Un mese per dirsi addio: il duro racconto di Del Barba

21.01.2025
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Una chiamata che non ti aspetti. E’ Mattia Cattaneo, pensi subito che sia successo qualcosa, ma che cosa? Dice che vorrebbe si facesse un articolo per un amico, un massaggiatore che conosciamo benissimo. Emanuele Del Barba, fino al 2024 alla Jayco-AlUla. Stamattina ha perso sua moglie, restiamo di sasso. Lui è accanto, due parole e la promessa di risentirci nel tardo pomeriggio. La giornata scorre in un continuo guardare il display, fino al momento di chiamarlo.

Ha la voce distaccata di quando la botta è così forte che ti ha portato via anche la disperazione. Chi ci è passato lo sa e riconosce la rassegnazione. Si parla per monosillabi, riallacciando storie personali e punti di contatto.

«Se ne è andata in un mese – dice – stamattina, a 43 anni. Non sono lucido, sono in mezzo a un botto di gente, ma sono anch’io disperato. Forse è perché lo so da un mese. Lavorando coi dottori forse mi sono preparato. Così stamattina ero lì col “Catta” ed è venuta a lui l’idea di fare un bell’articolo per la mia Rossella…».

Emanuele Del Barba, Rossella e Federico, 25 anni: una visita al Giro d’Italia
Emanuele Del Barba, Rossella, Federico, 25 anni, e il piccolo Edoardo, 7 anni: una visita al Giro d’Italia

Tutto in un mese

Era il 15 dicembre quando tutto è cambiato e adesso ogni cosa cambierà: se non per sempre, di certo per un lungo periodo. Ora ci sono due figli cui stare accanto. Uno di 25 anni, figlio di Rossella. E uno di sette, per il quale la botta sarà tremenda. Come glielo dici a un bimbo di sette anni che da stasera mamma non tornerà più a casa?

«Ho fatto gli ultimi due anni con la Jayco – racconta Del Barba – e adesso avevo firmato con la Movistar per un po’ di giornate. Invece andrà tutto a monte, ma va bene così devo stare tranquillo a casa con mio figlio e continuerò a lavorare nel poliambulatorio. Non andrò alle corse, ma è giusto così. Avrei dovuto fare il calendario italiano. Invece il 15 dicembre abbiamo saputo che stava male».

Rossella aveva 43 anni e, da buona bresciana, aveva finito con l’appassionarsi al ciclismo
Rossella aveva 43 anni e, da buona bresciana, aveva finito con l’appassionarsi al ciclismo

La passione per le corse

Il ciclismo era entrato a forza nella sua vita, come succede quando sposi uno che ci lavora dentro e che lo vive come una passione.

«Ho ricevuto dei messaggi – dice – ho messo una storia su Instagram, ma poco altro. Volevo farlo sapere a quelli più lontani, perché in un mese non c’è stato il tempo per avvertire nessuno. La passione del ciclismo gliel’avevo passata io, eravamo insieme da 18 anni e quindi cominciava anche lei a venire alle corse. Era bresciana, da noi il ciclismo lo respiri nell’aria».

Guardi la foto di quel sorriso bellissimo e poi finisci le parole. E’ una serata come tante, che in questa casa bresciana non riusciranno a dimenticare. La vita va avanti in salita, non resta che pedalare, con il ricordo doloroso e dolce di Rossella che non c’è più.

Nel nome di Rossella è stata creata una pagina di donazione: https://donazioneinmemoria.airc.it/eventi/nel-dolce-ricordo-di-rossella

Strada, pista e studio: Venturelli riscrive le priorità

24.11.2024
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Ogni volta che finisci un’intervista con Federica Venturelli senti di aver imparato qualcosa, se non altro per quanto riguarda la dedizione. Nonostante i 19 anni, la cremonese trasmette un senso di leggerezza nel vivere il rigore in cui è immersa. Il titolo di Alfiere del Lavoro ricevuto un anno fa dal Presidente Mattarella per essere stata uno dei migliori 25 studenti d’Italia e i risultati sportivi di vertice fanno di lei una notevole eccezione. Quando la intercettiamo in uno degli slot orari che ci ha detto di preferire, si trova a Brescia nello studentato in cui vive assieme alla sua bicicletta. Università e sport possono convivere, ma di solito lo studio finisce in secondo piano. Lei invece ha portato il ciclismo fra le mura accademiche e pagheremmo per vedere gli sguardi dei colleghi di Università nel vederla passare dai panni della studentessa modello a quelli dell’atleta ugualmente di vertice.

La seconda parte di stagione, come purtroppo abbiamo già raccontato, è stata falsata dalla frattura del braccio rimediata agli europei U23 su pista di metà luglio. E ugualmente su pista si è svolto il ritorno in attività, ai campionati del mondo, dato che la funzionalità del polso non era ancora al livello necessario per smarcarsi bene su strada. Quello che appare certo e anche comprensibile è che a causa di tutto questo, Federica non correrà la stagione del cross. Un po’ per dare modo al suo corpo di recuperare la piena efficienza e un po’ per la necessità di selezionare gli impegni, come già spiegava nelle scorse settimane Sara Casasola. Non si può chiedere troppo a se stessi. Strada, pista, cross, università: la dedizione non basta.

Dopo l’infortunio di luglio, Venturelli è rientrata in gara ai campionati del mondo su pista
Dopo l’infortunio di luglio, Venturelli è rientrata in gara ai campionati del mondo su pista
Buongiorno Federica, hai ricominciato ad allenarti?

In realtà non ho mai smesso al 100 per cento. Avendo fatto quasi un mese ferma a causa degli infortuni, a fine luglio e inizio agosto ho diminuito un po’ l’intensità degli allenamenti. Ho fatto un paio di settimane con qualche uscita tranquilla, senza fermarmi per le solite tre di stacco. Invece dalla settimana scorsa, ho ricominciato la preparazione sia in bici che in palestra e per adesso sta andando tutto bene. Dall’infortunio direi che mi sono ripresa quasi al 100 per cento. Il polso va meglio, riesco ad andare in bici anche su strada e non mi ho più problemi neanche a fare allenamenti lunghi. 

A cosa è legato il “quasi”?

Diciamo che mi fa ancora male fare dei movimenti estremi con il polso, però rispetto a prima non ho problemi.

L’infortunio ha chiaramente cambiato le prospettive, il ciclocross sarebbe stato nei programmi se non ci fosse stato questo lungo stop?

Non lo so. Come ho sempre detto, il ciclocross è una disciplina che mi piace tanto e che mi diverto a fare. Però è comunque impegnativo e si sovrappone a tutto il resto, soprattutto alla preparazione invernale per la strada e a quella della pista, perché a febbraio ci sono già i campionati europei. Quindi sicuramente l’opzione di fare una stagione completa, di concentrarsi sul ciclocross non ci sarebbe stata. Mi sarebbe piaciuto fare qualche gara, ma forse è arrivato il momento di scegliere e concentrarsi su qualcosa in particolare: fare tutto non è più possibile. L’università mi occupa del tempo e avere un’altra disciplina da preparare e cui dover pensare sarebbe troppo.

La Coppa del mondo di Anversa e Benidorm, il mondiale: così nel 2023 Venturelli nel cross (foto Dancerelle/DirectVelo)
La Coppa del mondo di Anversa e Benidorm, il mondiale: così nel 2023 Venturelli nel cross (foto Dancerelle/DirectVelo)
Quindi condividi anche tu la visione di Sara Casasola?

Ovviamente il cross ti dà più esplosività a inizio stagione, si arriva al via della strada avendo fatto sforzi intensi. Però poi sicuramente si paga, se non si fa un periodo di stacco o comunque di scarico, perché la stagione della strada poi è lunghissima. Nel 2023 feci un paio di Coppe del mondo più il mondiale, però ebbi anche dei problemi con la schiena e il ciclocross non aveva aiutato. E questo è un altro motivo per cui sarebbe stato comunque difficile puntarci di nuovo. Quei problemi non sono più in fase acuta, però la schiena ogni tanto mi dà ancora un po’ fastidio e cerco di non bloccarmi del tutto. Detto questo, non so ancora molto dei miei programmi di allenamento e se farò una preparazione per compensare la mancanza del cross.

Quanto ti assorbe lo studio?

Richiede tempo per andare a lezione, perché a Farmacia avrei la frequenza obbligatoria. Fortunatamente sono nel programma Dual Career che mi permette di frequentare quando sono a casa, altrimenti non riuscirei neanche a dare gli esami. E poi c’è da studiare per gli esami. Ieri ad esempio avevo il giorno di riposo dalla bici e ho studiato otto ore. Come fare una distanza, però sui libri. E’ una cosa che non mi pesa perché mi piace, quindi lo faccio volentieri.

Per Venturelli si prospetta un inverno di lavoro su strada e anche in pista
Per Venturelli si prospetta un inverno di lavoro su strada e anche in pista
Sei mai riuscita quest’anno a portare con te i libri quando vai alle corse?

Beh (ride, ndr), in aereo nessuno mi impedisce di studiare. Sono anche riuscita a finire in tempo gli esami del primo anno, quindi per ora va bene. Studio a Brescia e vivo anche qui. Risiedo al Collegio di Merito Lucchini assieme alla mia bici. I compagni mi guardano un po’ come una mosca bianca. Da una parte fanno il tifo e dall’altra ogni tanto mi invidiano un po’, perché mi faccio cambiare le date degli esami (ride, ndr).

Come immagini la tua prossima stagione?

Sicuramente farò più gare su strada del 2024, perché comunque ho iniziato tardi per i problemi alla schiena. La prima corsa l’ho fatta ad aprile a Mouscron e l’ultima gara a fine giugno al Thuringen prima di rompermi il braccio (nel mezzo anche le prime vittorie al Giro del Mediterraneo in rosa, ndr). Quest’anno spero di riuscire a dare un po’ più di continuità alla stagione senza altri problemi fisici, così da riuscire a crescere con più continuità, che è quello che l’anno scorso mi è mancato e che potrebbe penso farmi migliorare tanto.

L’infortunio ti ha impedito anche di entrare in lizza per la pista alle Olimpiadi oppure era presto per pensarci quest’anno?

No, secondo me sarebbe stato presto (la voce tradisce un tremolio di esitazione, ndr) perché c’era già un gruppo formato e molto forte. Le ragazze si conoscevano bene e quindi penso che fosse giusto, visto che lavoravano già insieme da anni, che a Parigi andassero loro. Però sicuramente il mio obiettivo è quello di poterci andare tra quattro anni e certamente lavorerò per questo.

Venturelli ha lasciato la categoria juniores con il terzo posto nella crono iridata di Stirling 2023 e il titolo europeo
Venturelli ha lasciato la categoria juniores con il terzo posto nella crono iridata di Stirling 2023 e il titolo europeo
C’è un obiettivo minimo che potresti darti per il prossimo anno?

Non vedo degli obiettivi precisi a livello di gare, però quello che voglio fare è migliorare, lavorare di più e migliorare di più a cronometro. Quindi se si dovesse parlare di un obiettivo preciso, magari mi piacerebbe fare bene al campionato italiano o comunque gare che possano darmi la misura della crescita. Poi sicuramente un altro obiettivo, sempre pensando in generale, è quello di continuare a crescere e fare esperienza e sicuramente potrò farlo, grazie alla maggiore collaborazione del prossimo anno tra il Devo Team e la UAE Team Adq. Faremo un maggior numero di gare miste e il confronto è quello che fa crescere. E’ così in ogni ambito.

Inizia (con una vittoria) il sogno rosa di Longo Borghini

07.07.2024
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BRESCIA – A strappare la prima maglia rosa di questa edizione del Giro d’Italia Women è Elisa Longo Borghini. Le aspettative sono state rispettate, non senza qualche brivido visto il solo secondo di ritardo di Grace Brown. La Lidl-Trek piazza due atlete sul podio, dietro alle due già citate arriva l’australiana Brodie Chapman. Elisa Longo Borghini ha aspettato silenziosamente che tutte le atlete finissero la loro prova, visto che è stata una delle prime a prendere il via questa mattina. Un’attesa lunga che si scioglie in qualche lacrima di commozione a coronamento di un bel sogno che è solo all’inizio probabilmente. 

«In una cronometro – ha detto la neo maglia rosa in conferenza stampa – è abbastanza difficile capire come andranno le altre. Al primo intertempo dall’ammiraglia mi avevano detto di avere undici secondi su Kopecky, che sono diventati venticinque sul traguardo. Devo dire che quando Grace Brown ha tagliato il traguardo con quel colpo di reni, ma dietro di un solo secondo, ho detto: “ok ce la posso fare”. Poi è stata una lunga attesa fino alla fine».

Finalmente la maglia rosa

Il via del Giro d’Italia Women, il primo targato RCS Sport & Events, avviene da Piazza della Loggia. Nel centro della città, a cavallo tra la storia lontana e recente di Brescia, la più grande paura per le atlete arriva dal cielo. Le nuvole grigie scaricano qualche goccia nella mattinata, durante la ricognizione, ma danno tregua nel momento in cui la corsa prende ufficialmente il via. 

«Non ci si abitua mai – racconta – soprattutto se è una vittoria di questo calibro. Mai niente è scontato, devi sempre faticare per vincere. Dopo lo scorso anno questa maglia rosa sicuramente significa tanto e voglio ringraziare la mia squadra per il supporto. Ora andiamo avanti, la corsa è lunga ma abbiamo un piano per i prossimi giorni».

Alla domanda se dopo un secondo e un terzo posto questo possa essere l’anno giusto per portare la maglia rosa fino alla fine si concede un gesto di scaramanzia. «E’ un Giro lungo – analizza – che finisce a L’Aquila. Penso che sarà una bella settimana, ora non voglio pensare alla fine ma vivere giorno per giorno e fare del mio meglio ogni tappa. E’ anche bello approcciarsi ad una corsa in questa maniera perché mi permette di godermi questa benedetta maglia rosa». 

Di nuovo a cronometro

Longo Borghini si mette alle spalle la delusione di aver perso il titolo nazionale per una squalifica arrivata poco più di due settimane fa. Quella di Brescia è una cronometro che ha un sapore diverso, visto anche il solco scavato con le rivali per la classifica generale. La sconfitta di giornata è Lotte Kopecky, quinta sul traguardo, che paga 25 secondi nei 15,7 chilometri della prova odierna. Più di un secondo a chilometro. 

«Da qui alla fine il cammino sarà sicuramente lungo e in salita – spiega con una risata –  è vero le avversarie sono lontane. Però non bisogna mai abbassare la guardia, è un Giro d’Italia Women con tante frazioni che possono essere un tranello. Come detto la squadra qui è molto forte, per la Lidl-Trek non ci sono solamente io, ma c’è anche Gaia Realini

Le avversarie sono lontane, prima su tutte proprio Lotte Kpecky, ma il Giro è appena iniziato
Le avversarie sono lontane, prima su tutte proprio Lotte Kpecky, ma il Giro è appena iniziato

Sguardo a Parigi

Il percorso di questa seconda metà di stagione per Longo Borghini è iniziato con il Tour de Suisse, poi i campionati nazionali a cronometro e su strada. Da lì Elisa è andata in ritiro sul San Pellegrino sotto la guida del cittì Sangalli per preparare l’appuntamento olimpico.

«Da dopo il Giro, fino a Parigi – conclude – starò a casa tranquilla ad allenarmi. E’ stata una bellissima emozione essere convocata per la terza volta alle Olimpiadi. Oggi ci tenevo a fare bene, per dimostrare che a cronometro vado forte. E che a Parigi non partirò giusto per il gusto di farlo. La convocazione è anche un segnale del buon lavoro che abbiamo fatto insieme alla squadra. Siamo partiti da lontano, con tanto tempo passato nel velodromo e su strada ad allenarsi».

Colbrelli sale in ammiraglia: ha vinto il richiamo della strada

27.10.2023
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Al momento di salutare il ciclismo, Sonny Colbrelli fu categorico su un punto: non farò il direttore sportivo. Ma la vita, lui lo sa meglio di tanti altri, propone bivi inattesi, così la decisione di salire sull’ammiraglia del Team Bahrain Victorious un po’ stupisce e un po’ no. La squadra ha appena perso Alberto Volpi, ma soprattutto i dirigenti sono consapevoli del grande bagaglio di esperienze del bresciano e di quanto sarebbe utile ai loro corridori.

Rintracciamo Sonny mentre sta guidando alla volta di Milano, per un incontro promosso da Rudy Project sul tema della sicurezza. Volevamo sentirlo da qualche giorno per approfondire la sua scelta e capire che cosa potrebbe dare un atleta come lui, che con il duro lavoro era arrivato ai vertici mondiali, a ragazzi che combattono ogni giorno con il ritmo imposto da altri e una fatica sempre più grande.

«Non lo farò a tempo pieno – ride mettendo le mani avanti – perché ho tanti altri impegni, fra sponsor personali e sponsor del team. Però è giusto anche tenersi attivi. Per cui la settimana prossima andrò a fare l’esame da direttore sportivo e dal prossimo anno si comincia».

Colbrelli non sarà un diesse a tempo pieno: vuole passare più tempo in famiglia (foto Instagram)
Colbrelli non sarà un diesse a tempo pieno: vuole passare più tempo in famiglia (foto Instagram)
Te lo hanno proposto quando Volpi è andato via oppure è qualcosa cui già avevi pensato? 

Quest’anno ho fatto alcune gare e mi è piaciuto. Non voglio stare via troppo tempo perché già da corridore ho fatto tante rinunce per la famiglia e non voglio più veder crescere i miei figli dietro un telefono. Però dall’altra parte, questa avventura mi piace e penso sarà utile soprattutto per i giovani che intraprendono questa nuova esperienza del WorldTour. Che scoprono le classiche. Cercherò di portare loro un po’ della mia esperienza. 

Avete già stilato un calendario?

Non li abbiamo ancora definiti bene, ma credo che quasi sicuramente farò tutto il Belgio.

Come è fatto secondo te oggi il direttore sportivo ideale? 

Chi ha provato il ciclismo di adesso, che è ben diverso da quello di 7-10 anni fa, sa quanto si vada forte ultimamente. Sa quante rinunce e sacrifici bisogna fare più di un tempo e io l’ho provato sulla mia pelle. Anche se mi impegnavo al 100 per cento, dovevo avere sempre qualcosa in più per stare al passo con certi campioni cui magari riesce tutto facile come Pogacar o Van der Poel. Contro quella gente, se ti manca qualcosa e non sei al 110 per cento, non vai da nessuna parte. Me ne sono reso conto nel 2021, quando ho fatto l’anno della vita, vivendo praticamente in altura e curando l’alimentazione in modo quasi maniacale. Se parlate con un corridore di 10-15 anni, fatevi dire quante volte andava in altura in un anno. Una, forse due oppure non ci andava nemmeno. Oppure fatevi dire come mangiava, come impostava la giornata. Adesso il corridore è come un robot, fa tutto in modo schematico. Ha la sua tabella per sapere cosa deve mangiare, in gara e in allenamento. Tu devi solo pedalare, pensare a quello che stai facendo in gara. Al resto ci pensa lo staff.

Per lottare contro i grandi campioni (qui con Van Aert alla Het Nieuwsblad 2022) essere al 100 per cento non basta
Per lottare contro i grandi campioni (qui con Van Aert alla Het Nieuwsblad 2022) essere al 100 per cento non basta
E il direttore sportivo a cosa serve?

E’ quello che capisce il corridore. Si rende conto che se anche si impegna al 100 per cento, il risultato può non essere immediato. Però bisogna supportarlo, non bisogna fargli perdere la concentrazione, perché adesso se vai via di testa, sei spacciato e comprometti la stagione anche se fisicamente sei al 100 per cento. In questo ciclismo a volte serve più la testa delle gambe.

Secondo te in questa fase il direttore sportivo è più utile durante la corsa o in tutto ciò che c’è intorno alla corsa?

E’ difficile prevedere come va una corsa. Puoi anche fare la tattica, però dico sempre che non ho la Play Station per gestire i corridori. Basta vedere come si corrono le classiche. Forse solo la Sanremo ha un andamento lineare, nonostante i colpi di scena che possono esserci scendendo dal Turchino. Però di base il gruppo si spacca 4-5 tronconi e dopo si ricompatta sui Capi. Negli altri casi, abbiamo visto un’Amstel corsa a mille all’ora, il Fiandre, la Roubaix e la Liegi fatte subito pancia a terra. Non mi ricordo di aver visto di recente una Roubaix lineare.

Colbrelli è ambassador di vari marchi fra cui Merida e Vision: la bici della Roubaix è ancora infangata
Colbrelli è ambassador di vari marchi fra cui Merida e Vision: la bici della Roubaix è ancora infangata
Tempo fa dicesti che quando andavi alle corse ti si riapriva un po’ la ferita dell’aver smesso in quel modo…

La ferita c’è sempre ed è sempre viva, anche quando guardo una corsa. Vedo il punto chiave, perché guardarla quando sei stato corridore è tutta un’altra cosa. Vedi tutti i particolari, magari anche gli sbagli, o come si muove una squadra. La mia ferita è sempre aperta, non so quando si rimarginerà. Ci vorrà tempo come ogni cosa che in qualche modo ha lasciato un segno profondo.

Gazzoli torna, vince e racconta la rinascita

24.08.2023
6 min
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Dal freddo del Circolo Polare Artico a Caligola, che ti impedisce di respirare riempiendoti i polmoni di aria calda, il passo è breve. Michele Gazzoli è tornato dalla Norvegia lunedì, ora si allena a casa (Brescia) e fa i conti con il grande caldo. «Tra ieri e oggi (martedì e mercoledì, ndr) mi sono allenato poco, un po’ per recuperare e un po’ per il troppo caldo. Il termometro tocca i 39 gradi, non è proprio semplicissimo uscire. Giovedì che ho un lungo da fare uscirò presto, verso le 7, giusto per avere qualche ora di tregua».

Per Gazzoli è arrivata la prima vittoria da professionista, nella seconda tappa dell’Arctic Race of Norway
Per Gazzoli è arrivata la prima vittoria da professionista, nella seconda tappa dell’Arctic Race of Norway

Un cammino lungo 9 mesi

Il ritorno alle corse, nello specifico all’Arctic Race of Norway, è solo la punta dell’iceberg (perdonate il gioco di parole) di un 2023 che per Michele Gazzoli ha significato molto. 

«Devo ringraziare l’Astana all’infinito – dice subito – per aver lasciato accesa questa speranza di poter tornare con loro. Da “Vino” (Vinokurov, ndr) a Martinelli, ma non solo loro, tutta la squadra. Si era parlato di un mio ritorno in squadra già nei mesi precedenti al Giro d’Italia, ma durante la corsa rosa ho avuto la conferma che sarei tornato da loro».

Nei mesi invernali ha curato particolarmente la sessione in palestra, con lavori specifici
Nei mesi invernali ha curato particolarmente la sessione in palestra, con lavori specifici
Da quel momento hai iniziato la tua preparazione?

In realtà è da ottobre dello scorso anno che lavoravo e mi allenavo con l’intenzione di tornare a correre. Ho fatto quella che sarebbe stata una stagione normale, per fortuna, da un lato, senza la fretta di dover tornare competitivo fin da subito. 

Allora come è partita questa tua stagione?

Mi sono concentrato molto sulla palestra, facendo molti più lavori, ma dilatati nel tempo. Mi allenavo per due o tre volte a settimana, da metà ottobre a inizio gennaio. Ho lavorato molto con i pesi andando a curare quelle che potevano essere le mie lacune: principalmente forza ed esplosività. A gennaio mi è uscita una piccola ernia e mi sono dovuto fermare. La fortuna è stata che non dovendo correre da subito ho potuto aspettare e fare rientrare con calma questo piccolo problema. Se avessi avuto il panico e la fretta di tornare ad oggi, probabilmente, mi sarei portato dietro questo dolore. 

Con la bici quando hai iniziato ad allenarti?

Principalmente a febbraio e marzo, in quei mesi ho curato molto il fondo ed il volume, facendo tante uscite in Z2. Mi sono concentrato tanto su questa parte, allenandomi con continuità ed esclusivamente su strada, con qualche richiamo in palestra. 

Gli allenamenti non sono mancati, qui in un’uscita su strada con la nipote
Gli allenamenti non sono mancati, qui in un’uscita su strada con la nipote
Poi hai alzato il ritmo?

Ad aprile. Con l’inserimento di lavori specifici: soglia, fuori soglia, 20/20, forza. Questo fino a maggio, quando sono andato in ritiro a Livigno per 21 giorni. 

Come hai usato i giorni di ritiro?

In maniera un po’ diversa, siccome non avevo corse alle porte potevo osare di più. Ho usato quei 21 giorni per fare tanta fatica ed intensità. Durante la giornata uscivo con altri atleti, mi mettevo alla loro ruota e facevo fatica. 

Con chi ti sei allenato principalmente?

In ritiro ero con “Baro” (Filippo Baroncini, ndr). E’ un mio grande amico, anche e soprattutto al di fuori della bici. Siamo davvero molto legati. 

Il primo ritiro a Livigno lo ha fatto insieme all’amico Baroncini, i due hanno condiviso tante esperienze tra cui il mondiale di Leuven vinto da “Baro”
Il primo ritiro a Livigno lo ha fatto insieme all’amico Baroncini, i due hanno condiviso tante esperienze tra cui il mondiale di Leuven vinto da “Baro”
Il tuo livello in quel periodo com’era?

Secondo me buono, sarei stato quasi pronto per gareggiare. Alla fine nei mesi precedenti ho lavorato tanto e bene, la classica fase di “costruzione” è stata soddisfacente. 

Una volta tornato giù?

Mi sono allenato ancora per una settimana, qualcosa meno e poi ho staccato per qualche giorno. Nel periodo in cui sono tornato a casa faceva un caldo tremendo, quindi ho preferito ridurre le ore di allenamento. Meno volume e più intensità, con qualche doppietta. 

Quando hai saputo che saresti tornato a correre alla Arctic Race?

Un mese prima dell’inizio della gara. In realtà non ero sicuro sarei andato a correre lì, il dubbio era tra Norvegia e Burgos. 

Gazzoli ha condiviso il ritorno in corsa con il suo compagno di squadra e amico Scaroni, aiutandolo a conquistare il podio finale
Gazzoli ha condiviso il ritorno in corsa con il suo compagno di squadra e amico Scaroni, aiutandolo a conquistare il podio finale
Come ti sei preparato per il ritorno in corsa?

Con un secondo ritiro in altura, dal 25 luglio all’8 agosto, una quindicina di giorni. Anche perché trovare un buco a Livigno in quel periodo era praticamente impossibile. Gli allenamenti non sono stati tanti diversi da quelli del primo ritiro. Sono rimasto sui miei valori, senza esagerare, e le sensazioni erano davvero ottime. 

Che sensazioni hai provato al ritorno alle gare?

Quando mi hanno detto che avrei corso è stato gratificante. Ma la cosa migliore è stata riattaccare il numero, andare al foglio firma… Insomma rivivere tutta la routine delle gare. Ho avuto anche la fortuna di aver condiviso questo momento con molti amici: Colleoni, Baroncini, Scaroni. Tutti ragazzi che conosco bene e che sono dei grandi amici

Ed è arrivata anche la prima vittoria da professionista…

Avere questo anno “sabbatico” obbligato mi ha aiutato a estraniarmi da quella sensazione di rincorsa che avevo. Mi trovavo ad essere frenetico e poco sereno, ma non mi accorgevo. Ripartire da zero mi ha permesso di cogliere quello che mi mancava. La vittoria è quella cosa che sai può arrivare, ma quando arriva poi ti sorprende sempre. 

A Gazzoli sono mancati i piccoli momenti della corsa: come il foglio firma e attaccare il numero sulla maglia
A Gazzoli sono mancati i piccoli momenti della corsa: come il foglio firma e attaccare il numero sulla maglia
E cosa ti mancava?

A questa domanda posso rispondere con una frase del film di Arnold Schwarzenegger: “un lupo che scala una collina ha molta più fame del lupo che sta sopra la collina”. Io scalando quella collina mi sono reso conto di avere una fame che mi faceva vedere solo un obiettivo: quel 10 di agosto. 

Quanto ti mancava correre?

Tantissimo, sono un animale da competizione. E’ stato bello ritornare e farlo con l’Astana. Con loro ho un ottimo rapporto e se sono qui è merito di tutta la squadra, non smetterò mai di ringraziarli e farò di tutto per ripagarli. Scusate se sono stato lungo, ma dopo un anno avevo tante cose da dire…

E’ stato un piacere ascoltarti, ci vediamo alle corse.

A presto!

Davide Martinelli: consigliere, aiutante e un po’ diesse

29.07.2023
5 min
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Davide Martinelli ha già spedito la valigia in Polonia giovedì, destinazione Poznan, sede di partenza dell’80° Tour de Pologne. L’Astana-Qazaqstan ha allestito una squadra giovane, nella quale è stata inserita un po’ di esperienza, tra cui quella del bresciano (nella foto di apertura alla presentazione delle squadre di venerdì). 

«Sono rientrato da poco dall’altura – ci aveva detto poco prima di partire per la Polonia – ho fatto una quindicina di giorni nelle zona di Brescia. Riprendo le gare dopo un mese di assenza (il Baloise Belgium Tour, sua ultima corsa, era terminato il 18 giugno, ndr). Ormai siamo a stagione inoltrata, quindi una volta rientrato in corsa, le sensazioni saranno diverse rispetto a quelle degli allenamenti».

Martinelli torna in gara al Tour de Pologne dopo più di un mese a casa
Martinelli torna in gara al Tour de Pologne dopo più di un mese a casa
Si diceva potessi fare il Tour de France come parte del treno di Cavendish

Era un’ipotesi molto remota di cui si era parlato con la squadra. La verità è che non è stata un’esclusione, non mi aspettavo di partecipare al Tour. “Cav” ha il suo zoccolo duro di uomini di fiducia, è difficile inserirsi. 

Sei al Polonia per preparare la Vuelta? 

E’ una corsa davvero molto dura, dove la squadra viene decisa sempre un po’ all’ultimo perché bisogna fare i conti con le energie rimaste. Il caldo non mi fa impazzire e alla Vuelta è tanto, potrebbe non essere una situazione ottimale. 

Rischia di essere una stagione senza grandi Giri, sei dispiaciuto?

Non troppo. Ci sono molte corse, anche di una settimana, proprio come il Tour de Pologne, che aiutano a mettere insieme tanti giorni di gara. Un grande Giro è certamente una vetrina importante, nella quale però si accumula molto stress ed una fatica mentale e fisica non indifferente. Ti porta davvero al limite. 

Per Martinelli durante le gare tanti avanti e indietro dall’ammiraglia per dare supporto ai compagni
Per Martinelli durante le gare tanti avanti e indietro dall’ammiraglia per dare supporto ai compagni
A 30 anni che tipo di corridore senti di essere?

Uno che dà supporto ed apporto alla squadra, in ogni gruppo ci sono i leader e chi li aiuta a performare al meglio. Ho fatto una prima parte di stagione accanto ai capitani della nostra squadra. Mi sono accorto di essere un corridore che ha un buon colpo d’occhio, anche alla Quick Step, a inizio carriera svolgevo questo ruolo.

Ti piace?

In gruppo ci sono i leader e gli ultimi uomini, poi c’è un universo dietro che è quello dei gregari. Quelli che fanno il “lavoro sporco”, vanno a prendere la borraccia in ammiraglia, tirano fin dai primi chilometri, in TV non si vedono. 

Nei grandi Giri, con le dirette integrali, sì.

E’ vero, lì c’è l’occasione, ma non corro per farmi vedere a casa. I diesse vedono tutti gli aspetti del corridore, sia quando è in bici sia quando è fuori dalle corse. 

La felicità di Martinelli passa anche dalla vittoria dei compagni di squadra, come quella di Velasco alla Valenciana
La felicità di Martinelli passa anche dalla vittoria dei compagni di squadra, come quella di Velasco alla Valenciana
Che tipo di corridore sei lontano dalle corse?

Mi piace essere di supporto ai ragazzi giovani, aiutarli a crescere ed in particolare mi piace dare supporto ai compagni di squadra, dando qualche parola di conforto quando ce n’è bisogno. Diciamo che con la figura di mio padre (Giuseppe Martinelli, ndr), mi ha portato ad avere già la mentalità da diesse (ride, ndr). 

Ti è dispiaciuto non essere stato al Giro a goderti la vittoria di Cavendish?

Essere parte della squadra quando si raccoglie qualcosa è bello, ricevi quel “grazie” che arriva dal profondo del cuore e ti senti bene. Quest’anno mi è capitato con Lutsenko all’UAE Tour, ha vinto in una giornata molto calda. Io gli sono stato vicino portandogli le borracce, il ghiaccio… La felicità del post tappa è qualcosa che ti rimane dentro. 

E per la vittoria di “Cav” a Roma?

Sei parte della squadra anche quando non sei direttamente in gara. Quando un mio compagno vince sono sempre felice. La vittoria di Velasco alla Valenciana è un esempio. Noi eravamo dall’altra parte del mondo, al Saudi Tour. La felicità che abbiamo provato nel sapere del suo successo è stata uguale a quella che avremmo provato stando lì. 

Martinelli si trovo molto bene anche con i giovani come Garofoli (qui in foto), ai quali cerca di essere di supporto (foto Instagram)
Martinelli si trovo molto bene anche con i giovani come Garofoli (qui in foto), ai quali cerca di essere di supporto (foto Instagram)
Dicevi di trovarti bene con i giovani, da voi in Astana ce ne sono molti, anche italiani…

Mi piace condividere la mia esperienza con loro. Ad inizio anno sono andato in ritiro con Garofoli, prima ancora del ritiro ufficiale di squadra. Abbiamo pedalato insieme e parlato molto, mi piace aiutarli perché non voglio far ripetere loro i miei stessi errori. Quando sei giovane hai tanta euforia e vorresti strafare, invece devi essere capace di fermarti ogni tanto. 

Che giorni sono stati quelli insieme a Garofoli?

Eravamo insieme prima del ritiro di Calpe, sapevo che poi avremmo pedalato tanto una volta in Spagna, così nei giorni insieme gli ho consigliato di non esagerare con gli allenamenti. I corridori sono cocciuti, tutti, e a volte credono che vuoi remargli contro, bisogna essere bravi con le parole. Ve l’ho detto, un po’ la mentalità da diesse ce l’ho già. 

L’intervista con Davide Martinelli si chiude con un’altra risata. Oggi parte il Tour de Pologne e il bresciano sarà accanto a tanti giovani, pronto a spendere una parola per loro…

Rileggiamo con coach Pagani il blackout di Colbrelli

15.01.2023
7 min
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Adesso che piano piano Colbrelli inizia a farsene una ragione, proprio adesso si comprende quanto sia stato psicologicamente enorme quello che gli è capitato. Nel giorno di quella famosa conferenza stampa di metà novembre, Sonny rese merito pubblicamente alla sua mental coach.

«Mi ha fatto capire quanto valgo – disse il bresciano, in apertura nella foto Bahrain Victorious – e che sono più forte di quanto pensassi. Ho capito che posso fare cose importanti anche non essendo più un corridore. Ora la vedo così, magari domani mi chiudo nei miei silenzi. Non è facile».

Il tramite di Pozzato

Paola Pagani è di Como, ma vive a Bergamo. Conobbe Colbrelli nel 2019 per l’intuizione di Pozzato, che con lei aveva collaborato attorno al 2013, in uno dei momenti più faticosi della sua carriera. Fu Pippo a intuire che Sonny fosse pronto per il salto di qualità e avesse solo bisogno di sgombrarsi la testa. E così andò. Le vittorie del tricolore, del campionato europeo e della Roubaix del 2021 facevano pensare che il lavoro stesse dando ottimi frutti e che la carriera sarebbe stata un continuo crescendo, invece di colpo all’inizio del 2022, tutto si fermò. Il cuore e la sua strada.

«E’ durissima – spiega la mental coach – per un ciclista come Sonny, come per chiunque arrivi veramente ai vertici della propria carriera, precipitare bruscamente a terra, per qualcosa che non dipende assolutamente da lui. Sonny ha dovuto ovviamente mettere la testa su tutto quello che può ancora fare, grazie al fatto che è riuscito a farcela. Ma sopravvivere all’inizio è stato veramente difficile. Stavamo programmando il 2022 e doveva essere una stagione coi fiocchi. Voleva riconfermarsi per dimostrare che effettivamente il 2021 non era stato un caso».

Il 2022 era iniziato per Colbrelli nel migliore dei modi, con il secondo posto alla Omloop Het Nieuwsblad
Il 2022 era iniziato per Colbrelli nel migliore dei modi, con il secondo posto alla Omloop Het Nieuwsblad
Stamattina abbiamo intervistato un corridore di 32 anni (Villella, ndr), rimasto senza squadra, ed è lì che spacca in quattro il capello per capire chi abbia sbagliato e perché.

Qui però è un po’ diverso. Il ragazzo che a 32 anni smette di andare in bici perché non ha una squadra, può fare una sorta di analisi su se stesso, per capire quello che è stato fatto e quello che non ha funzionato. Oppure può indagare sulla mentalità che ha avuto e che gli ha impedito di arrivare ai risultati. Per Sonny è diverso, perché lui stava facendo tutto bene e una squadra ce l’aveva. Si è trattato di affrontare qualcosa su cui non aveva nessun tipo di controllo. Il ragazzo che smette a 32 anni forse qualche responsabilità la può avere. Magari poteva fare qualche gara impegnandosi di più. Oppure, se si è impegnato, poteva iniziare a lavorare sulla sua mentalità, per essere un campione che sfruttasse i suoi talenti molto più di quanto li ha sfruttati lui.

Invece Sonny?

Sonny non ha avuto nessun problema per le sue abilità e questo rende tutto meno gestibile. Nel senso che non hai nulla su cui ragionare. E’ passato dal correre normalmente al rischio di morire. Mi ricordo benissimo la gara in Spagna. Facevo il tifo alla televisione. L’ho incitato, dopodiché mi sono allontanata e dopo mezz’ora mi son trovata con messaggi che arrivavano dappertutto su cosa gli fosse successo…

Come si fronteggia l’imprevisto?

Non c’è nessun tipo di controllo su certe cose che spesso ci possono succedere. Perciò dobbiamo essere abbastanza forti da riuscire a rialzarci e a reinventarci una strada diversa dalla precedente. Per continuare ad essere le persone spettacolari che comunque restiamo, perché Sonny era spettacolare come ciclista e può essere spettacolare giù dalla bicicletta. E’ difficile. Quando sei abituato a essere un campione e la tua vita ruota intorno alla bici, è difficile mollare tutto.

Tanto che per un po’ ha pensato di tornare…

Sonny ha smesso di pensare di poter tornare a correre quando ormai era chiaro che non gli avrebbero dato il nullaosta. Per correre hai bisogno dell’idoneità. Eriksen gioca a calcio, fa goal e vince partite, però si muove su un campo molto più ristretto rispetto ai ciclisti. Quindi è anche comprensibile che l’UCI non acconsenta.

Come si passa dal preparare le grandi classiche ad allenarsi per sopravvere?

Si tratta di gestire la mente di un atleta che si prepara per vincere e dall’altra parte di un uomo che si deve rialzare. Per me è sempre una gara, ma più difficile: diversa. E’ una competizione sconosciuta, nel senso che una persona abituata a fare gare, sa com’è la gara. Sa quali sono le emozioni collegate alla gara, sa cosa significa vincere e sa cosa significa perdere. Quando invece ti trovi ad affrontare qualcosa totalmente sconosciuto, diventa tutto più difficile. Però essendo una competizione, dicevo sempre a Sonny che questa era la più importante della vita. Si trattava di rialzarsi e tornare in sella su un altro tipo di bicicletta.

Si lavora molto sulle motivazioni?

C’è l’aspetto motivazionale, ma soprattutto un aspetto molto personale per capire che la persona ha un valore e un talento legati non soltanto alla bravura come corridore, ma alla persona. E quei talenti si possono usare in un altro modo, in altri campi.

E’ stato Pozzato, qui a sinistra, a consigliare a Colbrelli di farsi seguire da Paola Pagani
E’ stato Pozzato, qui a sinistra, a consigliare a Colbrelli di farsi seguire da Paola Pagani
Sono dinamiche di vita che accadono spesso?

E’ una casistica molto diffusa. Dico a tutte le persone con cui lavoro che “la vita succede per noi”. E quindi in ogni caso, che vada bene o che vada male, comunque succede per noi. Se va bene, celebriamo e stappiamo lo champagne. Se invece non va come vogliamo, dobbiamo trovare cosa c’è di buono in quello che è successo.

E come si fa?

La domanda che faccio sempre è se quello che di negativo ti è successo non sia in realtà la cosa migliore che ti potesse capitare, quello di cui avevi proprio bisogno. E’ ovvio che quando lo dici a qualcuno che era in vetta e improvvisamente si trova ai piedi della montagna, senza neanche capire come abbia fatto a scivolare giù, non sono domande facili da accettare. Però quando ti fermi un attimo e inizi a pensare e a riprenderti, inizi a vedere le cose in una prospettiva diversa. E allora puoi anche rialzarti e reinventarti in modi anche migliori rispetto a quanto immaginavi. Perché noi non sappiamo effettivamente cosa ci può riservare la vita, però l’importante è usare quello che la vita ci dà per creare la vita che vogliamo. 

A un certo punto Sonny ha cominciato a dire che sarebbe potuta andargli molto peggio…

Certo, assolutamente. L’ho fatto sempre riflettere sul fatto che comunque lui è stato preso per i capelli, perché ci sono state tante circostanze che hanno giocato a suo favore. A quest’ora poteva anche non esserci più. E’ stato salvato, ha una famiglia splendida e comunque quello che gli è successo è capitato all’apice della sua carriera. C’è tanta gente che ancora lo cerca, tanta gente ancora che lo apprezza. Quindi è anche uno dei momenti migliori per potersi reinventare. Non è come quando cadi e sei già nell’oblio, allora certo è più difficile. Ma il suo cammino è ancora lungo e ha le gambe per farlo.

Ecco la prima immagine, tratta da Instagram, pubblicata da Sonny il 5 aprile dopo il malore spagnolo
Ecco la prima immagine, tratta da Instagram, pubblicata da Sonny il 5 aprile dopo il malore spagnolo
E’ stato faticoso riprendersi?

E’ stato molto faticoso. Caspita, mettiamoci nei suoi panni. Dal pomeriggio alla sera ti si cambia completamente la vita. Hai 32 anni. Sei giovanissimo. Pensi di aver davanti ancora 3-4-5 anni per poter fare ai massimi livelli la professione che ami e che adori. E improvvisamente tutto ti cambia per qualcosa che non capisci. Però è stato bravissimo, assolutamente.

Torna il Trofeo Baracchi, la grande storia riparte

18.05.2022
4 min
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C’era un tempo in cui esistevano eventi che erano qualcosa più di semplici corse, competizioni, gare. C’era un tempo in cui la gara era sì accesa, ambita, combattuta, sognata, ma era quasi una scusa per ritrovarsi, salutarsi, abbracciarsi, dirsi arrivederci, condividere passioni, gioie, dolori, professionali e personali. Tra queste c’era il Trofeo Baracchi, una cronometro a coppie che si disputava su una distanza di 100 chilometri e di fatto concludeva la stagione ciclistica (in apertura, Moser e Hinault nell’edizione del 1984). Un ultimo giorno di scuola prima dell’inverno, della lunga sosta, prima che la stessa combriccola si rivedesse in Riviera, per il Laigueglia e la Sanremo.

Fu Giacomo Baracchi, detto “Mino” a inventare e tracciare il percorso della cronocoppie
Fu Giacomo Baracchi, detto “Mino” a inventare e tracciare il percorso della cronocoppie

Le Capitali della Cultura

L’ultima edizione di questa corsa, inventata dal commerciante bergamasco Mino Baracchi nel 1949, si disputò nel 1991, ma nel 2023 finalmente tornerà. La competizione si disputerà con la stessa formula della crono a coppie, sarà riservata ai professionisti e alle donne su un percorso che unirà Bergamo a Brescia. Le due città, cugine e rivali, saranno unite dal fatto che l’anno prossimo saranno Capitali della Cultura.

Ecco, la gara diventa motivo per condividere, scambiare, fondere, unire, appassionare. I nostalgici, i vecchi amanti della bicicletta cresciuti con Coppi e Bartali torneranno ad assaporare il gusto dolce del ciclismo di un tempo. I giovani, quelli nati sotto la stella di Pantani, di Nibali o di Ganna potranno innamorarsi ancora un po’ di più del ciclismo e comprenderne le radici più profonde, poi fiorite fino ai giorni nostri.

Nel 1953 Fausto Coppi e iridato e vince il Baracchi assieme a Riccardo Filippi (foto Miroir du Cyclisme)
Nel 1953 Fausto Coppi e iridato e vince il Baracchi assieme a Riccardo Filippi (foto Miroir du Cyclisme)

Lo zampino di Stanga

A volere il ritorno del mitico “Baracchi” sono stati Gianluigi Stanga, presidente dell’Unione Ciclistica Bergamasca; Beppe Manenti, organizzatore della Granfondo Felice Gimondi e Mario Morotti che di Mino Baracchi fu una sorta di braccio destro.

Tanti i campioni che vinsero il trofeo come Coppi, Motta, Anquetil, Merckx, Gimondi Baldini. La corsa si disputava il 1° novembre o il 4 perché erano due giorni simbolici: Ognissanti o quella che un tempo era la festa dell’Unità Nazionale. Una “trovata” da vero commerciante quella di Baracchi che voleva i fari puntati sulla corsa e sulla sua Bergamo. E così era, ogni anno, sempre un po’ di più, nonostante qualche aggiustamento sull’organizzazione, il percorso, i partecipanti.

Bergamo era il cuore della corsa con l’arrivo al velodromo di Dalmine che fungeva da grande palcoscenico, ma al tramonto della sua epopea si svolse anche in Trentino e in Toscana.

Nel 1979 Moser vince il Baracchi con Saronni: Francesco vanta 5 successi
Nel 1979 Moser vince il Baracchi con Saronni: Francesco vanta 5 successi (foto Miroir du Cyclisme)

Moser e Saronni

Non si disputò nemmeno sempre a coppie, ad esempio l’ultima edizione fu individuale e vinse Tony Rominger. Migliaia di persone, complice proprio il giorno di festa, si riversavano sulle strade per applaudire i propri campioni, soprattutto nell’epoca in cui le televisioni non esistevano e le radio narravano le gesta al Giro o al Tour, con i tifosi che dovevano immaginare, sognare, disegnare, fantasticare il volto di Coppi, le gambe di Bartali, le smorfie di Magni. Una corsa matta, folle, folkloristica, dove non sempre vinceva il più forte nelle gambe, ma il più forte nella testa.

Nei giorni scorsi Bergamo ha omaggiato Mino Baracchi in occasione dei 100 anni della sua nascita (l’ideatore è morto nel 2012, all’alba dei 90 anni) con Francesco Moser e Giuseppe Saronni ospiti d’onore. I due acerrimi rivali corsero insieme il trofeo nel 1979 e lo vinsero, anche in quel caso con qualche frecciatina in corsa. Baracchi che unì persino loro nonostante le iniziali perplessità, unirà anche Bergamo e Brescia per una nuova era, ci auspichiamo, ricca di altri aneddoti ed emozioni.

Visit Brescia, ciclabili e itinerari tra le bellezze della provincia

02.05.2022
5 min
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Centinaia di chilometri di piste ciclabili tra le più belle d’Italia e itinerari di ogni tipo per appassionati delle due ruote. La provincia di Brescia è pronta ad ospitare ciclisti e turisti in sella da tutto il mondo. Il territorio è bike friendly e su misura per le bici e le famiglie. 

Visit Brescia racchiude un ecosistema per le escursioni e le vacanze per chi vuole scoprire la storia, l’enogastronomia e i percorsi di un luogo ricco di tutto ciò. Passi come Tonale, Gavia e Mortirolo, che hanno scritto la storia del Giro d’Italia. Ciclabili con panorami mozzafiato ed escursioni tra le vigne della Franciacorta, il tutto a misura di bici. 

La pista ciclabile sul lago di Garda è stata inaugurata nel 2018
La pista ciclabile sul lago di Garda è stata inaugurata nel 2018

Piste ciclabili

Considerata la passerella più spettacolare d’Europa, la ciclopedonale sospesa del Garda è un vero e proprio gioiello italiano. Due chilometri di passeggiata per due ruote a picco sul lago da Limone sul Garda a Riva del Garda. Una piccola escursione per famiglie, cicloamatori che vogliono godersi un’esperienza unica in totale sicurezza. Percorribile anche di notte, il tragitto è slow, visto anche il limite di 10 km/h.

Da un’eccellenza all’altra, la Ciclovia dell’Oglio è un’altra passeggiata per biciclette unica nel suo genere. Eletta la ciclabile più bella d’Italia agli Italian Green Road Awards 2019, gli Oscar italiani del cicloturismo.

Dai 1.883 metri del Passo del Tonale al Po. Questo percorso si snoda attraverso l’area Unesco delle Incisioni Rupestri della Valle Camonica, costeggia il lago d’Iseo, per poi continuare tra i vigneti della Franciacorta, fendendo la pianura bresciana e costeggiando il lungofiume del Po. E’ adatto a vacanze in sella di più giorni e presenta una rete di strutture adibite ad ospitare i cicloturisti. 

Gli itinerari sono per cicloturisti esperti ma anche per famiglie
Gli itinerari sono per cicloturisti esperti ma anche per famiglie

A ciascuno il suo percorso

La Greenway delle Valli Resilienti si snoda fra Valle Trompia e Valle Sabbia e le collega con Brescia.  Un grande circuito ciclabile nel cuore delle Prealpi bresciane, nato per soddisfare lo spirito sportivo e adrenalinico di ciclisti di qualsiasi specialità e livello. La tracciatura tocca molti punti di interesse storico, culturale, naturalistico, enogastronomico. E’ supportato da oltre 20 strutture ricettive bike friendly con possibilità di noleggio, riparazione biciclette e servizio di guide turistiche e accompagnatori.

La Greenway delle Valli Resilienti è adatta a qualunque biker, con oltre 1.400 chilometri di tracciato suddivisi in decine di percorsi per tutte le difficoltà. Ci sono anche escursioni dedicate per bici da strada con oltre ventisei tour da scoprire. Inoltre sono disponibili mappe degli itinerari, tracciati GPX, punti di ricarica per e-bike e luoghi in cui mangiare e dormire. Il tutto consultabile sul sito www.greenwayvalliresilienti.it

Percorsi tra le vigne della Franciacorta per pedalare e assaporare il territorio
Percorsi tra le vigne della Franciacorta per pedalare e assaporare il territorio

Tra le vigne

Sei itinerari eno-ciclo-turistici tra le vigne della Franciacorta, le campagne e i borghi della Valtenesi. Facilmente distinguibili, i percorsi sono mappati e contrassegnati da un colore specifico. Giallo per il Franciacorta Satén che ha come start Iseo. Blu per Franciacorta Pas Dosé con partenza dall’Abbazia di Rodengo Saiano. Verde per Franciacorta Brut che parte da Clusane, rosso Franciacorta Rosé da Erbusco. Nero per Franciacorta Extra Brut da Piazza della Loggia a Brescia, e infine quello bianco Franciacorta Millesimato da Iseo.

Ad affiancare gli itinerari ci sono agriturismi, alberghi e punti di ristoro attrezzati per ricevere i cicloturisti e dare loro l’adeguata assistenza. Una fitta rete di strutture pronte ad ospitare ciclisti e accompagnatori per rendere il soggiorno e l’esperienza indimenticabili.

Dal lago alla montagna tra la flora e la fauna delle Alpi
Dal lago alla montagna tra la flora e la fauna delle Alpi

I passi del Giro

Non solo paesaggi mozzafiato ed enogastronomia. La provincia di Brescia offre anche strade che portano ad affrontare i mitici passi che hanno fatto la storia del ciclismo attraverso il Giro d’Italia e non solo. Gavia, Tonale e Mortirolo. 

In Valle Camonica, il mitico Passo del Tonale è un punto di riferimento assoluto per gli appassionati di ciclismo. Sul confine tra il territorio bresciano e quello trentino, è accompagnato dalla cornice panoramica naturale del gruppo del Castellaccio, dal Monte Serodine e dalla Val Narcanello.

Anche quest’anno il Giro d’Italia attraverserà la provincia di Brescia
Anche quest’anno il Giro d’Italia attraverserà la provincia di Brescia

Il Passo Gavia tappa quasi fissa della corsa rosa, fin dalla storica edizione del 1960. Con pendenze del sedici per cento per raggiungere la vertiginosa quota di 2.621 metri, tra tornanti e panorami con scorci sulle valli di Pezzo, di Viso e delle Messi. 

Infine il Passo del Mortirolo, ambito traguardo per i ciclisti più allenati. Pascoli, baite e boschi offrono il contesto naturale a un tragitto faticoso ma affascinante, che si conclude sul confine tra le province di Brescia e Sondrio. Il Passo del Mortirolo, che non si tingeva di rosa dal 2017, sarà protagonista del Giro d’Italia 2022 nella 16^ tappa prevista per martedì 24 maggio.

VisitBrescia