in sede. Abbiamo fatto un ottimo lavoro con il treno fin dall’inizio della stagione, così come in Turchia la settimana scorsa, gara che ci è stata utilissima».

Van Uden aveva corso molto fino alle classiche veloci del Nord, fino alla Gand, insomma. Poi aveva salutato tutti e si era allenato sodo, anche se non sempre tutto è filato liscio.

«Ho vinto la prima volata del mio primo grande Giro, ma non credo sia una sorpresa. A volte dovrei credere in me stesso quanto ci credono i miei compagni. Non ho dovuto prendere vento fino ai 200 metri dal traguardo. So di avere una buona volata lunga, quindi ho dato il massimo e ho dato tutto quello che avevo fino al traguardo. Non so cosa riserverà il futuro, ma per ora sono felice di questa vittoria».

Il futuro non si sa cosa dirà, ma certo quei 1.590 watt di picco massimo e 1.280 medi nei 13 secondi di sprint poca cosa non sono!

Pietre e muri alle spalle: le pagelle di Bennati. Due 10 e…

14.04.2025
9 min
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Con la Parigi-Roubaix di ieri si è conclusa la prima parte delle classiche del Nord, quella delle pietre e dei muri. In settimana ci sarà la Freccia del Brabante, che apre alla seconda parte, più adatta agli “scalatori”. E’ quindi tempo di primi bilanci. Bilanci che abbiamo affidato a Daniele Bennati.

Il “Benna” ha assegnato giudizi e voti, quindi le pagelle, ai protagonisti di queste corse. Da Mathieu Van der Poel fino ad Alessandro Romele.

Tre Roubaix di seguito: VdP è di diritto tra i giganti del ciclismo. Per Bennati è un cecchino ormai
Tre Roubaix di seguito: VdP è di diritto tra i giganti del ciclismo. Per Bennati è un cecchino ormai

Van der Poel: voto 10

Tris consecutivo come Moser alla Roubaix, sfiora il Fiandre, stravince ad Harelbeke, Van der Poel non ha paura di duellare con “Sua Maestà” e ha persino la faccia tosta di batterlo!

«A Van der Poel do 10. Non ha sbagliato niente. Senza parlare della Sanremo, che ha vinto, ha conquistato la sua terza Roubaix. Non ha vinto il Fiandre, ma se l’è giocato alla grande. Sappiamo che ha avuto quel piccolo intoppo, vero o non vero, degli antibiotici. Tra tutte le classiche, il Fiandre è quella che contro Pogacar era la più difficile per lui. Se poi magari lo ha beccato in un momento in cui non era proprio al 100 per cento, ma al 98, ci sta che si stacchi sull’Oude Kwaremont. Lì uno come Pogacar può fare la differenza».

«Quel che mi piace di Van der Poel è che ha affinato tutte le sue capacità nel corso degli anni: forza, tattica, gestione degli allenamenti. Quando è passato professionista commetteva tanti errori, nonostante fosse già molto forte. Però ha imparato veramente a gestirsi nel migliore dei modi. Ormai è un cecchino, e questo gli permette di fare quello che fa. E su queste corse, oltre al motore, fa la differenza con la capacità di saper guidare la bici e di cogliere attimi che magari altri non riescono a cogliere».

Pagelle di Bennati dopo le Classiche del Nord: Van der Poel e Pogacar da 10, Pedersen brilla, Ganna in calo, Van Aert e Visma deludono
Tadej Pogacar in azione al Fiandre. Col secondo posto alla Roubaix sa che potrà fare bene anche in questa classica Monumento
Tadej Pogacar in azione al Fiandre. Col secondo posto alla Roubaix sa che potrà fare bene anche in questa classica Monumento

Pogacar: voto 10

Protagonista assoluto. Vince, perde, emoziona e soprattutto le corse le disegna lui, almeno su questo siamo d’accordo? Parola a Bennati su Tadej Pogacar.

«Do 10 anche a Tadej perché comunque è andato contro tutto e tutti. Indipendentemente dal tipo di corsa che ha fatto ieri, si meritava un 10 anche se fosse arrivato decimo. Uno come Pogacar va solo che ringraziato per lo spettacolo che riesce a dare in questo ciclismo e per quello che mette a disposizione del ciclismo. Quando c’è lui, anche Van der Poel e gli altri danno quel qualcosa in più che poi fa diventare queste corse uniche e indimenticabili. Attaccano a 104 chilometri dall’arrivo!».

«Quindi il mio 10 non è solo per quello che ha fatto vedere sul fronte delle prestazioni, ma soprattutto per il coraggio e per l’amore verso il ciclismo. Ne ho sentite veramente tante in questo periodo e devo dire che sono sempre stato dalla sua parte. Sì, la Roubaix è pericolosa, ma se guardiamo le corse di oggi ti puoi fare male in qualsiasi gara. Perciò grazie a lui e anche a chi lo ha appoggiato, che è la sua squadra».

Gand-Wevelgem, Mads Pedersen trionfa dopo una fuga di 56 chilometri. Il danese è stato poi sul podio di Fiandre e Roubaix
Gand-Wevelgem, Mads Pedersen trionfa dopo una fuga di 56 chilometri. Il danese è stato poi sul podio di Fiandre e Roubaix

Pedersen: voto 8

Forte, fortissimo, anche un po’ sfortunato… più che altro per l’epoca in cui si è ritrovato, non tanto per la foratura di ieri. Ammesso che poi forare alla Roubaix sia solo questione di sfortuna. Ecco Bennati su Mads Pedersen.

«Direi un bell’otto. Pedersen ha vinto la Gand, ha fatto quinto a Harelbeke, terzo alla Roubaix, secondo al Fiandre. Non gli do dieci solamente perché davanti a lui ci sono Van der Poel e Pogacar. Per la forza che ha dimostrato, ha portato a casa “poco” dal punto di vista dei risultati. Anche lui sulla maglia ha i bordini di campione del mondo. Ieri sul podio c’erano tre iridati, capito che spessore?

«Se fossi in lui cercherei di risparmiarmi un po’, visto che corri contro Van der Poel e Pogacar. Però questo fa parte del suo carattere, delle sue caratteristiche: non ha paura di attaccare per primo. Ripeto, io aspetterei un po’».

Wout Van Aert: tanta volontà, tantissima fatica. Il belga non va oltre il 5 per Bennati
Wout Van Aert: tanta volontà, tantissima fatica. Il belga non va oltre il 5 per Bennati

Van Aert: voto 5

Tocca a Wout Van aert, uno dei grandi punti interrogativi di questa campagna del Nord. A lui resta ancora l’Amstel Gold Race, che in passato ha già vinto. Ma intanto si tira una linea…

«A Van Aert do 5. A malincuore non mi sento di dargli la sufficienza. E’ vero che ha avuto sfortuna, ma lo considero alla pari di Van der Poel e Pogacar su questo tipo di competizioni, pertanto uno così non può raccogliere così poco.

«Secondo me per Van Aert potrebbe esserci un problema di programmazione. Okay, lo scorso anno ha avuto questo infortunio, l’ennesimo, alla Vuelta. A quel punto aveva una grande occasione per recuperare al 110 per cento, resettarsi. Non doveva fare ciclocross, doveva solo ed esclusivamente pensare a recuperare e preparare la stagione su strada. Senza poi dover nuovamente saltare Tirreno o Parigi-Nizza, Strade Bianche, Sanremo… Un corridore come lui deve fare quel tipo di programm».

«Non conosco la Visma-Lease a Bike e come gestisce Van Aert, e quindi non mi permetterei mai di giudicare, ma se fossi in Van Aert avrei evitato di fare tre settimane di altura per preparare le classiche a discapito delle corse. E nonostante abbia avuto mesi difficoltosi, con prestazioni altalenanti, ha raccolto due quarti posti tra Fiandre e Roubaix».

A Bennati facciamo notare che Van Aert era più brillante nel finale che nella fase centrale: è anche una questione mentale? Di stress da corsa?

«Ci sta pure che soffra la rivalità con Van der Poel: lui negli ultimi due anni ha vinto tanto e se ne perde una non è un problema. Mentre per Van Aert la pressione è maggiore. Ma soprattutto questa sua brillantezza è la dimostrazione che è un corridore di fondo, che dopo 250 chilometri sa essere lì, anche se non è al top».

Lo sguardo sperso e affaticato di Ganna dopo la Roubaix. Per Pippo sono state le prime vere classiche preparate ad hoc: bicchiere mezzo pieno guardando al futuro
Lo sguardo sperso e affaticato di Ganna dopo la Roubaix. Per Pippo sono state le prime vere classiche preparate ad hoc: bicchiere mezzo pieno guardando al futuro

Ganna: voto 6,5

Il Pippo nazionale ha emozionato, fatto sperare, però forse ci si aspettava qualcosa di più? Per noi sì. Sentiamo invece cosa ne pensa Bennati.

«Se lasciamo fuori la Sanremo, diciamo che anche Filippo Ganna probabilmente si aspettava di più in queste classiche del Nord, almeno non per come era partita la stagione. Alla Tirreno aveva una condizione stratosferica e alla Sanremo lo ha dimostrato. Tuttavia, probabilmente ha pagato proprio gli sforzi della classifica generale alla Tirreno. Pogacar non ha corso né Parigi-Nizza, né Tirreno, e Van der Poel alla Tirreno si è allenato, non si è visto.

«Ovviamente questo non è assolutamente né un consiglio, perché io non sono un consigliere di Ganna né della Ineos Grenadiers, né una critica: è una mia considerazione dalla quale spero possa trarre degli insegnamenti».

«Alla E3, in quei 30-40 chilometri che hanno fatto da soli e lui era in terza posizione, ha detto di aver fatto tanta fatica. Anche quegli sforzi prolungati magari lo hanno reso meno brillante al Fiandre. Quel giorno, alla fine, il cercare di anticipare non è stato sbagliato, però quando sono arrivati da dietro Van der Poel e Pogacar il ritmo era sicuramente proibitivo per lui. Ieri magari ha avuto anche un po’ di sfortuna. Per me potrebbe essere arrivato un po’ “lungo” a queste corse, ma questa è una mia considerazione dalla quale spero possa trarre degli insegnamenti».

Ganna gli sta particolarmente a cuore e Bennati si dilunga con passione. Si vede che ci tiene: «Pippo l’ho sempre visto come un Fabian Cancellara che è nato cronoman e poi si è specializzato anche nelle classiche del Nord. Fabian era un cecchino nel preparare gli appuntamenti».

Dwars door Vlaanderen: Powless precede tre corridori della Visma-Lease a Bike
Dwars door Vlaanderen: Powless precede tre corridori della Visma-Lease a Bike

Visma-Lease a Bike: voto 5

Ovviamente in questo giudizio pesa molto il pasticcio della Dwars door Vlaanderen

«Va detto che Van Aert è un punto di riferimento per le classiche, per la Visma come Vingegaard lo è per i Grandi Giri, e quando il punto di riferimento, il capitano, non è al meglio, anche il contorno ne risente. I corridori risentono di questa sofferenza del capitano, e di conseguenza la squadra non gira come dovrebbe. Per loro però niente sufficienza: cinque».

«Guardiamo Pogacar e Van der Poel: quando hai due capitani così, sai che saranno primi o secondi, e a livello morale anche tutti i compagni di squadra ti danno sempre quel qualcosa in più. Mettiamoci poi che il fatto della Dwars ha ampliato questo stress interno: a livello morale non ha fatto bene né a Van Aert né a tutti gli altri. Tuttavia io non mi sento di condannare quella scelta, far fare lo sprint a Wout.

«Comunque è stata una scelta a favore di Van Aert. E poi chi si sarebbe immaginato che avrebbe perso una volata da Powless, con tutto il rispetto per lui? Van Aert è abituato a vincere le volate di gruppo, a vincere a Parigi sugli Champs-Elysées. Questa è stata una grande beffa e non un bel viatico per Fiandre e Roubaix».

In fuga al primo Fiandre e Roubaix nel sacco (71°) al debutto: bravo Romele. Alessandro è un classe 2003
In fuga al primo Fiandre e Roubaix nel sacco (71°) al debutto: bravo Romele. Alessandro è un classe 2003

Romele: voto 7,5

Prima esperienza nel WorldTour, prima campagna del Nord e tutto sommato se l’è cavata. E’ stato in fuga al Fiandre, finisce la sua prima Roubaix, coglie due top ten in classiche minori come Samyn Classic e Bredene Koksijde Classic. Alessandro Romele ha corso ben 11 classiche e solo in due non ha visto l’arrivo, dopo comunque essere stato nel vivo della gara.

«Bravo davvero! E’ uno che sta nella mischia, perciò complimenti. Romele sta dimostrando di avere carattere. Si merita un bel 7,5. Non ha paura di andare in fuga, di limare, di aiutare. Al Nord comunque devi partire con il coltello fra i denti, e lui ha tutte le carte in regola per fare bene in futuro in queste classiche».

Tim Merlier sfreccia alla Scheldeprijs. Bennati non si aspettava molto di più dalla ex squadra regina delle classiche del Nord
Tim Merlier sfreccia alla Scheldeprijs. Bennati non si aspettava molto di più dalla ex squadra regina delle classiche del Nord

Soudal-Quick Step: senza voto

Okay, senza Remco e con una rivoluzione in atto non sono più la corazzata di un tempo, ma questa involuzione nel giro di pochi anni colpisce. La “Quick” porta a casa la Scheldeprijs con Tim Merlier: stop.

«Attenzione però, vi stoppo subito: se non hai corridori come Pedersen, Pogacar, Ganna o Van Aert, cosa t’inventi? Per me, con la trasformazione che hanno avuto, sono senza voto.

«Certo, mi hanno sorpreso alla Gand. In Belgio una squadra come la Soudal-Quick Step può fare di più, invece mi è sembrato abbiano corso per il secondo posto. Fosse per questo non gli darei assolutamente la sufficienza. Okay, Pedersen quel giorno è andato fortissimo, ma dietro loro erano in tre se non in quattro, mi aspettavo che una squadra così lassù facesse di tutto per chiudere, tanto più che avevano Merlier. Al massimo potevano perdere da Milan, però ci avrebbero provato.

«Hanno investito quasi tutto su Evenepoel e pertanto su altri tipi di corse e di uomini. Non gli do nessun voto, perché io obiettivamente non mi aspettavo una Soudal-Quick Step vincente in queste classiche, quindi personalmente non avevo nessuna aspettativa».

Siamo tutti con Van Aert, un po’ meno con la Visma

04.04.2025
6 min
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Davanti a una corsa come la recente Dwars door Vlaanderen, ci sono due piani da far coincidere: il piano della tattica di corsa e il piano degli uomini che hai di fronte. E se l’uomo è un campione che fatica a ritrovarsi, allora il discorso si complica. Che cosa sta succedendo a Van Aert? L’esito della corsa belga sarà l’ennesimo chiodo sulla croce o se ne può dare una diversa lettura? E perché la squadra non ha voluto fargli da ombrello?

Abbiamo riletto i post di ieri, quelli dopo la sconfitta. Non i commenti dei tifosi, ma quelli degli addetti ai lavori che nella difficoltà del belga forse hanno riconosciuto anche un pezzetto della propria storia. Da Demi Vollering in avanti, nessuno di loro ha puntato il dito contro l’uomo, mentre alcuni si sono focalizzati sulla condotta della sua ammiraglia. Il piano della tattica di corsa, appunto, e l’uomo che si ha di fronte.

A Van Aert vogliamo tutti bene e abbiamo tutti la sensazione che qualcosa non vada come deve. Per cui abbiamo ripreso alcune di queste voci e siamo andati più a fondo, cercando di capire se la nostra sensazione di una squadra incapace di gestire il finale di corsa e ancora meno di proteggere il suo leadeer sia condivisa da altri. Oggi Van Aert e la Visma-Lease a Bike incontreranno la stampa alla vigilia del Fiandre, con quale stato d’animo ci arriverà il belga?

Powless davanti a tutti e dietro i tre Visma sconfitti
Powless davanti a tutti e dietro i tre Visma sconfitti

La Visma e Van Aert

Adriano Malori ha scritto un post puntando il dito su squadre sempre più legate ad un approccio scientifico al ciclismo e sempre meno capaci di gestire situazioni che richiedono esperienza.

«Condivido che sia sbagliato fare una crociata contro Van Aert – spiega ora Malori – che purtroppo si trova in un momento psicologicamente molto delicato. Lo testimonia anche il fatto che sia in sovrappeso, lontano parente del Van Aert che al Tour 2022 era stato capace di staccare Pogacar in salita. Viste le cose, non avrei tenuto chiuso il finale dando a lui la responsabilità di finalizzare la corsa. Se anche avesse avuto le gambe migliori, poteva saltargli il cambio o rompere la catena. Se volevano risollevare Van Aert, secondo me l’hanno fatto nel modo più sbagliato.

«Volevi farlo vincere e fargli riprendere un po’ il sorriso in vista del Fiandre? Allora si facevano scattare i compagni in modo… morbido, facendo in modo che Powless ogni volta rientrasse, lasciando poi a Van Aert il compito di dare la botta finale per staccarlo definitivamente. Invece Wout ha dimostrato poca lucidità nel chiedere di tenere la corsa chiusa, ma l’ammiraglia ha dimostrato di non avere gli attributi per dirgli di no. Io ho la sensazione che alla Visma di Van Aert importi poco. Lo hanno sempre usato per fare il gregario in lungo e in largo. L’hanno sfruttato senza considerazione, mentre il suo rivale di sempre, Van Der Poel, si è gestito come un cecchino mirando l’appuntamento, e ci è sempre arrivato più pronto di lui. Mercoledì dovevano tutelarlo mettendosi davanti e dicendo che è stata la squadra a sbagliare la tattica. Vederlo così prostrato nella conferenza stampa a me ha fatto veramente paura».

Il secondo posto in volata è stato un colpo troppo duro per Van Aert
Il secondo posto in volata è stato un colpo troppo duro per Van Aert

Ammiraglia anestetizzata

«Il post che ho fatto ieri – dice invece Angelo Furlan – non è nel mio stile, perché sono sempre per le cose costruttive. Mi ricordo sempre quando ero corridore e le critiche da divano mi piacevano fino a un certo punto. Si capisce che Van Aert stia passando un momento difficile e che la squadra voleva farlo vincere, ma hanno sbagliato. Il fatto di non aver provato a staccare Powless quando mancava tanto all’arrivo non è stato responsabilità dei corridori: il senso del mio post era questo. Non voleva essere un’accusa, ma cosa diciamo agli esordienti e agli allievi?

«Già abbiamo tattiche che vengono stravolte da corridori che partono da lontano perché sono dei fuoriclasse. Cosa imparano i ragazzini da un finale come quello di mercoledì? Questo è il problema. Doveva arrivare un ordine dall’ammiraglia. Ci sono watt predittivi, i kilojoule predittivi, GPS, telecamere, riproduzione predittiva in 3D dell’arrivo e cosa stai facendo sull’ammiraglia quando si decide la corsa, guardi il tablet? Lo so che vuoi far vincere Van Aert, ma prova a giocartela. Gli altri due che avevano lì sono due vincenti, due punte di diamante, invece chi li guidava è parso quasi anestetizzato. Si sono dimenticati che basta fare delle cose semplici, applicare una tattica semplice e avrebbero vinto. Non vorrei essere nel povero Van Aert che ha tutta la solidarietà ed è un corridore per cui io faccio il tifo e ammiro tantissimo. Dopo l’arrivo è stato fin troppo un signore ad assumersi tutte le colpe».

Pedersen si è inchinato alla forza della Visma, ma ora conforta Van Aert
Pedersen si è inchinato alla forza della Visma, ma ora conforta Van Aert

Programma da capire

«C’è un problema Van Aert – dice Bennati – e mi dispiace tantissimo. Ci sta il fatto che la squadra voglia far vincere Wout, come quando il capitano vuole far segnare il goleador, non passa la palla agli altri attaccanti e la squadra avversaria fa goal in contropiede. Mercoledì volevano metterlo nelle condizioni di vincere la corsa, ma se in questo momento Van Aert non riesce a battere Neilson Powless in volata, allora il problema c’è davvero.

«Facciamo un passo indietro – prosegue Bennati – un campione come lui non si può gestire così. Dopo gli incidenti dello scorso anno, non doveva fare la stagione del cross e non credo che alla Visma qualcuno lo abbia costretto. Aveva la grande opportunità di recuperare al 110 per cento e prepararsi per la stagione su strada, riazzerando tutto. Avrebbe dovuto fare un programma classico, passare attraverso Parigi-Nizza o Strade Bianche e Tirreno. Un corridore come lui deve fare quel tipo di calendario, con la Sanremo e la Gand, non andare tre settimane in altura per preparare queste gare, perché obiettivamente non ne ha bisogno.

«Secondo me giocarsi solo la carta della volata è sempre sbagliato, anche se sei nettamente più forte. E se anche non avesse vinto lui perché magari Benoot andava via, dal punto di vista mentale era sempre meglio che vincesse un compagno di squadra, che avere questa grande delusione perdendo con Powless sull’arrivo. Questo episodio va sempre più a complicare la situazione di Van Aert. A meno che non abbia un carattere talmente forte che da questa grande delusione riuscirà a tirare fuori il meglio di sé, vincendo il Fiandre e la Roubaix».

Powless è incredulo, Van Aert è più incredulo di lui
Powless è incredulo, Van Aert è più incredulo di lui

Tifosi di Wout

«Mercoledì in tanti abbiamo criticato la tattica della Visma – scrive Giada Borgato – non certo Van Aert. Il campione non si discute e sono sicura che il mondo del ciclismo era lì a fare il tifo per lui. A fine corsa, da campione qual è, frustrato, deluso e amareggiato, si è dichiarato “colpevole” ai microfoni di mezzo mondo. Sentire quelle parole mi ha fatto male e mi sono chiesta perché gli sia stato permesso di prendersi una responsabilità cosi grande. Credo che in questo momento Wout non debba prendersi responsabilità per il semplice fatto che non ha bisogno di ulteriori pesi sulle spalle.

«In condizioni normali avrebbe vinto con due biciclette su Powless, ma si è visto che non è il solito Van Aert e credo che lui lo sappia. Il campione ha nell’indole di provarci, vuole vincere, ma la squadra conosce i valori dei suoi atleti e in teoria dovrebbe anche sapere come stanno a livello mentale. Allora forse sarebbe servita un po’ di freddezza da parte dei direttori sportivi che avrebbero dovuto dirgli: “No, decidiamo noi. E se sbagliamo, sbagliamo noi, non tu”. L’ammiraglia avrebbe dovuto tutelarlo e prendersi la responsabilità di scegliere cosa fare. Le critiche sono state rivolte per lo più alla squadra e non al corridore. Perché in fondo siamo tutti dalla parte di Wout».