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Rileggiamo con coach Pagani il blackout di Colbrelli

15.01.2023
7 min
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Adesso che piano piano Colbrelli inizia a farsene una ragione, proprio adesso si comprende quanto sia stato psicologicamente enorme quello che gli è capitato. Nel giorno di quella famosa conferenza stampa di metà novembre, Sonny rese merito pubblicamente alla sua mental coach.

«Mi ha fatto capire quanto valgo – disse il bresciano, in apertura nella foto Bahrain Victorious – e che sono più forte di quanto pensassi. Ho capito che posso fare cose importanti anche non essendo più un corridore. Ora la vedo così, magari domani mi chiudo nei miei silenzi. Non è facile».

Il tramite di Pozzato

Paola Pagani è di Como, ma vive a Bergamo. Conobbe Colbrelli nel 2019 per l’intuizione di Pozzato, che con lei aveva collaborato attorno al 2013, in uno dei momenti più faticosi della sua carriera. Fu Pippo a intuire che Sonny fosse pronto per il salto di qualità e avesse solo bisogno di sgombrarsi la testa. E così andò. Le vittorie del tricolore, del campionato europeo e della Roubaix del 2021 facevano pensare che il lavoro stesse dando ottimi frutti e che la carriera sarebbe stata un continuo crescendo, invece di colpo all’inizio del 2022, tutto si fermò. Il cuore e la sua strada.

«E’ durissima – spiega la mental coach – per un ciclista come Sonny, come per chiunque arrivi veramente ai vertici della propria carriera, precipitare bruscamente a terra, per qualcosa che non dipende assolutamente da lui. Sonny ha dovuto ovviamente mettere la testa su tutto quello che può ancora fare, grazie al fatto che è riuscito a farcela. Ma sopravvivere all’inizio è stato veramente difficile. Stavamo programmando il 2022 e doveva essere una stagione coi fiocchi. Voleva riconfermarsi per dimostrare che effettivamente il 2021 non era stato un caso».

Il 2022 era iniziato per Colbrelli nel migliore dei modi, con il secondo posto alla Omloop Het Nieuwsblad
Il 2022 era iniziato per Colbrelli nel migliore dei modi, con il secondo posto alla Omloop Het Nieuwsblad
Stamattina abbiamo intervistato un corridore di 32 anni (Villella, ndr), rimasto senza squadra, ed è lì che spacca in quattro il capello per capire chi abbia sbagliato e perché.

Qui però è un po’ diverso. Il ragazzo che a 32 anni smette di andare in bici perché non ha una squadra, può fare una sorta di analisi su se stesso, per capire quello che è stato fatto e quello che non ha funzionato. Oppure può indagare sulla mentalità che ha avuto e che gli ha impedito di arrivare ai risultati. Per Sonny è diverso, perché lui stava facendo tutto bene e una squadra ce l’aveva. Si è trattato di affrontare qualcosa su cui non aveva nessun tipo di controllo. Il ragazzo che smette a 32 anni forse qualche responsabilità la può avere. Magari poteva fare qualche gara impegnandosi di più. Oppure, se si è impegnato, poteva iniziare a lavorare sulla sua mentalità, per essere un campione che sfruttasse i suoi talenti molto più di quanto li ha sfruttati lui.

Invece Sonny?

Sonny non ha avuto nessun problema per le sue abilità e questo rende tutto meno gestibile. Nel senso che non hai nulla su cui ragionare. E’ passato dal correre normalmente al rischio di morire. Mi ricordo benissimo la gara in Spagna. Facevo il tifo alla televisione. L’ho incitato, dopodiché mi sono allontanata e dopo mezz’ora mi son trovata con messaggi che arrivavano dappertutto su cosa gli fosse successo…

Come si fronteggia l’imprevisto?

Non c’è nessun tipo di controllo su certe cose che spesso ci possono succedere. Perciò dobbiamo essere abbastanza forti da riuscire a rialzarci e a reinventarci una strada diversa dalla precedente. Per continuare ad essere le persone spettacolari che comunque restiamo, perché Sonny era spettacolare come ciclista e può essere spettacolare giù dalla bicicletta. E’ difficile. Quando sei abituato a essere un campione e la tua vita ruota intorno alla bici, è difficile mollare tutto.

Tanto che per un po’ ha pensato di tornare…

Sonny ha smesso di pensare di poter tornare a correre quando ormai era chiaro che non gli avrebbero dato il nullaosta. Per correre hai bisogno dell’idoneità. Eriksen gioca a calcio, fa goal e vince partite, però si muove su un campo molto più ristretto rispetto ai ciclisti. Quindi è anche comprensibile che l’UCI non acconsenta.

Come si passa dal preparare le grandi classiche ad allenarsi per sopravvere?

Si tratta di gestire la mente di un atleta che si prepara per vincere e dall’altra parte di un uomo che si deve rialzare. Per me è sempre una gara, ma più difficile: diversa. E’ una competizione sconosciuta, nel senso che una persona abituata a fare gare, sa com’è la gara. Sa quali sono le emozioni collegate alla gara, sa cosa significa vincere e sa cosa significa perdere. Quando invece ti trovi ad affrontare qualcosa totalmente sconosciuto, diventa tutto più difficile. Però essendo una competizione, dicevo sempre a Sonny che questa era la più importante della vita. Si trattava di rialzarsi e tornare in sella su un altro tipo di bicicletta.

Si lavora molto sulle motivazioni?

C’è l’aspetto motivazionale, ma soprattutto un aspetto molto personale per capire che la persona ha un valore e un talento legati non soltanto alla bravura come corridore, ma alla persona. E quei talenti si possono usare in un altro modo, in altri campi.

E’ stato Pozzato, qui a sinistra, a consigliare a Colbrelli di farsi seguire da Paola Pagani
E’ stato Pozzato, qui a sinistra, a consigliare a Colbrelli di farsi seguire da Paola Pagani
Sono dinamiche di vita che accadono spesso?

E’ una casistica molto diffusa. Dico a tutte le persone con cui lavoro che “la vita succede per noi”. E quindi in ogni caso, che vada bene o che vada male, comunque succede per noi. Se va bene, celebriamo e stappiamo lo champagne. Se invece non va come vogliamo, dobbiamo trovare cosa c’è di buono in quello che è successo.

E come si fa?

La domanda che faccio sempre è se quello che di negativo ti è successo non sia in realtà la cosa migliore che ti potesse capitare, quello di cui avevi proprio bisogno. E’ ovvio che quando lo dici a qualcuno che era in vetta e improvvisamente si trova ai piedi della montagna, senza neanche capire come abbia fatto a scivolare giù, non sono domande facili da accettare. Però quando ti fermi un attimo e inizi a pensare e a riprenderti, inizi a vedere le cose in una prospettiva diversa. E allora puoi anche rialzarti e reinventarti in modi anche migliori rispetto a quanto immaginavi. Perché noi non sappiamo effettivamente cosa ci può riservare la vita, però l’importante è usare quello che la vita ci dà per creare la vita che vogliamo. 

A un certo punto Sonny ha cominciato a dire che sarebbe potuta andargli molto peggio…

Certo, assolutamente. L’ho fatto sempre riflettere sul fatto che comunque lui è stato preso per i capelli, perché ci sono state tante circostanze che hanno giocato a suo favore. A quest’ora poteva anche non esserci più. E’ stato salvato, ha una famiglia splendida e comunque quello che gli è successo è capitato all’apice della sua carriera. C’è tanta gente che ancora lo cerca, tanta gente ancora che lo apprezza. Quindi è anche uno dei momenti migliori per potersi reinventare. Non è come quando cadi e sei già nell’oblio, allora certo è più difficile. Ma il suo cammino è ancora lungo e ha le gambe per farlo.

Ecco la prima immagine, tratta da Instagram, pubblicata da Sonny il 5 aprile dopo il malore spagnolo
Ecco la prima immagine, tratta da Instagram, pubblicata da Sonny il 5 aprile dopo il malore spagnolo
E’ stato faticoso riprendersi?

E’ stato molto faticoso. Caspita, mettiamoci nei suoi panni. Dal pomeriggio alla sera ti si cambia completamente la vita. Hai 32 anni. Sei giovanissimo. Pensi di aver davanti ancora 3-4-5 anni per poter fare ai massimi livelli la professione che ami e che adori. E improvvisamente tutto ti cambia per qualcosa che non capisci. Però è stato bravissimo, assolutamente.

Torna il Trofeo Baracchi, la grande storia riparte

18.05.2022
4 min
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C’era un tempo in cui esistevano eventi che erano qualcosa più di semplici corse, competizioni, gare. C’era un tempo in cui la gara era sì accesa, ambita, combattuta, sognata, ma era quasi una scusa per ritrovarsi, salutarsi, abbracciarsi, dirsi arrivederci, condividere passioni, gioie, dolori, professionali e personali. Tra queste c’era il Trofeo Baracchi, una cronometro a coppie che si disputava su una distanza di 100 chilometri e di fatto concludeva la stagione ciclistica (in apertura, Moser e Hinault nell’edizione del 1984). Un ultimo giorno di scuola prima dell’inverno, della lunga sosta, prima che la stessa combriccola si rivedesse in Riviera, per il Laigueglia e la Sanremo.

Fu Giacomo Baracchi, detto “Mino” a inventare e tracciare il percorso della cronocoppie
Fu Giacomo Baracchi, detto “Mino” a inventare e tracciare il percorso della cronocoppie

Le Capitali della Cultura

L’ultima edizione di questa corsa, inventata dal commerciante bergamasco Mino Baracchi nel 1949, si disputò nel 1991, ma nel 2023 finalmente tornerà. La competizione si disputerà con la stessa formula della crono a coppie, sarà riservata ai professionisti e alle donne su un percorso che unirà Bergamo a Brescia. Le due città, cugine e rivali, saranno unite dal fatto che l’anno prossimo saranno Capitali della Cultura.

Ecco, la gara diventa motivo per condividere, scambiare, fondere, unire, appassionare. I nostalgici, i vecchi amanti della bicicletta cresciuti con Coppi e Bartali torneranno ad assaporare il gusto dolce del ciclismo di un tempo. I giovani, quelli nati sotto la stella di Pantani, di Nibali o di Ganna potranno innamorarsi ancora un po’ di più del ciclismo e comprenderne le radici più profonde, poi fiorite fino ai giorni nostri.

Nel 1953 Fausto Coppi e iridato e vince il Baracchi assieme a Riccardo Filippi (foto Miroir du Cyclisme)
Nel 1953 Fausto Coppi e iridato e vince il Baracchi assieme a Riccardo Filippi (foto Miroir du Cyclisme)

Lo zampino di Stanga

A volere il ritorno del mitico “Baracchi” sono stati Gianluigi Stanga, presidente dell’Unione Ciclistica Bergamasca; Beppe Manenti, organizzatore della Granfondo Felice Gimondi e Mario Morotti che di Mino Baracchi fu una sorta di braccio destro.

Tanti i campioni che vinsero il trofeo come Coppi, Motta, Anquetil, Merckx, Gimondi Baldini. La corsa si disputava il 1° novembre o il 4 perché erano due giorni simbolici: Ognissanti o quella che un tempo era la festa dell’Unità Nazionale. Una “trovata” da vero commerciante quella di Baracchi che voleva i fari puntati sulla corsa e sulla sua Bergamo. E così era, ogni anno, sempre un po’ di più, nonostante qualche aggiustamento sull’organizzazione, il percorso, i partecipanti.

Bergamo era il cuore della corsa con l’arrivo al velodromo di Dalmine che fungeva da grande palcoscenico, ma al tramonto della sua epopea si svolse anche in Trentino e in Toscana.

Nel 1979 Moser vince il Baracchi con Saronni: Francesco vanta 5 successi
Nel 1979 Moser vince il Baracchi con Saronni: Francesco vanta 5 successi (foto Miroir du Cyclisme)

Moser e Saronni

Non si disputò nemmeno sempre a coppie, ad esempio l’ultima edizione fu individuale e vinse Tony Rominger. Migliaia di persone, complice proprio il giorno di festa, si riversavano sulle strade per applaudire i propri campioni, soprattutto nell’epoca in cui le televisioni non esistevano e le radio narravano le gesta al Giro o al Tour, con i tifosi che dovevano immaginare, sognare, disegnare, fantasticare il volto di Coppi, le gambe di Bartali, le smorfie di Magni. Una corsa matta, folle, folkloristica, dove non sempre vinceva il più forte nelle gambe, ma il più forte nella testa.

Nei giorni scorsi Bergamo ha omaggiato Mino Baracchi in occasione dei 100 anni della sua nascita (l’ideatore è morto nel 2012, all’alba dei 90 anni) con Francesco Moser e Giuseppe Saronni ospiti d’onore. I due acerrimi rivali corsero insieme il trofeo nel 1979 e lo vinsero, anche in quel caso con qualche frecciatina in corsa. Baracchi che unì persino loro nonostante le iniziali perplessità, unirà anche Bergamo e Brescia per una nuova era, ci auspichiamo, ricca di altri aneddoti ed emozioni.

Visit Brescia, ciclabili e itinerari tra le bellezze della provincia

02.05.2022
5 min
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Centinaia di chilometri di piste ciclabili tra le più belle d’Italia e itinerari di ogni tipo per appassionati delle due ruote. La provincia di Brescia è pronta ad ospitare ciclisti e turisti in sella da tutto il mondo. Il territorio è bike friendly e su misura per le bici e le famiglie. 

Visit Brescia racchiude un ecosistema per le escursioni e le vacanze per chi vuole scoprire la storia, l’enogastronomia e i percorsi di un luogo ricco di tutto ciò. Passi come Tonale, Gavia e Mortirolo, che hanno scritto la storia del Giro d’Italia. Ciclabili con panorami mozzafiato ed escursioni tra le vigne della Franciacorta, il tutto a misura di bici. 

La pista ciclabile sul lago di Garda è stata inaugurata nel 2018
La pista ciclabile sul lago di Garda è stata inaugurata nel 2018

Piste ciclabili

Considerata la passerella più spettacolare d’Europa, la ciclopedonale sospesa del Garda è un vero e proprio gioiello italiano. Due chilometri di passeggiata per due ruote a picco sul lago da Limone sul Garda a Riva del Garda. Una piccola escursione per famiglie, cicloamatori che vogliono godersi un’esperienza unica in totale sicurezza. Percorribile anche di notte, il tragitto è slow, visto anche il limite di 10 km/h.

Da un’eccellenza all’altra, la Ciclovia dell’Oglio è un’altra passeggiata per biciclette unica nel suo genere. Eletta la ciclabile più bella d’Italia agli Italian Green Road Awards 2019, gli Oscar italiani del cicloturismo.

Dai 1.883 metri del Passo del Tonale al Po. Questo percorso si snoda attraverso l’area Unesco delle Incisioni Rupestri della Valle Camonica, costeggia il lago d’Iseo, per poi continuare tra i vigneti della Franciacorta, fendendo la pianura bresciana e costeggiando il lungofiume del Po. E’ adatto a vacanze in sella di più giorni e presenta una rete di strutture adibite ad ospitare i cicloturisti. 

Gli itinerari sono per cicloturisti esperti ma anche per famiglie
Gli itinerari sono per cicloturisti esperti ma anche per famiglie

A ciascuno il suo percorso

La Greenway delle Valli Resilienti si snoda fra Valle Trompia e Valle Sabbia e le collega con Brescia.  Un grande circuito ciclabile nel cuore delle Prealpi bresciane, nato per soddisfare lo spirito sportivo e adrenalinico di ciclisti di qualsiasi specialità e livello. La tracciatura tocca molti punti di interesse storico, culturale, naturalistico, enogastronomico. E’ supportato da oltre 20 strutture ricettive bike friendly con possibilità di noleggio, riparazione biciclette e servizio di guide turistiche e accompagnatori.

La Greenway delle Valli Resilienti è adatta a qualunque biker, con oltre 1.400 chilometri di tracciato suddivisi in decine di percorsi per tutte le difficoltà. Ci sono anche escursioni dedicate per bici da strada con oltre ventisei tour da scoprire. Inoltre sono disponibili mappe degli itinerari, tracciati GPX, punti di ricarica per e-bike e luoghi in cui mangiare e dormire. Il tutto consultabile sul sito www.greenwayvalliresilienti.it

Percorsi tra le vigne della Franciacorta per pedalare e assaporare il territorio
Percorsi tra le vigne della Franciacorta per pedalare e assaporare il territorio

Tra le vigne

Sei itinerari eno-ciclo-turistici tra le vigne della Franciacorta, le campagne e i borghi della Valtenesi. Facilmente distinguibili, i percorsi sono mappati e contrassegnati da un colore specifico. Giallo per il Franciacorta Satén che ha come start Iseo. Blu per Franciacorta Pas Dosé con partenza dall’Abbazia di Rodengo Saiano. Verde per Franciacorta Brut che parte da Clusane, rosso Franciacorta Rosé da Erbusco. Nero per Franciacorta Extra Brut da Piazza della Loggia a Brescia, e infine quello bianco Franciacorta Millesimato da Iseo.

Ad affiancare gli itinerari ci sono agriturismi, alberghi e punti di ristoro attrezzati per ricevere i cicloturisti e dare loro l’adeguata assistenza. Una fitta rete di strutture pronte ad ospitare ciclisti e accompagnatori per rendere il soggiorno e l’esperienza indimenticabili.

Dal lago alla montagna tra la flora e la fauna delle Alpi
Dal lago alla montagna tra la flora e la fauna delle Alpi

I passi del Giro

Non solo paesaggi mozzafiato ed enogastronomia. La provincia di Brescia offre anche strade che portano ad affrontare i mitici passi che hanno fatto la storia del ciclismo attraverso il Giro d’Italia e non solo. Gavia, Tonale e Mortirolo. 

In Valle Camonica, il mitico Passo del Tonale è un punto di riferimento assoluto per gli appassionati di ciclismo. Sul confine tra il territorio bresciano e quello trentino, è accompagnato dalla cornice panoramica naturale del gruppo del Castellaccio, dal Monte Serodine e dalla Val Narcanello.

Anche quest’anno il Giro d’Italia attraverserà la provincia di Brescia
Anche quest’anno il Giro d’Italia attraverserà la provincia di Brescia

Il Passo Gavia tappa quasi fissa della corsa rosa, fin dalla storica edizione del 1960. Con pendenze del sedici per cento per raggiungere la vertiginosa quota di 2.621 metri, tra tornanti e panorami con scorci sulle valli di Pezzo, di Viso e delle Messi. 

Infine il Passo del Mortirolo, ambito traguardo per i ciclisti più allenati. Pascoli, baite e boschi offrono il contesto naturale a un tragitto faticoso ma affascinante, che si conclude sul confine tra le province di Brescia e Sondrio. Il Passo del Mortirolo, che non si tingeva di rosa dal 2017, sarà protagonista del Giro d’Italia 2022 nella 16^ tappa prevista per martedì 24 maggio.

VisitBrescia

Scaroni ritrova Scaroni e adesso punta a vincere

18.12.2021
4 min
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Probabilmente non al livello di Baroncini, che è arrivato al professionismo dopo aver vinto il mondiale U23, ma anche Christian Scaroni si era presentato nel mondo dei grandi con le credenziali per lasciare il segno. La sua scelta, insolita per il periodo, era stata di andare a correre alla Groupama Continental: una decisione che il bresciano non rinnega, anche se la squadra francese, giunta al dunque, non gli diede la possibilità di salire nel WorldTour. E Scaroni dal 2020 è passato alla Gazprom.

«Negli ultimi 2-3 mesi – dice finalmente con un bel sorriso – ho dimostrato che le aspettative di partenza erano giuste. Il primo anno è stato faticoso, tra il Covid e la difficoltà di ambientarmi. Non me la sono passata benissimo. Non riuscivo a trovare più la personalità che avevo. Quasi non riuscivo a finire le corse e non sapevo come spiegarmelo. Poi finalmente ne sono venuto fuori e negli ultimi tempi mi sono ritrovato davanti nelle corse…».

L’ultima corsa di stagione è stata la Veneto Classic, chiusa al 10° posto
L’ultima corsa di stagione è stata la Veneto Classic, chiusa al 10° posto

L’hotel di Calpe ha la hall in penombra, con corridori misti a turisti del Nord che sorseggiano birre in continuazione. Fuori la temperatura si è abbassata, ma durante il giorno, si pedala a 18 gradi ed è proprio un bell’andare.

Come mai tanta fatica?

Serve pazienza. Non tutti si inseriscono bene, può servire un anno o anche due. C’è chi matura prima, chi dopo. Ma tornerei in Francia, perché mi hanno cresciuto come uomo. Mi hanno insegnato a essere un professionista e questo è stato decisivo per la mia maturazione. Ho imparato l’inglese e il francese. E’ stato un anno guadagnato.

Come hai fatto a sbloccarti?

E’ stato uno scatto mentale. Le persone intorno continuavano a ripetermi che ero sempre lo stesso, dovevo lavorare sull’aspetto mentale.

Ti sei rivolto a un mental coach?

Me l’hanno consigliato amici e compagni di squadra. Mi ha sorpreso, perché sono bastati due mesi di sedute. Adesso ho capito che la testa è la parte più importante del discorso, per cui spero di confermarmi e dimostrare che questo teorema è valido. Sono molto motivato.

Fatica alla Milano-Torino, chiusa dopo la 30ª posizione
Fatica alla Milano-Torino, chiusa dopo la 30ª posizione
Nel frattempo la squadra ha cambiato faccia…

Sedun ha portato la sua grandissima esperienza e sa quello che fa. Sembra che tutto stia migliorando e secondo me quando le cose iniziano a girare bene per tutti, arrivano anche i risultati.

Che impressione hai del nuovo capo?

Non lo conoscevo. Vuole coinvolgere i corridori e dare una bella spinta morale. Se prima rischiavo di sentirmi solo, ora capisco di fare parte di un progetto.

Che inverno è stato?

Ho staccato molto tardi, dopo la Veneto Classic, sono stato fermo circa tre settimane, con qualche giorno a Livigno con la ragazza. Un periodo di relax, poi ho ripreso piano piano con bici e relax. E qui in Spagna abbiamo cominciato a fare ore. Siamo arrivati il 4 dicembre, ce ne andiamo il 21.

Al Giro di Sicilia ha conquistato la maglia dei Gran Premi della Montagna
Al Giro di Sicilia ha conquistato la maglia dei Gran Premi della Montagna
Pensi di partire subito forte?

L’idea è quella, i primi tre mesi saranno importanti per confermare le sensazioni di fine stagione e puntare alla vittoria. Correre bene e ritrovarsi nelle prime posizioni. E’ tutto un fattore mentale. Rivedi la testa della corsa e ti viene anche più voglia di andare in bici. Comincerò alla Valenciana e poi a Murcia e tutto il blocco spagnolo. Poi penso che saremo a Laigueglia…

Non sono tanti 18 giorni di ritiro?

Probabilmente sì, ma si sta meglio qui che a casa. Con i compagni ti passa di più, conosci lo staff, si crea un ambiente bello. Anche se sei lontano da casa e anche se all’inizio non hai mai voglia di partire, una volta che ci sei, finisce che ti diverti…

Konychev, pit stop forzato prima di ripartire

14.01.2021
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Alexander Konychev è a casa con le scatole girate. Doveva essere al ritiro della squadra, invece s’è preso il Covid e sta aspettando semaforo verde per rientrare in pista. Ancora 22 anni, la sua prima stagione alla Mitchelton era un bel punto interrogativo. C’era chi voleva che restasse ancora nella continental del gruppo Qhubeka, ma l’offerta di un contratto WorldTour ha potuto più di mille ragionamenti. E tutto sommato, visto l’andazzo generale e i suoi immensi margini di miglioramento, alla fine ha fatto bene lui.

«Sono giovane – dice – e ho iniziato a correre solo da juniores. Ho ancora tanti aspetti da migliorare, su alimentazione, recupero dopo le corse, allenamento. Sicuramente in poco tempo, le cose sono cambiate molto. I più giovani hanno una pressione che io due anni fa non avevo. Sembra che si debba ottenere tutto subito. Alcuni arrivano al professionismo che sono già al top. Che margini hanno? Il fisico un po’ può crescere, ma la testa?».

Alla Strade Bianche la ripartenza di Konychev dopo il lockdown
Alla Strade Bianche la ripartenza di Konychev dopo il lockdown
Come descriveresti i tuoi anni da under 23?

I primi due anni, alla Viris e poi alla Hopplà, sono stati i più belli. Una parte del ciclismo che sta svanendo. Negli juniores andare in bici era anche andare a farsi un giro con gli amici, poi da under 23 l’impegno è iniziato a crescere. Quando poi sono passato alla continental della Dimension Data, sono migliorato molto. Ho avuto il primo preparatore, il ritiro a Lucca. E per la prima volta la differenza è stata avere un calendario definito dall’inizio dell’anno, con obiettivi su cui programmare il lavoro.

Primo passo verso il professionismo…

Esatto. In più l’esperienza continental con i ragazzi africani è stata molto bella anche sul piano umano. Ed è stato un anno speciale. Abbiamo vinto l’europeo e il mondiale e io per primo ho vinto la prova di Coppa delle Nazioni, l’Etoile d’Or, preparata con il Tour de Bretagne di sette tappe. Quando lavori così, i risultati arrivano.

Tuo papà ti ha aiutato in questo avvicinamento graduale?

Lui non mi ha mai messo pressione, anzi era molto scettico. Cominciare da junior non è facile e il mio primo anno è stato molto duro. Ho picchiato l’asfalto parecchie volte, ma ormai avevo preso la decisione, perché il ciclismo era quello che mi appassionava. Mai un ripensamento, sapevo dove volevo arrivare. Per cui a metà campionato lasciai la squadra di calcio in cui giocavo da centrocampista e sono salito in bici.

Come è andato il primo anno?

Come per tutti, è stato particolare. Avevo fatto una bella preparazione, altura compresa. Ho fatto le prime due corse in Belgio e poi ci hanno fermato. Riprendere è stato una bella cosa. Ho fatto Strade Bianche, Sandremo, Gand, Fiandre. Tutto il mio programma tranne la Roubaix. Con la squadra va benissimo, sto facendo tanta esperienza, individuando gli aspetti su cui lavorare e i miei obiettivi, che sono le grandi classiche. La Sanremo in testa, il mio sogno.

Nella crono degli europei di Plouay ottiene il 17° posto
Nella crono degli europei di Plouay ottiene il 17° posto
Quali sono gli aspetti su cui lavorare?

Ormai si gioca tutto sui dettagli. Mi piace molto la crono, in ritiro avrei dovuto fare dei test in pista, che spero di recuperare più avanti. E poi l’alimentazione. In squadra stiamo testando una piattaforma che useremo alle corse, in cui ognuno ha i suoi dati e inserendo il peso, il programma ti dice la quota di carboidrati da ricaricare. Io però preferisco gestirmi in autonomia. Se la mattina voglio qualcosa a colazione, la mangio lo stesso. La fortuna di avere una mamma che mi prepara le cose fatte in casa è proprio questa.

Quindi non pensi di andare a vivere da solo?

Per ora no (ride, ndr), magari se trovo una compagna che sappia cucinare. Però mi sa che non sia una cosa da dirle. «Ah, come cucina la mia mamma…».

Sei dimagrito tanto rispetto all’ultimo anno da U23?

Sono stato bravo durante il lockdown. Sono sceso da 80 a 72, a proposito dei margini che potrei avere.

La bici nuova?

Ero un po’ scettico, invece la Bianchi ha delle geometrie ottime. Forse è un po’ più pesante della Scott, ma mi importa poco. Non devo fare il record del Galibier e per le corse che voglio fare, va benissimo una bici rigida e veloce

Giro d'Italia 1998

Ecco perché farebbe tremare anche la Ineos: parla Velo

13.01.2021
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Velo non ha dubbi: «Anche oggi, con l’organizzazione di squadre come il Team Ineos, uno come Marco li farebbe morire. C’è riuscito Contador, figuratevi il Panta».

Il fruscio di fondo non lascia spazio a dubbi: Marco è in bici. Dice che ci sono due gradi, ma anche un timido sole. E in attesa di tempi migliori, quei due raggi tra le nuvole sono stati un invito irresistibile.«Ma ho gli auricolari – dice anticipando la domanda – parliamo pure».

Freccia Vallone 1998
Per Marco Velo nel 1998, le Ardenne e il Giro d’Italia
Freccia Vallone 1998
Per Marco Velo nel 1998, le Ardenne e il Giro d’Italia

Al Trentino del ’97

E allora partiamo in questo allenamento blando fra ricordi e pensieri con l’ex corridore che proprio Pantani andò a cercare, disegnando la Mercatone Uno per l’anno successivo, e che oggi fa parte dello staff di Rcs e corse e tappe nella memoria inizia ad averne tante.

«Eravamo al Giro del Trentino – racconta – e avevo appena vinto la tappa di Lienz, che era dura impestata, battendo Zaina, Piepoli, Belli e Faresin. Mi venne vicino durante la corsa e mi disse che stava pensando di rinforzare la squadra. Buttò lì due parole per capire se mi interessava venire via dalla Brescialat. Io non avevo tanto da pensarci perciò dissi di sì, anche se per sentire tutto parlai anche con Martinelli e Pezzi. Ai tempi funzionava così. Il capitano era libero di avvicinare i corridori che avrebbe voluto ingaggiare. Purtroppo adesso non va così. C’era un rapporto molto più umano e senza tanti filtri. Vuoi mettere come mi sentii gratificato a ricevere una proposta come quella? E questo fece sì che si creasse sin da subito un legame fortissimo».

Il treno del Panta

Ne abbiamo parlato nei giorni scorsi con Sabatini e Guarnieri prima, con Tiralongo poi. Il treno per il velocista e il treno per lo scalatore. La squadra di Marco a partire dal 1998 diventò una corazzata.

Tour de France 1998
Scherzi con Borgheresi nell’ultima tappa del Tour 1998
Tour de France 1998
Scherzi con Borgheresi nell’ultima tappa del Tour 1998

«Marco era ed è il ciclismo – prosegue Velo – essere il suo ultimo uomo ti metteva su un altro pianeta di responsabilità. Sono stato anche l’ultimo uomo di Petacchi, ma era diverso. Sapevi che a parte qualche imprevisto, dovevi fare solo il finale. Con Marco c’erano molte più variabili. E quando però arrivavi al dunque, eri quello che faceva l’ultimo passaggio, l’assist per Maradona o Messi nella finale di Champions League. Mi sentivo partecipe, era la causa comune. Anche se magari ti trovavi a gestire situazioni tattiche completamente diverse, rispetto a quelle che avevamo studiato e condiviso. Se l’istinto gli diceva di andare, raramente non lo assecondava. E di solito aveva ragione lui. Mai visto un attacco a vuoto del Panta».

Tutto sul gruppo

La Mercatone Uno raggiunse livelli di potenza e affiatamento che negli anni successivi, attorno a uno scalatore, avrebbero raggiunto la Saxo Bank di Contador e l’Astana di Nibali.

Davide Dall'Olio 1997
Dall’Olio in squadra dopo l’incidente del 1995: fu Marco a volere lui e Secchiari
Davide Dall'Olio 1997
Fu Marco a volere Dall’Olio (sopra) e Secchiari dopo l’incidente del 1995

«Per questo dico – prosegue – che ne avrebbe avuto per far saltare anche gli schemi Ineos. Perché non era un solista contro tutti, era la nostra corsa e gli altri a inseguire. Eravamo forti. Partivamo prima di Natale da Madonna di Campiglio, mentre gli altri erano alle Canarie. Non andavamo a perdere tempo, a casa ci eravamo allenati già tutti. Si andava su quei tre giorni a fare una cosa che ora va tanto di moda. Il team building, che in italiano si dice fare gruppo. Ed è vero che ai tempi si parlava tanto dei percorsi troppo facili a favore dei cronoman, ma quelli dopo Indurain iniziarono a sparire e tutto sommato a Marco per vincere bastavano le salite. Di tutti i tipi, quelle lunghe, ma anche quelle corte da fare a tutta con le mani sotto».

La tattica giusta

Velo ragiona ad alta voce e intanto pedala. «Avendo una squadra come la Mercatone Uno del 1999 e avendo ovviamente anche il Panta – dice – si potrebbe davvero far saltare la Ineos. Loro corrono a sfinimento, facendo un ritmo che impedisce gli scatti, ma si potrebbe sorprenderli tatticamente.

«Potresti fare il ritmo alto, rischiando di perdere i tuoi uomini. Loro hanno per gregari dei vincitori di Giro e di Tour, noi avevamo Garzelli, che aveva vinto il Giro ma singolarmente non eravamo così forti. Ma se c’è spirito di squadra, e noi ne avevamo da vendere, si può fare. Se tiri forte per fargli fuori sulla prima salita gli uomini delle pianure, quando Marco attacca e si porta dietro qualcun altro, nella valle successiva, loro devono far tirare gli scalatori. E allora magari sulla salita successiva il leader è un po’ più solo. Ma queste sono cose che potevi fare soltanto con un Marco in condizione, oppure il Contador degli ultimi anni».

Gli urli di Oropa

Secondo Velo, che intanto continua a pedalare accrescendo la voglia di farlo anche di qua dall’apparecchio, il capolavoro di squadra lo fecero a Oropa. Che sarebbe anche facile da dire, se non fosse che dopo l’arrivo Marco prese fiato e li mise tutti sugli attenti.

«Esatto – conferma – è facile dire Oropa, anche perché la fanno vedere spesso. In realtà prima di allora ci sono state tante situazioni, come tutto l’avvicinamento al Giro del 1999 dove Marco raggiunse un livello di condizione eccezionale. E comunque quel giorno avevamo fatto tanto lavoro per prendere la salita davanti e pensai che per uno stupido problema meccanico, rischiavamo di perdere tutto. Marco era dietro di me, ma io non avevo capito niente. Mi girai con la coda dell’occhio per controllare che fosse tutto a posto e non lo vidi. Fu uno della Saeco, mi pare Petito, a dirmi che si era fermato. Avrei voluto girare per tornare indietro, ma è vietato, così lo aspettammo. La rimonta l’avete vista, ma dopo l’arrivo si arrabbiò con me e con Zaina perché ci eravamo messi a tirare con troppa foga, volendo riportarlo sotto. Non c’erano le radioline. Lui urlava probabilmente per dire di andare regolari e io, in piena trance agonistica, continuavo ad aumentare. Ci disse che, ogni volta che uno di noi si spostava, lui doveva aumentare. E così avevamo rischiato di mandarlo fuori giri. A parte quella volta, che c’era una sola salita e anche durissima, Marco non ti metteva in difficoltà soltanto nei finali. Quando trovi uno così che ti va via a 30 chilometri dall’arrivo dopo averti tirato il collo, hai poco da controllare. Certo sarebbe difficile, ma sarebbe ancora uno spettacolo».

Sonny Colbrelli, Mads Pedersen, Giro delle Fiandre 2020

Il nuovo Colbrelli fa un pensierino al ciclocross

07.01.2021
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L’ultima volta che lo avevamo sentito, Sonny Colbrelli era in partenza per le Canarie con Landa e Caruso, in cerca di caldo e strade buone. Dopo le Feste e avendo chiaro che la Lombardia delle nevicate non sia in questo momento il posto migliore per allenarsi, come fa il medico di famiglia lo abbiamo richiamato per fare il punto della situazione.

«Il punto – ride Colbrelli – è che se avessi saputo che qua era così, non sarei più tornato. Tutti i giorni 23-24 gradi. Il mare. Bella compagnia. Avevo anche pensato di farmi raggiungere dalla famiglia, ma per la mia compagna e due bimbi, vista soprattutto tutta la situazione del Covid, era troppo. Abbiamo fatto una bella base, ma con questo freddo finisce che perdo tutto. Per fortuna dal 16 gennaio si va ad Altea e speriamo di riprendere il discorso».

Heinrich Haussler, Sonny Colbrelli, Kuurne-Bruxelles-Kuurne 2020
Heinrich Haussler lo aiuta alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne: sarà ancora lui la spalla di Colbrelli alle classiche
Heinrich Haussler, Sonny Colbrelli, Kuurne-Bruxelles-Kuurne 2020
Haussler la spalla di Colbrelli alle classiche
Come stai?

Bene, soprattutto mi sento libero di testa. Il 2020 è stato strano, ma tutto sommato è filato liscio. Dopo il lockdown mi è bastata una sola settimana per ritrovare buone sensazioni. Ho fatto un bel Tour in appoggio e ne sono uscito con una buona condizione. Bene al BinckBank Tour bene al Brabante, poi sono caduto alla Gand e di fatto la stagione è finita. Ma era pur sempre la metà di ottobre…

Quindi nessuna novità nella preparazione?

Ha funzionato tutto bene. Semmai si può dire che ho fatto tanta mountain bike rispetto agli altri anni. Altrimenti ormai ho trovato la giusta misura negli allenamenti per provare a centrare gli obiettivi giusti.

Che sarebbero?

Sicuramente il Fiandre, ma tutti sanno quanto ami la Sanremo. Non voglio fare lo schizzinoso, va bene anche una tappa in un grande Giro. Come se fosse facile…

Anche perché vincere il Fiandre significa sfidare, fra gli altri, Van der Poel e Van Aert…

Quei due fanno paura. Prima li vedevo nel ciclocross, sempre e solo loro due, tanto che veniva da pensare che non ci fosse poi questa gran concorrenza. Poi invece li ho visti da vicino. Van Aert già l’anno scorso quando vinse la tappa al Tour, poi alla Strade Bianche mi ha tolto ogni dubbio. Mentre Van der Poel mi aveva impressionato nel 2019 al Brabante e quest’anno ha fatto il resto.

Sonny Solbrelli, Mathieu Van der Poel, Julian Alaphilippe, Freccia del Brabante 2020
Al Brabante, Colbrelli ha tenuto testa a Van der Poel e Alaphilippe, chiudendo al 4° posto
Sonny Solbrelli, Mathieu Van der Poel, Freccia del Brabante 2020
Brabante, Colbrelli 4° dopo Alaphilippe, Van der Poel e Cosnefroy
Perché fanno paura?

Perché sono veloci, potenza pura. Io non ho mai fatto cross, però vi ho detto della mountain bike. Quando devi fare uno strappo con il fango, per venirne fuori serve forza, devi spingere veramente tanto. E con la bici da cross è anche più duro. Il fatto è che cambiano bici spesso, quindi non so se riescono a registrare i dati di una corsa. Ma sarei davvero curioso di vedere i loro file in quell’ora di gara, perché secondo me fanno dei picchi mostruosi. A me il cross non l’hanno mai proposto, ma non nascondo che mi piacerebbe provare. Magari tecnicamente sarei un brocco, ma per la forza sarebbe ottimo.

E poi deve essere anche più divertente del semplice allenarsi, guarda Aru…

Lo vedi dai social e dalle foto che mette. Ha ritrovato il suo ambiente, sembra sereno. E sono dettagli che a un certo livello fanno la differenza.

Quanti eravate alle Canarie?

Dall’Italia, c’erano Caruso, Marco Frapporti, il suo amico Beppe che va in bici e fa anche il meccanico e io. Dalla Spagna, Landa con suo fratello massaggiatore e due corridori della Fundacion Euskadi di cui Mikel è presidente. E poi, a sorpresa, ogni giorno è uscito con noi Cipollini.

Sonny Colbrelli, Mario CIpollini, Canarie 2020
Alle Canarie prima di Natale con Landa, Caruso e l’ospite inatteso: Mario Cipollini
Sonny Colbrelli, Mario CIpollini, Canarie 2020
Alle Canarie hanno incontrato Cipollini
Mario?

Aveva letto un’intervista in cui dicevo che saremmo andati e mi ha chiamato. Ha voluto sapere dove e quando e ce lo siamo trovati là. E’ diventato il nostro angelo custode. In allenamento teneva a distanza i cicloamatori, soprattutto se dovevamo fare dei lavori. Non credevo fosse così disponibile. Ci ha permesso di fare i massaggi nella sua suite e ha ancora una bella resistenza. E’ stato con noi anche quando facevamo 6 ore, poi è chiaro che quando aprivamo il gas si staccava.

Con Caruso e Landa si è formato un bel gruppetto.

Un bel trio che spero possa fare attività insieme tutto l’anno.

Cortina è andato via, chi ti aiuterà nelle classiche?

Di Cortina sentiremo parlare, perché è davvero forte. Avrò Haussler e vedremo il giovane Milan. Non siamo attrezzati benissimo, ma ce la faremo bastare.

Che cosa ti resta del Colbrelli gregario al Tour?

La fiducia in me stesso. All’inizio avevo tanta paura, non sapevo se ce l’avrei fatta. Ho visto che per quel ruolo devo ancora migliorare. Ho imparato a rinunciare alle ambizioni personali per il bene della squadra. I dirigenti della Bahrain Victorious se ne sono accorti e vogliono che resti. E come loro se ne sono accorte altre squadre. Ma qui sto bene. Tratteremo, ci sta che presto si possa scrivere qualcosa…

Umberto Inselvini, Fabio Felline, Memorial Pantani 2020

Inselvini, il massaggio, il presente e il futuro

02.01.2021
6 min
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«Io li ho visti arrivare nella tappa del Gavia – dice Inselvini – ma se fossi andato dai ragazzi di Morbegno a dirgli che in fondo era solo un giorno di pioggia e che quei loro colleghi ancora due mesi dopo non muovevano le dita congelate, mi avrebbero guardato come per dire: e allora? Questo non significa che fosse giusto partire a priori: se avevano le loro ragioni, è stato giusto che le abbiano fatte valere. Il fatto però che ben pochi si siano schierati dalla loro parte, è un messaggio su cui magari rifletteranno. Ancora oggi e nonostante tutto il progresso, il parere della gente è quello che davvero conta».

Sessantadue anni, bresciano della Valtrompia, Umberto Inselvini è uno dei massaggiatori storici del gruppo (in apertura con Felline al Memorial Pantani). Il nono anno nell’Astana, il prossimo, sancirà il sorpasso sugli otto vissuti nella grande Carrera alla fine degli anni 80. E forse neppure lui pensava che fosse un record battibile.

«Siamo passati dalla stretta di mano – sorride – al post su Facebook. Dai corridori che erano in grado di pretendere rispetto in gruppo alzando la voce, a quelli che stanno zitti però commentano su Twitter. Il mondo cambia e non sarebbe giusto richiamarsi sempre a com’era prima. Però noi che il prima lo abbiamo vissuto dobbiamo approfittarne per lavorare meglio e in qualche modo far capire che ci può essere un altro modo di comportarsi».

Umberto Inselvini, Michele Pallini, Tour de France 2014
Con Michele Pallini, al Tour de France 2014 con Nibali in maglia gialla
Umberto Inselvini, Michele Pallini, Tour de France 2014
Con Pallini al Tour de France 2014
E’ cambiato anche il tuo lavoro?

Fondamentalmente è sempre quello, anche se prima facevamo il Tour in tre e adesso siamo in cinque. Questo ci permette di lavorare meglio. Prima un massaggio durava 40 minuti e non sempre si faceva la schiena. Oggi dura un’ora e si fa tutto.

Il massaggiatore era anche il confessore…

Qualche corridore che chiede consiglio c’è ancora, ma hanno talmente tante cose da fare e figure con cui interfacciarsi, che spesso arrivano al massaggio e non hanno voglia di parlare. In quell’ora sono liberi di essere ciò che vogliono.

Il massaggiatore è ancora l’interlocutore dei direttori sportivi?

Una volta venivano e ci chiedevano come fosse la gamba. Adesso contano tanto anche i numeri, per cui vanno prima dal preparatore. A me chiedono semmai se il ragazzo è tranquillo e come voglia correre.

Sei uno che parla o uno che ascolta?

Quando è venuto Lopez la prima volta, mi meravigliai ascoltando i suoi racconti. Era venuto in Europa l’anno prima dalla Colombia e aveva vinto il Tour de l’Avenir, senza sapere nulla dei rivali. Il tecnico gli aveva detto di attaccare in salita e poi di voltarsi per capire quali fossero quelli forti. Lo lasciai parlare a lungo, perché per entrare in sintonia con un corridore, devi conoscere la sua storia. Fermo restando che appartengono a un mondo tutto nuovo, anche i nostri, per cui magari gli parli di Argentin e non sanno nemmeno chi sia. Io non parlo troppo spesso di quello che ho passato, a meno che non me lo chiedano loro.

Bernard Thevenet, Umberto Inselvini, Christian Prudhomme, Bernard Hinault, Tour de France 2014
Con Thevenet, Prudhomme e Hinault, il premio per i 20 Tour seguiti
Bernard Thevenet, Umberto Inselvini, Christian Prudhomme, Bernard Hinault, Tour de France 2014
Con Thevenet, Prudhomme e Hinault per i 20 Tour seguiti
Un giorno arrivò Pantani.

Lo vidi per la prima volta nell’agosto nel 1992. Era un ragazzo alla mano, per certi versi timido. Facemmo insieme i mondiali di Agrigento e quelli in Colombia. All’inizio ascoltava e non parlava, ma era già molto sicuro di sé. In Colombia, dividevo la stanza con Archetti e avevamo un lettore CD con pochissima scelta. Lui arrivava e metteva sempre l’album dei Nomadi. Un giorno non aveva voglia di fare i massaggi, bensì la sauna. Mi convinse a farla con lui e poi, una volta usciti, facemmo i massaggi. Prima che avesse l’incidente, ero andato a portargli due audiocassette in cui il maitre dell’hotel aveva registrato la cronaca dei mondiali di Colombia. So che le aveva fatte mixare da un amico e durante la rieducazione le ascoltava. Quando andò via dalla Carrera, mi chiese di seguirlo, ma avevo firmato con la Roslotto e ho sempre cercato di onorare gli accordi presi.

Ti affezioni ai corridori che massaggi?

Ci si sforza di seguire tutti allo stesso modo, ma è inevitabile si creino sintonie differenti. Ogni volta che uno dei miei vince, mi commuovo. So di aver fatto quello che dovevo, perché di base è un lavoro, ma le emozioni sono forti. Non sono di quelli che si mette a saltare al centro dell’arrivo, mi tengo tutto dentro. Sono nel ciclismo da quando avevo 13 anni, se non avessi passione ed entusiasmo, fra cinque partirei per il ritiro con il morale per terra. E’ un lavoro, ma non lo fai solo per lavoro.

Umberto Inselvini, Paolo Tiralongo, Giro del Trentino 2015, Cles
Giro del Trentino 2015, a Cles con Paolo Tiralongo
Umberto Inselvini, Paolo Tiralongo, Giro del Trentino 2015, Cles
Giro del Trentino 2015, a Cles con Tiralongo
La vittoria di Aru a Montecampione…

Sapevo tutto il lavoro che era stato fatto. Ricordavo di aver accompagnato Tiralongo e quel ragazzino a vedere una salita vicino casa mia. La salita su cui Pantani aveva vinto il Giro. Vederlo vincere staccando tutti… 

Sono cambiati i rapporti fra il personale della squadra?

Il gruppo è importante, ma durante un Giro può capitare che fra massaggiatori ci si veda soltanto a cena. C’è chi scende subito per fare le borracce, chi prepara i rifornimenti, chi si dedica all’albergo e all’arrivo. Alla Carrera eravamo sempre gli stessi. Mi è capitato per tre volte di fare nello stesso anno Vuelta, Giro e Tour.

Quel gruppo Carrera in realtà c’è ancora, sia pure sparpagliato…

E per capirci basta ancora uno sguardo. Archetti, Mario Chiesa, Guido Bontempi, Martinelli… Ci sentiamo spesso, forse perché siamo tutti bresciani e col dialetto si fa prima. Fu la squadra di Visentini e Roche, di Pantani e Chiappucci, di Abdujaparov, di Guidone Bontempi. Ci sono tanti ricordi ad unirci.

Ci sono le vittorie e ci sono le sconfitte. Cosa succede quando il corridore bastonato arriva sul lettino?

Sul traguardo non può manifestare quello che ha dentro. Fa prima il punto con i direttori, poi apre la mia porta, io lo guardo, lui guarda me. In quel momento devi capire se medicare la ferita, parlare d’altro oppure stare zitto. Sale sul lettino, manda un paio di messaggi e poi il più delle volte inizia a raccontare, con rabbia o delusione. Non esiste un protocollo da seguire. Trent’anni fa mi sarà capitato anche di usare frasi di circostanza. Quando ti staccano, non sono mai momenti felici. Hai ambizioni e ti ritrovi a terra, è meglio stare zitti. Lo sport è questo, non sempre ci sono colpe o spiegazioni.

Fabio Aru, Giuseppe Martinelli, Umberto Inselvini, Vuelta 2015
Fabio Aru, Martinelli, Inselvini: si vince la Vuelta 2015
Fabio Aru, Giuseppe Martinelli, Umberto Inselvini, Vuelta 2015
Con Aru e Martinelli, vincendo la Vuelta 2015
La tecnologia ha cambiato il massaggio?

Sono arrivate macchine che agevolano il recupero e c’è l’osteopata che aiuta parecchio. Ma di base, il massaggio resta il massaggio. Non facciamo carezze, andiamo bene a fondo. Quello che cambia è il tempo, che ora è superiore.

E quando il corridore va via?

Qualcuno viene a salutare, qualcuno ti scrive su Facebook un post di ringraziamento, dicendo che si è trovato bene. I social sono uno strumento di lavoro, devono citare gli sponsor perché così gli viene richiesto. Gli addetti stampa vigilano anche su questo. E devono stare attenti a indossare sempre le cose giuste, perché ormai sono i tifosi a rilanciare o segnalare qualche anomalia. Però tutto questo mi aiuta a restare giovane. Che bello però quando uno andava via e magari veniva a darti una stretta di mano…

Cristian Scaroni, Vuelta Valenciana 2020

Scaroni ha ancora fame, aspettiamolo…

14.12.2020
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A un certo punto Cristian Scaroni sparì dall’Italia, dove correva con la Hopplà-Maserati, per andare nella Francaise des Jeux Continental, presunta porta di accesso al WorldTour. Ci è rimasto per un anno, lungo il quale ha vinto qualche corsa e si è messo in evidenza. Ma poi, alla resa dei conti, la squadra disse di cercare un velocista e il bresciano, più uomo da classiche che sprinter, si è accasato alla Gazprom-Rusvelo. Nulla da dire: squadra ben organizzata, come vedremo. Ma quando cominci la stagione con la quarantena ad Abu Dhabi, ci sta che il seguito non sia felice come te lo aspettavi.

«Infatti ero partito bene dopo un ottimo inverno – dice – poi di colpo sono cambiate le carte in tavola. Alla Valenciana cominciavo a riconoscere le sensazioni giuste, allo Uae Tour la condizione cresceva. E poi si è fermato tutto. Due settimane chiuso in stanza da solo laggiù non sono state il massimo. Poi, quando sono tornato e ho ripreso ad allenarmi, è arrivato il lockdown…».

Marco Canola, SImone Velasco, Cristian Scaroni, Ernesto Colnago, Damiano Cima, Imerio Cima
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Allora facciamo finta che non sia mai successo e ricominciamo. Cosa dici della scelta della Gazprom?

E’ una squadra molto ben organizzata. C’è serietà nel lavoro, ognuno ha il suo ruolo e sta al suo posto. Me lo avevano detto ed è vero.

E’ più una squadra italiana oppure russa?

Quello che dirige tutto, Renat Khamidulin, è russo ma ciclisticamente è cresciuto in Italia. Gli altri russi hanno tutti casa qui. Direi che è più una squadra italiana, senza le rigidità di cui a volte si parla nelle squadre russe.

Hai già un programma per il 2021?

Inizierò a Mallorca a fine gennaio. Poi Murcia, Laigueglia e Larciano. Potendo scegliere, vorrei arrivare bene alla Coppi e Bartali, centrare una tappa sarebbe davvero bello. Il prossimo anno mi piacerebbe vincere, perché di fatto non succede dal 2019.

Ecco, bravo, eri uno che teneva in salita e poi vinceva in volata. Sei ancora capace?

Credo di aver mantenuto le mie doti, ma il guaio è che finora ho trovato gente più forte in salita. Sto lavorando per arrivare in fondo con quei 10-15 che si giocano la corsa e capire se lo spunto c’è ancora. Lo alleno sempre, le doti vanno tenute in esercizio. Se fai salite su salite, perdi fibre bianche e poi non sei più veloce.

Cristian Scaroni, campionato italiano 2020
In azione al campionato italiano, che però non ha finito
Cristian Scaroni, campionato italiano 2020
Al campionato italiano, che però non ha concluso
Chi segue la tua preparazione?

Il Centro Mapei. Ci andavo ai tempi della Hopplà, poi mi chiesero di lasciarlo perché la Gazprom l’anno scorso ci faceva allenare da Devoti. Ora che lui non c’è più, ci hanno lasciati liberi di farci seguire da altri e io sono tornato a Castellanza.

Rosola sarà ancora con voi?

Paolo è il nostro jolly, pur non risultando fra i direttori sportivi. Quest’anno allenava gli under 23 della squadra e li seguiva alle corse. Ma se uno di noi pro’ ha bisogno di fare dietro moto o di qualsiasi cosa lui c’è sempre.

A quando il primo ritiro?

Dal 10 al 24 gennaio a Calpe e da lì andremo diretti a Mallorca. Ci sto, facciamo davvero finta che non sia successo niente. Adesso mi allenerò fino al 23 dicembre a Chiavari con Fabbro, Aleotti e Pietrobon. E poi speriamo che si possa partire bene per dimostrare quello che so fare…