Scordatevi di riconoscerli dalla faccia, sono come pietre dalle mani di pietra che solcano strade di pietra per raggiungere una pista levigata e lunga che potrebbe consegnare loro la gloria. Una fatica di sei ore per ricevere in cambio un sasso, ma loro sanno benissimo che quella pietra spigolosa è il graal di un certo modo di intendere il ciclismo. Anche Moscon la vede così ed è talmente sicuro di poter portare avanti la sua fatica, da non aver fatto i conti con il dannato destino.
«E’ una delle corse più belle al mondo – dice – ho provato da lontano, ma ho avuto un po’ di cattiva sorte. Era davvero una situazione spettacolare, ho giocato le mie carte. Per fortuna ha vinto ugualmente un italiano, il Paese sarà contento».
Non tutti i tratti di pavé erano infangati, ma nel finale è stato tremendoNon tutti i tratti di pavé erano infangati, ma nel finale è stato tremendo
Il mito Boonen
L’attacco da lontano. Quando era poco più di un ragazzino, capitò di parlare con lui della Roubaix e capimmo subito che alla corsa più crudele e anacronistica lo legasse un filo neppure troppo sottile. Del resto la seconda volta che ci mise sopra le ruote, tornò a casa con un quinto posto e anche allora cadde.
«Ho in mente il Boonen – diceva Moscon – che se ne va a vincere attaccando a 60 chilometri dall’arrivo. A casa mia la Roubaix è sempre stata il pomeriggio di una domenica di primavera, un rito da vivere sul divano, senza perdersi nemmeno una pedalata».
Chi questa volta era sul divano e cercava di non perdersi neppure una sua pedalata, di colpo ha dovuto soffocare un’imprecazione, vedendo la sua ruota posteriore sgonfiarsi inesorabilmente, quando aveva più di un minuto di vantaggio a 30 chilometri dall’arrivo.
Luke Rowe era una delle carte della Ineos Grenadiers, ma è finito a oltre 20 minutiLuke Rowe era una delle carte della Ineos Grenadiers, ma è finito a oltre 20 minuti
Bici con ruote diverse
Gianni maledice la cattiva sorte e salta su una bici pulita. La sensazione di alcuni, vedendolo ripartire, è subito di qualcosa che non vada. Che siano le ruote con il profilo più basso o chissà cos’altro. Sta di fatto che il trentino del team Ineos Grenadiers perde 25 secondi e riparte avendone ancora abbastanza per tenerli indietro. Anche se dalle retrovie gli dicono via radio che stanno arrivando Van der Poel e Colbrelli. Ma Gianni sa accelerare sul pavé e proprio nei tratti più brutti ha costruito il suo vantaggio.
Invece in effetti qualcosa non va. E in un tratto scivoloso come tanti, finisce disteso sulla destra della strada, con due ammiraglie ferme dietro e anche una moto messa di traverso. Riparte. Cerca di tenerli indietro. Lo prendono. Fa lui l’andatura, ma ha due sobbalzi insoliti. Qualcosa non va. Lo lasciano lì, ma ha ancora gambe per difendere il quarto posto dal ritorno di Van Aert.
«In certi momenti – dice – con la fatica se ne va anche la lucidità. Quando sei al limite, capita anche di commettere qualche errore e così sono scivolato. Non so che cosa sarebbe cambiato senza foratura e senza caduta, non so nemmeno quanto ho perso. Non ha senso fare certi discorsi. Ora ho solo bisogno di riposare. Farò forse il Giro di Lombardia e poi potrò finalmente pensare alla prossima stagione».
Moscon, una maschera di fango. Ha resistito da solo fino al 4° postoMoscon, una maschera di fango. Ha resistito da solo fino al 4° posto
Knaven non ci sta
Chi appare decisamente meno conciliante con la cattiva sorte è il direttore sportivo Servais Knaven, l’uomo del pavé che la Roubaix la vinse nel 2001 e con il trentino ha sempre avuto un ottimo rapporto.
«E’ stato frustrante – dice – siamo stati in gara tutto il giorno e sembrava che Gianni avesse davvero buone possibilità di vincere. Prima la foratura, ma pensi che vada bene. Ha perso circa 30 secondi. Invece la caduta ci è costata più tempo. Ha avuto anche un impatto sul suo corpo ed è passato da circa 45 a 10 secondi. Penso che Gianni fosse probabilmente il ragazzo più forte in gara. Difficile dirlo, ma avrebbe meritato la vittoria. Sono le corse, tutto può succedere. Ognuno ha la sua storia. Ma è un vero peccato, era così vicino…».
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Parliamo con Luca Wackermann. Vi ricorderete di lui per lo sfortunato episodio che ha caratterizzato il suo 2020, l’incauta manovra di un elicottero durante la quarta tappa del Giro d’Italia gli fece volare addosso una transenna. Quel giorno lo ha segnato, nel corpo e nello spirito. Ma ora Luca è tornato, venerdì ha concluso il Tour du Limousin, una corsa di quattro tappe che la scorsa stagione si era aggiudicato con grande caparbietà, e da martedì sarà al Tour du Poitou Charentes.
Ci facciamo raccontare proprio da lui il suo percorso di guarigione e di riavvicinamento alla bici e alle corse, con la Eolo-Kometa che ha creduto in lui e nel suo recupero. E così Luca è intenzionato a tornare ai suoi livelli.
Immagini della caduta a Villafranca Tirrena, al Giro d’Italia 2020. E’ tornato in gruppo nel 2021Immagini della caduta a Villafranca Tirrena, al Giro d’Italia 2020. E’ tornato in gruppo nel 2021
Cosa ti ricordi di quel malcapitato evento?
Praticamente nulla, sono sempre stato cosciente, ma ho vissuto una settimana sotto shock. Il primo ricordo nitido risale a quando ero in ospedale durante le visite mediche. Poi la mia mente fa un salto alla prima settimana a casa, quando ero ancora sotto osservazione e facevo continuamente check-up.
Come sono stati i mesi successivi?
Il primo mese, mese e mezzo, mi alzavo con un terribile mal di testa, dovuto al trauma cranico, che anche prendendo antidolorifici non passava. A questo devi aggiungerci un gran mal di schiena, ho fatto un periodo di riabilitazione e rafforzamento muscolare, ma nonostante tutto ai primi di dicembre mi sono rimesso in bici.
Nel 2009 è stato campione europeo juniores su stradaNel 2009 è stato campione europeo juniores su strada
Ecco, ora ci arriviamo, com’è andato il tuo ravvicinamento alla bicicletta?
Ho fatto un periodo di preparazione e ben due ritiri con la squadra, ma nel momento di tornare alle corse, a febbraio, mi è venuto un gran dolore al ginocchio. Mi ha fatto restare fermo per un mese e mezzo facendomi perdere la prima parte di stagione.
Da aprile hai rincominciato a correre con costanza.
Sì, il mio esordio è stato al Gran Premio Indurain, è servito a testare la gamba e la condizione. Infatti, in accordo con la squadra, non ho partecipato al Giro d’Italia, anche se ci tenevo molto. Diciamo che volevo mettermi quel capitolo alle spalle. Non direi con costanza, ho solamente 30 giorni di corsa sulle gambe, sto correndo con continuità da luglio.
Quest’anno ha corso per circa 30 giorni, da martedì sarà in Francia al Poitou Charentes
Debutto in Lampre, Bardiani dal 2017, quindi Vini Zabù e ora Eolo-Kometa
Quest’anno ha corso per circa 30 giorni, da martedì sarà in Francia al Poitou Charentes
Debutto in Lampre, Bardiani dal 2017, quindi Vini Zabù e ora Eolo-Kometa
Che sensazioni hai provato nel ritornare in gruppo a pedalare?
All’inizio ho avuto timore, come normale che sia. Man mano che i pedali giravano è tornata la fiducia. A livello agonistico le sensazioni sono ritornate positive solamente in questo Tour du Limousin.
A distanza di tempo cosa pensi quando la mente torna a quel giorno?
Tante cose, penso che si sarebbe potuto evitare con un po’ di attenzione in più. Fossi passato 5 secondi prima o dopo non sarebbe capitato o comunque non avrei vissuto questo trauma. E’ capitato, l’errore umano è da considerare sempre. E’ un episodio che attribuisco al fato (la voce di Luca è pesante, porta ancora il segno di questi mesi difficili, ndr). Sono abituato a combattere, in 9 anni di professionismo mi sono capitate tante cose, questa è la più difficile, ma posso superare tutto.
«Oui, Pinot rientrerà in gara al Tour du Limousin», ci dice non senza gioia Philippe Mauduit, diesse della Groupama-Fdj. Già, ma che fine ha fatto Thibaut Pinot? Le ultime due volte che avevamo visto il transalpino le cose per lui non erano andate bene: una brutta Tirreno, morale basso e qualche chiletto di troppo, e la mazzata del Tour of the Alps, dopo il quale dovette alzare bandiera bianca in vista del Giro.
Da allora, era fine aprile, il francese non ha più corso. Il suo inverno era stato dominato dal mal di schiena e da quel fastidio che, specie quando andava sotto sforzo, tornava puntualmente a farsi sentire. Pertanto non era neanche riuscito ad allenarsi bene.
Philippe Mauduit, diesse della Groupama-FdjPhilippe Mauduit, diesse della Groupama-Fdj
Philippe, come sta Pinot?
Thibaut adesso sta finalmente meglio. Ha attraversato un periodo molto difficile dovuto a questo forte dolore alla schiena. Un dolore che non passava mai. Abbiamo fatto esami su esami, abbiamo ascoltato degli specialisti… ogni volta sembrava stesse un po’ meglio. Ma poi nulla.
Come avete affrontato il problema?
Gli specialisti ci dicevano che il suo problema, per una persona normale, si risolve in 6-8 settimane, ma per un atleta professionista che non sta mai fermo ci sarebbero potuti volere anche 6-12 mesi. Non sapevamo nulla neanche noi. E solo adesso possiamo dire che tornerà in gara.
Okay il mal di schiena, ma cosa ha avuto di preciso Thibaut?
Lui era caduto nella prima tappa del Tour (quello 2020, ndr). Lo avevano preso molto forte con la ruota anteriore nella parte bassa della schiena andando a toccare in modo molto violento dei nervi e dei legamenti nella zona del sacro-illiaco. Facemmo subito degli esami, ma poiché l’ematoma era enorme questo nascondeva tutto. Così, con uno sforzo estremo, Pinot riuscì ad arrivare a La Rochelle, dove c’era il primo giorno di riposo.
Pinot dopo la caduta nella prima tappa del Tour de France 2020Pinot dopo la caduta nella prima tappa del Tour de France 2020
Però quel Tour lo ha finito…
Lui insistette molto perché ci teneva, il Tour passava dalle sue parti. Subito dopo si fermò un po’. Sembrava stesse migliorando e ci disse che voleva andare alla Vuelta. «Magari punto a un paio di tappe e alla maglia di miglior scalatore», ci disse. Invece si bloccò subito. Inoltre le prime tre tappe erano già abbastanza impegnative. A quel punto facemmo il primo vero stop. L’ematoma si era ritirato, ripetemmo gli esami e nel punto in cui aveva subito la botta c’erano dei segni di frattura e quando s’infiammava diventava molto doloroso.
Hai parlato di specialisti: ne avrete girati tanti…
Sì, si… c’era anche chi si proponeva per curarlo! Sapete, con un campione così in tanti si sono fatti avanti. Ma noi siamo andati per la nostra strada. Il primo a vederlo fu il medico di un team di rugby, proprio a La Rochelle, quella è la mia zona e ho delle conoscenze. I giocatori di rugby ne prendono tante di botte. E la sua diagnosi alla fine fu corretta. Ma non si sbilanciò proprio perché l’ematoma nascondeva tutto. Comunque ci disse che era stata interessata la zona ileo-sacrale. Più in là siamo andati a Parigi, dallo specialista che segue la nazionale di calcio, lo stesso che rimise in piedi Zidane e abbiamo seguito i suoi consigli.
Quali?
Che la prima cosa che serviva era del riposo…
Tuttavia alla Tirreno Pinot non andava proprio. Anzi lo avevamo visto anche un po’ giù di morale…
Ma non aveva scelta povero Thibaut – dice con tono affranto Mauduit – dopo la Tirreno lo abbiamo fatto riposare pensando al Giro. Quando è tornato al Tour of the Alps sentiva dolore. Ci ha provato lo stesso, ma quello non era il suo livello. E quindi sì: è stata una grande delusione. Non dico depressione, ma se come lui hai la passione per quello che fai e non ci riesci, non è facile. Il tuo corpo ti dice stop, però non ti dice quando riprendere. E’ difficile vivere così.
Però guardiamo avanti, alle cose belle, come il rientro al Tour du Limousin (17-20 agosto). Come ha lavorato in questi ultimi mesi Pinot?
Dopo il riposo ha ripreso a pedalare ed è andato in altura con la squadra sulle Alpi. Lì ha fatto uscite di 4-5 ore e ha detto che si sentiva bene. Anzi, era già a livello di alcuni suoi compagni, ma è normale: un campione riprende a velocità supersonica. Così abbiamo detto che si poteva provare al Limousin, corsa ideale: impegnativa, ma non durissima e senza scalate di 20′.
Thibaut ha una vera passione per gli animali, eccolo con le sue caprette (foto Instagram)Thibaut ha una vera passione per gli animali, eccolo con le sue caprette (foto Instagram)
E avete tirato giù un programma da qui a fine stagione?
Diciamo un “programmino”. Molto dipende proprio da cosa ci dirà questa corsa. Dopo praticamente un anno di problemi, dobbiamo essere molto attenti a porre degli obiettivi.
Lui fermo e Gaudu che esplodeva, cosa vi diceva Thibaut?
Cosa ci diceva… non era facile per lui vedere i compagni correre e non sapere quando poter tornare in gara. Si scriveva con i compagni e anche con me. Ma non aveva senso parlare di bici con lui, magari era troppo stressante. E così gli chiedevo dei suoi animali.
Animali?
Sì, Thibaut ha una fattoria e ha tantissimi animali: mucche, vitelli, asini, capre… e questo di sicuro gli ha fatto bene.
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Il 18 giugno scorso, in quella fornace esagerata con cui Faenza accolse il campionato italiano a cronometro, Jacopo Mosca sbagliò la terza di tre curve e spiccò il volo. In quelle ultime frazioni in cui il suo corpo era ancora sano, senza paura per il semplice fatto di non averne avuto il tempo, il piemontese fece in tempo a processare ogni informazione che i suoi occhi e i suoi sensi furono capaci di raccogliere. Tanto che quando oggi ti racconta la scena, si fa fatica a non avere la pelle d’oca.
A Sega di Ala con Brambilla, scortando Nibali: «L’incidente al polso – dice Jacopo – ha cambiato ogni cosa»A Sega di Ala con Brambilla, scortando Nibali: «L’incidente al polso – dice Jacopo – ha cambiato ogni cosa»
Ricordi chiarissimi
«Io mi ricordo tutto – Jacopo racconta – ero all’inizio della discesa. Ero andato per due volte con Tiberi a vedere quel passaggio e ci eravamo detti che non c’erano curve pericolose. Sinistra, destra, sinistra. In discesa sono uno che va, ma quel giorno neanche ho rischiato tantissimo. La prima l’ho fatta e ho preso velocità. La seconda l’ho fatta e mi sono ritrovato a 73 all’ora. Mancava la terza, ma ho perso il controllo della bici. La ruota dietro ha scodato. C’erano una siepe e un albero. Sulla siepe mi sono grattato. Contro l’albero ho rotto la clavicola. E cadendo sulla strada ho fatto il resto. La prima cosa è stato vedere se le gambe si muovevano. Fatto quello, ho lasciato che Slongo e mio padre che erano in ammiraglia mi aiutassero a spostarmi perché ero in mezzo al percorso. In quel momento ho capito di avere qualcosa ai polmoni, perché respiravo come Darth Wader di Guerre Stellari. Ed ero pieno di sangue per il taglio sull’orecchio. Però ero ancora vivo».
La terapia per riprendere l’efficienza fisica va avanti quotidianamente
Fare questi esercizi con la mascherina aggiunge… pathos al lavoro
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Casa Mosca
Benvenuti a casa Mosca, primi giorni di agosto, gli ultimi delle Olimpiadi. Jacopo ha già ripreso ad andare in bicicletta, ma da qui a dire che sia pronto per riattaccare il numero il passo è chiaramente molto lungo. Una caduta così è tanto se la racconti avendo ogni pezzetto al suo posto. E se pure lui ha vissuto tutto e riesce a raccontarlo con grande lucidità, chi gli era accanto ha trascorso un avvio di estate a dir poco preoccupante.
«Le tac – prosegue Jacopo – sembravano un bollettino di guerra. La questione più delicata era il pneumotorace. Per la clavicola sono stato operato. Costole e schiena sarebbero andate a posto col tempo. Non è stato bello avere il drenaggio ai polmoni, ma in quei primi giorni ho capito che la questione era risolvibile. Brutta, ma risolvibile. Tanto che il giorno dopo, quando è venuto il dottor Magni, per prima cosa gli ho chiesto quando sarei potuto uscire».
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Adesso come stai?
Sto recuperando abbastanza, ma sarà lunga. Sono in grado di andare in bici, ci sono risalito 15 giorni fa, 32 dopo la caduta. Per ricominciare, la squadra mi ha mandato la bici che normalmente si usa alla Roubaix, che è un po’ più morbida. Sulla mia non riuscivo quasi a starci. E’ tanto rigida e con la posizione in avanti, che non arrivavo alle leve dei freni. Però ho ricominciato a uscire, anche se tornavo a casa con più battiti che watt. E ora ho ripreso la bici di sempre…
Dopo quella crono saresti andato in vacanza?
Era l’ultima gara della prima parte di stagione. Avrei staccato e me ne sarei stato tranquillo. Per fortuna è successo dopo il Giro, che era la parte più importante della mia stagione. Ripartirei domani se fossi in grado, a livello di voglia non vedo l’ora. Ma con la squadra ci siamo detti di usare il cervello e di stare tranquillo. Che se anche non rientro in corsa quest’anno, mi aspettano per il prossimo. Non sono più nella fase precaria della mia carriera in cui dovevo preoccuparmi per il contratto, quella l’ho superata. Se fossimo ancora a quegli anni, adesso avrei addosso uno stress…
Hai parlato del Giro.
Personalmente sono soddisfatto, perché ho confermato quanto di buono avevo fatto vedere l’anno prima nello strano Giro corso a ottobre. Ovviamente come squadra sarebbe potuto andare molto meglio. Nei primi giorni ho fatto un gran lavoro. E secondo me ho fatto anche qualche bella impresa.
Ha ripreso la bici 32 giorni dopo l’incidente: qui Jacopo con papà Walter che c’era il giorno della cadutaHa ripreso la bici 32 giorni dopo l’incidente: qui Jacopo con papà Walter
Ad esempio?
Ne ho riso con Affini nei giorni successivi. Ci siamo ritrovati in fuga il giorno dello Zoncolan. Io per aiutare Mollema che poi à arrivato quinto, lui per Bennett che è arrivato settimo. E ci siamo detti che per noi è stato un grande risultato. La squadra era soddisfatta, perché ho fatto il mio lavoro come dovevo.
Cosa manca per dire che sei a posto?
Ci sono state due complicazioni. La prima un versamento pleurico al polmone sinistro. La seconda che la ferita dell’operazione non si è ancora chiusa per un’infezione. Hanno trovato un batterio che ho curato con l’antibiotico e ora sto aspettando e facendo terapie aspettando che si chiuda del tutto. Sono al 90 per cento di mobilità della spalla, poi dovremo mettere a posto la schiena. Faccio tanto lavoro di recupero funzionale.
Si dice sempre che il giorno dopo è il peggiore…
A parte le fratture e il resto, il vero dramma erano le notti. In ospedale i primi giorni dormivo a dire tanto due ore, sommando i pezzettini di sonno che riuscivo a fare. Ricaricavo il telefono tre volte al giorno, ero sempre attaccato a leggere e far passare il tempo. A casa non riuscivo a stare disteso a letto, finché mia madre ha avuto l’idea geniale e mi ha proposto di dormire sul divano. E fra cuscini e posizioni varie, sono passato 3-4 ore per notte.
Il 2021 era iniziato alla grande: qui la vittoria di Teuns a Sanremo, il contributo di Jacopo non è mancatoVittoria di Teuns a Sanremo, il contributo di Jacopo non è mancato
Ne hai approfittato per seguire il ciclismo in tivù?
Con le dirette integrali, non mi sono perso un solo chilometro di corsa. La corsa di Tokyo l’ho vista dalla partenza, quella delle donne idem, ma partiva più tardi.
Come sarà in Trek senza più Nibali?
Devo dire che in questi ultimi tempi non ho seguito molto le vicende del mercato. Però perdere uno come “Vince” un po’ ti cambia, poi vedi quello che ha fatto Ciccone al Giro e ti dici che l’uomo da classifica lo abbiamo. Ma in questo anno e mezzo da Nibali ho imparato tanto.
Che cosa?
L’ho osservato in ogni cosa. La sua guida in discesa, ad esempio. Quando scendi alla sua ruota capisci perché sia uno dei più grandial mondo. Fa linee perfette e mai al limite. Non lo vedi preoccupato, è sempre in controllo. Dispiace che sia caduto prima del Giro.
Il Giro d’Italia è stato il momento clou della prima parte di stagione di Jacopo Mosca, in appoggio a Nibali e CicconeIl Giro d’Italia è stato il momento clou della prima parte di stagione
Un brutto colpo, hai ragione.
Siamo stati in stanza insieme sul Teide e poi al Giro. Quando punta a un obiettivo sta nel suo mondo, concentratissimo. Ma visto come andava in altura e i tanti sacrifici che abbiamo fatto, quando ho sentito che era caduto e si era rotto il polso, mi è dispiaciuto prima per l’uomo e poi per l’atleta. Non sono i cinque giorni di bici che perdi, ma un incidente così alla vigilia del Giro ti condiziona. Passi da essere super motivato a perdere la fiducia.
Tanta voglia di ripartire quest’anno, pensi che ci riuscirai?
Mi piacerebbe fare qualche corsa a fine stagione, ma bisogna ragionare. Se sarò all’altezza, ci sarò di certo. Ma anche parlando col dottor Magni si diceva di capire bene ogni cosa. Se per fare tre corse a ottobre, devo pregiudicarmi la possibilità di fare un buon inverno, allora tanto vale avere pazienza sino alla fine.
La mobilità della spalla è ormai arrivata al 90 per centoLa mobilità della spalla è ormai arrivata al 90 per cento
Una nuova vita
Il sorriso è discreto come al solito. Benvenuti a casa dell’uomo che ha dovuto sudarsi il suo posto nel mondo, ma che alla Trek-Segafredo ha cambiato vita e prospettive. La sua calma davanti a un incidente così brutto si deve anche a questo. Quando intorno hai solo punti di riferimento solidi, capisci che poteva andarti anche molto peggio e che nel brutto sei stato fortunato. Ci sarà da chiedere scusa ai propri cari per lo spavento e le settimane d’inferno. E ci sarà soprattutto da lavorare sulle curve a sinistra. Quelle, amico Jacopo, ancora danno qualche problema…
Una dannata febbriciattola che non passa costringe Letizia Paternoster ai box. Nessun allarme, ma il rammarico per non averla in ritiro con la nazionale
Seste al mondo nella loro prima Olimpiade. Un gruppo giovane e affiatato, che nel mirino ha già Parigi 2024, ma che ieri al velodromo di Izu ha cominciato a prendere le misure col podio a cinque cerchi per farsi trovare preparato tra tre anni, proprio come avevano fatto i colleghi uomini, quinti nel 2016 a Rio e fra poche ore in pista per inseguire un sogno tutto d’oro.
Letizia Paternoster, Elisa Balsamo, Vittoria Guazzini e Rachele Barbieri hanno migliorato di più di un secondo il record italiano (4’10”063) nella sfida che valeva la finale, ma la Germania (poi medaglia d’oro) era inarrivabile e l’ha dimostrato anche nell’atto conclusivo in cui ha realizzato il secondo record del mondo in meno di due ore: 4’04”242 il nuovo limite planetario.
Salvoldi sapeva bene da subito che Tokyo sarebbe stato una tappa verso Parigi 2024Salvoldi sapeva bene da subito che Tokyo sarebbe stato una tappa verso Parigi 2024
Obiettivo Parigi
Così Letizia Paternoster: «Un po’ di rammarico c’è, però siamo serene per la nostra prestazione e di quello che abbiamo dato, perché ci siamo migliorate di più di un secondo dal precedente primato e avremmo battuto il record del mondo di Rio 2016. Solo quello era impensabile per noi, per cui siamo felici. Più di così non potevamo fare, le gambe che abbiamo sono queste».
Le fa eco Elisa Balsamo: «Sono contenta, ho tirato più lungo di ieri e anche più forte. Forse dobbiamo ancora migliorare per restare ancor più compatte nelle prime fasi di gara, per cui lavoreremo su questo».
Paternoster, Balsamo, Guazzini: ultime pedalate del quartetto alle Olimpiadi di TokyoPaternoster, Balsamo, Guazzini: ultime pedalate del quartetto alle Olimpiadi di Tokyo
Tutto possibile
Nella finalina per il 5° posto poi, L’Italia si è arresa all’Australia, chiudendo in 4’11”108. Il ct Dino Salvoldi ha schierato Martina Alzini al posto di Rachele Barbieri. Le ragazze scendono dalla sella e prende la parola Elisa Balsamo. «Penso di parlare a nome di tutte – spiega – nel dire che non ce l’aspettavamo di fare questo tempo. Alla fine, abbiamo confermato che 4’10” o 4’11” ormai è nelle nostre gambe perché l’abbiamo fatto ben tre volte. Poi, ovviamente, abbiamo perso questa finalina e c’è un po’ delusione. Il livello è altissimo e nelle altre gare, che sono più di situazione, può succedere di tutto».
Prima esperienza anche per Rachele Barbieri, la new entry del quartettoPrima esperienza anche per Rachele Barbieri, la new entry del quartetto
Battesimo di fuoco
Racconta così la sua prova Rachele Barbieri, la ragazza delle Fiamme Oro arrivata a Tokyo scalando la piramide a suon di risultati.
«Era da diverso tempo che non correvo un quartetto – dice – e farlo alle Olimpiadi é stato qualcosa di speciale. Ho lavorato davvero duro per farmi trovare pronta per salire in pista e dare il 110 per cento e così è stato. Purtroppo sarebbe servita un po’ più di gamba nella seconda tirata per fare un ottimo lavoro (da parte mia). Sono partita molto forte, le ho lasciate molto veloci, nel primo quartetto sono riuscita a tirare un giro e mezzo e sono stata molto contenta, un po’ in calo l’ultima parte ma é uno sforzo duro e ho dato il massimo. Contro la Germania sono partita più forte, abbiamo girato a tempi che non avevamo mai visto prima e quando mi sono ritrovata davanti a tirare è stata dura, ma ho dato tutto quello che avevo. Vittoria ed Elisa (Guazzini e Balsamo, ndr) sono state fenomenali. Spero di rimanere a questo livello e accumulare più esperienza possibile nei quartetti per arrivare ai prossimi importanti appuntamenti».
Prima dell’ultimo quartetto, confronto fra Balzamo, Guazzini e Alzini
Nella finale per il quinto e sesto posto, entra in gara anche Martina Alzini, la prima
Prima dell’ultimo quartetto, confronto fra Balzamo, Guazzini e Alzini
Nella finale per il quinto e sesto posto, entra in gara anche Martina Alzini, la prima
Al parco giochi
Sorride Martina Alzini, all’esordio a cinque cerchi: «Sono molto contenta perché con questo gruppo non sono mesi, ma anni che lavoriamo insieme e possiamo dire che quest’Olimpiade è stata come una cosa costruita mattone per mattone, partita dagli Europei di Glasgow che è stata la prima qualifica, fino ad arrivare a oggi. Guardando la finale, leggevo le età delle nostre avversarie e dico che non abbiamo nulla da invidiare perché abbiamo tanti anni per migliorare noi stesse. Essendo la prima esperienza per me, come per tutte le altre, mi sentivo come al parco giochi perché nulla può competere con la magia dell’Olimpiade. Parigi è fra tre anni e speriamo di arrivare dove vogliamo».
Per alcune le Olimpiadi continuano: Salvoldi deciderà oggi quali ragazze schierarePer alcune le Olimpiadi continuano: Salvoldi deciderà oggi quali ragazze schierare
Tokyo continua
Per le altre, invece, le gare non sono ancora finite e Letizia non vede l’ora di tornare in pista: «Sono super carica, non vedo l’ora di affrontare i prossimi impegni, perché le sensazioni stanno migliorando dopo un anno brutto e crudele. La testa è già lì, anche se non sappiamo ancora chi correrà». Al cittì Salvoldi l’ardua scelta, fra poco ne sapremo di più e ve ne daremo conto.
La prossima settimana parte la Vuelta. E come in passato abbiamo chiesto ai meccanici cosa mettano nella cassetta degli attrezzi e ai massaggiatori cosa portino nella borsa delle creme, questa volta ci siamo concentrati sul medico. E ci siamo intrattenuti con Luca Pollastri, 37 anni di Castello di Brianza (Lecco), medico del Team Bike Exchange, per sapere come sia fatta e cosa contenga la valigia del medico che a sua volta parte per un grande Giro. Pollastri è già in Spagna. Ha seguito la squadra a San Sebastian e ora alla Vuelta Burgos. Poi sarà tempo di Vuelta España.
«Abbiamo una valigia che contiene le medicazioni – spiega – e che rimane normalmente sul mezzo anche durante la competizione e una valigia, che la sera portiamo in camera, in cui ci sono i farmaci per gli interventi più comuni.Poi c’è una piccola quantità di farmaci che segue sempre il medico. Sono quelli che usiamo per le urgenze e alcuni sono all’interno della lista Wada, per cui non li lasciamo mai incustoditi. Quindi diciamo che teniamo separate le medicazioni che sono sempre sul bus e possono essere anche disposizione di altro personale che magari può dare una mano se non siamo presenti».
Luca Pollastri alla Vuelta Burgos con Damien HowsonLuca Pollastri alla Vuelta Burgos con Damien Howson
Quali sono gli interventi ordinari che si fanno in corsa?
Dobbiamo distinguere fra quelli traumatici, quindi causati da cadute, e poi quelli possiamo definire medici. Quando si cade, si passa dalle abrasioni superficiali alle ferite più profonde che magari necessitano anche un passaggio ospedaliero, quando addirittura non intervengono fratture. Se parliamo di abrasioni, anche dopo il passaggio in ospedale, dobbiamo garantire che non vi sia nessuna infezione nonostante i ragazzi prendano acqua e polvere.
Si dice che i corridori abbiano la soglia del dolore molto alta, per cui ripartirebbero in qualunque condizione.
Uno dei passaggi più importanti e spinosi è proprio quello di capire quando un atleta può tornare a gareggiare o no. Se può riprendere la corsa, che in caso di caduta è responsabilità del medico di gara. Però quando la scelta si sposta al termine la competizione, sta a noi decidere se ci sono le condizioni fisiche adeguate per andare avanti. A volte le opinioni possono essere diverse, per quelle che sono le aspettative dell’atleta che a volte superano la buona logica e la buona pratica medica. Quando racconto ad amici come alcuni siano riusciti a terminare alcune gare per svolgere sino in fondo il proprio compito, che magari semplicemente era aiutare il capitano, quasi non ci credono.
Al Catalunya di quest’anno, Rui Costa completamente “pelato” riparte stringendo i dentiAl Catalunya di quest’anno, Rui Costa completamente “pelato” riparte stringendo i denti
Quali sono le altre problematiche?
Problemi intestinali e infezioni delle alte vie respiratorie sono le più frequenti. Poi ci sono gli sfregamenti nella regione perineale a contatto con la sella, che subisce uno stress molto importante e merita un’attenzione particolare, perché sono problemi che potrebbero impedire di performare bene. Per il resto, pensiamo a ogni cosa possa accadere a una persona che fa attività sportiva. Nella nostra valigia abbiamo anche degli antibiotici perché possono verificarsi infezioni. Abbiamo prodotti specifici per l’asma. Di solito però cerchiamo di lavorare in modo preventivo, anche per problemi apparentemente banali come una micosi alle dita dei piedi, che potrebbe rendere abbastanza difficile stare per 5 ore con gli scarpini stretti. E poi ci sono terapie per le urgenze, come gli antistaminici per eventuali allergie, fino al defibrillatore che teniamo sul pullman.
Hai parlato di problemi intestinali, cosa si fa se arrivano?
Si agisce con il supporto del nutrizionista e dello chef, cerchiamo delle strategie alternative di nutrizione perché mangino quel minimo che serve per andare avanti. Si ragiona molto sulle ore di corsa, si gestisce in funzione di esse ad esempio anche la dissenteria. La flora batterica cambia durante le tre settimane e cambia anche la loro dieta che diventa prevalentemente a base di carboidrati. Quindi può capitare che avvertano gonfiore o anche solo una pesantezza che riduce la voglia di ingerire qualsiasi cosa, che però va evitato assolutamente. Per cui si ricorda loro di mangiare durante la corsa: una cosa che fanno soprattutto i direttori sportivi che lo hanno capito bene. E spesso via radio, soprattutto a fronte di giornate particolarmente impegnative o calde, gli impediscono di svuotarsi. Come dicevo, è un lavoro di prevenzione.
Come si fa?
Dobbiamo fare in modo che non sorgano questi problemi. Si parte dalla ricerca quasi maniacale di igiene nel cibo, anche se non tutto si può evitare. Quando piove o ci sono giornate molto polverose, i ragazzi sono i primi che vengono a dirti a fine tappa di aver mangiato un sacco di schifezze…
Al Giro d’Italia, Battistella ha convissuto a lungo con una gastrite che gli impediva di mangiareAl Giro d’Italia, Battistella ha convissuto a lungo con una gastrite che gli impediva di mangiare
Quanto è importante la comunicazione con l’atleta? Di fatto è lui che deve accorgersi del sintomo…
Avendo cambiato squadra quest’anno (fino al 2020 il dottor Pollastri era al Team Bahrain, ndr) una delle difficoltà più importante è proprio capire e riconoscere queste piccole sfaccettature. Ci sono atleti che segnalano la minima problematica, quindi c’è tutto il tempo per intervenire tempestivamente. E altri che si lamentano solo quando non ne possono più, quando è tardi. Non amo questa modalità, però ognuno è fatto a modo suo. Una volta che li conosciamo bene, sappiamo che quando la sera facciamo il nostro giro delle camere, dobbiamo stimolarne alcuni maggiormente per tirargli fuori se c’è qualche problemino. E’ una delle parti più belle, nel conoscerli e lavorarci in sintonia.
Quanti contatti ravvicinati si hanno nella giornata durante un Giro?
Il giro delle stanze serale si fa tutti i giorni. Poi li vediamo la mattina, prima o dopo colazione. Prima della corsa e nell’immediato post gara una volta sul bus. Almeno questi 4-5 appuntamenti sono fissi.
Con la conoscenza aumenta la capacità di riconoscere il disagio?
Si coglie dalle diverse modalità con cui si rivolgono agli altri membri dello staff, ai compagni e a noi medici. Sono sfumature, si vedono, ma anche noi dobbiamo essere bravi a trovare la giusta empatia perché non tutti i momenti sono uguali.
Al Tour 2021, nella prima tappa maxi caduta: Lemoine non riparte, fermato dal medico di garaAl Tour 2021, nella prima tappa maxi caduta: Lemoine non riparte, fermato dal medico di gara
Il corridore parte per la Vuelta portando con sé i farmaci di cui ha bisogno?
No, per regolamento sanitario interno, non possono portare farmaci, se non quelli autorizzati e prescritti per una terapia cronica che hanno già in corso e che quindi fanno anche a casa. Tutto il resto viene fornito dal medico. E questo è il nostro compito, avere come dicevo prima tutto ciò che può servire, sia dal punto di vista dei medicinali sia dell’integrazione. Forniamo tutto noi, attingendo dalla famosa valigia, anche per la semplice aspirina.
Ci sono rapporti tra il medico della squadra e il medico di gara?
C’è uno scambio di dati. Diciamo che se le cose vanno bene, non c’è grandissima interazione. Se invece c’è un problema, soprattutto se ci servono altre informazioni che non abbiamo potuto valutare perché non eravamo presenti, a quel punto ci mettiamo in contatto e cerchiamo le informazioni necessarie. Adesso si parla tanto della concussione cerebrale e a volte conoscere l’esatta modalità con cui è avvenuto un incidente o comunque come il collega è intervenuto, può servire per decidere se e come continuare.
In Spagna andrete incontro a giornate molto calde, cosa si fa?
Si cerca assolutamente di operare preventivamente, nel senso che si cerca di attuare delle pratiche che possono portare una preparazione adeguata. La stessa Vuelta a Burgos che stiamo facendo ha lo scopo di far abituare al grande caldo i corridori che poi faranno la Vuelta, per ottenere un adattamento a queste temperature. Poi ci sono da valutare le problematiche cutanee legate all’esposizione solare, ma è qualcosa su cui non devo spingere troppo in questa squadra. Perché gli australiani sono molto attenti e difficilmente si scottano. In più ci sono i massaggiatori che ci danno una mano. Per la tappa di oggi avevamo chiesto in hotel di avere un sacco con 25 chili di ghiaccio per tenere in freddo le bevande e anche per metterlo in piccoli sacchetti che al rifornimento si passano ai corridori perché possano metterli sotto la maglia sul collo.
L’intervento leggero del medico di gara viene riferito in squadra dal corridoreL’intervento leggero del medico di gara viene riferito in squadra dal corridore
Si fa ancora la pesata mattutina per valutare la disidratazione?
Sempre. La mattina valutiamo il peso specifico delle urine e confrontiamo il peso pre e post gara, quindi raccogliamo una serie di informazioni che ci permettono di agire di concerto con i nutrizionisti e i massaggiatori. Non potremmo fare tutto da soli. E soprattutto è proprio bello lavorare con massaggiatori che hanno un’esperienza importante di anni e conoscono anche qualche trucchino da suggerirci, qualche modalità per sfuggire dal caldo.
C’è differenza fra squadre italiane e straniere, oppure ormai nel WorldTour anche il lavoro medico è allineato?
C’è grande omogeneità. Forse l’ambiente più anglosassone richiede protocolli un po’ più definiti, ma le modalità di lavoro non cambiano molto. Lo scorso anno con il Bahrain e l’arrivo di Ellingworth si era messo tutto un po’ più per iscritto. Senza poi in realtà sconvolgere le modalità di lavoro, ma per avere un riferimento nero su bianco a cui tutti potessero attingere nel momento in cui ci fossero dubbi: questa è forse la più grande differenza. Poi dal punto di vista operativo non posso dire che ci siano grosse differenze perché ormai ogni squadra a livello internazionale si è allineata agli stessi standard.
Tutto pronto per la Vuelta?
Sono in Spagna già da una settimana, ho dovuto preparare una valigia davvero grande. Ma per fortuna a metà Vuelta mi daranno il cambio. Un mesetto fuori però non me lo toglie nessuno…
Dopo la vittoria di Evenepoel ad Andorra, la Vuelta affronta il Pico del Buitre. Attesa per le mosse di Vingegaard. Ieri intanto secondo posto per Ganna
Anche l’ultima salita è alle spalle. Scappano in quattro verso San Sebastian ed hanno oltre un minuto di vantaggio sul gruppo. Piove, c’è nebbia… una tipica giornata basca. La discesa sta per finire, un’ultima curva a destra e due sagome schizzano via. C’è Honoré e…. nooo: Lorenzo Rota. Gli altri due Mohoric e Pawless vanno via. Il danese risale in sella come un gatto e riacciuffa i primi due. Lorenzo ci mette qualche secondo di più. Non si potrà giocare lo sprint. Arriverà 30″ dopo guardandosi il gomito sanguinante.
In tanti aspettavano un attacco di Alaphilippe, ma la Deceuninck aveva in fuga HonoréIn tanti aspettavano un attacco di Alaphilippe, ma la Deceuninck aveva in fuga Honoré
Maledetta curva
Che peccato per il corridore della Intermarché Wanty Gobert. E’ tutta la stagione che lotta come un leone, contro cadute e un recente passato non facile. Per di più al primo anno nel WorldTour. E alla fine emerge sempre.
A San Sebastian poteva davvero esserci il momento del suo riscatto. Quel colpo che manca, ma che si sente, è lì a portata di mano. E quando poi vedi che la bici di un tuo collega ti falcia magari ti crolla il mondo addosso.
«Eh – sbuffa Rota – cosa mi è passato per la testa in quel momento… non lo so, sinceramente. Eravamo tutti a tutta. Con Honoré non ho parlato, non dico che siamo amici ma ho un bel rapporto, non ho nulla da dirgli. Sono cose che succedono. Ho rivisto la scivolata e cosa dire? Sfortuna piena, una bici mi è rimbalzata addosso.
«Ho fatto il Tour e ho sofferto tanto per la caduta nella prima tappa, il problema alle costole mi ha distrutto. Almeno in Francia sono riuscito a riprendermi nell’ultima settimana e infatti sono entrato due volte nella top ten e non è facile a quel livello. Di buono c’è che essendo stato costretto a risparmiare qualcosa nei primi giorni, non sto male, ho risparmiato qualche energia e infatti adesso voglio fare bene al Giro di Polonia».
L’arrivo a tre: (da sinistra) Honoré, terzo. Powless, primo. Mohoric, secondoL’arrivo a tre: (da sinistra) Honoré, terzo. Powless, primo. Mohoric, secondo
Costanza e picchi
L’inverno di Rota è stato costellato da qualche problemino che si portava dietro dall’anno precedente, però una volta che ha iniziato a carburare è sempre andato forte. Lo ricordiamo in fuga tutto il giorno alla Liegi (passò in testa sulla Redoute), le belle prestazioni al Giro di Svizzera. Per lui essere andato forte, comunque è arrivato quarto, non è stata un sorpresa.
«Stavo bene. Vengo da un periodo buono come un po’ tutta la stagione. Alla Sanremo ho fatto un errore. Ho preso male una rotatoria prima del Poggio, una rotatoria che tra l’altro sapevo ci fosse, la Classicissima l’ho fatta tante volte, fatto sta che dopo una buona Cipressa, dopo quella svolta dalla testa del gruppetto mi sono ritrovato in coda. E mancavano 600 metri all’attacco del Poggio. Ho rimontato, ma ormai la frittata era fatta. Poi ho fatto diversi piazzamenti tra i 15-20 e a volte è anche questione di un pizzico di fortuna in più. Mi manca un risultato ed ecco che cambia tutto. Alla fine ieri sono andato forte. Ma voglio restare concentrato. La strada buona è questa e quello di ieri voglio sia solo un punto di partenza».
Rota, pochi chilometri prima di attaccare. Era sempre stato guardingo nelle prime posizioniRota, pochi chilometri prima di attaccare. Era sempre stato guardingo nelle prime posizioni
Squadra compatta
Rota parla sempre, come già aveva fatto in passato, anche della squadra. Del fatto che la sua Wanty sia al primo anno nel WorldTour, che non stanno sfigurando, che piano piano crescono.
«Ieri abbiamo dimostrato di esserci. Era una gara WorldTour e ne abbiamo messi due nei primi dieci. Abbiamo lavorato benissimo. Non siamo stati passivi.
«L’ordine era di non aspettare l’ultima salita perché bisogna essere realisti: un Alaphilippe ti stacca al 100%, poi tutto può succedere ma di base è così. Ho visto dei movimenti nella penultima salita e ho attaccato anche io. E siamo andati via di forza, credetemi l’avevamo fatta a tutta. Ce la siamo guadagnata a colpi di pedale. E lo dimostra il fatto che abbiamo continuato a guadagnare anche dopo la salita.
«C’era Piva in ammiraglia. Cosa mi ha detto? Che sfortuna…».
Per Rota una buona stagione, adesso ci vuole l’acutoPer Rota una buona stagione, adesso ci vuole l’acuto
Un pensierino all’Europeo
Dicevamo Giro di Polonia nell’immediato futuro di Lorenzo Rota. Ci va con convinzione e condizione.
«Sì, dai. Alla fine ho solo un gomito un po’ gonfio. Un paio di giorni e dovrebbe passare tutto. Sono fiducioso. L’importante è che non si sia rotto niente. Sì, adesso vado in Polonia e poi quando rientro ci sono gli Europei. Non nego che mi piacerebbe molto essere preso in considerazione per questo evento. Se non altro perché io abito a Rovereto, si corre sulle sulle strade di casa mia. Il percorso lo conosco benissimo. Ci tengo molto».
Se a parole Rota non lancia messaggi alla nazionale, potrà farlo a colpi di pedale sulle strade polacche. E sinceramente ne saremmo felici. Seguiamo questo ragazzo dai tempi degli Under 23. Era il 2015. Vinse il Giro delle Pesche Nettarine all’ultima tappa, quando tutto sembrava definito. Lui attaccò contro ogni pronostico ed ebbe la meglio. Quello spirito c’è ancora…
L’ultima corsa di Remco Evenepoel è a tutt’ora il Giro di Lombardia, nel giorno di Ferragosto del 2020. Si concluse con la paura per quel volo giù dal ponte e le relative fratture. La corsa del rientro sarà il Giro d’Italia: 8 mesi e 20 giorni dopo. Nel mezzo, come abbiamo visto, ci sono state una rieducazione frettolosa e nuovamente interrotta, quindi la seconda ripresa.
«Esci dal campo dopo un colpo vincente – diceva anni fa l’allenatore di tennis – perché se esci con un colpo in rete, nella tua mente resterà un’impronta negativa».
Quale impronta ci sarà nella mente del giovane belga al rientro in gruppo? Durante il recupero ha avuto accanto uno psicologo? Va bene andar forte in allenamento, ma quando sei nella tua comfort zone di certo non ti trovi a fronteggiare gli imprevisti della competizione.
Con bici.PRO c’è Erika Giambarresi, Psicologa dello SportCon bici.PRO c’è Erika Giambarresi, Psicologa dello Sport
La ripresa mentale
Abbiamo provato ad approfondire la sensazione di partenza con Erika Giambarresi, laureata con lode in “Psicologia per il benessere, l’empowerment e tecnologie positive” all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Nel suo curriculum c’è però anche un Master in Psicologia dello Sport. E il debutto è subito incoraggiante.
«Avete pescato uno spunto molto interessante – dice – perché ho studiato molto l’infortunio e la relativa componente psicologica, cogliendo il fatto che spesso ci si limita a curare il recupero atletico, senza rendersi conto che la ripresa mentale non corrisponde a quella fisica».
Erika è di Milano, collabora con la Figc e segue individualmente dei nuotatori, essendolo stata a sua volta.
Remco Evenepoel e Mikkel Frolich Honoré in ritiro sul TeideRemco Evenepoel e Mikkel Frolich Honoré in ritiro sul Teide
Non basta riattaccare il numero e partire, quindi…
L’infortunio è un evento traumatico da rielaborare. Ha portato a un periodo di inattività. E’ un trauma bio-psico-sociale perché coinvolge l’identità dell’atleta in modo completo, per se stesso e per il suo rapporto con la squadra. Pertanto va trattato con un approccio integrato, coinvolgendo il benessere fisico, ma anche quello emotivo per la gestione dell’ansia. Poi il benessere sociale per quel che riguarda il ruolo dell’atleta nel team. Quindi l’area del sé tramite l’attenzione all’immagine corporea. Di fatto se da un lato l’atleta va resettato fisicamente, lo stesso lavoro va fatto psicologicamente.
Il ragazzo in questione è una macchina da guerra. Ha terminato la rieducazione in tempi rapidissimi, poi però lo hanno fermato di nuovo.
I tratti di personalità influenzano. Se è molto motivato, aveva una gran voglia di ripartire e lo hanno fermato di nuovo, ha dovuto affrontare una nuova ripartenza. In altre parole non c’è solo una gestione del momento, ma vanno osservate tre fasi, di cui il rientro è l’ultima.
La più delicata?
E’ sicuramente complessa per tante variabili. L’età. Lo status dell’atleta rispetto alla carriera. Se il recupero fisico è stato buono, una percentuale di atleti fra il 30 e il 60 per cento non sarà comunque in grado di riprendere come prima. Quelli motivati, quindi probabilmente lo stesso Evenepoel, tornano bene e con un buon aspetto mentale. Ma le risposte emotive influenzano tutti, anche i più determinati.
La drammatica caduta che stava per costare la vita a Jakobsen (che vola oltre la transenna)La caduta di Jakobsen (che vola oltre la transenna)
Risposte emotive?
C’è sicuramente il peso delle aspettative dell’atleta, verso se stesso e verso gli altri, come sponsor e team. Se le aspettative sono irrealistiche, dietro l’angolo c’è la frustrazione. Per questo con i nostri atleti facciamo anche un lavoro di riprogrammazione per adeguare le aspettative.
Vuole dire quindi che rientrare in una gara di minore importanza sarebbe servito?
Direi proprio di sì, il Giro d’Italia dopo tutto quel tempo non è forse il debutto migliore.
Una domanda forse stupida, abbia pietà. Che cosa succederà la prima volta che il ragazzo si troverà ad affrontare una discesa stretta con un ponte e un dirupo in fondo?
Sono le situazioni dell’incidente? Quando subisci un infortunio, che non è stato uno scontro di gioco ma proprio un incidente, se ti ritrovi in circostanze simili, basta uno stimolo nervoso e scatta l’irrigidimento muscolare e… vedi buio. C’è da lavorare tanto anche sulla gestione della paura. Non per caso lavoriamo sulla kinesiofobia, sapete cos’è?
Il greco suggerisce qualcosa legato alla paura del movimento?
Esatto, la paura che ci si possa far male di nuovo. Lo facciamo con l’imagery, la visualizzazione. Ripercorri il cammino di guarigione e simuli anche le situazioni di gara al rientro. Così che quando sei nuovamente in competizione, sei pronto per quello che dovrai fronteggiare. Non è come affrontarlo davvero, ma la mente sa cosa deve aspettarsi. Allenarsi non è mai la stessa cosa, non vai a cercarti le situazioni di stress che solo la gara può darti.
Jakobsen, con il volto segnato dalle cicatrici, torna in gara al Presidential Tour of Turkey che inizia domani (foto Deceuninck-Quick Step)Jakobsen rientra domani in Turchia (foto Deceuninck-Quick Step)
Il caso Jakobsen
Aveva ragione l’allenatore di tennis. E proprio nel giorno in cui abbiamo deciso di affrontare il tema Evenepoel, una conferenza stampa virtuale della Deceuninck-Quick Step ci ha mostrato Fabio Jakobsen alla vigilia del rientro dopo la devastante caduta del Polonia. L’olandese, di 24 anni, ha raccontato di aver avuto più volte paura di morire e di come un prete sia andato più volte a casa sua per pregare insieme. Ed ha anche ammesso di avere un po’ di paura per il debutto che avverrà domami al Presidential Tour of Turkey. Avrà lavorato con uno psicologo su questa paura? Troverà il coraggio di buttarsi ancora in volata o rivedrà ancora a lungo la scena di quel macello al Giro di Polonia?
Magnus Cort Nielsen conquista Viareggio dopo una fuga di 170 chilometri. Terzo De Marchi. Ma in gruppo si parla di Evenepoel e del suo addio strampalato
La Trek-Segafredo di Vincenzo Nibali non naviga in buone acque. La squadra dello Squalo ha perso tre gregari e tutti molto importanti per la salita. Al suo fianco c’è però ancora Nicola Conci. Il trentino farà di tutto per dare supporto al suo capitano.
Nicola, come stai?
Non è un Giro facile. Ci siamo arrivati diversamente dal solito, con poche gare a tappe. E tutto è così compresso. Inoltre il meteo l’ha reso più duro, soprattutto per chi come me soffre particolarmente il freddo. Almeno sembra che questa settimana dovrebbe essere migliore.
Ciccone, ritirato prima della crono di ValdobbiadeneCiccone, ritirato prima della crono di Valdobbiadene
Avete perso Giulio Ciccone e Gianluca Brambilla, uomini importanti per la salita. Come cambia la vostra corsa?
Sicuramente è difficile. Oltre a loro manca anche Pieter Weening, anche lui scalatore. E tutti eravamo qui per Vincenzo. Cicco stava sempre peggio e Brambi ha provato ben otto giorni a tenere duro dopo la botta rimediata al ginocchio. Io dovrò stare vicino a Nibali. Dovremmo lottare con squadre fortissime come la Sunweb. Ci aspetta un settimana bella tosta.
Senza di loro sarai tu a fare l’ultimo (prezioso) uomo per la salita?
E’ possibile. Ma dipende anche dalle giornate, da come stiamo. Dai nostri alti e bassi. Saranno le gambe a decidere.
E’ il tuo primo Giro al fianco di Nibali: cosa ti sembra?
Vincenzo è un “tranquillone”, questa sua calma mi ha colpito. E ne ha di pressioni. In questo Giro non sempre le cose sono andate bene. Bauke Mollema per esempio l’anno scorso quando era in giornata no era molto nervoso, si alterava. Vincenzo no.
La tappa di Piancavallo come l’avete digerita?
Forse non sembra dalla tv, ma siamo andati davvero forte. Si sono registrati valori altissimi. Noi quattro, io, Bernard, Antonio (Nibali, ndr) e Mosca siamo rimasti con Vincenzo fino all’ultima salita e già è qualcosa. Poi a quel punto è iniziata la lotta degli uomini di classifica e ci siamo staccati. Essendo così pochi, in corsa ci parliamo spesso. Ci diciamo le sensazioni. In base a queste decidiamo chi va dietro all’ammiraglia a prendere o a portare qualcosa, chi va a parlare…
Gianluca Brambilla ha lasciato il Giro nella frazione di PiancavalloBrambilla ha abbandonato verso Piancavallo
E chi ci va? Quello che sta meglio o quello che sta male?
Quello che sta peggio. A quel punto si avvicina a Vincenzo e gli dice: io sto per staccarmi. Ti serve qualcosa? Ti faccio l’ultima tirata?
Ti aspettavi di più da te stesso?
Prima del Giro ho avuto belle sensazioni e ho fatto qualche buon risultato. Credevo di stare un po’ meglio. Ho davvero patito molto il freddo e non mi sono espresso come volevo. L’anno scorso nella terza settimana stavo bene. Spero di ripetermi. Io comunque darò il massimo.
Contro Sunweb e Deceuninck-Quick Step, voi siete in quattro più Nibali. Vi demoralizzate o scatta l’orgoglio del “Davide contro Golia” e le energie aumentano?
Non ci demoralizziamo. Noi abbiamo Nibali, ragazzi. Oggi in gruppo non c’è più rispetto per nessuno. Tutti ti “limano” senza far differenza se c’è Conci o un campione. Con Vincenzo invece il rispetto ancora c’è. Certo ci dispiace essere in pochi, ma il Giro non è ancora finito.
Si passerà sulle strade di casa tua. Cambierà qualcosa?
Domani sul Bondone ci saranno molti miei tifosi. Tra l’altro quello che affrontiamo è l’unico versante che conosco. L’anno scorso sul Manghen mi sono sentito a casa e mi sono reso conto di aver dato di più.