Il “vecchio” fondo medio sta scomparendo?

04.03.2023
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Si parla sempre più di base e di lavori intensi. Ormai questo andazzo sta prendendo piede anche in altri sport di endurance, vedi la corsa a piedi e lo sci di fondo. Ma quando poi si sente un giovanissimo come Pietro Mattio parlare di tanti più chilometri fatti in modo lento e altresì di alte intensità allora il dubbio diventa più che una certezza.

Alessandro Malaguti, coach del Team Technipes #inEmiliaRomagna, è l’interlocutore per verificare se i nostri dubbi sono legittimi o meno. E tutto sommato a conti fatti la nostra osservazione non è stata poi così illegittima.

Alessandro Malaguti, con i suoi ragazzi della Technipes-inEmiliaRomagna
Alessandro Malaguti, con i suoi ragazzi della Technipes-inEmiliaRomagna
Alessandro, sta scomparendo il “vecchio” fondo medio? Quelle sessioni da 10′-20′ a ritmi piuttosto impegnativi di una volta…

Che domandone! In realtà no, non sta scomparendo, ma le cose stanno cambiando e sicuramente il  focus è più spostato sui lavori intensi. Si lavora molto intorno al VO2Max, soglia… Se parliamo di atleti professionisti e dilettanti in realtà il medio lo fanno di default, se così si può dire. 

Cioè?

Nel senso che quando vanno via regolari e devono fare una salita tranquilli, questa la fanno al medio. E’ la classica distanza regolare. Se poi per medio intendiamo il vecchio medio in pianura, di quello sì: se ne fa molto meno.

E perché?

Perché in realtà qualitativamente parlando non danno un miglioramento così significativo. Non è un allenamento di grande qualità. Poi adesso c’è questa storia della Z2, che dà la massima attivazione enzimatica, la miglior sintesi mitocondriale… Può essere una moda, oppure no, però ci sono degli studi al riguardo e funziona. Personalmente però non sono di quelli che “scoprono l’acqua calda” e io un po’ di vecchio medio lo inserisco nelle preparazioni… e nonostante tutto credo di essere tra coloro che ne fa fare meno. Mi ritengo un tecnico di nuova generazione e quindi tanta intensità e “poco” volume. Il che va anche bene, ma ogni tanto l’uscita in cui c’è anche del medio la metto in programma.

Il medio in pianura si fa di meno, se ne fa di più in salita
Il medio in pianura si fa di meno, se ne fa di più in salita
Poi forse dipenderà anche dall’atleta che si ha di fronte?

Esatto. Va considerato che ci sono degli atleti che vanno sempre al risparmio, e devi spronarli, ed altri che invece devi frenare.

Una volta il medio, almeno in certe fasi della stagione era forse il 70% dell’intensità dell’arco di ore di allenamento settimanale, ora molto meno…

Torniamo al discorso di prima: non è un allenamento che, qualitativamente parlando, ti dà qualcosa in più. Alla fine si è visto che la Z2 ha quasi lo stesso effetto con un consumo inferiore, anche un consumo mentale. Che poi in realtà parlare di zone di lavoro, magari dirò un’eresia, non è neanche così corretto. Servono ai tecnici per avere dei riferimenti, dei parametri di lavoro. In realtà quando voglio far fare ad un mio atleta dei lavori di qualità, sulla famosa FTP mi ci baso poco. Preferisco fare riferimento alla potenza relativa, cioè alla potenza che quell’atleta può tenere per quel tempo. E lavoro attorno a quello. Se voglio lavorare sui 20′, insisto su quelli e lavorerò sul suo massimale. Che poi se insisto su quello di riflesso migliora anche l’endurance (il concetto è: sono abituato a spingere di più che quando vado piano consumo meno, dr).

Oggi conoscenze e dati sempre più accurati consentono di lavorare con precisione totale (e consapevolezza)
Oggi conoscenze e dati sempre più accurati consentono di lavorare con precisione totale (e consapevolezza)
Strumenti sempre più avanzati aiutano nell’individuare le varie zone? Cioè si lavora su altre intensità anche perché si può essere più precisi?

Assolutamente sì. La differenza grossa che ci hanno dato il potenziometro, i metabolimetri, la  variabilità cardiaca, gli anelli che misurano la HR e altri strumenti… ci danno la possibilità di lavorare sempre più al millimetro. E con la conoscenza che va avanti, ci si è accorti che è inutile andare a stressare gli atleti con dei volumi esagerati. All’inizio negli anni ’90 si lavorava col cardiofrequenzimetro e basta, dov’era il suo limite? Che per fare dei lavori molto intensi,  quei dati erano legati a fattori esterni: stanchezza, stress, vento… tutto ciò portava ad avere dei parametri fondamentalmente sballati. Okay, l’atleta evoluto si conosceva un po’ meglio, ma tutte quelle conoscenze erano empiriche. 

Oggi tutto è più certo.

La differenza è che oggi abbiamo dei valori misurabili e sicuri. Prendiamo le prove del lattato, per esempio, io ho misure certe del mio atleta. So esattamente come andrà in quel momento. Adesso le cronometro, l’esempio più pratico che abbiamo, sono matematica pura. Prima di iniziare, tra meteo, percorso, i suoi valori di stanchezza e quant’altro conosco il tempo che farà l’atleta con errori di pochi secondi, ovviamente al netto di forature, cadute…