EDITORIALE / La tappa della discordia e il ciclismo che cambia

27.06.2022
6 min
Salva

Ha ragione Marco Selleri. La terza tappa del Giro d’Italia U23, da Pinzolo a Santa Caterina Valfurva, ha scatenato un processo degno di uno studio televisivo. Distanza di 177 chilometri, dislivello di 5.000 metri con Tonale, Aprica e Mortirolo. Ha vinto Leo Hayter in 5 ore 10’49” alla media di 34,186 (in apertura, foto ExtraGiro-Isolapress), come era previsto della tabella di marcia che indicava un range fra 33 e 37 orari.

E’ chiaro che, a fronte del tempo di Hayter, vada annotato anche quello dell’ultimo: Christian Danilo Pase della Work Service, all’arrivo in 6 ore 14’57” (distacco di un’ora 04’08”). Dato che tutti hanno dovuto sobbarcarsi anche un trasferimento di 50 minuti, è chiaro che le ore di sella siano state oggettivamente tante.

La tappa di Santa Caterina Valfurva ha evidenziato enormi differenze in gruppo (foto ExtraGiro – Isolapress)
La tappa di Santa Caterina Valfurva ha evidenziato enormi differenze in gruppo (foto ExtraGiro – Isolapress)

Italiani cercasi

Dei corridori italiani si sono perse le tracce. Per trovare i primi tre bisogna andare alla 14ª posizione con Piganzoli (Eolo) a 9’27” poi alla 19ª, dove si incontrano Meris (Colpack), Raccani (Zalf) e Germani (Fdj) che però in precedenza aveva tirato per i compagni Gregoire e Martinez all’attacco. Il loro distacco è stato di 13’45”.

E qui è scattata la discussione. Sul posto, per chi c’era. Sui social, per gli altri. Non è semplice interpretare la disfatta, perché di base hanno ragione tutti. Ciascuno ha il suo punto di vista, anche se non tutti i punti di vista sono condivisibili. E qui si innesca il corto circuito.

La coppia francese in fuga dalla partenza: hanno osato troppo ma dato spettacolo (foto ExtraGiro – Isolapress)
La coppia francese in fuga dalla partenza: hanno osato troppo ma dato spettacolo (foto ExtraGiro – Isolapress)

Dibattito acceso

Davide Cassani osserva che le squadre italiane non vanno a confrontarsi all’estero, come le altre. Ma invece di fare autocritica, preferiscono puntare il dito sull’organizzatore che ha proposto una tappa troppo dura. 

Pino Toni, preparatore della Bardiani U23, sostiene che non si possa proporre una corsa così dura a un parterre come quello italiano, abituato ad altre difficoltà. E che se anche la tappa avesse avuto 3.500 metri di dislivello, il risultato finale non sarebbe cambiato. 

Il Giro d’Italia U23 non è una gara italiana, come l’Avenir non è una corsa francese. Sono prove internazionali di altissimo prestigio: le vincono i più forti e non strizzano gli occhi a nessuno. Il tempo in cui per avvantaggiare i corridori di casa si modificavano i percorsi è finito da un pezzo: aspettarsi che accada è un altro sintomo del problema.

E’ probabilmente un errore invece portare ragazzi di primo anno a corse così dure. Se rischia di esserlo per Gregoire e Martinez (abituati a un’attività superiore sin da juniores, che da tempo corrono senza la limitazione dei rapporti e che comunque si sono inchinati alla solidità dei rivali), figurarsi per gli italiani.

La direzione di corsa, a sinistra Fabio Vegni, sapeva di andare incontro a un giorno duro (foto ExtraGiro – Isolapress)
La direzione di corsa, a sinistra Fabio Vegni, sapeva di andare incontro a un giorno duro (foto ExtraGiro – Isolapress)

Declino invisibile

L’Italia è la culla del ciclismo, così come lo è dell’arte e della cultura. Poi vai all’estero e ti accorgi che hanno la metà del nostro patrimonio, ma lo valorizzano meglio. Siamo talmente pieni delle nostre certezze, da non accorgerci del declino.

Nel 2004 eravamo così convinti che il WorldTour non sarebbe mai nato, che ci misero dentro per il rotto della cuffia. Poi iniziammo a lamentarci perché ai mondiali U23 vincevano ragazzi abituati al professionismo e siamo ancora lì a parlarne. E adesso che la svolta continental ha impresso un cambio di marcia, come accade in tutti gli sport di elite in cui si accede al professionismo nella tarda adolescenza (non a caso l’UCI ha abolito la limitazione dei rapporti fra gli juniores), il tema è una tappa troppo dura. 

E’ giusto? E’ sbagliato? Questi ragazzi dureranno meno? Le domande sono tutte legittime, ma non essendoci risposte facilmente raggiungibilli, non è facendo finta di niente che si possa gestire la situazione.

Felix Engelhardt della continental KTM, 6° finale e 10° a Santa Caterina a 6’57” (foto ExtraGiro – Isolapress)
Felix Engelhardt della continental KTM, 6° finale e 10° a Santa Caterina a 6’57” (foto ExtraGiro – Isolapress)

Il mondo del lavoro

Le squadre di dilettanti, in cui i ragazzi vengono seguiti come figli, avrebbero ancora senso se ci fossero dei grandi team italiani per dare continuità al lavoro. La continental deve preparare al mondo del lavoro ed essere agganciata a una WorldTour: se non accade, c’è un problema.

L’Italia del ciclismo è come una vecchia casa gloriosa, con i muri pieni di affreschi che raccontano storie bellissime. E’ la Reggia di Caserta, più imponente di Versailles ma tenuta peggio, che nessuno si sognerebbe di modificare per ospitarvi uffici che abbiano bisogno di tecnologia e modernità. Invece siamo lì a pensarci. Aggiungiamo piani. Ampliamo stanze. Sfondiamo pareti. Cambiamo destinazioni d’uso, senza renderci conto da un lato di essere bloccati per mille vincoli e dall’altro di comprometterne la solidità.

La fortuna di altri Paesi, che non hanno mai avuto tanta ricchezza, è aver costruito tutto dal nuovo. Senza vincoli, mettendo dentro solo quello che effettivamente serve.

Dopo le fatiche del Giro e un 2022 correndo in tutta Europa, Germani ha raccolto i frutti al campionato italiano (foto Benati)
Dopo le fatiche del Giro e un 2022 correndo in tutta Europa, Germani ha raccolto i frutti al campionato italiano (foto Benati)

L’esempio di Germani

Tredici continental sono troppe, soprattutto perché non fanno un’attività all’altezza. Un invito alla Coppi e Bartali e alla Adriatica Ionica Race, quando va bene al Giro di Sicilia e poi? E poi le solite corse. Quanti ragazzi delle continental a fine anno saranno andati all’estero contro i pari età stranieri? Si contano sulle dita di mezza mano. Poi arriva il Giro e speriamo di brillare? Non è realistico.

Lorenzo Germani, fresco campione italiano U23, quest’anno ha corso in Francia, Belgio, Repubblica Ceca e in Italia. Ha preso schiaffi, ma al momento giusto ne ha dati.

Si può fare attività U23 senza essere continental? Si può fare. Per scovare e lanciare i talenti migliori, anche se alla fine ne godranno altri. Senza contare le vittorie e senza promettere la luna agli sponsor, sacrificando ad essa il futuro dei ragazzi. Servirebbe un tavolo di lavoro condiviso, con la Federazione a tirare le file, per incastrare al meglio le esigenze di tutti, sgombrando il campo dalle pretese meno realistiche.

Il nostro giardino

La nostra ricchezza non merita di essere svilita dall’assenza di visione. Però bisogna che tutti facciano la loro parte. Occorre una più ampia partecipazione alla vita federale e a quella internazionale, quando vengono prese le decisioni più importanti, altrimenti è inutile lamentarsi. Invece si guarda spesso al proprio giardino senza sapere cosa ci sia fuori. Come nella vita di tutti i giorni, in cui a decidere sono quelli che nella politica hanno trovato un mestiere. Gli altri si lamentano, ma non vanno neanche a votare. E se qualcosa non va, la colpa è degli altri.

Dal 2023 Shimano Italia distribuirà la gamma Continental

15.06.2022
3 min
Salva

A decorrere dal prossimo 1° gennaio 2023, Shimano Italia distribuirà i prodotti del brand tedesco Continental relativi alla bicicletta. Tutti i rivenditori specializzati del nostro paese avranno dunque così la facoltà di ordinare direttamente dal catalogo Shimano Italia gli pneumatici da corsa, quelli riservati alla Mtb, ma anche i prodotti che Continental dedica al gravel e urban. 

La Dogma F di Van Baarle vittoriosa alla Roubaix montava coperture Continental Grand Prix 5000 S
La Dogma F di Van Baarle vittoriosa alla Roubaix montava coperture Continental Grand Prix 5000 S

Superato il test Roubaix

Parlando più strettamente di prodotto, la gamma Continental Bicycle Tyres include l’apprezzato pneumatico per ciclismo su strada Grand Prix 5000. Quello che ha “accompagnato” Van Baarle e la sua Pinarello Dogma F al successo in occasione dell’ultima Parigi-Roubaix. Ci sono anche le coperture specifiche per il gravel della linea Terra e gli pneumatici specifici per “l’offroad” sviluppati utilizzando la tecnologia Gripology (la scienza dell’aderenza), sviluppata in strettissima collaborazione con alcuni dei migliori atleti professionisti in circolazione. Inoltre, non va dimenticato che in tema di sostenibilità, lo pneumatico Urban TaraxagumTM di Continental, creato mediante l’impiego di gomma di tarassaco, continua a ricevere riconoscimenti internazionali proprio per il suo approccio pionieristico al tema “green”. 

La nuova sede di Shimano Italia a Rho, Milano
La nuova sede di Shimano Italia a Rho, Milano

150 anni di esperienza

«Poter aggiungere la gamma di pneumatici per ciclismo Continental al nostro portfolio di brand in distribuzione commerciale – ha dichiarato Eduardo Roldan, il Managing Director di Shimano Italia – rappresenta per noi una grandissima opportunità, di cui siamo realmente orgogliosi. I prodotti Continental sono sempre stati sinonimo di alta qualità e non c’è alcun dubbio che si adattano perfettamente alla nostra offerta. Non vediamo l’ora di incominciare a lavorare insieme per il rafforzamento del marchio Continental sul nostro mercato. L’obiettivo sarà di rendere gli stessi prodotti ampiamente disponibili sia per i rivenditori sia, conseguentemente, per i consumatori. I nostri rappresentanti sono già a disposizione dei rivenditori per qualsiasi necessaria informazione».

Marco Cittadini (PR, Communication & Sport Marketing Coordinator Shimano Italy)
Marco Cittadini (PR, Communication & Sport Marketing Coordinator Shimano Italy)

«Siamo orgogliosi di aver affidato la distribuzione dei nostri prodotti ad un partner riconosciuto come Shimano Italia» ha ribattuto Felix Bremer, Head of Sales EMEA di Continental Bicycle Tyres. «La fiducia che la stessa Shimano Italia ripone in noi rappresenta il segnale che siamo sulla strada giusta nello sviluppare i nostri prodotti. Questo è una bella motivazione per sviluppare ulteriormente tutta la gamma di alta qualità».

Continental è un brand di riferimento mondiale per la produzione di pneumatici per biciclette, settore nel quale “conta” ben con 150 anni di esperienza. Tutti gli pneumatici Continental nascono nel centro di sviluppo a Korbach in Germania, e molti degli stessi sono completamente “Handmade in Germany”. 

Shimano

Continental

Ganna, Viviani e Pidcock: le loro bici per la Sanremo

19.03.2022
6 min
Salva

Abbiamo assistito alle operazioni preliminari per il set-up delle bici Pinarello Dogma F Disc del Team Ineos-Grenadiers, in vista della Milano-Sanremo 2022. Matteo Cornacchione e lo staff dei meccanici puliscono le bici, montano i componenti richiesti dai corridori ed eseguono gli ultimi controlli. Tutto deve essere perfetto.

Lavaggio, controllo e set-up dopo la sgambata del mattino
Lavaggio, controllo e set-up dopo la sgambata del mattino

Soluzioni in comune

Tutti gli atleti sono partiti con pneumatici tubeless Continental e la sezione scelta è quella da 28. La variabile è legata alle pressioni di esercizio, che dipende principalmente dal peso del corridore e dalle preferenze soggettive. Tutti gli atleti Ineos usano i manettini in linea alla piega manubrio, non curvati all’interno. Tutte le Pinarello Dogma F Disc hanno un chain-catcher per evitare la caduta della catena tra le corone e la scatola del movimento centrale. A questo si aggiunge una sorta di spessore nella parte bassa del telaio, una sorta di salva fodero basso, lato catena. Tutti gli atleti utilizzano la medesima scala pignoni, ovvero 11-30.

La Dogma F di Ganna

Ganna utilizza una taglia 59,5 e la bici configurata per la Milano-Sanremo 2022 è la numero 1 (tra quelle di TopGanna). Il campione del mondo a cronometro utilizza una sella Fizik Arione R1, con rails in carbonio. Il manubrio è full carbon Most, con stem da 130 millimetri e largo 40 centimetri. L’attacco manubrio è in battuta sullo sterzo

Ganna ha optato per le ruote C60 Shimano Dura-Ace, con cerchio tubeless. Gli pneumatici sono i Continental GrandPrix 5000S TR, con sezione da 28. La pressione di gonfiaggio varia tra le 5 e 5,5 atmosfere. Il doppio plateau anteriore 54-39, mentre i pignoni hanno la scala 11/30. La guarnitura è Shimano Dura-Ace, ma della versione ad 11v e comprende il power meter (vecchio modello). Le pedivelle sono lunghe 175 millimetri. Nel complesso la trasmissione è Shimano Dura-Ace 12v.

La bici di Viviani

Anche Elia Viviani usa una Dogma F Disc, nella misura 53. Un set-up molto simile a quello di Ganna, per cockpit, ruote e coperture. Il manubrio integrato è in battuta sullo sterzo, senza spessori. La sella è una Fizik Arione, ma nella versione 00, la più leggera e con un’imbottitura risicata.

E’ molto interessante la scelta dei rapporti, perché il corridore veneto userà i pignoni con scala 11-30 e le corone 52-36. Una scelta non usuale per un velocista e considerando le tendenze attuali. La lunghezza delle pedivelle è di 172,5 e la guarnitura, misuratore incluso, si riferisce all’ultima release Dura-Ace.

Il setting di Pidcock

Il corridore britannico utilizza una taglia 46,5, con la trasmissione Shimano Dura-Ace 12v (53-39 e 11-30). Le pedivelle sono lunghe 170 millimetri, con la guarnitura e il power meter della versione Dura-Ace precedente a quella 2022. Il manubrio integrato ed in carbonio è il Most Talon Ultra (110×40). La sella è una Antares R1 di Fizik ed è piuttosto scaricata verso il retrotreno, un setting che ricorda quello usato nel cross. Tra lo stem e lo sterzo, Pidcock preferisce far inserire uno spessore di 1 centimetro. Passando al comparto ruote, ci sono le nuove Dura-Ace C50 tubeless. Anche in questo caso abbiamo le coperture Continetal da 28 millimetri di sezione.

Chioccioli 2022

Chioccioli e i ragazzi, un grido di dolore sul futuro

09.03.2022
5 min
Salva

Qualche giorno fa, parlando del rapporto fra squadre continental e under 23, Renzo Boscolo ha citato anche l’esperienza di un suo collega, certamente non uno qualunque visto che si tratta di Franco Chioccioli, il vincitore del Giro d’Italia del 1991 oggi alla guida della Futura Rosini. Non potevamo non sondare la sua opinione al riguardo e come eravamo abituati al tempo delle sue gare, “Coppino” non le ha mandate a dire come è nel suo carattere.

Chioccioli sin dal 2003 gestisce un team che oggi ha una decina di ragazzi tesserati. Potrebbero sembrare pochi, ma la verità è che ognuno di loro va seguito con la passione che merita: «Vengono un po’ da tutto il centro Italia, non solo dalla Toscana, in questo modo possiamo seguirli come si deve. E’ chiaro che noi come tutti vogliamo vincere, ma alla loro età il ciclismo è e deve restare anche divertimento».

Nella cronometro di Casteggio, Chioccioli mette il sigillo sul Giro del ’91
Nella cronometro di Casteggio, Chioccioli mette il sigillo sul Giro del ’91
L’inizio di stagione è stato caratterizzato da molte polemiche per la gestione dell’attività dilettantistica, con una contrapposizione sempre più marcata fra formazioni continental e U23…

Le lamentele ci sono sempre state, il problema è che non c’è una divisione marcata come ci dovrebbe essere. Se sei professionista dovresti correre fra i pro’, ma questo significherebbe spendere più soldi. Che un team continental sia presente alle gare internazionali ci sta, anche alle nazionali, ma che venga a togliere spazi e premi in quelle regionali un po’ meno. Il fatto è che si partecipa dove si può…

E’ un problema di calendario?

Anche. In fin dei conti una squadra continental può correre anche all’estero, ma non hanno il budget per farlo, allora cercano spazi altrove. Dico solo che per i loro ragazzi che guadagno ci può essere in termini di crescita nel correre gare regionali?

Futura Rosini 2018
La Futura Team Rosini esiste dal 2003, Chioccioli ha curato la crescita di molti ragazzi. Qui una foto Facebook del 2018
Futura Rosini 2018
La Futura Team Rosini esiste dal 2003, Chioccioli ha curato la crescita di molti ragazzi. Qui una foto Facebook del 2018
C’è anche chi dice però, come Bartoli, che tante lamentele sono ingiuste e che ai tempi suoi e tuoi si cresceva perché si affrontavano i più “vecchi” e smaliziati…

Era un altro ciclismo. Allora torniamo al dilettantismo di una volta, quando potevi restare tale fino a 30 anni. Io mi ricordo che affrontavo Fedrigo che ne aveva 35 o i fratelli Veltro di 30… Per certi versi Bartoli ha ragione: che cosa puoi imparare correndo con gente della tua età? Certamente non sono più smaliziati di te… E’ tutto il sistema che andrebbe rivisto.

Facendo un paragone con i tuoi tempi, i ragazzi di oggi li vedi applicarsi?

Dipende da persona a persona, come avveniva allora. C’è chi fa davvero la vita del corridore e chi è un po’ più per aria. Quel che noto è che i giovani maturano più tardi.

Tommasini 2015
Fabio Tommasini primo al Gp Menci 2015. Quel giorno finì 5° Pierpaolo FIcara, poi passato pro’ e valido biker
Tommasini 2015
Fabio Tommasini primo al Gp Menci 2015. Quel giorno finì 5° Pierpaolo FIcara, poi passato pro’ e valido biker
Questo però va contro la tendenza attuale che vuole squadre e procuratori andare a caccia di talenti sempre più giovani. A te piace questo “effetto Evenepoel”?

Scusate, ma qui apro una polemica: guardiamo bene quello che Evenepoel ha fatto, è diventato davvero quello che pensavano? Ha vinto, sì, ha avuto le sue traversie, certo, ma tanti hanno vinto quel che ha vinto lui… Era un fenomeno da junior, ma il mondo dei pro’ è altra cosa. Magari vincerà anche un Giro o un Tour, si vede che ha tutte le possibilità, ma solo il tempo potrà dire se è davvero quel campionissimo che si dice. Il problema è che però si vuole tutto e subito, non si è disposti ad aspettare e così perdi potenziali enormi, perché un corridore si crea pian piano, con l’esperienza, anche con le sconfitte. Così invece passano tutti troppo presto e la maggior parte prende scoppole, si deprime e molla.

Sono principi che applichi con i tuoi ragazzi?

Assolutamente sì, io penso che la loro crescita debba essere graduale attraverso le esperienze personali, non quelle di altri, perché è chiaro che altrimenti devi appoggiarti a chi ne sa di più, ma così non emergi. Poi non dimentichiamo una cosa: quando si parla di ragazzi di 18-19 anni siamo alle prese con la scuola e tanti, per passare prima, la lasciano da parte commettendo un errore gravissimo. Mi dispiace, ma non riesco a essere ottimista vedendo ciò.

Chioccioli 2021
Dopo trent’anni dalla sua vittoriosa scalata del Pordoi, Franco ci è tornato in veste di cicloturista
Chioccioli 2021
Dopo trent’anni dalla sua vittoriosa scalata del Pordoi, Franco ci è tornato in veste di cicloturista
Secondo te qual è lo stato di salute del ciclismo italiano?

Decisamente non buono, non vedo tanti corridori di livello, soprattutto non vedo gente capace con i suoi successi di trascinare la gente. Il ciclismo sta diventando uno sport di nicchia e per rilanciarlo bisognerebbe lavorare alla sua base. Vorrei una Federazione che valorizzasse le società che lavorano con i bambini: qui in Valdarno ai miei tempi ce ne erano 7, ora neanche una e chi mantiene la sua attività lo fa pescando nella Mtb. I problemi ci sono perché si parte male dal basso. Un’altra cosa: per uniformarsi a quel che avviene all’estero stanno tagliando tutte le categorie giovanili che erano un vanto e uno strumento di crescita fondamentale per noi, ma si può?

Damilano: «Bartoli ha ragione, ma 13 continental sono troppe»

07.03.2022
4 min
Salva

Come ha scritto di recente su Facebook, Beppe Damilano ha avuto il piacere di guidare per due anni Stefano Garzelli fra i dilettanti, ma per chi è dotato di buona memoria, la sua Brunero-Bongioanni è stata per anni la squadra di Marco Bellini, Claudio Ainardi, Giovanni Ellena, Fulvio Frigo, Andrea Paluan e da un certo punto in poi anche di Gianluca Tonetti, tornato dilettante dopo cinque stagioni tra i professionisti. Non esistevano ancora gli under 23, ma bussavano alla porta.

Damilano è il secondo da sinistra, al via della stagione 2022
Damilano è il secondo da sinistra, al via della stagione 2022

La provocazione di Bartoli

Erano gli anni di cui parlava Bartoli qualche giorno fa. Quelli in cui il ragazzino di talento cresceva più in fretta confrontandosi con gente più esperta e solida fisicamente. Quello che mancherebbe oggi in un movimento giovanile che sta alla larga dai confronti… scomodi.

«Michele non ha torto – dice Damilano – battere i vecchi era un bell’insegnamento, anche se in quegli anni i vecchi non insegnavano ai giovani solo belle cose, però è vero che quando arrivò Tonetti, alzò il livello di parecchio. Quando il presidente mi ha fatto leggere l’intervista di Bartoli, ho cercato di ricordare come fosse in quegli anni. C’erano buoni corridori in tutte le squadre, oggi invece sono tutti concentrati nelle continental. E quando vengono nelle corse più piccole ci schiacciano. Un po’ quello che succede al Giro d’Italia, quando le professional non riescono a stare dietro alle WorldTour, tale è la differenza di livello. Sabato eravamo al Memorial Polese e il massimo che siamo riusciti a fare è un sesto posto (con Tommaso Rosa, ndr) e se questo è il massimo cui possiamo ambire, non è una prospettiva che mi piace tanto…».

Estate 2021, foto di gruppo per tutti i ragazzi della Rostese
Estate 2021, foto di gruppo per tutti i ragazzi della Rostese

Paradiso Rostese

Damilano oggi è alla Ciclistica Rostese, realtà storica del ciclismo piemontese: una società con un vivaio che parte dai giovanissimi e arriva agli under 23 con un entusiasmante fiorire di giovani atleti. A suo modo, la sua è una di quelle squadre che si vedrebbe penalizzata dalla presenza massiccia delle continental.

«Tredici continental sono troppe – va avanti il piemontese – perché se la politica è che prendono loro tutti i migliori, cosa fanno le squadre dei dilettanti? Quello che a me onestamente fa paura è che continuando così, facciamo morire un settore giovanile che è sempre stato il nostro fiore all’occhiello. Parliamo di una trentina di squadre che potrebbero chiudere i battenti, lasciando liberi 300 corridori e soprattutto chiudendo la porta in faccia agli juniores che faranno sempre più fatica a trovare uno sbocco fra gli under 23. La Rostese ha tutte le categorie e tutte le discipline. Abbiamo la pista chiusa per fare mountain bike al sicuro. E’ un piacere lavorare così, ma serve una tutela superiore».

Correndo in Francia, la Rostese si è trovata più volte con dei professionisti in gruppo (foto Camille Richard)
Correndo in Francia, la Rostese si è trovata più volte con dei professionisti in gruppo (foto Camille Richard)
Che cosa proponi?

Ne ho già parlato con il presidente Dagnoni. Ho suggerito di ridurre il numero delle continental e soprattutto bisogna stabilire che per diventarlo, si deve avere un numero minimo di punti. E poi, visto che vogliamo uniformarci al resto del mondo, facciamo che lo stipendio minimo per un corridore continental sia di mille euro al mese. Così si vede quanti possono o hanno davvero vantaggio ad andare avanti. E poi bisogna che i dilettanti più forti, non solo quelli delle continental, possano correre con i professionisti.

All’estero questo succede regolarmente.

Esatto. Siamo stati a correre per sei volte in Francia e c’erano dilettanti e professionisti insieme. Che ci pensi la Federazione a portarli, ma bisogna che qualcosa si faccia (in realtà, se si trova scomoda la convivenza con le continental, il confronto con i pro’ potrebbe essere ben peggiore, ndr).

La Rostese corre con bici Guerciotti (foto Nicolas Mabyle/DirectVeo)
La Rostese corre con bici Guerciotti (foto Nicolas Mabyle/DirectVeo)
Perché dici che le squadre piccole rischiano di smettere?

Sento i miei colleghi. Ormai andare a una corsa lontano da casa è un impegno notevole. I chilometri con il gasolio che costa un occhio. Gli hotel, perché ormai nessuno ti ospita più. Risultati neanche a parlarne. Poi magari tiri fuori un bel corridore, arriva la continental e te lo porta via. Se devono esistere, che vadano a correre tra i professionisti.

E se non le invitano?

Non può essere un nostro problema, anche se di fatto lo è. A che cosa serve essere continental, se poi fanno solo le corse dei dilettanti e pagano i corridori anche meno di noi? Ho parlato con Dagnoni: così com’è, il sistema non funziona.

Sulle parole di Bartoli, la risposta del CT Friuli

05.03.2022
4 min
Salva

Eravamo abbastanza sicuri che dopo l’articolo con Bartoli sul GP La Torre qualcuno ci avrebbe contattato. Pensavamo qualcuno di quelli che si era sentito defraudato dalla vittoria di Buratti, invece a scrivere è stato proprio Renzo Boscolo, direttore sportivo di Buratti e del Cycling Team Friuli.

«Ho letto il tuo articolo con l’intervista a Bartoli – c’era scritto – e credo che hai centrato il punto. Siamo appena partiti e già ci sono lamentele sulle continental. Se hai tempo e piacere, ti dirò la mia…».

Sul podio di Fucecchio, Boscolo (a sinistra) con il vincitore Buratti e il CT Friuli
Sul podio di Fucecchio, Boscolo (a sinistra) con il vincitore Buratti e il CT Friuli

Continental e U23

Il Cycling Team Friuli 2022 è composto da 15 atleti e fatto salvo Donegà e i suoi imminenti 24 anni, gli altri sono tutti nati fra il 2000 e il 2003 (un atleta del 2000, 3 del 2001, 4 del 2002, 5 del 2003), pertanto si tratta di un team under 23 a tutti gli effetti che, non avendo ancora cominciato a correre con i professionisti, aveva tutto il titolo di correre a Fucecchio. Quel che poteva fare la differenza rispetto agli atleti delle piccole squadre toscane era la qualità degli atleti, ma da quando è dannoso correre contro rivali più forti?

«Bartoli ci ha preso – dice Boscolo, subito contattato – ma francamente mi spiace perché domenica non avevo percepito i malumori. Le continental alterano il panorama nel momento in cui iniziano a fare attività con i professionisti, ma anche noi quel giorno partivamo da zero e nei primi 10 c’erano anche ragazzi di squadre più piccole. Abbiamo dovuto sudare per andare a riprendere un corridore di Chioccioli (Lucio Pierantozzi, marchigiano, in fuga per quattro giri, ndr). E soprattutto parliamo sempre di corridori giovani, il cui impegno va dosato. Non puoi mandare i primi anni al massacro. Un po’ tra i professionisti e un po’ tra i dilettanti, non è pensabile con un gruppo così giovane andare a fare esclusivamente una stagione tra i professionisti».

Al GP La Torre, quattro giri in fuga per Lucio Pierantozzi (terzo da destra, al via della Firenze-Empoli, foto Facebook)
Al GP La Torre, quattro giri in fuga per Lucio Pierantozzi (terzo da destra, al via della Firenze-Empoli, foto Facebook)

Il calendario non basta

In realtà sarebbe possibile, su questo siamo parzialmente in disaccordo, se solo il calendario fosse tale da supportare il movimento per come si va strutturando.

«Tredici continental – dice Boscolo – sono troppe e limitano la partecipazione alle corse dei professionisti. Per cui capiterà anche a noi di andare alle gare più piccole, quelle organizzate dalle società che magari domenica si sono lamentate. Noi tutti dobbiamo dire grazie a Renzo Maltinti, ad esempio, che oltre ad avere la squadra, organizza le sue corse. Il ciclismo ormai esiste soltanto in Europa, e le WorldTour ce le ritroviamo anche nelle gare 2.1.

«Ad esempio, con la nostra squadra abbiamo sempre fatto il Sibiu Tour in Romania, ma quest’anno probabilmente non riusciremo. E’ ovvio che anche io preferisca le gare internazionali, ma per ora dobbiamo tenerci stretto il calendario italiano, che è apprezzato anche dalle squadre straniere. Gli sloveni ad esempio se non venissero di qua, non potrebbero garantire una grande attività ai loro ragazzi».

Al Sibiu Tour 2021, Fran Miholjevic in fuga con Aru: il confronto con i più forti fa crescere
Al Sibiu Tour 2021, Fran Miholjevic in fuga con Aru: il confronto con i più forti fa crescere

Guardiamo all’estero

Il punto debole dello sviluppo è infatti il calendario dei professionisti, che non riesce a strutturarsi in modo da concedere spazio a tutti.

«Agli organizzatori – dice Boscolo – interessano le WorldTour e le professional, non mi immagino una Coppi e Bartali con 13 continental italiane. Ma se ci guardiamo intorno, si vede che in Europa le squadre dei dilettanti corrono regolarmente fra le continental e le professional. Adesso va di moda portarli all’estero, dopo che per anni si è detto che così si cresce. Ma se vai fuori a fare figuracce, forse è bene che stai a casa. Per questo 13 continental sono troppe, perché non tutte hanno il livello necessario.

«Bartoli ha centrato il tema, i ragazzi devono confrontarsi con quelli più forti. Il Buratti che ha vinto La Torre, da junior non ha fatto niente. Non mi permetto di dire chi farà carriera e chi no, ma quando poi vai ai mondiali o all’estero, contro questi devi correre. Questi devi battere. Se ci provi tutto l’anno, magari soffri di meno».

Un altro scatto alla Bartoli su under 23 e certe abitudini

03.03.2022
5 min
Salva

Proviamo a cambiare prospettiva, questa volta. E se piuttosto che un merito degli stranieri, alla base ci fosse un demerito italiano? Come mai tutti questi ragazzini prodigio vengono da oltre confine? Vuoi vedere che li avremmo anche noi, ma sbagliamo qualcosa? E’ un Bartoli bello acceso quello che si infila in questa discussione e alla fine risulterà anche piuttosto convincente.

«In Toscana siamo speciali a lamentarci – dice Michele, classe 1970 – ma quello che si è sentito dopo il Gp La Torre non si batte (corsa di Fucecchio vinta da Buratti, in apertura, ndr). Qualcuno era furioso perché sono venute le continental e hanno dominato la corsa. E’ assurdo solo pensarlo. Se ai tuoi corridori vuoi far fare uno step, hanno bisogno di confrontarsi con quelli più forti. Io a 18 anni correvo contro il Manzi che aveva sei anni più di me oppure contro Brugna, che era stato professionista e poi era tornato nei dilettanti. Come me, anche Casagrande, Fornaciari, Pantani, Belli… Tutti noi del 1970 e dintorni. Poi però appena passati vincemmo subito anche noi. E badate che non fu una casualità».

Gran festa al CT Friuli per la vittoria di Buratti a Fucecchio
Gran festa al CT Friuli per la vittoria di Buratti a Fucecchio

E vennero gli U23

Basta tornare un po’ indietro con la memoria per rivedere l’Italia dei dilettanti prima dell’avvento degli under 23. Dando un colpo al cerchio e uno alla botte, è giusto ricordare che il 1996 in cui fu istituita la nuova categoria coincise con quel pazzesco sbalzo dei valori ematici, che falsò stagioni di corse. Gli under 23 non ne furono immuni, perciò nel nome della loro salvaguardia si attuò tutta una serie di precauzioni. E da lì non ci siamo più mossi.

Al punto che oggi gli juniores stranieri e a seguire gli under 23 iniziano subito ad allenarsi da professionisti e a confrontarsi ai livelli più alti, mentre da noi permangono cautele che forse andrebbero riviste. Non per mancanza di riguardo verso gli atleti e il loro talento, ma perché il mondo è cambiato e oggi la fatica non poggia più sulla chimica. E’ lo stesso principio per cui i bambini del Nord Europa giocano scalzi sotto la pioggia, mentre i nostri vengono infagottati dalla mamma che non li fa uscire di casa.

Mondiali dilettanti 1991: Bartoli primo da destra: in quel ciclismo, il confronto con i più grandi era la regola
Mondiali dilettanti 1991: Bartoli primo da destra: in quel ciclismo, il confronto con i più grandi era la regola
Il confronto con i più forti fa bene?

Alle mie prime due corse da dilettante – ricorda Bartoli – arrivò primo Manzi e secondo io. Lui del 1964, io del 1970. Non ci dormivo la notte. Non perché mi bruciasse aver perso, ma pensando al modo in cui avrei potuto batterlo, anticiparlo, fregarlo. Se trovi i più forti, sei costretto a imparare. Cosa ti cambia se vinci una corsa battendo tre bambinetti? A chi giova?

Forse alla squadra che così sembra più appetibile per lo sponsor.

Può darsi. Il guaio è che in Italia spesso non abbiamo lo scopo di far crescere i giovani, se non per andare al bar il giorno dopo a vantarsi di aver vinto. In Toscana siamo bravi a farlo, ma probabilmente succede in tutta Italia. Solo pochi lavorano davvero bene

Di chi parli?

Della Zalf, la Colpack, il Ct Friuli e le poche squadre che comunque continuano a tirare fuori corridori.

Continental anche alla Firenze-Empoli: vince Zambelli, maglia Zalf Fior
Continental anche alla Firenze-Empoli: vince Zambelli, maglia Zalf Fior
Secondo Bartoli, si tirano fuori corridori anche andando a fare le gare regionali?

Questo è un altro discorso e riguarda il livello dell’attività che gli fai fare. Se io avessi una continental, non andrei a La Torre, ma andrei alle corse dove ci sono corridori di valore. Se però ho una piccola squadra e mi arriva la continental, devo essere contento, perché mi si offre la possibilità di fare esperienza. Forse si dovrebbe partire dai direttori sportivi…

Come devono essere fatti?

Io ricordo di averne avuto alcuni da cui si poteva imparare davvero tanto. Il Massini, ad esempio, che è tornato indietro dalla pensione e adesso fa il diesse del Gragnano. Lui ha insegnato il ciclismo a tanti campioni. Oppure il Tortoli. Erano direttori sportivi ambiziosi, che però tutelavano sempre il corridore, non lo mandavano a fare figuracce se non stava bene. Il Tortoli era quello che segava la catena, se non stavo bene. E mi diceva di spezzarla con un calcio, così potevo fermarmi e non fare figuracce. Oggi sembrano davvero poco tutelati.

Se trovi i più forti, sei costretto a imparare: spiega, per favore.

Ti ingegni. Ti alleni di più. Io passai professionista e vinsi subito tre corse. Casagrande vinse al primo anno. Pantani ebbe una tendinite, ma al secondo anno staccò Indurain e fece podio al Giro e al Tour. Per noi fu una fortuna avere tra i piedi quei corridori di trent’anni, perché ci fecero guadagnare tempo. Invece adesso dura tutto troppo…

Perché?

Perché c’è gente che fa la squadra da anni, ma non insegna il ciclismo che c’è adesso là fuori. Invece all’estero non hanno paura di farli confrontare con i più forti e quando arrivano professionisti hanno già una marcia in più.

Bertazzo riparte dal Maloja Pushbikers. E ci racconta tutto…

22.02.2022
5 min
Salva

A volte capita che un oro non basti come biglietto da visita. La medaglia del metallo più prezioso conquistata da Liam Bertazzo nell’inseguimento a squadre agli ultimi mondiali su pista a Roubaix non gli è servita a mantenere un ingaggio, quanto meno, tra i team professional.

Il padovano di Tribano – fresco dei trent’anni compiuti il 17 febbraio – era in uscita dalla Vini Zabù, società con cui è stato nelle ultime sette stagioni e che si sapeva avrebbe chiuso a fine 2021. Prima della fine dell’anno anche la Federciclismo e Marco Villa avevano provato ad aiutarlo a trovare una squadra. «Se lo merita», aveva detto il cittì della pista. Ma niente fino a pochi giorni fa.

Ora Bertazzo un contratto ce l’ha. Lo ha firmato con la Maloja Pushbikers (formazione continental tedesca) e si è concretizzato grazie alla intercessione, diciamo così, della pista. Mentre sta rientrando dal ritiro della nazionale a Peschiera del Garda, Liam ci spiega tutto al telefono, commentando in diretta anche la sua partecipazione per i mondiali eSports sulla piattaforma Zwift del 26 febbraio insieme a Matteo Cigala, Martina Fidanza ed Elena Pirrone. «Quella – ci dice ridendo – non sarà una passeggiata, anzi sarà una vera sofferenza».

Bertazzo parla con Fortin, suo amico e futuro compagno. Gli farà da apripista nelle volate (foto Facebook/Maloja Pushbikers)
Bertazzo parla con Fortin, suo amico e futuro compagno (foto facebook Maloja Pushbikers)
Liam finalmente hai trovato una squadra, non potevi restare a piedi. Come è nata questa trattativa?

E’ stato un insieme di cose. Conoscevo già di fama il loro general manager Christian Grasmann, che è stato un ottimo pistard e aveva corso una Sei Giorni di Berlino con Villa. Poi ho scoperto meglio questa formazione grazie al mio compagno di allenamento Filippo Fortin, che aveva firmato con loro a ottobre e me ne parlava bene. A quel punto abbiamo approfondito i contatti e qualche settimana fa sono stato a Monaco di Baviera per firmare (la loro sede però è a Holzkirchen, 30 chilometri a sud del capoluogo bavarese, ndr).

Che impressione hai avuto?

E’ una squadra piccolina, ma ben organizzata. Hanno una bella mentalità, tanta voglia di fare e con un buon clima. Ragionano come un’azienda. Dopo sette anni in un team italiano, qui troverò un ambiente differente. Sarà una esperienza di vita. Avrò per lo più compagni tedeschi, poi uno statunitense ed uno neozelandese. Con loro potrò migliorare il mio inglese.

Abbiamo guardato sul loro sito e sui loro profili social per capire meglio alcuni aspetti tecnici. Sai qualcosa dei loro marchi?

Il team è supportato da belle realtà aziendali. Useremo biciclette Wiawis. Sono sudcoreane e già le conoscevo perché la loro nazionale le utilizza in pista e vedevo i mezzi nelle varie competizioni internazionali. So che hanno già pronto un telaio per me. Maloja, che è il main sponsor, invece è un brand di abbigliamento tecnico, principalmente da outdoor (sono i fornitori ufficiali della nazionale di biathlon degli Stati Uniti che ha partecipato alle Olimpiadi invernali di Pechino, ndr). Le nostre divise saranno arancio-grigie, esteticamente colpiscono. Sono prodotte proprio da Maloja e ogni anno le hanno cambiate anche per un discorso di marketing.

Liam Bertazzo veste già i colori arancio-grigio del suo nuovo team (foto Facebook/Maloja Pushbikers)
Liam Bertazzo veste già i colori arancio-grigio del suo nuovo team (foto Facebook/Maloja Pushbikers)
Perché hai scelto questa squadra?

Per un po’ di fattori. Voglio continuare a puntare sulla pista. Parigi 2024 è un mio obiettivo dopo che per me è stato un onore essere riserva a Tokyo. Però volevo tornare a fare strada ed essere competitivo. Grazie a Grasmann, che conosce bene entrambe, ho pensato che la sua squadra fosse quella giusta per me per ripartire dopo la chiusura della Vini Zabù.

Che calendario avrai?

Lo vedremo poco alla volta, però fino alla fine di aprile ce l’ho già pianificato. Esordirò il 2 marzo al Trofeo Umag in Croazia, dove farò un altro paio di corse fino al 13. Poi correremo a Rodi sia il 20 marzo che dal 24 al 27. Infine dal 21 al 24 aprile ci saranno le prime prove di Nations Cup su pista a Glasgow. Dovrò calibrare bene gli impegni tra le due attività nel resto della stagione.

Che obiettivi ti sei prefissato?

Non ne ho uno in particolore, in pratica riparto da zero. Vorrei recuperare il tempo perso a causa dell’infortunio alla schiena per il quale mi avevano dovuto operare per forza due anni fa (una microdiscectomia, ndr) dopo la caduta nella gara a tappe in Colombia ad inizio 2019. Non riuscivo quasi più a camminare. Adesso sto decisamente meglio. Vorrei ritrovare un po’ di feeling con la volata, tornare a comparire in qualche ordine d’arrivo. Ma soprattutto aiutare Fortin, che sarà il velocista principale.

Nel Velodromo di Montichiari Bertazzo ha provato la bici Wiawis che userà nel Maloja Pushbikers (foto Facebook)
A Montichiari, Bertazzo ha provato la bici Wiawis che userà nel Maloja Pushbikers (foto Facebook)
Come mai nessun’altra formazione ti ha cercato?

Non c’è stato tanto interesse da parte di alcuna professional, sia italiana che straniera. La Federazione ha provato ad aiutarmi e la ringrazio tanto, però non ha sortito alcun effetto. Sinceramente non so il perché ma non accuso nessuno. Le motivazioni potrebbero essere diverse. Un po’ perché si sapeva che ho corso poco per i problemi alla schiena. E quindi ho avuto risultati scarsi. Oppure perché in Italia, malgrado abbiamo campioni come Consonni, Ganna, Viviani e Milan, ancora non c’è una grande considerazione per la doppia attività strada-pista. Peccato, perché nei velodromi adesso si possono svolgere tanti lavori in sicurezza che portano frutti su strada. E viceversa.

Chiudiamo Liam, siamo contenti di sentirti carico. Sei pronto ad iniziare?

Assolutamente sì. Andremo in ritiro da oggi al 27 febbraio (sul Lago di Garda, ndr). Prima però ho fatto una visita nella sede della squadra e della ditta Maloja (a Rimsting, sempre in Baviera, ndr). E’ nuova e bellissima, ero molto curioso di vederla. Loro vogliono crescere e io voglio dare il mio contributo al loro progetto.

Milesi: gioventù ed esperienza il mix giusto per una continental?

14.02.2022
5 min
Salva

Di Andrea Garosio al Team Biesse Carrera vi abbiamo parlato la scorsa settimana. Un bresciano in una squadra bresciana. Chiaramente l’ex Bardiani Csf Faizanè è in una continental con l’intento di rilanciarsi. E il suo diesse, Marco Milesi lo sa bene.

Tuttavia quello di Garosio non è un caso isolato. Quest’anno sono diversi i ragazzi che dalle professional sono passati alle continental. Un qualcosa che va analizzato. Proviamo a farlo con l’esempio appunto di Garosio e della Biesse-Carrera.

Marco Milesi, direttore sportivo della Biesse Carrera, fu tra i primi ad operare in una continental in Italia
Milesi, diesse della Biesse Carrera, fu tra i primi ad operare in una continental in Italia

Esperienza e gioventù

«Già in passato avevo “fatto il filo” a Garosio – racconta Milesi – lo cercai quando eravamo tra gli under 23, poi lui prese altre strade e okay così… ma nessun problema.

«Essendo lui di Brescia ed essendo il nostro team bresciano, così come le nostre bici, era bello che continuasse e che continuasse qui, specialmente dopo il bel finale di stagione dello scorso anno. Se lo meritava».

«Per noi Andrea è l’uomo giusto. Un corridore di calibro. Io avevo bisogno di un uomo di esperienza, uno che aiutasse anche gli altri ragazzi a crescere. E tutto ciò mi era già capitato con Mauro Finetto (all’epoca Milesi era alla Trevigiani, ndr). Lui successivamente ripassò professionista. Anche Andrea può fare una bella stagione».

Andrea Garosio è stato anche alla Bahrain (team WordlTour): a 28 anni può dare un bel contributo ai suoi compagni
Andrea Garosio è stato anche alla Bahrain (team WordlTour): a 28 anni può dare un bel contributo ai suoi compagni

Garosio ds in gruppo

Milesi dunque sa bene di cosa sta parlando e della sfida che lo aspetta. Anzi, che aspetta lui e Garosio. Parla di esperienza al servizio dei giovani, ma in concreto cosa s’intende quando si parla di esperienza in una situazione del genere?

«L’esperienza al servizio dei ragazzi – riprende Milesi – nel caso di Garosio io la vedo in gara. Nei movimenti del gruppo in corsa. In certe gare importanti alle quali prenderemo parte il modo di correre è diverso. Avere in squadra chi ci è abituato è un aiuto per noi. Prendere la salita in una certa posizione, farsi trovare in una determinata posizione. Noi dobbiamo farci vedere».

«Con Mauro (Finetto, ndr) facemmo bene alla Coppi e Bartali, correndo per lui. Un corridore che ha corso a certi livelli può trasmettere piccoli segreti, far anticipare un po’ i tempi, nella gara e nella crescita. Abbiamo ragazzi dal buon potenziale e cerchiamo di sfruttarlo».

Garosio si è integrato bene, già nel primo ritiro, nonostante si sia aggregato in un secondo momento. E’ esperto, ma non un “vecchio”. Alcuni compagni già li conosceva. Con Belleri e Bonelli, anche loro bresciani, si allenava insieme. Mentre gli altri essendo molto giovani lo hanno subito visto come un faro.

«Andrea in questo gruppo ha il suo carisma. Io parlavo con lui, gli dicevo cosa volevo fare. Lui diceva qualche parola ai ragazzi e subito partivano per l’allenamento alla sua ruota. Uno così fa squadra. Gli dicevo chiaramente: Dammi una mano».

«Avere tra i ragazzi un corridore così è importante. Lo vedo anche io quelle poche volte che riesco ad andare in bici con loro: si aprono di più, è un un altro rapporto. Non è come quando gli parlo in camera o dall’ammiraglia».

La Biesse Carrera in Spagna per il ritiro invernale. La loro stagione inizierà alla San Geo a fine mese (foto Instagram)
La Biesse Carrera in Spagna per il ritiro invernale. La loro stagione inizierà alla San Geo a fine mese (foto Instagram)

Questione di feeling 

Ma perché un Garosio della situazione può trarre dei vantaggi nel ripartire da una continental? Abbiamo visto cosa può dare lui al team: e il contrario? Cosa può dare il team a lui? 

«Da quello che ho capito – spiega Milesi – Garosio ha avuto poca fiducia nelle squadre in cui era stato ultimamente, mentre da parte nostra avrà la massima fiducia. A Laigueglia o alla Coppi e Bartali sarà il nostro capitano. E lui che deve fare la corsa, e correre per il risultato. Deve avere questa scintilla nella testa. Sono gli altri che devono attaccare, farsi vedere e magari aiutarlo».

 

«E questo è molto buono. Poter aiutare, poter avere un obiettivo concreto è importate per gli altri. Quando hai un compagno davanti raddoppi le forze. Mi ricordo quando al Giro under 23 avevamo Conca e Colleoni nella top 5, anche gli altri andavano forte per tenerli davanti, proteggerli».

Coppi e Bartali 2016, Finetto fu secondo (tra Firsanov e Moscon) nella generale. Era stato anche alla Liquigas e poi passò alla Delko
Coppi e Bartali 2016, Finetto fu secondo (tra Firsanov e Moscon) nella generale. Era stato anche alla Liquigas e poi passò alla Delko

Formula continental

La formula perfetta delle continental è quindi questa? Giovani con uno o due uomini esperti al loro fianco. Il tutto accompagnato da un calendario importante (sempre in relazione alla categoria chiaramente).

«Per fare una continental – riprende Milesi – per me serve l’uomo di esperienza. Okay i giovani, ma spesso sono spaesati, soprattutto in certe corse. Avere un riferimento in gruppo è importante. Un traino… Poi magari le prendi visto il livello, ma anziché averne davanti uno ne hai tre».

«Sono anni che lavoro con le continental. Siamo stati tra i primi con Mirko Rossato. Ricordo le parole di Finetto, quando mi diceva che i ragazzi andavano forte, che li motivava. Quindi per me sì: questa è una buona formula. Poi ognuno fa le sue scelte, io parlo secondo la mia esperienza».