Si chiama “A unique kit for a unique team” ed è lo slogan ad effetto che caratterizza la nuova campagna di Gobik sviluppata per sostenere e promuovere al meglio il proprio servizio di abbigliamento team personalizzato. Una campagna, quest’ultima, che rappresenta la sintesi perfetta del DNA “custom” di Gobik, la parte più originale di questa famiglia che crea sogni ciclistici, che si tratti di una semplice maglia, di un pantaloncino o di un accessorio cycling wear.
Il brand spagnolo ha a cuore le esigenze di ogni gruppo ciclisticoIl brand spagnolo ha a cuore le esigenze di ogni gruppo ciclistico
Gobik è noto per essere uno dei più grandi centri di produzione tessile per il ciclismo in tutta Europa, “forte” di oltre 8.000 proposte grafiche all’anno e 600.000 capi prodotti negli ultimi dodici mesi. Risultati questi ultimi resi possibili grazie al costante impegno per la qualità e per l’innovazione di Gobik in tutto il processo di produzione.
Ciascun ciclista, e con lui ogni singolo gruppo sportivo, è diverso e unico. Ognuno ha difatti i propri percorsi preferiti, i propri luoghi di sosta, il proprio modo di pianificare il percorso e il proprio orario di partenza. Un insieme di particolarità che Gobik raccoglie, amplifica ed asseconda attraverso il servizio “custom”, con l’obiettivo di rendere unico l’abbigliamento personalizzato per ogni singolo gruppo di ciclisti che quotidianamente incrociamo lungo strade, sentieri oppure sterrati.
Gobik pone l’accento sul collettivo, e con la campagna “A unique kit for a unique team” evidenzia i suoi valori e quella frase ad effetto – sempre valida – che ci ricorda che il ciclismo diversamente da quello che si possa pensare è uno sport di squadra.
Il valore dell’appartenenza
«Non dobbiamo mai dimenticare – ha affermato Albert Medrano, il responsabile marketing di Gobik – che ben la metà del nostro volume di lavoro proviene dal cosiddetto personalizzato. Ed è proprio in questa area del nostro lavoro e della nostra attività che si ritrovano le nostre origini, ma anche il nostro presente. In Gobik abbiamo un ottimo team di designer che aspetta di ideare le migliori grafiche per i gruppi sportivi per la prossima estate.
«Oltre al fatto di essere vestiti tutti uguali, noi vogliamo aggiungere altri fattori importanti ai nostri capi: come l’identità, in quanto l’abbigliamento parla di te e del gruppo a cui appartieni. Ma non solo, i nostri capi rendono riconoscibili agli altri ciclisti lungo il percorso, fornendo anche una componente di sicurezza al gruppo in quanto più omogenei».
CAZZANO SANT’ANDREA – Le montagne che contornano la Val Seriana si fanno più aguzze man mano che procede. Sembrano quasi pronte a mordere il cielo, come tanti canini affilati. Per salire a Casnigo la strada prende una svolta a destra e si inerpica subito. Un dentello di un chilometro e mezzo con un paio di tornanti che metterebbero in difficoltà più di qualche corridore. Simone Gualdi ci dà appuntamento qui, su queste rampe. Mentre lo aspettiamo, poco lontano dal cartello di benvenuto, i rumori di una fabbrica interrompono la pace del paesino.
Gualdi ha partecipato all’Eroica Juniores con la nazionale, ottenendo il secondo posto (foto FCI)Gualdi ha partecipato all’Eroica Juniores con la nazionale, ottenendo il secondo posto (foto FCI)
Tra calcio e ciclismo
In realtà Simone abita un paio di chilometri dopo Casnigo, il paese si chiama Cazzano Sant’Andrea. Poco più di 1.600 abitanti, la casa si trova in una zona un po’ più isolata, una palazzina di pochi piani. Saliamo le scale e ci apre la porta papà Marco, pochi istanti dopo entra anche sua mamma Chiara, con le borse della spesa in mano.
Simone si fionda sotto la doccia e intanto noi parliamo con i genitori. Marco è un cuoco e lavora a Dalmine, a una mezz’oretta da casa, traffico permettendo. Sua moglie Chiara, invece, è un’infermiera nella casa di riposo di Gandino, a pochi chilometri da casa.
«Anche se con il lavoro facciamo fatica ad avere molti giorni liberi – racconta il papà – abbiamo seguito molto le gare di Simone, fin da piccolo. Durante la settimana è autonomo, anche se devo ammettere che quando è fuori in allenamento un po’ di ansia c’è».
«Io alle gare non sono mai andata – replica la madre con una risata – ed è meglio così, mi viene l’ansia. Davide, il fratello piccolo, gioca a calcio a Vertova, non lontano da qui. Abbiamo provato a farlo andare in bici, ma ha prevalso l’amore per il pallone».
Una doccia veloce ed il giovane bergamasco è pronto a raccontarsiUna doccia veloce ed il giovane bergamasco è pronto a raccontarsi
Cresciuto in “casa”
Simone Gualdi ha lo sguardo deciso e una buona parlantina, non serve molto tempo per prendere confidenza. Il corridore della Scuola Ciclismo Cene va in bici da tanti anni e lo ha sempre fatto vicino a casa.
«Ho iniziato quando ero in terza elementare – racconta seduto al tavolo del soggiorno – già pedalavo da solo su una mountain bike, così, per piacere personale. Poi in terza elementare dei miei amici mi hanno coinvolto e sono andato a provare. La squadra era la Gazzanighese. I primi tre anni faticavo a finire le corse, ero uno dei più piccoli e fisicamente soffrivo. Ho avuto anche la tentazione di lasciare ma non ho desistito, mi piaceva troppo la bici.
«Poi tutto ad un tratto sono cresciuto e sono arrivato a vincere, la cosa bella è che tra Gazzanighese e Scuola Ciclismo Cene c’è un legame profondo. La maggior parte dei ragazzi con i quali corro ora li conosco da quando avevo 8 anni. Sono contento di come è andato e come sta andando il mio percorso di crescita. Alla fine mi alleno molto, ma senza finirmi».
Il 2022 è finito in crescendo, al Giro della Lunigiana è arrivata la maglia biancaPoche settimane dopo eccolo in corsa ai mondiali di Wollongong con la nazionale di SalvoldiIl 2022 è finito in crescendo, al Giro della Lunigiana è arrivata la maglia biancaPoche settimane dopo eccolo in corsa ai mondiali di Wollongong con la nazionale di Salvoldi
Il presente e il passato recente
Il corridore bergamasco, classe 2005, è uno dei volti del ciclismo nazionale. Nella seconda metà della scorsa stagione si è affermato tra Giro della Lunigiana e la convocazione ai mondiali di Wollongong. Nel 2023, invece, ha già corso con la maglia azzurra alla Gand-Wevelgem e alla Eroica Internazionale Juniores Coppa delle Nazioni, corsa a tappe di tre giorni chiusa al secondo posto in classifica generale.
«Questi primi mesi della nuova stagione – riprende mentre finisce di sorseggiare la bevanda per il recupero – sono andati bene. Ho aggiunto molte gare internazionali al calendario. La Gand-Wevelgem non è andata benissimo, il clima non ha aiutato. Mentre l’Eroica è stata molto più positiva, il livello era alto e confrontarsi con certe realtà fa sempre bene. Ora mi aspetta un’altra tappa di Coppa delle Nazioni, sempre con la nazionale, questa volta in Repubblica Ceca. Le salite, il mio terreno preferito, saranno una bella incognita, ma non vedo l’ora di mettermi alla prova. Sono contento di aver trovato continuità con l’Italia, Salvoldi organizza ogni mese tre giorni di ritiro. E’ un modo di lavorare che mi piace, si crea un bel gruppo e ci abituiamo a correre insieme.
«Le esperienze in campo internazionale – continua Gualdi – sono iniziate con il Giro della Lunigiana. Una gara che mi ha lasciato molto, ma anche un po’ di amaro in bocca, perché il podio mi è sfuggito di pochi secondi a causa di un problema meccanico (il bergamasco ha comunque vinto la maglia della classifica dei giovani, ndr)».
Durante la pausa dal ciclismo c’è tempo per seguire l’Atalanta, sua squadra del cuore, qui in trasferta a ZagabriaDurante la pausa dal ciclismo c’è tempo per seguire l’Atalanta, sua squadra del cuore, qui in trasferta a Zagabria
Neroazzurro
I colori del cuore di Simone sono due: il nero e l’azzurro, gli stessi che si incontrano sulla maglia dell’Atalanta, della quale è tifoso. Il suo amore per il calcio arriva da lontano e glielo ha regalato un suo ex allenatore.
«Il calcio è uno sport che conosci per forza – dice con una risata – anche se non ti interessa davvero. Nel mio caso i miei amici ne parlano e lo seguono molto, la passione per la Dea (l’Atalanta, ndr) deriva dall’amore per la mia terra. Dello stadio mi piace l’atmosfera che si respira, sia nel pre partita che durante i 90 minuti. Con il fatto che si gioca molto in inverno riesco andare qualche volta allo stadio a vedere le partite. Rigorosamente in curva, nella parte calda del tifo! Mi sono divertito a fare anche qualche trasferta, una delle più belle è stata quella di Zagabria per i gironi di Champions League. Dodici ore di pullman, insieme ai tifosi, una gran bella giornata. Siamo partiti da casa la mattina e siamo tornati il giorno seguente.
«Mio fratello gioca a calcio, ma non possiamo andare insieme allo stadio – confida con una risatina – è interista. Qualche volta è venuto con me a vedere l’Atalanta ma è si è trattata di una scelta di compagnia, non di tifo».
Gli amici sono sempre pronti a seguirlo e sono tra i primi ad interessarsi dei risultati di GualdiGli amici sono sempre pronti a seguirlo e sono tra i primi ad interessarsi dei risultati di Gualdi
Futuro? Praticamente scritto
Con i suoi 18 anni appena compiuti Gualdi apre gli occhi al futuro con grande interesse. Nel prossimo futuro qualcosa è già scritto, altro è da scrivere e proverà a farlo nel migliore dei modi.
«Il prossimo anno – racconta – sarò con la Circus ReUz (il devo team della Intermarché-Circus-Wanty, ndr). E’ un contatto nato abbastanza recentemente, si parla di un paio di mesi fa. Ho parlato con i diesse Visbeek e Tamouridis, la scelta è presto fatta, l’opportunità è unica. Mi hanno cercato anche delle squadre italiane, ma l’esperienza all’estero mi permette di avere più continuità nella crescita. Seguirò un programma più delineato, con allenamenti e recuperi programmati. Avrò modo di correre tante gare internazionali, per aumentare a mano a mano il livello. In più dal 2026 sarò nella formazione WorldTour.
«Gli obiettivi per questa stagione sono altri – conclude – mi piacerebbe fare bene alla Due Giorni di Vertova, la corsa di casa. L’anno scorso sono arrivato terzo nella gara del sabato, mentre la domenica mi sono ritirato. In gara si affronta la salita di Casnigo, quella dove ci siamo incontrati oggi, lì mi aspetteranno i miei amici. L’anno scorso hanno fatto un tifo infernale. Mi piacerebbe migliorarmi anche al Giro della Lunigiana e provare a vincere il campionato italiano, tra qualche giorno andrò a vedere il percorso».
Anche la fidanzata Beatrice lo segue spesso alle gareDurante la pausa invernale c’è anche il tempo di divertirsi con gli amiciTra i gadget non può mancare la custodia del telefono personalizzata di EevyeAnche la fidanzata Beatrice lo segue spesso alle gareDurante la pausa invernale c’è anche il tempo di divertirsi con gli amiciTra i gadget non può mancare la custodia del telefono personalizzata di Eevye
Scuola e amici
Gualdi si trova al quarto anno dell’Istituto Valle Seriana perito meccanico, a Gazzaniga. La scuola va bene, ci dice, il Piano Formativo Personalizzato lo aiuta a rimanere al passo.
«I professori sono molto comprensivi – spiega – e anche i compagni mi aiutano tanto. Riesco a rimanere al passo con lo studio e questo è importante, non nascondo che a volte porto i libri anche in trasferta, ma fatico a studiare. Dopo le gare mi riposo e la testa va subito alla tappa successiva. Quando sono a casa, invece, mi organizzo bene, la prossima settimana ci sono delle verifiche che dovrò saltare per andare con la nazionale in Repubblica Ceca. Ho già concordato con i professori quando recuperare le verifiche e le interrogazioni.
«Gli amici sono una parte importante della mia vita – finisce di raccontare – siamo molto uniti. Mi chiedono spesso come vanno le corse e quando non esco per preparare una gara o per allenarmi capiscono. In inverno riesco a godermi di più la loro compagnia, ci piace fare le cose che fanno tutti. Divertirsi è importante, la categoria juniores aumenta di importanza, ma siamo comunque ragazzi».
I cinque cittì azzurri di strada e crono sono stati per due giorni a Zurigo studiando i percorsi iridati. Bennati in bici. Percorso duro che farà selezione
IL PORTALE DEDICATO AL CICLISMO PROFESSIONISTICO SI ESTENDE A TUTTI GLI APPASSIONATI DELLE DUE RUOTE:
VENITE SU BICI.STYLE
bici.STYLE è la risorsa per essere sempre aggiornati su percorsi, notizie, tecnica, hotellerie, industria e salute
RIEMST (Belgio) – Valerio Piva conosce i corridori e il Nord come pochi altri. Da anni il tecnico della Intermarché-Wanty Gobert vive in Belgio, ci ha pedalato e sempre a quelle latitudini dirige e segue i corridori. Da quest’anno, tra questi c’è anche Francesco Busatto, vincitore della Liegi U23.
Incontrato a casa sua, dove tra le altre cose ha un hotel – l’Hove Malpertuus – che da anni ospita molti team durante la campagna del Nord, Valerio ci parla di questo giovane italiano. Ma di riflesso il discorso si estende anche a ragionamenti più vasti, che riguardano sempre i giovani e alcuni aspetti del ciclismo in Belgio.
Busatto (a destra) aveva dimostrato ottime cose già durante i ritiri invernali con la prima squadra (foto Instagram)Busatto (a destra) aveva dimostrato ottime cose già durante i ritiri invernali con la prima squadra (foto Instagram)
Valerio, parliamo di Busatto. Questo autunno ancora non lo avevi conosciuto, ora ci sei stato più a contato: cosa ci puoi dire di lui?
Francesco ha iniziato questa stagione debuttando coi grandi e lo ha fatto con me. Avevamo avuto problemi con un corridore che si era ammalato per l’Oman e abbiamo portato lui. Era già in Spagna con la squadra, aveva fatto entrambi i ritiri e abbiamo visto che aveva una buona condizione. Grazie al regolamento, che prevede questo scambio tra il team devo e la WorldTour, lo abbiamo schierato subito.
Ed è andato bene…
Alla prima corsa, il Gran Premio di Muscat, è finito quarto. Fra l’altro era anche una corsa abbastanza selettiva, impegnativa, con il finale su uno strappo. Si è destreggiato anche bene in volata. Era rimasto anche da solo nel primo gruppo. Da lì abbiamo visto che i primi approcci, anche col livello più alto, erano positivi, e l’Oman ne è stata la conferma.
Che corridore è?
Non è uno scalatore. Si difende su percorsi vallonati. Ha uno spunto veloce ed è esplosivo, quindi direi che è un corridore moderno. Oggi è importante essere veloci.
Hai detto che Busatto, non è scalatore eppure vince la Liegi. Chi ti ricorda se dovessi fare un paragone tecnico?
Difficile fare dei paragoni. Busatto ha vinto una corsa rinomata per essere dura: ha fatto la Redoute, ma non è la corsa dei pro’. E’ importante che sia riuscito ad uscire bene da questi strappi e che abbia mantenuto la sua esplosività. Se poi dovessi dire chi mi ricorda, proverei un Bettini. Ma in generale è uno di quei corridori che riescono a “fare la corsa” su tanti tipi di percorso.
Lo sprint vincente di Busatto sul traguardo di Blegny sede di arrivo della Liegi U23 (foto Cyclingmedia Agency)Lo sprint vincente di Busatto sul traguardo di Blegny sede di arrivo della Liegi U23 (foto Cyclingmedia Agency)
Ti aspettavi questo successo alla Liegi? E’ stata una sorpresa per te?
Per niente sorpreso. Dopo l’Oman, l’ho rivisto qui in Belgio e l’ho portato di nuovo a correre con me, al Limburgo. Tra l’altro lo avevo fatto venire un giorno prima per fargli vedere il percorso. Il giorno della corsa però non è andato molto bene: freddo, acqua e lui non stava un granché. A quel punto è tornato con la squadra under 23. Ha disputato altre corse in Belgio, di nuovo il Brabante con noi, che era una settimana prima della sua Liegi.
Un ottimo banco di prova…
Esatto ed è andato forte, perché essere davanti in una gara come la Feccia del Brabante, quattordicesimo, vuol dire molto. E’ stata la conferma delle sensazioni che avevamo avuto a inizio stagione. E cioè quelle di un corridore che ha qualità. Chiaramente deve crescere, è giovane deve maturare. E infatti io glielo avevo detto dopo il Brabante: «Guarda che la Liegi è l’obiettivo. Se hai una gamba così puoi solo che vincere». Tra l’altro ho scoperto che nessun italiano aveva mai vinto la Liegi under 23.
E ora?
Adesso un po’ di tranquillità, poi l’obiettivo prossimo sarà il Giro d’Italia under 23. Successivamente altre corse, ma adesso non conosco con precisione il suo calendario. L’anno prossimo sarà con noi nella WorldTour.
Piva ha portato Busatto al Limburgo per saggiare strade simili all’Amstel e alla Liegi. Un’esperienza utile per il breve e il lungo periodoPiva ha portato Busatto al Limburgo per saggiare strade simili all’Amstel e alla Liegi. Un’esperienza utile
Tu, Valerio, quassù sei di casa. I tuoi consigli avranno avuto un certo peso…
Il tracciato del Limburgo è una piccola Amstel Gold Race e spesso usiamo quelle strade per valutare i ragazzi. E anche per fargli conoscere i percorsi. Alla fine possono essere esperienze per il futuro. Ci pensavo giusto qualche giorno fa…
A cosa?
Proprio Francesco mi ha detto: «Sai, Valerio, quest’anno non ho ancora corso in Italia». E questo è già un approccio diverso. Mi diceva: «Sì, vado bene, però io un ventaglio non so cosa sia. Non ho mai corso col vento vero». In Italia è difficile trovarle giornate dove veramente c’è il vento che condiziona la corsa. Prenderci confidenza adesso è importante: capire le posizioni, imparare a conoscere e a riconoscere i percorsi…
Riconoscere i percorsi. Sembra un aspetto banale, ma non lo è…
Esatto. Quando dicono che i corridori belgi sono bravi sui percorsi del Fiandre, di Harelbeke… Vivono qua, come ci vivo io. Non è che ce l’hanno nel Dna o che li sanno interpretare bene per natura. Vanno forte perché conoscono le strade. Io esco e pedalo sul percorso della Liegi, della Freccia e dell’Amstel. Li conosco a occhi chiusi. E così vale per i ragazzi che vanno in bici.
Per Piva conoscere e riconoscere le strade vuol dire molto. E chi cresce quassù poi è avvantaggiatoPer Piva conoscere e riconoscere le strade vuol dire molto. E chi cresce quassù poi è avvantaggiato
Vanno a memoria. Si ricordano i punti più insidiosi, il vento, le curve, gli strappi, le pendenze…
E così facendo arrivano al professionismo con un bagaglio diverso rispetto agli altri ragazzi. E’ importante quindi crescere qui se si vuole andare forte in certe gare. Ricordo quando mi proposero Ballerini: «Siamo sicuri che farà bene nelle classiche in Belgio», mi dissero. Okay, ma alla fine? Sì, è un ottimo corridore, ma ci vuole del tempo per fare di più. Devi essere abituato a correre qua da giovane. Busatto si è ritrovato in una squadra belga e correrà quassù molto di più di tanti altri. E sicuramente avrà un bagaglio diverso.
E qui ci si allaccia indirettamente al discorso dei giovani italiani…
Io penso che i giovani italiani ci sono. L’abbiamo visto anche adesso. Bisogna chiaramente lavorarci. Semmai il problema è un altro.
Quale?
Non essendoci delle grandi squadre italiane hanno meno certezze sul futuro. Un ragazzo che corre in Italia inizia a pensare: «Se voglio diventare un professionista devo andare all’estero». E deve dimostrare qualcosa subito. A volte come nel caso di Busatto ci sono i manager, ma tante altre volte non è così. C’è pertanto questo handicap: non c’è uno sbocco diretto in una squadra importante, come poteva essere anni fa la Liquigas della situazione.
Campioni come Van Aert ed Evenepoel (qui in uno spot per una catena di pizzerie) sono spendibili anche per brand extra ciclisticiCampioni come Van Aert ed Evenepoel (qui in uno spot per una catena di pizzerie) sono spendibili anche per brand extra ciclistici
E in tal senso non si vedono grosse aperture, almeno guardandola nel breve periodo…
Tante squadre si trovano in difficoltà. Io faccio parte di una squadra WorldTour piccola, in cui le difficoltà ci sono e i budget non sono grandi. Però abbiamo la fortuna di stare in Belgio in cui ci sono più industrie interessate al “prodotto ciclismo”.
Quassù ti fermi all’autogrill e trovi la pubblicità con Van Aert. Al supermercato c’è la gigantografia di Remco…
Il ciclismo in Belgio è al primo posto come simbolo di sport. Il ciclista è ancora considerato un vero atleta. Uno sportivo che fa sognare i giovani ed è per quello che tanti ragazzi vanno in bici.Il Belgio è un Paese piccolo. Il ciclismo è nelle tradizioni di famiglia e ogni giorno gli passa davanti alla porta di casa una corsa. Già un mese prima del Fiandre, in tv facevano programmi di approfondimento, storia, tecnica… Senza contare che hanno miti come Evenepoel e Van Aert, come noi un tempo avevamo Pantani.
Tornando a Busatto, abbiamo raccontato che c’è questo bel feeling con Paolo Santello, il suo preparazione. Ora che passera nel World Tour, questa collaborazione si dovrà interrompere?
Noi abbiamo una struttura con allenatori, dietisti, massaggiatori… e la mettiamo a disposizione di tutti i nostri atleti. Ma se un ragazzo arriva e mi dice: «Guarda Valerio sono tanti anni che lavoro col mio preparatore e mi trovo bene», perché fermarlo? Chiaramente deve essere un preparatore coordinato con noi, che non dia fastidio. I nostri atleti lavorano con TrainingPeaks e quindi vengono monitorati anche dal nostro trainer di riferimento.
Busatto è allenato da Paolo Santello dalla fine del 2021: la collaborazione prosegue con la regia del teamBusatto è allenato da Paolo Santello dalla fine del 2021: la collaborazione prosegue con la regia del team
L’importante è che il preparatore sia allineato a filosofie e programmi: è così?
Chiediamo la collaborazione diretta col nostro capo allenatore. Nel caso di Francesco, se vuol lavorare con un italiano perché parla meglio la lingua, ci sta. Ma posso dire che col tempo è successo più spesso il contrario: dai preparatori esterni, sono passati a quelli interni dopo che hanno visto come lavora la squadra. Siamo partiti come una professional piccola che ha comprato la licenza ed è vero, ma poi abbiamo investito molto nella struttura. E non solo nel nome.
E torniamo in parte al discorso del prodotto ciclismo in Belgio e della capacità di vedere il tutto a 360° …
Abbiamo puntato molto sullo staff di allenatori, nutrizionisti… nel progetto. E questa è la miglior pubblicità. Adesso tanti manager ci propongono atleti di livello, anche giovani forti, che prima neanche osavano accostare a noi. Invece hanno visto che chi viene qua riceve l’attenzione che merita, la qualità che serve e in corsa tutti i nostri atleti hanno una chance, perché non lavoriamo solo attorno al grande nome. La squadra pertanto è diventata appetibile. E anche gli atleti si fidano.
Un tweet della scorsa settimana (dopo la quarta tappa e l’ennesima sfida fra Evenepoel e Roglic al Catalunya) su cui abbiamo rimuginato a lungo. Non tanto per il concetto, che si presta ad approfondimento, quanto per il suo autore: Manolo Saiz (foto Capovelo in apertura).
«Voy a hacer una crítica que espero deba ser constructiva porque no lo es malintencionada. Una carrera que en tres dias, por recorrido, solo tiene dos protagonistas, es que está muy mal diseñada, divertimento aparte!!».
Farò una critica, scrive, che spero risulti costruttiva perché non ha cattive intenzioni. Una corsa che in tre giorni, a causa del suo percorso, ha solo due protagonisti, è disegnata molto male, divertimento a parte!
Alla Volta a Catalunya, cinque tappe su sette hanno avuto per contendenti Roglic ed EvenepoelAlla Volta a Catalunya, cinque tappe su sette hanno avuto per contendenti Roglic ed Evenepoel
Fuori dal gruppo
Manolo Saiz è stato per anni il grande capo della Once, squadrone schiacciasassi con la maglia gialla e nera e con un po’ di rosso, patrocinata dalla Lotteria dei Ciechi di Spagna. Già allora, ben prima di Sky e della Jumbo-Visma, Saiz poneva un’attenzione incredibile su posizioni e materiali. Ha scoperto e lanciato corridori come Contador, Purito Rodriguez, Zulle, Jalabert, Beloki, Rincon, Breukink, Olano, Sastre, Luis Leon Sanchez. Uno che di ciclismo ne ha sempre saputo tanto, forse anche troppo.
Nel 2006, Saiz e la sua squadra rimasero coinvolti nell’Operacion Puerto, in una delle pagine più brutte e malgestite dell’antidoping di tutti i tempi. E mentre negli anni sono fioccate le squalifiche per i corridori, Manolo non ha avuto condanne né sospensioni, salvo essere messo all’indice ed escluso negli anni a seguire dal ciclismo dei grandi. Per un po’ ha avuto una squadra di U23 e poi è uscito definitivamente, ma non ha mai smesso di seguire le corse.
La premessa è necessaria per dire che non era un ciclismo di santi e che comunque ciascuno di quelli che vi rimasero coinvolti ha pagato a suo modo un prezzo molto alto, ma ciò non toglie che il tema di quel tweet ci abbia fatto ragionare. E’ stato bello vedere ogni santo giorno Evenepoel e Roglic là davanti? E tutti gli altri? Così abbiamo chiamato Manolo Saiz e gli abbiamo chiesto di spiegarci il suo punto di vista.
Vingegaard ha aperto la stagione al Gran Camino, vincendo le tre tappe e la classifica finaleVingegaard ha aperto la stagione al Gran Camino, vincendo le tre tappe e la classifica finale
Qual è il concetto?
Il concetto è che stiamo vivendo un ciclismo bellissimo. Ci sono cinque o sei corridori che lo interpretano in modo coraggioso. Questo però non significa che i percorsi di gara debbano essere fatti soltanto per esaltare loro.
Spiegati meglio, per favore.
La gara di un giorno può essere disegnata come vuole l’organizzatore. Può avere salite, può avere pavé, può avere muri, può avere quello che vuoi. Perché se il ciclista ha un guasto, domani o il giorno dopo avrà un’altra possibilità in un’altra gara di un giorno. Ma quando hai 6-7 giorni di gara come pure 21, i percorsi non possono essere ripetitivi. Non può essere che al Catalunya per cinque giorni i protagonisti siano stati sempre gli stessi due. Erano i più forti, ma perché le tappe erano uguali fra loro. Perché si vuole svalutare il ciclismo degli altri? Va bene, stiamo dicendo che ci sono dei corridori fortissimi, ma perché organizzare le corse solo per loro?
Come deve essere disegnata una corsa a tappe?
Non sempre i percorsi fatti per avere tanti consensi sui social sono attraenti per la qualità del ciclismo. Nel nome di questa, mi piacerebbe anche vedere Ganna all’attacco, oppure ammirare i velocisti o i migliori cronoman. In una settimana mi piacerebbe vedere situazioni di gara diverse da quelle create da questi pochi corridori. Secondo me è sbagliato che un organizzatore, che ha il privilegio di avere sette giorni a disposizione, pensi solo a pochi attori. Quel privilegio dovrebbe essere al servizio di tutti.
All’inizio hai parlato dell’influenza dei guasti meccanici.
Non mi piace che mettano ripetutamente muri estremi o tratti pericolosi e che nessuno pensi alle possibili conseguenze. La cosa importante in una gara a tappe è che le insidie siano fatte in modo che nessun corridore possa perdere la corsa a causa di un guasto o una caduta. Visto quante cadute ci sono? Ci riempiamo la bocca dicendo che vogliamo un ciclismo più sano, vogliamo un ciclismo più sicuro… Lo vogliamo e alla fine non lo stiamo facendo.
Cinque vittorie nei primi sei giorni di gara: Pogacar ha iniziato alla grande il 2023, poi ha proseguito alla Parigi-NizzaCinque vittorie nei primi sei giorni di gara: Pogacar ha iniziato alla grande il 2023, poi ha proseguito alla Parigi-Nizza
Stai facendo un discorso per lo spettacolo oppure pensi che su percorsi più vari quei pochi campioni siano più attaccabili?
Secondo me è un discorso a vantaggio dello spettacolo, perché questi fenomeni sanno muoversi anche su altre tipologie di percorsi. E’ un discorso per il ciclismo stesso, che ha bisogno di una maggiore varietà agonistica. Se questa non c’è, stiamo sbagliando.
Quali sono le conseguenze?
Anche se gli italiani non hanno più scalatori forti come prima, ci sono molte gare in cui il ciclismo italiano non lo vediamo. E non vediamo neppure il ciclismo spagnolo, che non è messo tanto meglio. Guardi la corsa e ti dici: «Diavolo, non può essere questo. Inizia la Ruta del Sol e ci sono tre tappe vinte dallo stesso corridore». Al Gran Camino le vince tutte un altro. Parlo di uno, però mi riferisco a questi 5-6 che possono vincere tutte le tappe. Onestamente penso che non sia giusto.
Cosa manca?
I percorsi di gara devono essere diversi. Deve esserci la media montagna e deve esserci una montagna dove puoi salire a 20 all’ora e una dove puoi salire a 30 all’ora. Il bello della salita sono l’attacco e il contrattacco. Se però metti un muro di 3 chilometri al 20 per cento, ognuno sale alla sua velocità ed è impossibile che ci siano attacchi e contrattacchi, perché vanno a 11 all’ora.
Come fare una Vuelta di soli Angliru?
Vale la pena avere una tappa come l’Angliru. E’ perfetto anche se c’è una tappa con il Mortirolo, ma non possono esserci sei tappe con il Mortirolo. Almeno questo è il mio modo di vedere il ciclismo: quello che penso sia utile per difendere lo spettacolo del mondo del ciclismo
Sanremo 1995, Jalabert batte Fondriest in volata, anche lui in maglia OnceAlla Vuelta del 2000, Olano vince in maglia Once la crono di Tarragona ed è terzo in quella di MadridSanremo 1995, Jalabert batte Fondriest in volata, anche lui in maglia OnceAlla Vuelta del 2000, Olano vince in maglia Once la crono di Tarragona ed è terzo in quella di Madrid
Manolo Saiz va ancora a guardare le corse?
Quest’anno vorrei andare al Tour, ma non so avrò il tempo. Mi piace il Giro, ma mi piace soprattutto andare a vedere le corse dei dilettanti. Mi è sempre piaciuto il ciclismo di base.
La tua squadra di under 23?
Lo sponsor si è comprato il Real Racing Santander, per cui è passato al calcio. Non faccio più nulla nel ciclismo, serviva un colpevole e io ero l’utile sciocco. Qualche azienda importante che mi ha detto che con me sarebbe entrata, ma non se ne è potuto fare niente. Mi aveva cercato la Katusha, ma qualcuno gli ha fatto capire che era meglio lasciar perdere. Curiosamente gli stessi che hanno coperto altri corridori, come si sa bene…
Cosa fai per vivere?
Ho chiuso il ristorante. Sono tranquillo con la mia famiglia e per il momento Manolo Saiz nel ciclismo non fa più niente. Ho un’azienda che si dedica a Blockchain, Nftc e sicurezza internet con un socio, che è quello che se ne intende davvero. Passo parecchio tempo in questo e poi guardo tutte le corse alla televisione. Stiamo vivendo davvero un buon ciclismo. Quei cinque o sei sono straordinari, speriamo che gli costruiscano attorno uno spettacolo all’altezza. Il ciclismo ha bisogno di tutti.
Dino Signori, fondatore del marchio Sidi, è nato a Maser nel 1936, la sua è una vita dedicata al ciclismo e alle calzature sportive. Ora ha ottantasette anni e, nonostante siano passati più di sessant’anni dalla nascita di Sidi (dal 2022 controllata da Italmobiliare), ha ancora la voce che trema quando parla della sua azienda.
Raggiungiamo il signor Dino al telefono di casa, sono le 9,30 e lui è già sveglio da almeno quattro ore. «Mi sono sempre alzato presto nella mia vita – racconta Signori, in apertura con Vincenzo Nibali – e ho mantenuto questo ritmo anche in pensione. Quando uno nasce in un modo è difficile modificare le proprie abitudini».
Dino Signori nel suo regno: Sidi, l’azienda che ha guidato per oltre 60 anniDino Signori nel suo regno: Sidi, l’azienda che ha guidato per oltre 60 anni
La nascita
L’intervista ha l’intento di ripercorrere insieme a Dino Signori gli anni di Sidi, dalla fondazione fino ad oggi. Tra le sue mani sono passate le scarpe di quasi tutti i corridori del mondo del ciclismo, campioni del passato e del presente.
«Modestamente parlando – dice dopo un sospiro – tutti i corridori hanno adoperato le scarpe Sidi, questo vuol dire che ho fatto qualcosa di giusto. Una mano me l’ha data il fatto di aver corso anche io in bicicletta, negli anni ‘50. Sarei potuto passare professionista, ma ero l’unico che lavorava in famiglia e non me la sono sentita di fare quel passo in più. Avevo paura che una caduta avrebbe potuto compromettere il lavoro in fabbrica. La mia fortuna, se così possiamo chiamarla, è che ho iniziato a lavorare davvero presto, a sette anni, e il lavoro mi ha dato modo di pensare molto. Mi ha dato l’esperienza giusta per fondare la mia azienda e farla diventare ciò che è oggi».
Tra i grandi nomi seguiti da Sidi c’è anche quello di Pozzato (foto Facebook Sidi)Gianni Moscon in una delle sue recenti visite in azienda, a far gli onori di casa c’è sempre Dino Signori (foto Facebook Sidi)Tra i grandi nomi seguiti da Sidi c’è anche quello di Pozzato (foto Facebook Sidi)Moscon in una delle sue recenti visite in azienda, a far gli onori di casa c’è sempre Dino Signori (foto Facebook Sidi)
Le tacchette
Prima dell’avvento delle scarpe Sid,i i corridori non agganciavano i piedi alla bici con il consueto sgancio rapido, ma si usavano i puntapiedi e sotto la suola non mettevano nulla se non dei chiodi.
«Era un sistema – racconta Signori – che non dava stabilità al piede. I corridori all’epoca mettevano sotto la scarpa due pezzi di cuoio e due chiodini, questo sistema però non permetteva modifiche e non dava mobilità. Non era raro che tanti ciclisti dopo qualche anno andassero in Francia per farsi operare di tendinite. Fui il primo a mettere la tacchetta mobile sotto la scarpa, così da poterla spostare in tutte le direzioni e trovare il giusto comfort. Uno di quelli che ha usato per primo questo sistema fu Moser, ma non dubito che molti corridori all’epoca usassero le scarpe Sidi, magari con sopra il nome di altri marchi. A me interessava poco sinceramente, io ero contento di aver fatto qualcosa che funzionasse e che potesse essere utile».
«Un giorno – riprende – un corridore americano venne da me alla partenza della Milano-Sanremo e mi disse che voleva usare le mie scarpe. Aveva un problema al metatarso ed io ero riuscito a sistemare la posizione del piede. Lui aveva un accordo con un altro marchio, così gli dissi che non mi interessava far vedere il logo Sidi, ma che lui stesse bene. Gli ho detto: “Io ti faccio le scarpe. Tu corri, vinci e noi siamo a posto”».
Eccolo in compagnia di Demare per celebrare la maglia ciclamino vinta dal francese al Giro d’Italia del 2022Eccolo in compagnia di Demare per celebrare la maglia ciclamino vinta dal francese al Giro d’Italia del 2022
L’amore per il proprio lavoro
Nelle parole di Dino Signori si percepisce subito cosa ha mosso la sua intera vita e, di conseguenza, la propria azienda: l’amore.
«Tanti anni fa – riprende a raccontare Signori – le cose erano molto più semplici. A me muoveva l’amore per il mio lavoro, mi piaceva tanto lavorare e non smettevo fino a quando non era tutto a posto. Questa, a mio modo di vedere, ha fatto la differenza: ero semplicemente contento nel vedere gli altri stare bene. L’idea delle tacchette o di tutte le altre soluzioni adoperate mi sono venute in mente perché semplici. Sono sempre stato dell’idea che una cosa la fai e non la molli fino a quando non funziona. Se si vuole lavorare bene bisogna farlo con la testa e con il cuore, non c’è altro modo. E’ così che sono riuscito ad andare avanti per così tanti anni curando personalmente le due sedi dell’azienda: quella di Maser e l’altra in Romania».
Squadra che vince non si cambia. Northwave ha rinnovato per altri cinque anni il proprio accordo di sponsorizzazione e collaborazione con Filippo Ganna, che continuerà così a supportare il marchio fino alla stagione 2028 (!) nello specifico sviluppo delle calzature per il ciclismo. L’estensione di questa partnership per un periodo di tempo così lungo dimostra ancora una volta il profondo legame tra l’azienda veneta e il cinque volte campione del mondo: un sodalizio nato dalla volontà di unire e concentrare le forze mettendo in gioco ancora per molto tempo l’esperienza pluriennale di entrambi.
Non solo una semplice sponsorizzazione, dunque, ma un vero e proprio progetto volto a trovare insieme, stagione dopo stagione, il prodotto e le soluzioni tecniche che più soddisfano le esigenze di ciascun praticante ciclista. Come avvenuto nel corso delle ultime sette stagioni, Filippo “Top” Ganna lavorerà a stretto contatto con il reparto R&D di Northwave per contribuire allo sviluppo dei nuovi prodotti alto di gamma della collezione: come le nuovissime Extreme Pro 3, la massima espressione in termini di prestazioni e design nel campo delle calzature road/corsa di Northwave.
Da sinistra, Federica Piva, CEO Northwave, assieme a Filippo Ganna e a Gianni Piva che del brand NW è il fondatoreDa sinistra, Federica Piva, CEO Northwave, assieme a Filippo Ganna e a Gianni Piva che del brand NW è il fondatore
Ricerca, sviluppo e design
«Siamo davvero orgogliosi – ha commentato Gianni Piva, il fondatore di Northwave – di avere un campione del calibro di Filippo Ganna ancora nella nostra squadra. Siamo stati accanto a lui a Tokyo nel 2021 quando ha vinto la medaglia nell’inseguimento a squadre insieme al quartetto azzurro, e poi durante il Giro d’Italia, così come quando lo scorso ottobre ha stabilito il nuovo record dell’Ora. Ma siamo soprattutto orgogliosi che anche lui supporti ciò che facciamo e che riponga grande fiducia in Northwave: averlo al nostro fianco ci dà la carica per affrontare con grinta le stagioni che ci attendono».
Il nuovo modello ExtremePro3Il nuovo modello ExtremePro3
Fondata da Gianni Piva nel 1971, il quartier generale è a Montebelluna (la provincia è quella di Treviso), Northwave progetta e realizza calzature e accessori per lo snowboard (questi ultimi sotto il marchio Drake) e per il ciclismo. Grazie ad una filosofia che si concentra sulla ricerca dell’innovazione, della qualità, di un’estetica raffinata e di uno sviluppo sostenibile, nel corso dei decenni Northwave e i suoi prodotti si sono legati a sportivi di grande successo, tanto nel mondo degli sport invernali quanto in quello del ciclismo, affermandosi nel tempo come uno degli attori di maggior successo nel panorama delle calzature sportive.
L'Astana ha scelto gli scarpini Northwave Mistral Pul, da maggio in limited edition. Ne abbiamo parlato con Battistella, che finora aveva sempre usato Sidi
Nella recente intervista con Davide Cassani è emerso come lo sport si sia evoluto e di conseguenza la figura dell’atleta. Lo studio e l’apprendimento sono un passaggio fondamentale per chi pratica attività sportiva, soprattutto da giovani. Dal 2018, direttamente dal Miur (Ministero Istruzione Università e Ricerca), è nato il progetto studente-atleta di alto livello. L’obiettivo è conciliare e tutelare la carriera scolastica e sportiva dei nostri ragazzi. Per comprendere meglio il funzionamento di questo progetto, ancora sperimentale si legge sul sito del Ministero, ci facciamo accompagnare virtualmente da Silvia Epis: Direttore Tecnico Nazionale Giovanile.
Silvia Epis insieme a Dario Igor Belletta alle Olimpiadi giovanili europee del 2020 (foto FCI)Silvia Epis insieme a Dario Igor Belletta alle Olimpiadi giovanili europee del 2020 (foto FCI)
L’inizio di tutto
Cinque anni può essere considerato un periodo breve, ma nella politica e nel campo delle proposte e dei disegni di legge non lo è affatto.
«Il motivo per il quale è nato questo progetto – racconta Silvia Epis – è semplice. Tutte le varie federazioni hanno riconosciuto che in Italia mancasse un’organizzazione che conciliasse l’attività scolastica con quella sportiva. Non sempre si riusciva a venire incontro ai ragazzi che praticavano sport ad un certo livello. I professori e gli Istituti scolastici si discostavano poco dal programma di studio, che molte volte aveva la massima concentrazione nel periodo di più intenso dell’attività agonista dei ragazzi. Soprattutto nel ciclismo, per non parlare della BMX, dove l’attività internazionale la fai da giovane.
«Si tratta di un progetto – prosegue Epis – che nel corso dei vari anni scolastici è cresciuto sempre più. Nel primo anno, 2018/2019, gli iscritti al programma erano 1.505, nell’ultimo 27.577. Questo è sinonimo che il progetto funziona. La regione con l’adesione maggiore è la Lombardia con il 18 per cento, poi ci sono Lazio ed Emilia Romagna. Tuttavia le percentuali sono ben distribuite, questo testimonia come il progetto sia ben radicato sull’intero territorio».
La selezione dei ragazzi è rigida, ma necessaria per creare un progetto funzionale (foto Scanferla)La selezione dei ragazzi è rigida, ma necessaria per creare un progetto funzionale (foto Scanferla)
I criteri di selezione
Non è un programma aperto a tutti, per aderire bisogna rispettare determinati criteri di selezione che decretano se l’atleta si può considerare un “atleta di alto livello”. Per gli sport individuali, è possibile accedere se si è un atleta tra i primi 36 posti nella classifica federale di riferimento, per categoria o anno di nascita.
Per il ciclismo sono prese in considerazione le seguenti classifiche: piazzamento nelle prime cinque posizioni ai campionati italiani (per specialità e categoria), piazzamento nelle prime cinque posizioni nei Circuiti Nazionali del Settore Fuoristrada e BMX e piazzamento nelle prime tre posizioni nei Campionati Regionali (per specialità e categoria).
Ivan Toselli, dal 2023 junior di primo anno, ha la scuola al centro della crescita (foto Coppa d’Oro)Ivan Toselli, dal 2023 junior di primo anno, ha la scuola al centro della crescita (foto Coppa d’Oro)
Come funziona?
In pratica come è organizzato il programma studente-atleta di alto livello? Come si coordina l’attività tra la scuola e società sportiva?
«Si nominano un tutor scolastico ed un tutor sportivo – spiega Epis – due figure che tra loro si confrontano cercando la migliore soluzione tra i vari impegni. A livello di POF (Piano di Offerta Formativa, ndr) non cambia nulla per lo studente. Gli obiettivi di apprendimento sono gli stessi dei compagni. Si tratta di coordinare, nella miglior maniera possibile, le due attività: quella sportiva e quella scolastica. Per esempio: se un ragazzo ogni domenica ha una gara, si eviterà di mettergli interrogazioni o verifiche il lunedì, per dargli la possibilità di recuperare.
«Durante la settimana – riprende – per fare un altro esempio, soprattutto in inverno che le giornate si accorciano ci sono delle assenze giustificate per determinati allenamenti. Pensate ad un ragazzo che deve uscire in bici, se alle 17 è buio per forza di cose dovrà anticipare l’uscita da scuola. Si tratta di un dare e avere, perché lo studente poi è chiamato a recuperare le ore perse con maggiore studio individuale».
I ragazzi hanno un’attività scolastica che si conforma al calendario delle corse (foto Rodella)I ragazzi hanno un’attività scolastica che si conforma al calendario delle corse (foto Rodella)
Il riscontro
«Il progetto prosegue bene e bisogna ammettere che fosse davvero necessario – conclude Silvia Epis – prima del 2018 ogni federazione era indipendente. Questo causava grandi squilibri tra i vari sport, nel calcio, come nella ginnastica artistica i ragazzi venivano mandati in istituti privati o serali per conciliare meglio le due attività. Il costo per le famiglie era notevolmente più elevato, il progetto messo in piedi dal Ministero viene incontro a tutte le situazioni economiche e sociali. In più non crea sproporzionalità di trattamento tra una federazione e l’altra».
Cassani abbottonato sul futuro. Il suo orizzonte arriva a europei e mondiali, poi la palla passerà alla federazione. Intanto si parla di Ganna e Bettiol
MB Wear ha recentemente presentato la propria collezione di abbigliamento per il ciclismo (inclusa quella specifica per il gravel…) per quanto riguarda la stagione autunno ed inverno 2022/2023. E per ambientare e presentare al meglio la stessa linea, l’intero “photo shooting” è stato realizzato in un contesto davvero mozzafiato e altamente evocativo per il ciclismo: le Dolomiti venete. Le strade attorno a Cortina d’Ampezzo, oltre a quella in salita, ripida, della mitica ascesa del Passo Giau, hanno così rappresentato lo scenario decisamente migliore per presentare e illustrare la collezione – già i distribuzione presso la rete dei rivenditori autorizzati – sulla quale il brand veneto punta davvero moltissimo.
MB Wear è sinonimo di prodotti d’abbigliamento per il ciclismo innovativi e tecnologici, capi che fanno del comfort, della massima qualità Made in Italy e dello stile i propri punti di forza…
La collezione autunno-inverno di MB Wear prevede anche dei capi per il gravelL’azienda di Maser ha fatto dell’abbigliamento tecnico una filosofia La collezione autunno-inverno di MB Wear prevede anche dei capi per il gravelL’azienda di Maser ha fatto dell’abbigliamento tecnico una filosofia
Capi unici ed innovativi
Nata dalla passione di Tiziano Dall’Antonia e Marco Bandiera, due ciclisti di professione in grado di portare la loro esperienza decennale tra i professionisti ad essere un reale punto di forza dei propri prodotti, MB Wear è stata sin dall’inizio pensata e strutturata con l’obbiettivo di fornire un prodotto sportivo caratterizzato da materie prime di altissima qualità per garantire comfort, resistenza e durevolezza nel tempo. E proprio con queste caratteristiche sono successivamente stati creati dei prodotti professionali legati principalmente al mondo del ciclismo, del running e dello sci nordico. Ciascuno di essi con caratteristiche specifiche ma legate sempre alla stessa filosofia citata qualche istante fa.
Un particolare fotografico del catalogo Gravel e Winter 22:23 Un particolare fotografico del catalogo Gravel e Winter 22:23
“Quando le prestazioni sono elevate, sono i dettagli a fare la differenza”. Questo è il motto dei due fondatori di MB Wear, una filosofia vincente e che caratterizza i prodotti in collezione. Dal singolo paio di calze alla giacca invernale più tecnica ed innovativa. Tutti i capi di abbigliamento e gli accessori MB si caratterizzano per la presenza di elementi unici ed appunto innovativi. Ma non solo, l’azienda veneta ci mette anche una maniacale attenzione all’aspetto tecnico, per assicurare, a chi indossa i loro capi, un elevato comfort da tradurre in prestazioni ottimali.
Il catalogo in italiano di MB Wear è scaricabile a questo link, allo stesso modo basterà cliccare qui per avere la versione in inglese.
Abbiamo intervistato Fergus Niland, direttore creativo di Santini Cycling Wear. Gli abbiamo chiesto come il mondo dell'abbigliamento tecnico ha cambiato il mondo del ciclismo e di fare sport a tutti i livelli
Alla vigilia del Lombardia, ospiti della cena per i 20 anni di Promoeventi Sport, che fra le sue cose organizza le corse bergamasche per RCS Sport, abbiamo ritrovato un gruppo di amici. E come accade da qualche tempo a questa parte, il discorso è finito sul ciclismo di casa nostra e la necessità di un team WorldTour italiano. Un concetto che oggi anche Ivan Basso riprende in un post pubblicato su Linkedin.
La cena per i 20 anni di Promoeventi di Bettineschi e Belingheri è stata l’occasione di riflessioni sul ciclismo italianoLa cena per i 20 anni di Promoeventi di Bettineschi e Belingheri è stata l’occasione di riflessioni sul ciclismo italiano
Un team italiano
Enrico Zanardo, che ha avuto squadre dilettanti per anni ed è oggi il referente di Vini Astoria nel ciclismo, era abbastanza perplesso circa la possibilità di fare una squadra di soli italiani. I grossi sponsor hanno interessi in tutto il mondo e questo fa sì che abbiano bisogno di corridori da diversi Paesi. Discorso ineccepibile.
Claudio Corti, manager della Saeco di Cunego e Simoni, ricordava di quando Sergio Zappella (il signor Saeco) raggiungeva il budget per la squadra raccogliendo il contributo delle filiali mondiali. Ne era ovviamente l’azionista di maggioranza, quindi l’impegno centrale era il suo, ma in questo modo raggruppava attorno alla squadra interessi in ogni angolo del mondo.
Serge Parsani, oggi alla Corratec (in procinto di rientrare come professional), ricordava gli anni alla Mapei in cui non mancavano corridori internazionali, ma con un forte nucleo italiano al centro. Sottolineando che anche il team di Giorgio Squinzi faceva un gran lavoro di coinvolgimento delle filiali estere.
La Saeco ruotava attorno a italiani come Cunego, Simoni, Cipollini e Savoldelli, ma vinse il mondiale con AstarloaLa Saeco ruotava attorno a italiani come Cunego, Simoni, Cipollini e Savoldelli, ma vinse il mondiale con Astarloa
Cresce la Svizzera
Oggi tutto questo sembra irraggiungibile. Eppure i grossi sponsor non mancano: manca piuttosto la voglia di fare il passo in più, impegnarsi davvero a fondo.
Probabilmente il sistema fiscale italiano non aiuta, magari è per quello che i nostri campioni risiedono all’estero e la nuova Q36.5, squadra di sponsor e dirigenza italiani, per partire ha scelto la Svizzera.
E proprio in Svizzera, i nuovi team saranno due. Oltre a quello che avrà fra le sue schiere un Vincenzo Nibali in veste di consulente d’eccezione, sarà varato il nuovo Tudor Pro Cycling Team di Fabian Cancellara. Mentre qui registriamo il rischio chiusura della Drone Hopper-Androni e non sarà certo il probabile ritorno della squadra toscana, che negli anni è andata e venuta con alterne vicende, a bilanciare la situazione.
L’addio di Nibali e Valverde al Lombardia non è stato il solo grande evento del weekendL’addio di Nibali e Valverde al Lombardia non è stato il solo grande evento del weekend
La fuga dei talenti
E intanto i nostri se ne vanno all’estero ed entrano in un mercato florido che offre prospettive interessanti. In squadre ricche, che però metteranno al primo posto i corridori di casa. Pertanto, allo stesso modo in cui Paolo Bettini, già vincitore delle Liegi e dei mondiali, non ha mai potuto correre il Fiandre perché aveva davanti Boonen, altri verranno su come luogotenenti più che come leader. Perché il leader deve fare la corsa, non tirare per altri e poi osservarli andar via. Restano le poche occasioni di quando i capitani di casa non ci sono. E in quei casi i vari Bagioli, Aleotti e Covi hanno la possibilità di venir fuori. Ma non è facile. Il ciclismo non ti dà tutto e subito, la maturazione ha bisogno di esperienza e l’esperienza ha bisogno di occasioni ripetute.
In Belgio basta la presenza di un campione (qui Tom Boonen) per richiamare decine di mediaIn Belgio basta la presenza di un campione (qui Tom Boonen) per richiamare decine di media
Parliamo dei media
Il perché in Italia il ciclismo sia finito nell’angolo s’è sempre spiegato con i problemi di un tempo. Il fatto tuttavia è che niente è come prima, mentre provoca stupore il relativo disinteresse da parte dei grandi attori della comunicazione, che si sono ormai appiattiti sul calcio in modo a volte imbarazzante. I grandi giornali non mandano più inviati ai grandi eventi e quando lo fanno hanno vergogna di sparare la vittoria in prima pagina. Come il record dell’Ora di Ganna: il confronto delle prime pagine rispetto a quando il record lo fece Moser provoca ben più di un interrogativo.
La televisione ha aumentato le ore di diretta. Eurosport e i suoi ragazzi fanno vedere con competenza corse che un tempo erano soltanto nomi esotici, mentre la Rai continua con il suo lavoro complesso difendendo la posizione.
Lo scorso weekend è stato un fiorire di ciclismo, anche eccessivo (l’UCI compila i calendari senza logiche apparenti: non si è accorto il presidente Lappartient di non aver avuto il tempo per presenziare a tutti gli eventi?). Lombardia. Record dell’Ora. Parigi-Tours. Mondiale gravel (in apertura, Van der Poel firma autografi). Romandia donne. Perché lo si è vissuto come un problema e non come una risorsa?
La fantastica Ora di Ganna ha avuto il giusto risalto mediatico? Forse non del tuttoLa fantastica Ora di Ganna ha avuto il giusto risalto mediatico? Forse non del tutto
Parliamo degli sponsor
In questo quadro avaro di coraggio, perché uno sponsor dovrebbe investire tutti quei soldi, se per molto meno può avere la scintillante vetrina del calcio? Giorgio Squinzi chiuse la Mapei ed entrò nel calcio, prima con la nazionale e poi col Sassuolo. Chi resta, attinge alla passione. Gli altri che magari vorrebbero, prendono atto delle porte chiuse e vanno altrove.
«Il nostro è uno sport che garantisce un ritorno importante – scrive Basso – ma non lo garantisce nell’immediato e io capisco che per un’azienda oggi è importante avere ritorni a breve termine. Però, il ciclismo non è solo un veicolo pubblicitario: è anche, e soprattutto, un veicolo di valori…».
Parole condivisibili, che faticano ad attecchire in un mondo in cui i grandi organizzatori cercano di accaparrarsi le corse importanti per arricchire il proprio portafogli. Nessuno si sogna di fare sistema, come ad esempio avviene in Francia con il Tour. Sono tutti attorno all’osso, vantando posizioni di privilegio vero o presunto, cercando di mangiarne più che possono.