Caro Aleotti, è arrivato il momento di alzare la voce

28.10.2022
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A proposito di giovani italiani che potrebbero iniziare a dire la loro, alle porte di Bologna c’è Giovanni Aleotti che, fra Covid e acciacchi, ha chiuso una stagione da 53 giorni di corsa. In questo lasso di tempo, ha aiutato Hindley a vincere il Giro d’Italia, vincendo a sua volta il Sibiu Tour per il secondo anno consecutivo. Toppo poco? Giusto così? Sentiamo cosa ne pensa il diretto interessato.

«Alla fine è stato un anno positivo – dice – magari mi aspettavo un po’ di più dalla prima parte di stagione, però ho avuto un po’ di problemi e non è iniziata benissimo. Finito il primo ritiro a Mallorca, ho preso il Covid e sono stato una settimana da solo nella stanza dell’hotel. Poi ci ho messo un po’ per tornare in condizione, sono stato anche in altura invece alla Sanremo ho preso la bronchite e ho finito la corsa che avevo già la febbre. Insomma, mi sono portato avanti questi problemi fino al Giro, poi piano piano le cose hanno iniziato a migliorare. Ho vinto a Sibiu. Ho fatto il Polonia e in Canada ho fatto forse la mia prestazione migliore della stagione, soprattutto visto il livello e il fatto che era la settimana prima del mondiale».

Aleotti a Sibiu ha vinto l’arrivo in salita e la cronoscalata: il più forte era lui (foto Bora Hansgrohe)
Aleotti a Sibiu ha vinto l’arrivo in salita e la cronoscalata: il più forte era lui (foto Bora Hansgrohe)
Un Giro per lavorare.

Ci sono arrivato senza avere la base. Ho dovuto saltare l’altura perché era programmata quando ho avuto la bronchite. Ho saltato la Coppi e Bartali, che comunque sarebbe stata una corsa di più nelle gambe e, nonostante tutto, sono riuscito a fare il mio Giro, che abbiamo vinto e che mi ha dato la spinta per ripartire bene.

Si pensa che voi giovani italiani dovreste spingere più forte per uscire…

In questa squadra, io mi sento veramente a casa. Sia con il mio allenatore “Silvestro” Szmyd, che si è polacco ma è anche un po’ italiano, sia poi con “Gaspa” (Enrico Gasparotto, diesse della Bora-Hansgrohe, ndr) che è venuto quest’anno. Penso che mi abbiano lasciato molto spazio, anche se in generale è un insieme di cose. Per avere spazio, bisogna stare bene, avere la giornata giusta, essere in salute. Di solito c’è sempre un capitano designato, ma se qualcuno sta andando forte, la squadra lo sa, lo riconosce. Quindi gli viene dato il suo spazio. Penso che almeno nel mio caso mi sento molto protetto e anche considerato. Se la condizione c’è, lo spazio si trova.

Gasparotto, qui con Benedetti, per Aleotti può essere un utile riferimento tecnico
Gasparotto, qui con Benedetti, per Aleotti può essere un utile riferimento tecnico
In realtà ti abbiamo visto spesso tirare.

Il problema è che se salti il tuo… turno, poi devi integrarti con gli spazi degli altri. E comunque quando vai a una corsa Monumento con un leader che può vincere, allora tutti questi discorsi sono un po’ più ridimensionati. Però in generale, quando uno sta bene, in questa squadra ha molto spazio e secondo me è una cosa positiva. E’ vero anche che avere più libertà ti permetterebbe di prendere le misure. E credo che avere in squadra uno come Gasparotto, cui piacciono ad esempio le classiche delle Ardenne, per me sia un’occasione importante. 

Sai già quale programma seguirai nel 2023?

Siamo stati per una settimana tra Germania e Otztal, in Austria. Del calendario non abbiamo ancora detto molto perché adesso un po’ tutti sono in vacanza. Io ho da poco iniziato a parlare con “Gaspa” di dove iniziare la stagione, perché chiaramente chi parte in Australia o Argentina, deve anticipare la ripresa. Quella è la prima cosa che bisogna sapere, quindi adesso ne parleremo anche con Silvestro e decideremo se iniziare a gennaio oppure a febbraio in Europa.

Covi classe 1998, Aleotti del 1999: due talenti italiani molto attesi che corrono in team stranieri
Covi classe 1998, Aleotti del 1999: due talenti italiani molto attesi che corrono in team stranieri
Se potessi scegliere?

A me onestamente piacerebbe anche partire presto. Poi penso che farei un altro anno con il programma dell’ultimo. Mi piacerebbe fare il Giro, perché penso che forse sia ancora un po’ presto per il Tour, visto anche che la concorrenza in squadra è tanta. Prima di buttarmi, è meglio fare un altro passo al Giro. Magari potrei valutare il Tour quando partirà dall’Italia, se la cosa si farà.

Partire presto e fare il Giro?

Ci sarà da fare un po’ di recupero, in modo da non arrivare cotto al Giro. Mi piacerebbe. Con Szmyd lo avevo accennato a fine stagione, quando abbiamo iniziato a parlare dell’anno prossimo. Si parte al caldo e anche abbastanza forte. E alla fine penso che si faccia sempre in tempo a rallentare un po’, mentre è più difficile decidere di aumentare. L’ho visto quest’anno, quando sono tornato in Italia dalla quarantena a Mallorca. Ci ho messo un po’ di tempo per tornare in condizione.

Aleotti è arrivato al Giro senza la giusta base. Ha stretto i denti ed ha aiutato Hindley a vincere
Aleotti è arrivato al Giro senza la giusta base. Ha stretto i denti ed ha aiutato Hindley a vincere
Cosa ti resta del Giro?

Sono state tre settimane incredibili per tutti noi, perché arrivavamo con un po’ di dubbi. Buchmann era caduto alla Liegi, si era fatto molto male ed è stato in dubbio fino all’ultimo. Sempre a Liegi, si era ammalato Hindley. Invece Kamna ha vinto subito la tappa sull’Etna, quindi ha tolto un po’ di pressione. Poi Jai ha vinto sul Block Haus e abbiamo preso tutti fiducia. Non ci siamo mai accontentati, credevamo in Jai e che potesse farcela. Nella tappa di Torino, ci abbiamo provato ed è stata sicuramente una delle corse più belle del 2022, anche se non abbiamo vinto.

Qualcuno dice che sia stato un Giro noioso

Noioso? Che cosa vuol dire che è stato un Giro noioso? Non saprei cosa dire. Tutti gli uomini di classifica si sono dati battaglia. Come anche al Tour, in certi giorni le squadre dei capitani hanno gestito per risparmiare le energie, quindi la fuga è arrivata. Mi ricordo però di tappe in cui la fuga ci metteva veramente tanto ad andar via e non era assolutamente facile beccarla. A me il Giro 2022 è piaciuto.

Hindley ha strappato la maglia rosa a Carapaz soltanto il penultimo giorno del Giro, salendo sul Fedaia
Hindley ha strappato la maglia rosa a Carapaz soltanto il penultimo giorno del Giro, salendo sul Fedaia
Il Tour è stato più divertente?

Al Tour ci sono state le prime tappe in cui ci si aspettava vento, ma alla fine non è successo niente. La tappa del Granon è stata spettacolare da vedere, ma dopo quella anche la Jumbo si è messa davanti a gestire. Erano così forti che comunque hanno controllato, forti di un vantaggio bello grosso. Al Giro fra Carapaz e Hindley ci sono stati 10 secondi fino al giorno del Fedaia. Secondo me è stato bello anche che fino all’ultima tappa non si sapesse chi avrebbe vinto. Per questo non ci siamo mai risparmiati. 

Farai ancora il Giro?

Quest’anno sicuramente, se dovessi fare il Giro, arrivarci fresco e vedere anche come andrebbe il recupero, sarebbe un bel test. Per ora la classifica non mi attira, ma sarei curioso di arrivarci bene anche solo per capire se in futuro potrò essere protagonista anche nelle tappe dure. Sarebbe un bel test, mettiamola così.

Nel finale di stagione, dal Polonia in poi, una bella crescita di condizione, fino al 7° posto di Montreal
Nel finale di stagione, dal Polonia in poi, una bella crescita di condizione, fino al 7° posto di Montreal
Vacanze a casa?

Sono stato qua, un po’ in giro con i miei amici che ovviamente ho visto poco negli ultimi mesi, dato che a partire dal Canada sono stato via parecchio. L’anno scorso ero andato in vacanza, quest’anno ho preferito proprio riposarmi a casa. Le prime due settimane le ho fatte proprio senza toccare la bici. Oggi (ieri per chi legge, ndr) ho fatto 50 chilometri: un’ora e mezza giusto perché avevo voglia stare un po’ in bici. Inizio con qualche giretto tranquillo e poi gradualmente, dalla fine della settimana prossima, magari inizierò a fare un po’ di più, ma non distanze. E poi anche in base al calendario, organizzerò la preparazione vera e propria, per provare a salite un altro gradino.

Dal Carpegna ad Utrecht, la chiamata last minute per Fabbro

19.08.2022
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Matteo Fabbro è riuscito nell’impresa di battere Filippo Conca nel sapere di andare alla Vuelta. Per Filippo la chiamata è arrivata alle 12 del 14 agosto, per Matteo addirittura nella mattinata di Ferragosto. Ma l’importante è esserci!

Il friulano della Bora-Hansgrohe, nell’immagine di apertura impegnato nelle foto di rito prima di un grande evento, è stato chiamato per il forfait di Emanuel Buchmann. Quando le cose vanno così l’avvicinamento non può essere dei migliori. Ma questo non significa che Matteo non ce la metterà tutta.

Un buon Delfinato per lo scalatore friulano, in fuga nelle ultime due frazioni di montagna
Un buon Delfinato per lo scalatore friulano, in fuga nelle ultime due frazioni di montagna

Fame di scalatori

E anche la squadra sa bene che Fabbro non l’ha preparata a puntino. Ma resta lo scalatore che più serviva alla causa del team tedesco.

«Matteo parteciperà alla Vuelta – ci aveva detto il diesse Gasparotto – la sua presenza è stata una decisione dell’ultimo minuto a causa della defezione di Buchmann, dovuta ad un’infezione. Si tratta del primo grande Giro per Matteo in questa stagione. Aveva dovuto rinunciare al Giro d’Italia a causa di problemi fisici che ne avevano compromesso la preparazione». 

«Inizialmente avevamo deciso di mantenere più o meno gli stessi scalatori che avevano fatto il Giro. Con Buchmann avremmo avuto 3-4 corridori pronti per la generale, senza Emanuel perdiamo un possibile uomo da classifica ma Matteo sarà in grado di dare una mano e sono certo che lo farà bene».

Fabbro (classe 1995) ha iniziato la sua seconda parte di stagione a San Sebastian
Fabbro (classe 1995) ha iniziato la sua seconda parte di stagione a San Sebastian

Quei lavori in quota

E Fabbro cosa dice? «Io – spiega il friulano – spero di essere pronto. Il mio post Giro tutto sommato era mirato su questo appuntamento. All’inizio ero nella squadra per la Vuelta, poi no… il problema è che avendo corso poco dopo il Giro e non essendoci state gare durante il Tour non avevo potuto fare e dimostrare molto. Da parte mia ho lavorato molto e punto ad essere competitivo, molto competitivo».

Dopo il Giro Fabbro si è allenato ad Andorra. Era di fatto con la squadra del Tour. Ha corso il Delfinato, ma sapeva che non sarebbe stato della partita per la Grande Boucle. Poi si è spostato a Livigno, dove vi è restato per un lungo periodo.

«E lì – spiega Fabbro – ho lavorato molto cercando di sopperire la mancanza di corse con lavori d’intensità».

E questa è un po’ una novità rispetto a quel che ci hanno detto praticamente tutti gli altri pro’, cioè che in altura hanno fatto quantità e non qualità. Anche perché si rischia di fare più male che bene.

«Ho fatto dietro moto, ma soprattutto a casa, mentre in altura ho fatto dei lavori intensi, però per questo tipo di sedute scendevo in basso. O non sopra i 1.600 metri. Pedalavo nella zona di Bormio, Valdidentro. Facevo i lavori verso Bormio 2000 o fino alla metà dello Stelvio».

I ragazzi di Gasparotto hanno fatto le prove per la cronosquadre di oggi pomeriggio ad Utrecht (foto Instagram @veloimages)
I ragazzi di Gasparotto hanno fatto le prove per la cronosquadre di oggi pomeriggio ad Utrecht (foto Instagram @veloimages)

Per la squadra e non solo

Come dicevamo, Fabbro ha saputo davvero tardi che sarebbe dovuto volare in Olanda. L’aver lavorato bene e tanto però è più di una consolazione per quando si parte per un grande Giro. La coscienza è a posto, ma soprattutto lo sono le gambe e si ha la consapevolezza di poter fare bene.

«Quando l’ho saputo – racconta Fabbro – ero sul Carpegna, mi stavo allenando e avevo anche rotto il cambio. Diciamo che il mio umore in quel momento non era dei migliori! Poi ha squillato il telefono, mi hanno detto della Vuelta e ho recuperato la giornata! Sinceramente ci speravo…».

Ma tornando al discorso del “fare bene” questa definizione ha molte sfaccettature e Fabbro con Hindley e Higuita in squadra rischia di avere poco spazio.

«Abbiamo una squadra forte. C’è un velocista di spessore come Sam Bennett e ci sono tre uomini di classifica come Hindley, Higuita e Kelderman… e capisco che potrei non avere troppo spazio. Ma senza Buchmann c’è un uomo di classifica in meno. Io credo che andremo avanti giorno per giorno e già la cronosquadre di oggi sarà importante per la generale. Se piove sarà pericolosissimo visto che il percorso di Utrecht è tecnico».

«Le montagne in questa Vuelta non mancano e se ci sarà un’occasione sarò pronto a sfruttarla. Certo, se andiamo in maglia sarà difficile e dovrò restare vicino al capitano. Ma avrò comunque l’occasione di mettermi in mostra tirando forte in montagna. Come del resto in passato hanno fatto dei grandi atleti e come mi dice il mio preparatore Sylwester Szmyd, lui è stato un ottimo corridore pur facendo il gregario».

E Hindley che fa? Lavora ad Andorra e pensa alla Vuelta

22.07.2022
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Siamo tutti rapiti dalla Grande Boucle e dal duello Pogacar-Vingegaard, che ieri ha visto forse l’epilogo, ma ci sono grandi campioni anche al di fuori del Tour. Campioni che stanno lavorando in vista del finale di stagione. Qualche giorno fa vi abbiamo parlato di Vincenzo Nibali, per esempio, oggi tocca a Jai Hindley.

Che fine ha fatto la maglia rosa in carica? Come sta lavorando? Dopo la festa di Verona il corridore della Bora-Hansgrohe era un po’ sparito dai radar. Nei giorni successivi alla conquista del Giro d’Italia, le priorità erano due: recuperare e riabbracciare la famiglia che, causa pandemia, non vedeva da due anni.

Ad inizio giugno Jai ha fatto un viaggio per l’Italia con la sua fidanzata. Eccolo a Firenze (foto Instagram)
Ad inizio giugno, Jai ha fatto un viaggio per l’Italia con la sua fidanzata. Eccolo a Firenze (foto Instagram)

Vacanza e famiglia

«Hindley – dice il direttore sportivo che lo ha guidato nel trionfo rosa, Enrico Gasparottodopo il Giro ha fatto un viaggio con la sua fidanzata in giro per l’Italia. Successivamente è tornato nella sua casa europea in Spagna e poi ancora è andato ad Andorra. E proprio lì sui Pirenei è stato raggiunto dai suoi genitori».

Gasparotto giustamente ha lasciato spazio a Jai dopo il Giro. La corsa italiana è stata estremamente dispendiosa sia dal punto di vista fisico che da quello mentale. Lui ed Hindley non si sono sentiti molto.

«Ho preferito lasciarlo in pace. Ci siamo sentiti qualche giorno fa». Bisognava iniziare a riordinare le cose in vista del suo ritorno alle gare.

I tre punti chiave del Giro di Hindley: la vittoria sul Blockhaus, l’imboscata di Torino, il forcing sulla Marmolada (in foto)
I tre punti chiave del Giro di Hindley: la vittoria sul Blockhaus, l’imboscata di Torino, il forcing sulla Marmolada (in foto)

Mito in patria

In Australia il successo di Hindley ha avuto una grande risonanza. Subito si sono scatenati i paragoni con Cadel Evans, primo ed unico ciclista aussie, ad aver vinto un grande Giro prima di Jai.

Si è pensato anche ad una festa per accoglierlo. Il ministro dello sport australiano, David Templeman (della stessa regione di Hindley), vuole organizzare una sorta di parata con le squadre ciclistiche locali, gli ex allenatori, i bambini… al suo atteso ritorno in Australia. E i complimenti al corridore di Perth sono arrivati persino dal Primo Ministro, Mark McGowan.

Tutto questo però non ha scalfito la personalità di Hindley. Anche Gasparotto dice che lui è rimasto sempre tranquillo.

Lavorare a testa bassa e con impegno: resta questo il mantra di Hindley. Sì, ma lavorare per quali obiettivi?

«L’obiettivo è la Vuelta – ha detto Hindley (cosa che confermano sia Gasparotto che il team manager della Bora-Hansgrohe, Ralph Denk) – credo che sarà davvero dura perché il livello in Spagna sarà alto. Ci saranno i corridori del Giro, e molti di quelli che vengono da Tour. E poi perché è la prima volta che farò due grandi Giri nella stessa stagione».

«Jai – dice Gasparotto – ha ripreso ad allenarsi ad Andorra dove ha fatto base per tutta l’estate e dove si trova tuttora. Suo papà, che era suo allenatore da piccolo, lo ha seguito negli allenamenti lassù».

Tra l’altro sembra che Jai abbia fatto un training camp piuttosto duro, con 23 giorni in quota e solo due giorni di riposo.

«Quale sarà il suo programma? Probabilmente – spiega il diesse friulano – rientrerà a San Sebastian e poi dovrebbe correre alla Vuelta Burgos e quindi andare alla Vuelta».

Ad Andorra si è allenato anche con il compagno Higuita, con il quale dovrebbe condividere la leadership alla Vuelta (foto Instagram)
Ad Andorra si è allenato anche con il compagno Higuita con il quale dovrebbe condividere la leadership alla Vuelta (foto Instagram)

Vuelta, mondiale, Tour

Ma la programmazione di Hindley va anche oltre la grande corsa spagnola. E ci va per due motivi. 

Il primo. Il mondiale si corre a “casa sua”, in Australia, e anche se il percorso non è adatto alle sue caratteristiche è lecito pensare che la maglia rosa voglia esserci e che la nazionale australiana lo voglia schierare.

Il secondo motivo. Per andare al mondiale, per forza di cose Jai dovrà tornare in Patria e potrà godersi finalmente l’accoglienza promessa dalle Istituzioni.

Quest’ultimo non è un tassello da poco per chi ci ha lavorato tanto sin da bambino. E servirà alle istituzioni stesse, grazie alle cui borse di studio (erogate persino quando era all’estero), Hindley ha potuto seguire la sua strada. Sarà un po’ come chiudere il cerchio.

«Sì, dovrebbe fare il mondiale – conferma Gasparotto – per poi rientrare in Europa ad ottobre, giusto in tempo per la presentazione del Giro 2023».

Hindley però ha messo le mani avanti. Il Giro è la corsa che lo ha lanciato al grande pubblico nel 2020 e che lo ha consacrato quest’anno, ma ad un media australiano (ABC News), ha ammesso che nel 2023 vorrebbe fare il Tour.

«L’anno prossimo – ha detto Hindley – mi piacerebbe essere al Tour. Che si tratti di aiutare qualche compagno o di andarci da leader, vorrei scoprire questo evento e imparare il più possibile. E’ un’esperienza che mi serve per capire davvero cosa posso fare al livello più alto del ciclismo».

E’ il Tour, nessun regalo. Bettiol e Kamna guardano avanti

12.07.2022
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Cosa ti pare del numero rosso? «Non mi garba, ragazzi, posso dirlo? Io oggi volevo vincere». Poi Bettiol allarga le braccia e si infila nel pullman rosa della Ef Education-Easy Post, in attesa che arrivi Magnus Cort, che ha vinto all’aeroporto in quota di Megeve. Il toscano ha ricevuto sul podio il numero rosso di atleta più combattivo, ma per la sua indole vincente, quel trofeo gli è parso più un contentino. Scuote il capo, le anche sporgono, la gamba pulsa per la fatica che lentamente defluisce.

Cos’era oggi, un piano o un sogno? «Non ho mai pensato alla maglia gialla prima del traguardo. Avevo in testa piuttosto di vincere la tappa – dice Kamna – e mi sono davvero impegnato a lungo per farlo. Ma ho avuto davvero la sensazione che l’intero gruppo stesse correndo contro di me. E così facendo hanno rinunciato alle loro chance». Poi il tedesco riprende a girare le gambe sui rulli, con la classifica che lo vede a 11 secondi dal primato di Pogacar. Sylwester Szmyd dà di gomito e dice che forse lo sloveno stavolta ha esagerato. E’ andato a riprenderlo alla Planche des Belles Filles e oggi lo ha rifatto. Poi allarga le braccia e va verso Vlasov, anche lui arrivato da poco.

Megeve ha accolto il Tour sei anni dopo l’ultima volta, quando si ragionava delle Olimpiadi di Rio imminenti e Nibali era qua per costruire la condizione. Fra i ricordi di quel giorno, ci fu un’intervista che Vincenzo rilasciò a Gianni Mura, parlando quasi esclusivamente dei suoi vini preferiti. Gianni manca, poco altro da dire.

Bettiol, fuga per caso

Bettiol nella fuga c’è entrato quasi per caso e ha tirato dritto. E mentre era lì che stringeva i denti, si è trovato con un fumogeno rosso in mezzo alla strada.

«Li ho visti anche da lontano – racconta – e ho capito subito che il gruppo non poteva passare, perché erano tanti e belli decisi. Sono cose he succedono, però stiamo tutti lavorando e potrebbero protestare diversamente. Fortunatamente mi hanno ridato il vantaggio. Avevo paura anche più di quello, perché in passato sotto il minuto facevano ripartire tutti insieme. Invece la giuria è stata brava».

La lunga sosta di Bettiol (e del gruppo) per la manifestazione sul pecorso
La lunga sosta di Bettiol (e del gruppo) per la manifestazione sul pecorso

«E’ stata una cosa strana – prosegue – perché non è mai bello ripartire da zero a 60 all’ora. Le gambe si sono un po’ bloccate, ma insomma… Cosa ho fatto mentre aspettavo? Innanzitutto la pipì perché mi scappava forte. Poi ho cercato di girare le gambe, ho cambiato le borracce e ho bevuto. Mi sono sgranchito un po’ le gambe e poi ho pensato di partire più forte possibile».

Kamna, nessun favore

Kamna al Tour c’è venuto dopo aver corso (e bene) il Giro. Anche da noi avrebbe potuto prendere la maglia rosa, se sull’Etna oltre a vincere, fosse riuscito a staccare Lopez. E mentre gira le gambe, gli riferiamo l’osservazione di Szmyd sul fatto che per due volte, per un motivo o l’altro, Pogacar gli abbia impedito di raggiungere il suo obiettivo.

«Penso che oggi – risponde – mi abbiano lasciato molto tempo. Alla fine è sport. Non ci facciamo regali a vicenda, perché stiamo tutti combattendo. Per un buon piazzamento, per la classifica, per qualunque cosa. E non mi aspetto che qualcuno mi regali qualcosa, soprattutto la maglia gialla. Mi è piaciuto molto il Giro, è stato fantastico, abbiamo fatto la corsa perfetta. E’ stato molto divertente, ma mi piace anche il Tour. E’ un’altra grande gara. Anche l’atmosfera è eccezionale, probabilmente un po’ più stressante». 

Bettiol, quattro volte di più

Bettiol è infastidito, quasi che parlando si renda conto che avrebbe potuto vincere. Ma parla per la squadra e spiega che i risultati di oggi saranno utili per gli uomini di classifica. Poco prima del traguardo, in uno scambio di messaggi con Leonardo Piepoli che lo allena, il pugliese ha scritto che normalmente per vincere serve essere due volte superiori, oggi forse tre.

«Oggi – sorride Bettiol – serviva essere quattro volte più forti, tanto si andava forte. Quando ho capito che stavano venendo a prendermi, ho preferito aspettarli e magari girare con loro. Riposarmi un attimo. Vedevo c’era poco accordo e ho riprovato, ma il corridore della Intermarché era più stanco di me. Comunque tutto questo lavoro alla fine è servito a Magnus per vincere la tappa, quindi sono contento per lui. Sono contento per la squadra, questa vittoria ci dà motivazione».

Kamna, domani sarà dura

Kamna è secondo in classifica, come fu secondo dopo l’Etna, ma se gli chiedi cosa farà domani, esclude nettamente la possibilità di tornare in fuga.

«Sono al secondo posto – dice – domattina cercherò di capire a che punto sono e certo non mi arrendo. In una fuga come questa perdi un sacco di energia, quindi domani dovrò stringere i denti. Cercherò di resistere il più a lungo possibile. Nessuna fuga, domani sarei contento di non saltare…».

Dopo il bagno di folla in danimarca, quando vestiva la maglia a pois, per Magnus Cort è arrivata la vittoria
Dopo il bagno di folla in danimarca, quando vestiva la maglia a pois, per Magnus Cort è arrivata la vittoria

Ha la faccia da ragazzo felice, i capelli dritti e le guance rosse. Racconta Szmyd che qui a Megeve nel 2020 aveva vinto la prima corsa da professionista. Così quando si è reso conto che ci sarebbe arrivato ancora, si è rimboccato le maniche e ha annunciato che sarebbe andato in fuga.

Bettiol, voglia di vincere

Bettiol ha voglia di tornare sul pullman e allungare le gambe. La discesa dal traguardo l’hanno fatta in bici col fischietto al collo e a quest’ora hanno bisogno di riposare e recuperare in vista delle prossime due tappe durissime.

«Ho rischiato – dice Bettiol – non volevo farlo cosi presto. Mi sono ritrovato là davanti casualmente e ho tirato dritto. Comunque sono contento, non stavo neanche troppo bene oggi perché avevo i battiti un po’ alti, forse dovuti al giorno di riposo di ieri. Spero che vi siate divertiti e spero nei prossimi giorni di divertirmi anch’io. Non mi garba quel numero ragazzi, non mi garba davvero. Spero che possiate capirlo».

Sibiu è davvero palestra per giovani? Risponde Gasparotto

08.07.2022
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Ci sono corse che per qualche anno azzeccano la formula e diventano banchi di prova perfetti perché i corridori più giovani si esprimano. Una di queste è il Sibiu Tour, che negli ultimi due anni ha premiato Aleotti. Lo dimostra il fatto che questa volta alle sue spalle, nella classifica finale, si siano piazzati ragazzi fra i 19 e i 24 anni, che evidentemente sulle strade della Transilvania trovano le condizioni di percorso, un campo partenti e una collocazione in calendario che gli sorride.

Enrico Gasparotto, Saudi Tour 2020
Enrico Gasparotto è da quest’anno il direttore sportivo della Bora-Hansgrohe
Enrico Gasparotto, Saudi Tour 2020
Enrico Gasparotto è da quest’anno il direttore sportivo della Bora-Hansgrohe

L’occhio di Gasparotto

Il riscontro non può che venire da chi ha vissuto la corsa da dentro e la scelta è caduta su Enrico Gasparotto, che ha guidato Aleotti alla vittoria e il portentoso Uijtdebroecks sul podio. L’occhio del direttore sportivo spesso coglie ciò che da fuori non vediamo.

«Anno dopo anno – conferma il “Giallo” – vengono sempre più squadre WorldTour. Di conseguenza il livello si è alzato e questo dà valore a quello che hanno fatto questi giovani. Anche perché alcune WorldTour sono venute a caccia di punti e non per fare una passeggiata».

In una squadra di tanti giovani, un corridore esperto come Benedetti ha tenuto la rotta (foto Bora Hansgrohe)
In una squadra di tanti giovani, un corridore esperto come Benedetti ha tenuto la rotta (foto Bora Hansgrohe)
Corse come la Adriatica Ionica Race avrebbero gli stessi ingredienti, ma fanno fatica…

Loro pagano la collocazione nel calendario, perché in quel periodo le squadre hanno il focus sul Tour e non vedono altro. Invece durante il Tour, c’è sempre necessità di corse. Quando correvo, andavo spesso al Giro d’Austria, sempre con i corridori giovani della squadra. Essere in calendario dopo i campionati nazionali è una bella cosa. Soprattutto adesso che hanno cancellato il Bink Bank Tour, Sibiu diventa una scelta interessante.

Cinque squadre WorldTour non rischiano di alzare troppo il livello?

Non mi pare, anche se parliamo comunque di una corsa di valore. Ci sono anche tante continental, che hanno la possibilità di valorizzare il talento dei ragazzi. La Coppi e Bartali ha anche più WorldTour e questo per gli organizzatori è sicuramente un piacere. Però sono corse che farei solo avendo buoni giovani per fare esperienza.

Aleotti a Sibiu ha vinto l’arrivo in salita e la cronoscalata: il più forte era lui (foto Bora Hansgrohe)
Aleotti a Sibiu ha vinto l’arrivo in salita e la cronoscalata: il più forte era lui (foto Bora Hansgrohe)
Altrimenti?

Se avessi solo corridori esperti, probabilmente ne farei a meno. Ma per i giovani sono passaggi importanti, in linea con quello che vi ha detto Christian Schrot sull’opportunità che gli under 23 facciano attività con i pari età nella nazionale.

Perché?

Perché da giovani vincono tutto, poi capita di doverne portare uno all’Amstel e arriva 50° senza mai vedere la corsa. Ci è successo proprio con Uijtdebroecks perché questa primavera a un certo punto non avevamo corridori. In queste gare mantengono lo spunto vincente, nelle altre prendono sberle. E a forza di sberle, perdi il corridore.

Aleotti ha vinto Sibiu per due anni di seguito, cosa significa?

Gli ha fatto bene confermarsi. E’ arrivato più magro di quanto fosse al Giro e ha dimostrato di essere il più forte nelle tappe di salita. Dopo il Giro non ha mollato, ma a questi ragazzi giovani devi dare le raccomandazioni opposte a quelle che davano a noi. Loro dopo il Giro devi tenerli a freno, noi tendevamo a mollare un po’.

Sul podio finale Vanhoucke (25 anni), Aleotti (23), Uijtdebroeks (19) (foto Bora Hansgrohe)
Sul podio finale Vanhoucke (25 anni), Aleotti (23), Uijtdebroeks (19) (foto Bora Hansgrohe)
E’ questo il suo standard migliore?

Giovanni è arrivato al punto di dover fare uno step up, di salire un gradino. Se lo avessi avuto con questa condizione nelle Ardenne ci saremmo divertiti, ma in quel periodo è arrivato dopo vari acciacchi. Al Giro è stato quello che portava i leader nella posizione giusta. Sa limare bene, sa guidare la bici. Lui è fatto per le classiche delle Ardenne.

Adesso riposerà?

No, adesso viene con me al Giro del Polonia. Forse ci sarà anche Higuita, che prepara la Vuelta. Saranno i nostri due leader. E sono curioso di vedere come andranno.

Auto Eder, juniores alla tedesca con le idee molto chiare

05.07.2022
5 min
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E siccome sono stranieri, hanno dietro la WorldTour e vincono sempre, chissà poi che faranno quelli della Auto Eder. Magari neanche li mandano a scuola. Li pagano per vincere…

Sembra già di sentirli certi discorsi… anzi li abbiamo sentiti. E siccome un po’ di curiosità di vedere la Bora dei piccoli c’era già venuta, siamo andati alla fonte.

Il dottor Schrot

Il dottor Christian Schrot ha 46 anni ed è il direttore sportivo, ma anche il responsabile della preparazione e il coordinatore dei talent scout che gravitano attorno al team giovanile tedesco. La squadra esiste dal 2007, da quando Ralph Denk partì con la allora NettApp, ma due anni fa si è deciso di salire a un livello più internazionale, ispirandosi al modello del calcio, per la mentalità e il tipo di struttura.

«Abbiamo provato – spiega Schrot – a portare un concept diverso. Vogliamo corridori da far crescere, per cui facciamo scouting osservando le potenzialità e non i risultati. Detto questo, i ragazzi possono anche stare a casa per allenarsi e andare a scuola, ma è vero che ci piace coinvolgerli in ritiri collegiali, a volte anche con la squadra WorldTour. In quei casi, ci aspettiamo che rispondano: presente. Abbiamo tutto in comune con il team dei pro’, i materiali e l’esperienza per gestirli».

Christian Schrot ha 46 anni ed è il direttore sportivo, ma anche capo degli osservatori
Christian Schrot ha 46 anni ed è il direttore sportivo, ma anche capo degli osservatori
Qualcuno sussurra che per anteporre il risultato al resto, magari se non vanno a scuola va anche bene…

Non è affatto vero. I nostri ragazzi finiscono tutti la scuola, devono essere ben educati. Magari non tutti andranno all’università, ma al diploma vogliamo che arrivino tutti. Devono saper conciliare scuola e allenamento, da questo non si transige.

In questa fase si fa un gran parlare dei rapporti non più limitati: voi li avevate già… sbloccati?

Non li abbiamo mai allenati con rapporti più lunghi. Abbiamo sempre lavorato con gli stessi rapporti che avremmo poi utilizzato in gara.

La dotazione tecnica è identica a quella dei pro’
La dotazione tecnica è identica a quella dei pro’
Pensi sia stata una scelta giusta?

Penso che alla base ci possa essere anche una ragione tecnica. Le aziende che producono pignoni fanno fatica ormai a fare dei pacchi come quelli che servono agli juniores. Sul fronte sportivo, mi sento di dire che si esalterà ancora di più la differenza tra i forti e i deboli. Ci saranno distacchi maggiori e a quell’età basta essere appena un po’ precoce per disporre di più forza. Giusto o sbagliato, dipende da come vuoi farli crescere. Per la nostra mentalità, cerchiamo sempre il miglioramento, ma ci interessa che soprattutto accrescano la loro esperienza. Siamo moderati, non li assilliamo.

Si parla di problemi legati allo sviluppo…

Non ho ricerche che lo sostengano. Non so se ci sarà un impatto su questi aspetti. Obiettivamente conosco le ragioni di quella limitazione e non vedo le ragioni per non eliminarla. Non credo che alla fine vinceranno atleti diversi.

Il team è spesso in ritiro: da solo o con la squadra WorldTour
Il team è spesso in ritiro: da solo o con la squadra WorldTour
Si dice che in realtà serva per farli passare professionisti già da juniores.

Io credo che un’esperienza fra gli under 23 serva. Per questo anche se li inseriamo presto nella Bora-Hansgrohe, ci sta a cuore che corrano con la nazionale della loro età per mantenere la mentalità vincente. Correre fra gli U23 è un bene per i ragazzi e ci permette di mantenere buoni rapporti con le altre squadre.

Capita che voi li facciate crescere e poi altri team li portino via.

Se li cresci, lo fai per la tua squadra. Non parliamo di prodotti da vendere, ma di persone. Se si trovano bene, restano. Altrimenti vanno. Il nostro interesse ovviamente è tenerli con noi, ma se vogliono andare via, non possiamo legarli.

La Auto Eder ha corridori di sei nazionalità diverse
La Auto Eder ha corridori di sei nazionalità diverse
Si guadagna bene alla Auto Eder?

Sono dilettanti. Il grande benefit che possiamo dargli è la vicinanza della squadra maggiore. E’ sempre stato così, vedendo la nostra storia. Quando cominciammo eravamo una continental, la piccola NettApp. Non avevamo tanti soldi, ma siamo cresciuti fino al livello WorldTour. La struttura si è solidificata e nell’età juniores, che poi è il primo step internazionale, non si pensa ai soldi, ma a imparare le tattiche, come allenarsi, cosa mangiare…

Si allenano tanto i vostri ragazzi?

Dipende dalla parte della stagione, dagli obiettivi e dalla storia di ciascuno, il suo background. Abbiamo 8 ragazzi di 6 nazionalità diverse, ognuno ha il suo sviluppo e le sue esigenze. Comunque la media è che si allenino fra le 15 e le 20 ore per settimana.

Alla Coppa Montes, Mees Viot e Romet Pajur del Team Auto Eder prima di Matteo Scalco (foto photors.it)
Alla Coppa Montes, Mees Viot e Romet Pajur del Team Auto Eder prima di Matteo Scalco (foto photors.it)
Che tipo di attività fate?

Cerchiamo di coprire tutta la stagione, ma per fortuna le trasferte nelle principali corse a tappe le fanno con la nazionale e ne siamo contenti. Però abbiamo buone amicizie e garanzie, per cui in una stagione un nostro corridore fa circa 5 corse a tappe. E per il resto, seguiamo il calendario internazionale, che è bello ricco. In Italia siamo venuti per la Coppa Montes e torneremo per la gara di Vertova. Devono fare attività di alto livello, solo così possiamo sperare che crescano nel modo giusto.

Hindley, testa da leader e agilità mai vista. Parla coach Werner

05.06.2022
5 min
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«Mi fa sorridere che mi chiedi questa cosa – dice Hendrik Werner, coach alla Bora-Hansgrohe – perché l’abbiamo notata anche noi…».

E’ passata una settimana dalla fine del Giro e grazie a Sylwester Szmyd siamo arrivati al preparatore di Jai Hindley, con qualche curiosità a proposito dell’australiano e del suo modo di pedalare. E così per rompere il ghiaccio, siamo partiti dalla grande agilità della maglia rosa in salita. Così ogni santo giorno, fino alla bordata sul Passo Fedaia.

«Hindley non è mai andato tanto agile in salita – sorride ancora Werner – tutt’altro. Lui di solito usa rapporti troppo lunghi. Non ci abbiamo lavorato, perciò quando lo incontrerò e avremo tempo per parlare, gli chiederò se l’ha notato anche lui».

Werner ha conosciuto Hindley nel 2018-2019 alla Sunweb: quest’anno Jai gli è stato affidato (foto Bora-Hansgrohe)
Werner ha conosciuto Hindley alla Sunweb, ora è il suo allenatore (foto Bora-Hansgrohe)

Dalla Sunweb alla Bora

Werner è del 1983 e risponde dalla Spagna. E’ arrivato alla Bora-Hansgrohe quando ne è uscito Patxi Vila, in precedenza era al Team Sunweb, dove ebbe modo di conoscere Hindley, pur non essendone l’allenatore. Quando poi l’australiano è approdato al team tedesco, è parso naturale affidarlo a lui. Jai ha vinto il Giro d’Italia e per un po’ il gruppo si è disperso per recuperare le energie. Il momento di ripartire verrà, ma per ora non se ne parla.

«Abbiamo vissuto giorni di super stress – dice Werner – super fatica, super pressione mediatica. Di colpo niente è più stato normale. Ora Jai si sta godendo due settimane di vacanze, in cui immagino ci siano anche dei festeggiamenti. A un certo punto però dovrà tirare una riga e fare i conti con questa stanchezza. Perciò, in attesa di affrontare il tema, confermo che il suo prossimo obiettivo è la Vuelta e non dovrebbero esserci cambi nell’avvicinamento e nella preparazione».

Carapaz e Landa in piedi, Hindley seduto: la sua agilità ha stupito anche Werner
Carapaz e Landa in piedi, Hindley seduto: la sua agilità ha stupito anche Werner
Credevi che sarebbe tornato ai suoi livelli top?

Ne abbiamo parlato molto all’inizio di questa stagione. Gli abbiamo chiesto di descriversi e ci ha parlato del suo anno duro, non certo un anno da ottava meraviglia. Però i test hanno parlato subito di un ottimo recupero e di un ragazzo con la testa da corridore vero. Era dispiaciuto per aver perso il 2021 e la sensazione è stata subito che avesse bisogno di un ambiente come questo. Poi abbiamo cominciato a lavorare. Corsa dopo corsa, tappa dopo tappa, mi sono reso conto che migliorasse costantemente. In più, è stato il solo in squadra a non essersi preso il Covid e ad aver lavorato con continuità dall’inverno, che è stato buono, fino alla Liegi.

Come ti spieghi questo nuovo colpo di pedale così agile?

Se non è stato qualcosa di spontaneo, devo pensare che ci sia arrivato col ragionamento e abbia pensato di dover salvare la gamba. Davvero glielo chiederò. Mi viene il dubbio che neanche lui se ne sia accorto (sorride, ndr).

A Lavarone, Hindley ha provato un paio di allunghi, ma da fine salita all’arrivo c’era troppa pianura
A Lavarone, Hindley ha provato un paio di allunghi, ma da fine salita all’arrivo c’era troppa pianura
Hai imparato qualcosa di nuovo su di lui nelle tre settimane del Giro?

Lo conoscevo già bene, avevo solo il dubbio che dopo il 2020 potesse mancargli un po’ di convinzione. Mi ha colpito con quanta determinazione abbia trasformato quella delusione in coraggio. In ammiraglia scherzavamo spesso su cosa servisse per arrivare in rosa a Verona e ha sempre risposto da leader. Sapeva di dover guadagnare.

Ha aspettato il Fedaia per farlo…

Nel momento in cui ha dato tutto, ha trovato il feeling giusto e si è ripagato di tutto il lavoro fatto. A Torino ha assecondato il piano della squadra con una sicurezza nuova.

Sul Fedaia Hindley ha raccolto il frutto del grande lavoro
Sul Fedaia Hindley ha raccolto il frutto del grande lavoro
Credi che Hindley abbia imparato qualcosa di nuovo su… Hindley?

Sì e no. Dopo la Liegi abbiamo parlato di arrivare in Ungheria come leader e lui sapeva di essere pronto per farlo. Restava il dubbio se riuscisse a crescere col passare dei giorni. Parlava da giorni della Marmolada: era il solo posto in cui prendere la maglia rosa. Sapeva di dover cogliere ogni opportunità, ma quella l’aveva cerchiata di rosso. Sapeva che lassù, quel giorno, avrebbe guadagnato tempo.

Secondo Pozzovivo era prevedibile che crescesse così nella terza settimana.

Bello che lo dica un corridore così esperto. Jai ha trovato fiducia e recupero, confermando quel che avevamo visto in ritiro. Abbiamo fatto dei test incrementali e anche se lui non era quello capace di fare gli sforzi più lunghi, nel ripeterli era quello che recuperava meglio. La terza settimana è il suo terreno.

Cioni non è certo che Hindley avrebbe vinto il Giro se fosse partito con 3 secondi da Carapaz.

Avrei voluto vederlo fare quella crono con i 3 secondi di ritardo. Avrebbe avuto tanto da perdere e di sicuro il ricordo del 2020 quando perse la rosa da Tao Geoghegan Hart sarebbe stato più ingombrante. Sono certo che sia migliorato a crono, ma non si può dire come sarebbe finita nella terza settimana. Per questo abbiamo deciso che avrebbe dovuto attaccare. C’erano tante teorie, ma era meglio guadagnare prima della crono. Quanto al ritardo di Verona da Carapaz, direi che in discesa non ha voluto rischiare nulla. Facendo le curve piano, è arrivato 15°. Se avesse tirato, poteva essere 7°-8°. Non sono affatto sicuro che Carapaz avrebbe fatto meglio.

Alla Vuelta sarà super osservato.

Può fare bene, ma è chiaro che ci saranno delle aspettative e sarà un privilegio lavorare con lui per sostenerle. Tornerà in altura, come dopo il Catalunya. A primavera ebbe la prima settimana in cui era affaticato e ha dovuto recuperare, mentre i compagni erano già brillanti. Poi ha ingranato anche lui. E’ stato il solo caso in cui non si sia adattato bene all’altura, altrimenti ha ottime reazioni. Vediamo come starà dopo le vacanze e valuteremo il suo percorso attraverso l’estate.

Due parole con Ralph Denk prima della sbornia rosa

30.05.2022
4 min
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In barba a ogni possibile scaramanzia e rendendoci conto che avrebbe preferito parlare a giochi chiusi, alla partenza della crono di Verona abbiamo intercettato Ralph Denk, capo della Bora-Hansgrohe, classe 1973 e un passato da atleta.

Addio a Sagan

L’uomo coi baffi a un certo punto, scaduto il contratto di Sagan e del suo gruppo, ha deciso di voltare pagina e nel giro di pochi mesi ha cambiato completamente faccia alla squadra. Via gli uomini da classiche, porte aperte agli scalatori. Unica eccezione, il ritorno di Sam Bennett, dopo la turbolenta avventura alla Quick Step. Sono arrivati fra gli altri Vlasov, Hindley e Higuita che, sommati a corridori come Kelderman, Buchman, Fabbro e Aleotti hanno composto la spina dorsale di un gruppo votato ai grandi Giri.

Sull’ammiraglia sono arrivati Rolf Aldag dalla Bahrain Victorious ed Enrico Gasparotto, pescato con grande intuito dopo un anno alla Nippo-Provence di Robert Hunter e Marcello Albasini, vivaio della Ef Procycling.

Alla partenza del Tour 2019, Sagan con Schachmann, Sagan, Buchman e Konrad
Alla partenza del Tour 2019, Sagan con Schachmann, Sagan, Buchman e Konrad

«Penso che non tutti nel mondo del ciclismo o tra i fans – spiega Denk a bocca stretta – abbiano capito quello che abbiamo fatto e qualcuno non ha capito perché abbiamo lasciato andare Peter Sagan. Ma alla fine avevamo un piano chiaro, una chiara strategia. Tanta gente attorno al team ha una grande passione e una grande motivazione per questo progetto ed è molto bello vede come il piano abbia funzionato dopo neanche mezza stagione».

Il progetto Giri

Certe cose non si fanno per caso o perché il capo s’è stancato del team per com’era. Attuando un semplice gioco di squadra e tracciato il bilancio ormai insoddisfacente degli ultimi tempi, si è spostata l’attenzione sulle gare a tappe.

«Abbiamo valutato, parlando con i nostri main sponsor – spiega Denk – che i grandi Giri e le corse a tappe hanno un valore commerciale superiore rispetto alle classiche, specialmente in Germania. Non abbiamo una cultura ciclistica come in Italia o in Belgio. Se chiedi a qualunque tifoso tedesco, non sa cosa sia la Liegi-Bastogne-Liegi, ma conoscono molto bene il Giro d’Italia e conoscono molto bene il Tour de France. E questo è il motivo per cui ci siamo concentrati su queste grandi corse, pur sapendo che è molto più difficile vincerle nell’arco di tre settimane, ma con i nostri sponsor abbiamo deciso di provarci».

Isolato davanti al pullman, Denk ha atteso fra telefonate e religioso silenzio la fine della crono
Isolato davanti al pullman, Denk ha atteso fra telefonate e religioso silenzio la fine della crono

Il talento di Hindley

In barba a ogni possibile scaramanzia, si diceva. Avendo intuito la poca voglia di sbilanciarsi, abbiamo portato il discorso su Hindley, rilanciato senza esitazione dopo il brutto 2021.

«Prima di ieri (tappa del Fedaia, ndr) – dice – avrei detto che le chance erano 50 e 50. Carapaz è un corridore forte, ha già vinto il Giro. Ma dopo la tappa le cose sono cambiate. Ho invitato la squadra a stare calma e restare concentrata. Vedremo intorno alle 17,30 quale sarà il risultato. Noi credevamo in Jai avendo visto il suo potenziale nel 2020 nella tappa dello Stelvio al Giro. Ha avuto problemi di salute e l’anno scorso abbiamo cercato il modo per averlo con noi, risolvere i problemi e riportarlo al top. Questo era il nostro obiettivo. Sapevamo da prima quanto sia talentuoso e questo è il motivo per cui abbiamo trovato un accordo».

Denk ammette di aver creduto subito nelle potenziaità di Hindley
Denk ammette di aver creduto subito nelle potenziaità di Hindley

La scelta Gasparotto

E se l’orgoglio tedesco affiora e il suo inglese ha le durezze tipiche di lassù, è bello fargli notare che alla guida del suo progetto-Giri ci sia stato un tecnico italiano giovane e ambizioso come Gasparotto.

«Enrico – sorride questa volta Denk –  è uno degli uomini del nostro team che ha vera passione e vive il ciclismo 24 ore al giorno per sette giorni alla settimana. E’ il tipo di uomini di cui avevamo ed abbiamo bisogno. Ed è il motivo per cui lo abbiamo ingaggiato e gli abbiamo offerto questa possibilità. Non era mai stato prima direttore sportivo, ma qui ha portato un piano molto chiaro e si è dimostrato un vero uomo squadra. Siamo contenti di averlo con noi».

Nella tappa di Torino, l’attacco di squadra che ha scosso il Giro d’Italia
Nella tappa di Torino, l’attacco di squadra che ha scosso il Giro d’Italia

Tour con Vlasov e Bennett

In attesa di vedere come sarebbe finito il Giro (nelle foto sul podio dell’Arena, in apertura, Denk mollerà finalmente ogni indugio), una piccola anticipazione sul Tour svela che per la Francia i piani sono alti. Serve crescere ancora per sfidare i giganti della maglia gialla.

«Al Tour abbiamo Alexander Vlasov per la classifica – ammette Denk – ma abbiamo anche una strategia ben precisa per vincere qualche tappa con Sam Bennett. In Francia faremo una corsa completamente diversa. Sappiamo essere ragionevoli».

Hindley, non è un sogno. Due anni dopo la rosa è tua

29.05.2022
6 min
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Il 2020 lo ha seguito come un incubo per due anni, fino al momento in cui ha tagliato la riga e poi è entrato nell’Arena. Hindley continua a parlarne come di un momento davvero traumatico, che rende la conquista della maglia rosa qualcosa di speciale e anche un po’ folle.

«Al via ero nervoso – racconta – mi trovavo nella stessa situazione dell’altra volta. Avevo più confidenza con il percorso e con la bicicletta, ma continuavo a pensarci. Non volevo ripetere il 2020. Quando sono partito non pensavo alla maglia rosa né a vincere il Giro. Volevo fare la miglior crono possibile. Sapevo di dover dare tutto nella prima parte in salita e poi di scendere tranquillo, come poi ho fatto. Tagliare il traguardo ed entrare nell’Arena è stato davvero speciale».

Due anni lontano da casa

Hindley è arrivato mentre Sobrero stava ancora raccontando la sua vittoria. Lo sguardo trasognato. Le mani intrecciate dietro la nuca e lo sguardo fisso verso l’altissimo soffitto della stanza. Poi finalmente è venuto il suo momento, che è stato pieno di umanità e gentilezza. Non è per caso che tutti i corridori del gruppo parlino bene di lui. E a chi dai microfoni della RAI ha appena finito di spiegargli che non tornare per tanto tempo a casa fa parte della bellezza del ciclismo, vale la pena far notare che Jai Hindley non vede la sua famiglia dal febbraio del 2020.

«Ho prenotato più volte dei voli – racconta – ma li hanno sempre cancellati. Passai a casa per 24 ore dopo l’Herald Sun Tour del 2020 e poi non l’ho più vista. Quando parti dall’Australia per diventare un corridore professionista, devi essere molto forte mentalmente. Non ti basta un weekend per tornare a casa. Lo scorso anno è stato duro in bici e giù dalla bici. Il Covid non ha colpito Perth e non ci sono casi da due anni, semplicemente perché sono stati chiusi gli aeroporti. E’ una situazione un po’ folle, ma è quello che ho vissuto. Da due anni sono ad Andorra, ma Perth è un bel posto in cui crescere. Sono orgoglioso delle mie origini. E penso che a fine anno finalmente tornerò laggiù».

Quanto è stato pesante lasciarsi alle spalle la sconfitta dell’ultima crono al Giro del 2020?

E’ stata una situazione surreale. Ho preso la maglia il penultimo giorno, come ieri. E il giorno dopo l’ho persa. E’ stato duro, c’è voluto parecchio tempo per superarlo. Il solo modo è stato lavorare duramente, trasformandola in una grande motivazione. Ma ammetto che smaltirla in famiglia sarebbe stato un’altra cosa.

Hai vinto il Giro il penultimo giorno e in tanti abbiamo pensato che avessi in mente di fare così sin dall’inizio…

Un grande Giro richiede di calcolare bene le energie che spendi. Ho imparato dalle occasioni precedenti che quelle che lasci sulla strada oggi, non le ritrovi domani. Siamo arrivati nell’ultima settimana con prestazioni simili tra noi. Continuavamo ad arrivare insieme, era difficile fare differenze. Non era previsto dall’inizio di attaccare a fondo sul Fedaia, ma alla fine è stato la conseguenza di come si erano messe le cose. In un Giro contano i programmi, ma anche la fortuna e la sfortuna. E alla fine ci siamo organizzati per fare l’attacco frontale nella penultima tappa.

Con un grande lavoro di squadra, concordi?

Ho avuto giorni duri, ma quello sul Fedaia per certi versi non è stato il peggiore. La squadra mi ha servito il finale su un piatto d’argento. Hanno lavorato tutti benissimo, ho avuto dei compagni fenomenali.

Hai mai avuto paura?

Non particolarmente, se non a Treviso quando ho bucato. Il gruppo stava andando fortissimo. Poi mi sono reso conto che ero entro gli ultimi tre chilometri e mi sono tranquillizzato.

E’ possibile che questo Giro sia un punto di inizio per la tua carriera?

Può darsi, ma credo di aver aperto gli occhi sulle mie possibilità come pro’ al Giro del 2020. Anche se finì male, ho scoperto che in queste corse poteva esserci un posto anche per me. E’ folle pensare che oggi ho vinto il Giro d’Italia, non riesco ancora a crederci.

Van der Poel, come Sagan, impenna nell’Arena e ha impennato sulle salite: per lui 3° posto nella crono
Van der Poel, come Sagan, impenna nell’Arena e ha impennato sulle salite: per lui 3° posto nella crono
Come proseguirà la tua stagione?

Esiste un programma, che credo sarà confermato. Dovrei fare sicuramente la Vuelta e poi mi piacerebbe correre i campionati del mondo in Australia. Non capita spesso di avere un mondiale nel tuo Paese, soprattutto se arrivi dall’altra parte del mondo.

Dopo la batosta del 2020 è cambiato il tuo rapporto con la crono?

Doveva cambiare per forza. La Bora-Hansgrohe ha investito tempo e risorse. Sono stato in California nella galleria del vento di Specialized per migliorare la posizione e già questo ha aiutato molto. Non posso dire di essermi specializzato, ma ci ho lavorato molto.

L’ultima incombenza per Hindley prima dell’antidoping è stata la firma delle maglie rose
L’ultima incombenza per Hindley prima dell’antidoping è stata la firma delle maglie rose
La tua squadra ha voltato pagina e si è votata ai grandi Giri e, al primo assalto, tu hai vinto il Giro d’Italia…

Credo sia la prima volta che questa squadra conquista un podio e devo dire che se ci sono riuscito è stato perché tutti mi hanno dato il loro appoggio, dai corridori allo staff. Quando ci siamo visti al training camp di ottobre in Austria abbiamo messo questo risultato nel mirino. Esserci riuscito e fare parte di questo progetto mi rende molto orgoglioso.