E’ arrivato il gelo, il Rosso di Buja prende le misure…

04.12.2021
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Il freddo e la pioggia fanno parte delle condizioni che più determinano in modo negativo le corse e gli allenamenti. A nessuno piace il freddo. Anche se qualche eccezione nel gruppo c’è, e una di queste è sicuramente Alessandro De Marchi. Vittoria alla Tre Valli Varesine e maglia rosa a Sestola. Questi due risultati importanti hanno una cosa in comune: tanta acqua. E non è un caso se il Rosso di Buja si è esaltato in quelle condizioni proibitive. Non sono le sue uniche vittorie con queste avversità, ma rappresentano il suo biglietto da visita. Da dove deriva questa predisposizione? E come ci si prepara ad affrontare la preparazione invernale? Lo abbiamo chiesto direttamente al Rosso, intercettandolo telefonicamente al rientro da due giorni di ritiro e test dei materiali a Girona con l’Israel Start-Up Nation.

A Sestola ha conquistato la maglia rosa in una giornata di pioggia continua
A Sestola ha conquistato la maglia rosa in una giornata di pioggia continua
Sei un amante del freddo o semplicemente lo sopporti più degli altri?

Più che sopportazione è diventato abitudine, vivendo in Friuli-Venezia Giulia. Qui le temperature sono da inverno rigido. Una volta non è che potevi prendere l’aereo e andare in Spagna, soprattutto nelle categorie giovanili e a inizio carriera. Per cui ho imparato a conviverci con il freddo. Probabilmente deriva da questo la mia sopportazione. I primi anni da professionista in particolare ho sempre fatto gli inverni a casa, allenandomi con qualsiasi condizione e questo evidentemente mi ha aiutato. Ci vuole un po’ di spirito di sacrificio e adattamento

La preparazione la fai a casa?

Se posso decidere, preferisco anche io allenarmi con il caldo. Però, insomma, allenarsi a casa non è impossibile e mi piace. Anche se avere dei momenti in cui ti concentri bene sulle tue cose fa bene. Infatti quest’anno prenderò su la mia famiglia e andrò a Gran Canaria. Lì so che mi posso dedicare alla bici e dopo l’allenamento alla famiglia, cosa che a casa è difficile che succeda.

Pioggia e freddo durante la sesta tappa del Giro d’Italia in cui il rosso di Buja perderà la rosa
Pioggia e freddo durante la sesta tappa del Giro d’Italia in cui perderà la rosa
E’ mattina, ci sono zero gradi e nebbia. Insomma è una classica giornata invernale. Apri l’armadio e cosa ti metti?

In condizioni di freddo vero, diciamo da zero a cinque gradi, scatta il piano con l’abbigliamento più caldo e performante. Una calzamaglia speciale, di quelle imbottite con strati rinforzati sulla parte anteriore delle cosce. Una giacca invernale unica, molto tecnica, in grado di tenere caldo come se fossero tre strati. Sotto, un intimo termico che può essere a maniche corte o lunghe, in questo caso lunghe. In pratica è come comporre un puzzle in base alle temperature a seconda di quanto freddo fa. 

Mani, piedi e testa. Come ti proteggi?

Utilizzo calzini classici, così come per le scarpe. Preferisco mettere copriscarpe un po’ più spessi che tengono caldo, diciamo sopra i 2 millimetri di spessore. Così come per i guanti, specificamente invernali e molto tecnici. Poi una fascia felpata per le orecchie. E infine uno scaldacollo pesante, sagomato e aderente per non avere “spifferi”, comunque traspirante che mi permetta di non sudare troppo e regolare la temperatura. 

In queste condizioni alleggerisci l’alimentazione?

No, anzi. Se fa molto freddo, preferisco mangiare di più. Perché il freddo ti porta a consumare più energie e calorie. Un adeguamento è richiesto anche sotto questo aspetto. Una barretta o due in più. Principalmente di scorta, per non avere crisi di fame che potrebbero essere più pesanti con temperature così basse. 

Il Rosso di Buja alla Tre Valli Varesine ancora una volta in una giornata proibitiva
Il Rosso di Buja alla Tre Valli Varesine ancora una volta in una giornata proibitiva
Dopo la vittoria alle Tre Valli Varesine ci dicesti: «Queste giornate mi piacciono. Si deve correre a carte scoperte. E quando questo succede, devi essere coraggioso. Devi correre sapendo che puoi perdere tutto, ma è il modo migliore per arrivare a vincere. O comunque per me è anche il modo più bello». Come ci si prepara per gare con quelle avversità meteorologiche?

Lì la differenza grossa la fa il come ti vesti. Anche se durante la competizione entra in gioco di più l’aspetto mentale. E’ più incisivo che in allenamento. In allenamento puoi decidere di startene a casa mentre in gara ovviamente no. Anche il lato tecnico vuole la sua parte. Saper guidare la bici e non avere paura, fa parte delle abilità che ci vogliono per fare la differenza in quelle condizioni. Stessa cosa per le volte in cui non piove, ma l’asfalto è umido. Come spesso accade a inizio e fine stagione, in quei casi bisogna adattare lo stile di guida.

Quando partirà la tua stagione? 

La stagione inizierà sicuramente a febbraio con le gare in Spagna. Stiamo ancora definendo il calendario quindi non so ancora niente. Di sicuro farò il periodo a Gran Canaria e poi andrò a Girona a gennaio per il ritiro con la squadra e poi da lì si comincia. 

Hai già definito i tuoi obbiettivi per il 2022?

Dobbiamo ancora decidere, io ho espresso la mia volontà di andare al Giro d’Italia e partire con la stagione in funzione di quello. Vediamo cosa stabilisce la squadra, ma sono ottimista. Stessa cosa vale per le corse di avvicinamento, dobbiamo ancora definire il tutto. 

Nations 2014

Chrono des Nations, per Ganna una rinuncia a due facce

16.10.2021
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Nel secolo scorso, quando i mondiali su strada si svolgevano a fine agosto ed erano riservati solo alle prove in linea, la sfida per i cronoman era quella del GP delle Nazioni, principalmente sulla Costa Azzurra. Era un appuntamento sentitissimo, su una distanza pressoché inconsueta nel ciclismo, sempre oltre gli 80 chilometri. I grandi specialisti non mancavano mai. Coppi l’ha vinta due volte come Gimondi, Moser ci ha provato spesso ma senza successo. Con l’avvento dei mondiali di specialità, il GP delle Nazioni ha perso charme, fino a essere cancellato dal calendario nel 2004. Intanto però prendeva sempre più consistenza una prova simile, la Chrono des Nations. Nata nel 1987, è cresciuta progressivamente fino a entrare nel 2005 nel calendario Uci.

La gara con il passare degli anni ha assunto il ruolo di vera e propria rivincita della gara mondiale, anche perché a differenza della quasi totalità delle gare professionistiche, qui i corridori sono ingaggiati direttamente dagli organizzatori, con cifre anche importanti e solo successivamente sono coinvolte le squadre.

Martin Nations 2013
Il tedesco Tony Martin, autore di una tripletta consecutiva dal 2011 al 2013, riuscita prima solo a Gonchar (UKR)
Martin Nations 2013
Il tedesco Tony Martin, autore di una tripletta consecutiva dal 2011 al 2013, riuscita prima solo a Gonchar (UKR)

Per l’Italia solo 4 successi

Si gareggia a Les Herbiers, località nel dipartimento francese della Vandea, piuttosto difficile da raggiungere. Per un giorno la città ospita un vero e proprio festival del cronometro. Si comincia al mattino presto con le gare per i più piccoli e si va avanti fino alle prove per professionisti a inizio pomeriggio. Nella storia, considerando le varie categorie, l’Italia ha vinto solamente 4 volte: Maria Canins si è aggiudicata la prova femminile nel 1988 e ’89, Gianluca Moi quella under 23 nel 2002, Filippo Ganna ha trionfato fra gli junior nel 2014 (foto di apertura).

Come si vede, non abbiamo mai vinto la gara principale. Proprio Ganna, battuto non senza sorpresa due anni fa dall’olandese Jos Van Emden, voleva riprovarci quest’anno.

L’iridato era stato invitato dagli organizzatori per dare vita a una grande rivincita con Remco Evenepoel, terzo ai mondiali. Per allestirla non avevano badato a spese, ma a tre giorni dalla sfida, Ganna ha declinato l’invito. La caduta all’ultima Coppa Bernocchi, costatagli un’incrinatura a una costola era ancora troppo recente per portarlo ad effettuare una trasferta così onerosa. E sapendo quel che c’è in ballo, ossia i mondiali su pista, ha preferito rinunciare.

Nations 2019
Il podio dell’ultima edizione, nel 2019, con l’olandese Van Emden fra Ganna (2°) e Roglic (3°)
Nations 2019
Il podio dell’ultima edizione, nel 2019, con l’olandese Van Emden fra Ganna (2°) e Roglic (3°)

Una rinuncia quasi… fortunata

Il suo preparatore Dario Cioni aveva già tracciato il solco della trasferta: «La partecipazione era stata decisa durante i mondiali su strada, proprio considerando l’obiettivo principale di fine stagione. Noi ci eravamo messi a disposizione, con lui saremmo partiti io, il meccanico Matteo Cornacchione con tutta l’attrezzatura e il massaggiatore Piero Baffi, ma a metà settimana Pippo ci ha comunicato la sua decisione, che non viene per nuocere…».

Cioni spiega i confini della sua affermazione: «Filippo sta abbastanza bene, si sta riprendendo e evitare la trasferta è un ulteriore aiuto per la sua ripresa. Inoltre questo gli consente di lavorare di più su pista. Avrebbe dovuto saltare un’intera sessione con i compagni. Così ha invece la possibilità di completare il ciclo di allenamento previsto e avere nelle gambe lo stesso numero di ore di preparazione degli altri. Io penso che alla fine sarà un piccolo vantaggio».

Evenepoel Mondiali 2021
Evenepoel alla fine del Mondiale crono 2021: un bronzo che non lo aveva accontentato
Evenepoel Mondiali 2021
Evenepoel alla fine del Mondiale crono 2021: un bronzo che non lo aveva accontentato

Favorito Evenepoel?

La gara francese perde così uno dei suoi principali interpreti. La gara di domenica si disputa su una distanza “normale”, 44,5 chilometri con l’unica variazione rispetto al 2019 (nel 2020 la gara è stata cancellata per il Covid) dei primi e ultimi 500 metri.

«E’ un tracciato che si adattava abbastanza bene alle caratteristiche di Filippo – afferma Cioni – non piatto come quello dei mondiali, ha un dislivello complessivo di 400 metri, diciamo che è il classico su e giù della pianura francese. Sarebbe stato un bel test anche perché è presumibile che il percorso olimpico di Parigi 2024 avrà caratteristiche simili. Vorrà dire che ci andremo l’anno prossimo».

I media avevano caricato fortemente l’evento puntando sulla sfida fra l’iridato e il belga Remco Evenepoel, terzo a Leuven. Per Cioni però la mancanza di Ganna non significa che il belga avrà vita facile.

«Fossi in lui – spiega – farei molta attenzione al campione europeo, lo svizzero Kung che potrebbe adattarsi meglio di tutti al tracciato. E’ difficile dire chi sia il favorito, dipende molto da quanta benzina è rimasta nelle gambe di ognuno più che dalle proprie capacità».

De Marchi Tre Valli 2021
Toccherà a De Marchi provare a centrare il podio, colto oltre che da Ganna solo da Quinziato nel 2008
De Marchi Tre Valli 2021
Toccherà a De Marchi provare a centrare il podio, colto oltre che da Ganna solo da Quinziato nel 2008

Gara che merita il WorldTour

La “costruzione” dell’evento come detto è un po’ particolare: Lefevere ad esempio nelle sue dichiarazioni non è sembrato entusiasta della partecipazione di Evenepoel, pur comprendendo il richiamo economico. Cioni tiene su questo a dire la sua: «E’ una bellissima manifestazione, proprio perché è dedicata a tutte le categorie e non solo ai professionisti. Ha una forte partecipazione francese ma questo è normale, basti considerare che la Française des Jeux invierà 20 atleti fra le varie categorie. Per me è un peccato che non abbia il seguito mediatico che meriterebbe. Considerando che il WorldTour non comprende gare a cronometro, dovrebbe assolutamente inserirla».

Assente Ganna, toccherà quindi ad Alessandro De Marchi, campione europeo nel Team Relay e reduce dalla vittoria alla Tre Valli Varesine, provare a sfatare il tabù azzurro. Nelle altre categorie ci saranno 8 italiani, tra cui Marta Cavalli, Elena Pirrone, Vittoria Bussi e Federica Piergiovanni nella gara elite femminile dove, stante l’assenza delle principali olandesi, tutto indica nella svizzera Reusser la principale favorita.

High Road Gen 2 di Maxxis: maggior grip e scorrevolezza

06.10.2021
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Maxxis presenta le nuove gomme High Road (Gen 2) Il copertoncino è la parte di contatto tra la bici e l’asfalto ed un buon prodotto deve offrire la miglior scorrevolezza possibile. Essendo poi la parte del mezzo a contatto con la strada incontra molti ostacoli e diverse tipologie di fondo, spesso non in ottime condizioni.

Il copertoncino, quindi, deve essere anche resistente per ridurre al minimo le forature e le problematiche annesse. Per una foratura si possono perdere treni e gruppetti e ritrovarsi con un pugno di mosche in mano.

Maxxis fornisce le coperture al Team Israel Start Up Nation. Anche grazie a questa collaborazione i progressi sono stati incredibili
Maxxis fornisce le coperture al Team Israel Start Up Nation. Anche grazie a questa collaborazione i progressi sono stati incredibili

Più performante

Per questo Maxxis, che fornisce i propri copertoncini alla Israel Start Up Nation, ha migliorato e studiato a fondo il copertocino High Road (Gen 2) e lo ha reso ancora più adatto a qualsiasi condizione di asfalto o meteo. Grazie alle scalanature laterali che offrono un grip maggiore del 23%, soprattutto in condizioni di strada bagnata e ad una nuova carcassa che abbassa la resistenza al rotolamento del 16%. Se ne sarà accorto Alessandro de Marchi che alla Tre Valli Varesine ha condotto magistralmente la sua bici sulle insidiose strade della città dei sette laghi.

La continua collaborazione tra Maxxis e l’Israel Start Up Nation ha prodotto questo nuovo e performante copertoncino. Le misure proposte sono quelle più usate dai professionisti: 25 millimetri e 28 millimetri, è stato infatti testato che la larghezza ideale del battistrada è quella compresa tra queste due misure.

L’High Road 2 Gen è proposto in due misure: 25 e 28 millimetri. La scalanatura laterale agevola lo scarico dell’acqua sul bagnato
L’High Road 2 Gen è proposto in due misure: 25 e 28 millimetri. La scalanatura laterale agevola lo scarico dell’acqua sul bagnato

Un po’ di dati

I nuovi High Road (Gen 2) oltre ad essere disponibili nelle due misure precedentemente indicate presentano due versioni differenti del tallone: una pieghevole ed una in fibra di carbonio. La versione con tallone pieghevole ha un peso di 185 grammi nella misura da 25 millimetri ed un peso di 205 grammi nella misura da 28 millimetri.

La versione con il tallone in fibra di carbonio ha un peso di 285 grammi per il copertoncino da 25 millimetri, mentre la bilancia si ferma a 315 grammi per quello da 28 millimetri.

Il prezzo al pubblico è di 59,90 euro per il copertoncino con la spalla pieghevole e di 67,90 euro per quello con il tallone in fibra di carbonio.

Maxxis

Ciclo Promo Components

Giornata di tregenda, salta fuori il guerriero De Marchi

05.10.2021
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Pioveva come a Sestola, quando arrivò la maglia rosa. «Ma a me – dice De Marchi – queste giornate piacciono. Si deve correre a carte scoperte. E quando questo succede, devi essere coraggioso. Devi correre sapendo che puoi perdere tutto, ma è il modo migliore per arrivare a vincere. O comunque per me è anche il modo più bello».

La corsa è partita dalla sede Eolo: i corridori del team sempre in prima fila. Qui Gavazzi
La corsa è partita dalla sede Eolo: i corridori del team sempre in prima fila. Qui Gavazzi

Fortuna e coraggio

Le valli intorno Varese trasudavano di pioggia e fango. L’acqua non ha offerto che qualche minima tregua, ma vedendoli passare giro dopo giro era chiaro che non avessero un solo centimetro asciutto. Quando poi in fondo al rettilineo di arrivo sono spuntati Formolo e De Marchi, a capo di una giornata in cui il veronese ha sprecato anche le forze che non aveva, era forse scritto che la vittoria sarebbe andata al friulano. E’ stato uno sprint alla moviola, come ha scherzato De Marchi, fra due uomini sfiniti e provati dal lungo attacco.

«In queste situazioni e il tipo di meteo che c’era – prosegue De Marchi – è meglio essere davanti e spendere, perché è molto difficile per quelli dietro inseguire. A 15 chilometri dalla fine sono riuscito a pizzicare il momento giusto, Formolo mi ha seguito e siamo riusciti a trovare la determinazione per arrivare. Dopo alti e bassi di prima parte di stagione, abbiamo trovato finalmente un po’ di serenità. Ci tenevo a questa corsa…».

Formolo sempre in fuga, ha sprecato le energie che gli sono mancate in volata
Formolo sempre in fuga, ha sprecato le energie che gli sono mancate in volata
Come mai?

Avevo dato un’occhiata al percorso qualche settimana fa e mi ero detto che poteva essere un’occasione, per le strade e per il tempo. Ho fatto di tutto per esserci, perché mia moglie è incinta e ci siamo quasi. Sono dovuto correre a casa dall’Emilia, perché sembrava il momento e invece è stato un falso allarme. Ora l’obiettivo è tirare fino al Lombardia, ma dipende tutto da lei.

Da Sestola sembrano passati due anni, invece era la scorsa primavera…

Sono successe tante cose. Quella giornata rimane in cima alla lista dei grandi ricordi, ma è stata seguita da eventi negativi altrettanto grandi. Due mesi difficili, quando le ossa si rompono serve tempo e il tempo in questo ciclismo che corre veloce non sempre c’è. Devo ringraziare la squadra che mi ha aspettato senza mettermi pressione. Questa è la seconda corsa dopo il mondiale che faccio con la loro maglia, sono contento di averla onorata così.

Nibali ha provato qualche azione in salita: la condizione in ogni caso c’è
Nibali ha provato qualche azione in salita: la condizione in ogni caso c’è
Come ne sei uscito?

Ho solo voluto correre il più possibile, come fa un corridore per ritrovare il feeling col proprio corpo e con la bicicletta. Non mi sono mai fermato a pensare che dovevo tornare. Ho guardato ai piccoli step che potevo fare, a risalire in bici, allenarmi, ritornare alle corse e costruire con le corse quel poco di condizione che potevo raggiungere.

Quando la svolta?

Quando sono andato in fuga a Plouay. Ho fatto la mia cavalcata e intanto sentivo che nelle gambe c’era qualcosa di buono. Eravamo sulla strada giusta, con un po’ di perseveranza potevo fare bene. Gli acciacchi ci sono ancora, senza il mio fisioterapista e l’osteopata sarebbe difficile. L’inverno che abbiamo alle porte sarà decisivo per la stagione che arriva. Il problema è fare una gara a tappe, nelle gare di un giorno te la cavi. Ma se hai problemi a schiena e gambe, le tre settimane diventano difficili.

De Marchi in corsa con una grinta feroce: voleva proprio vincere
De Marchi in corsa con una grinta feroce: voleva proprio vincere
Che cosa significa questa vittoria?

Che mi sto riprendendo il mio posto, a dispetto di chi ha pensato che fossi vecchio. Sono tornato ai mondiali, una chiamata che vale tanto. Sono stato votato alla causa azzurra e dispiace che sia finita così, soprattutto visto il Colbrelli di Roubaix. Tornare dopo una caduta del genere era difficile, ma molto importante.

Il tempaccio propizia gli attacchi, ma è un fatto che tante corse si corrano ormai alla garibaldina…

Il livello è diventato altissimo, più corridori sono capaci di determinate prestazioni e questo ti costringe a inventarti qualcosa di nuovo. Se aspetti il finale, combini poco. Bisogna giocare di anticipo ed io con questa cosa mi trovo bene. Quando le giornate sono così, bisogna essere astuti e trovare il moto per entrare nel gioco. E oggi è successo ai 40 dall’arrivo, quando siamo entrati sui sette già in fuga.

Hai ancora al polso il braccialetto per chiedere giustizia per Giulio Regeni…

Mi piacerebbe vincere una corsa e non averlo più al polso. Mi dispiace averlo, perché significa che non c’è ancora stata giustizia, nessun cambiamento. Continuerò a portarlo, a incoraggiare la famiglia Regeni che ho avuto la fortuna di conoscere dopo il Giro. Tutto quello che posso fare è incoraggiarli e imparare da loro per la perseveranza e la tenacia che dimostrano.

Poi si avvia verso l’antidoping cercando prima di recuperare il cellulare. Un messaggio potrebbe avvertirlo che la sua Anna ha messo al mondo Giovanni. E a noi che ci precipitiamo a scrivere salta su il dubbio che forse di Regeni e di Silvia Piccini potremmo preoccuparci anche se De Marchi non vince. La sua ultima vittoria risaliva infatti al Giro dell’Emilia del 2018.

Ciclismo social 2021

Ciclismo e social network: il viaggio continua

29.08.2021
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Social network sites e sport, un tema molto complesso da affrontare e che si sta studiando ancora molto. Ci concentriamo allora sul mondo della bicicletta, ma prima partiamo da qui: sempre più persone utilizzano i social network durante gli eventi sportivi che seguono (il 45% degli utenti secondo il 2020 Sprout Social Index); sempre più persone utilizzano i social principalmente per seguire lo sport (dal 15% del 2016 al 22% del 2019 secondo il global web index); sempre più persone sostengono che non necessitano di seguire gli eventi sportivi in diretta per mantenersi aggiornati sui loro sport, squadre o atleti preferiti, bastano appunto i social network sites.

Questi dati restituiscono la dimensione della crescita esponenziale dell’influenza dei social sul mondo dello sport. Il ciclismo non è esente da questo processo che riguarda un po’ tutto in realtà, ma che è particolarmente forte in quest’ambito, proprio dati alla mano. Questa convivenza sempre più stretta può essere però un’arma a doppio taglio tanto per i professionisti, quanto per i fan e le aziende. Da un lato un utilizzo positivo ed equilibrato permette di migliorare il rapporto tra amatori e professionisti, ma anche di creare tifosi fedeli e, per le aziende, magari trasformarli in clienti. Dall’altro lato un uso inconsapevole o sbagliato del mezzo danneggia le reputazioni, genera tensioni e può inficiare sul benessere di tutto l’ambiente.

De Marchi Giro 2021 Regeni
Alessandro De Marchi in rosa: al Giro ha dato risalto con un semplice braccialetto alla campagna per la verità su Giulio Regeni
De Marchi Giro 2021 Regeni
Alessandro De Marchi in rosa: al Giro ha dato risalto con un semplice braccialetto alla campagna per la verità su Giulio Regeni

C’è tanto di buono…

Altri esempi in questo senso possono essere iniziative di sensibilizzazione sulla sicurezza della strada nelle quali ci siamo impegnati anche noi di bici.pro, oppure spinte politico-sociali come il messaggio che ha voluto dare Alessandro De Marchi in maglia rosa al Giro d’Italia indossando il braccialetto di Giulio Regeni, gesto diventato ancora più rilevante e virale grazie agli apprezzamenti e le discussioni di facebook, instagram e twitter.

Gli esempi non mancano né per una faccia della medaglia né per l’altra. In positivo pensiamo all’iniziativa recente di Lachlan Morton che ha corso un Tour de France parallelo a quello ufficiale con l’intento di raccogliere donazioni per la World Bicycle Relief, ma anche di promuovere un modo diverso di vivere il ciclismo. Senza i social probabilmente la sua impresa non avrebbe mai visto la luce, o comunque avrebbe avuto un impatto e un seguito decisamente inferiore considerando anche il rapporto quasi intimo che ha instaurato con chi lo ha seguito online passo passo fino agli Champs Elysèes.

Morton Tour 2021
Lachlan Morton, un Tour in totale solitudine, ma vissuto in forte condivisione sui social
Morton Tour 2021
Lachlan Morton, un Tour in totale solitudine, ma vissuto in forte condivisione sui social

… e altrettanto di negativo

Abbiamo parlato di vantaggi personali ed economici: pensate quanto uno come Sagan abbia beneficiato dalla cassa di risonanza social, tenendo vivo il rapporto coi fan anche in periodi di magra. Infine si può parlare dell’account ciclismo ignorante, un esempio dal basso, che fa comunità creando forme espressive ricorrenti (cosiddetti tormentoni) che vanno a formare anche una cultura comunitaria, un insieme di simboli condivisi.

L’altro volto dei social, quello “oscuro” è purtroppo altrettanto ricco: pensiamo al tema, sottolineato da Giovanni Visconti, degli insulti e della pressione mentale che i corridori subiscono dal pubblico, il quale ha ormai un canale diretto per farsi sentire (nel bene e nel male appunto). Sempre lato corridore c’è la necessità di utilizzare consapevolmente il medium considerando il ruolo sociale che si ricopre e l’impatto delle proprie azioni virtuali. La sospensione di Quinn Simmons dalla sua stessa squadra, la Trek-Segafredo, per dei tweet discutibili è emblematica di tutto ciò. Anche le squadre e le aziende devono sempre evitare scivoloni, costrette comunque a produrre un costante flusso di contenuti per questioni di marketing.

Simmons 2021
Per il giovane americano Quinn Simmons l’uso improprio dei social è stato foriero di guai
Simmons 2021
Per il giovane americano Quinn Simmons l’uso improprio dei social è stato foriero di guai

Corridori maturi e soluzioni

Poi c’è anche il discorso che faceva Valerio Agnoli, sempre da noi, sull’eccessiva informazione che investe amatori e pro’ indifferentemente, portandoli a stressarsi e paragonarsi a standard irrealistici, promossi falsamente sui social, quando non a seguire indicazioni scorrette su alimentazione, metodi di allenamento estremi e così via.

Infine potendo discutere senza moderazione si formano ambienti in cui le opinioni si radicalizzano, contrapponendo i tifosi delle proprie idee o dei propri corridori/squadre. A farne le spese sono per primi gli stessi appassionati, ma è poi la comunità tutta che ci rimette, scoraggiando eventuali nuovi membri e rendendo pesante la condivisione.

Le soluzioni sono complesse, come del resto è complesso il problema perché sociale e in quanto tale andrebbe affrontato. E’ fondamentale un’educazione digitale, che dovrebbe partire fin dalle scuole: se in piazza non aggredisci verbalmente l’altro, non dovresti farlo neanche sulle piazze virtuali. La tecnologia però rende tutto più distante, mediato e quindi dà l’illusione di essere meno reale, con conseguenze invece più che reali e concrete.

Lefevere 2021
Lefevere, team manager della Deceuninck, spesso manda segnali tramite i social che aprono discussioni e creano mosse di mercato
Lefevere 2021
Lefevere, team manager della Deceuninck, spesso manda segnali tramite i social che aprono discussioni e creano mosse di mercato

Si afferma una nuova figura

Poi sarebbe importante la comprensione del medium, la stesura di linee guida da seguire per corridori, aziende e squadre. Magari anche affidarsi quando possibile a professionisti, sia psicologi che possano sostenere i corridori come suggeriva Visconti, sia del digitale e dei social media. Un social media manager permette al corridore di mantenere i vantaggi economici condividendo il peso mentale del dover star dietro alla propria immagine digitale (aspetto sottolineato da Velasco). Allo stesso modo le squadre o le aziende meno conosciute possono farsi un nome più velocemente e ottenere più facilmente sponsor. Quelle più affermate già si affidano a degli esperti e appunto non è un caso.

Per chiudere il discorso, queste dinamiche e questi pro e contro riguardano come detto un po’ tutti gli sport e la comunicazione digitale sportiva. In cosa si distingue allora il ciclismo oltre nell’avere protagonisti diversi? E’ semplice, la comunità online riflette quell’essere un “circo” quasi chiuso che caratterizza la grande famiglia della bicicletta. Tutto sembra ancora più vicino, squadre, diesse, persino dirigenti come Lefevere, molto attivo su Twitter. Questa dimensione “raccolta” amplifica ulteriormente la forza mediatica di questi mezzi. Se c’è un’opinione diffusa arriva a tutti, se c’è un discorso condiviso partecipano veramente tutti.

La discussione sulle borracce

Ricordate le polemiche sulle borracce e le nuove normative UCI? In quell’occasione fu fortissima la protesta dei social, forse l’agente principale, insieme agli altri media, che ha spinto poi a rivedere quelle stesse norme. Si è vista una comunità molto unita nel sottolineare l’ipocrisia del “nemico comune” e anche le opinioni dissonanti hanno preso parte a questa discussione. Questi sono momenti che formano la comunità stessa, come la condivisione di eventi importanti, le corse più epiche, vedi Chris Froome che corre a piedi sul Mont Ventoux.

L’ormai epica corsa a piedi di Chris Froome sul Mont Ventoux, in cerca di una bici
Froome 2017
L’ormai epica corsa a piedi di Chris Froome sul Mont Ventoux, in cerca di una bici

Attenzione ai messaggi sbagliati…

Ancora, si può prendere il video-tormentone del DS che risponde in maniera iconica e verace (“il ciclismo è uno sport di m***a”) ad un suo giovane corridore che gli chiede i boccettini lunghi. Per dire su quest’ultimo ci ha scherzato persino Egan Bernal, su un qualcosa che era partito come prettamente locale, settoriale come può essere il ciclismo giovanile italiano. Questa vicinanza però, oltre ad amplificare le negatività dei tifosi verbalmente violenti, causa anche dei circoli viziosi da cui diventa difficile uscire a livello di mentalità. C’è l’esasperazione del controllo di tutto che toglie il divertimento e il gusto dell’andare in bicicletta anche a chi dovrebbe solo godersela.

Queste dinamiche sono ancora più difficili da combattere con il rischio di trovare dell’ostracismo ad ogni livello. Di nuovo pro e contro insomma. Poi, diciamoci la verità, non cambieremmo il nostro circo per nessun altro al mondo, ma è nostro dovere provare a migliorarlo ogni giorno di più, a partire da come ci comportiamo noi stessi nella nostra “famiglia virtuale”.

Tante corse e piccoli passi per tornare il vero De Marchi

10.08.2021
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Non deve essere facile portarsi sulle spalle il peso degli infortuni quando stai vivendo un bel periodo di forma. La metafora non è fatta a caso se ti chiami Alessandro De Marchi e negli ultimi anni proprio le spalle sono state oggetto di fratture. Prima al Tour nel 2019, poi a maggio il “rosso di Buja” della Israel Start Up Nation ha dovuto abbandonare il Giro d’Italia in seguito ad una caduta che ha tenuto tutti col fiato sospeso. 

Alessandro sei rientrato al Tour de Wallonie ed ora sei in gara al Tour de Pologne. Come sta andando il tuo recupero dopo il brutto infortunio al Giro d’Italia?

Sta andando benino. Procede bene, ma è un po’ lento, essenzialmente dovuto ad entrambe le spalle. Nella vita di tutti i giorni sto bene, ma in bici mi dà ancora qualche noia. Nelle ultime due settimane tuttavia ho fatto grossi passi in avanti e sono più ottimista di un mese fa quando sono rientrato alle corse (20 luglio al Tour de Wallonie, ndr)

Il rientro alle corse di De Marchi è stato laborioso, ma ora si punta a un bel finale
Il rientro alle corse di De Marchi è stato laborioso, ma ora si punta a un bel finale
Oltre a ritrovare confidenza con la bici immaginiamo che qui in Polonia tu voglia ritrovare anche un giusto colpo di pedale che avevi al Giro d’Italia.

La necessità principale, dopo quello che mi è successo a maggio, era incamerare giorni di gara quindi l’idea è stata quella di correre il più possibile. Abbiamo deciso di non fare la Vuelta per avere un po’ di tempo tra le corse di sistemare la spalla, tenendola sempre sotto controllo. Il Tour de Pologne è una passaggio di questo recupero, perché sono sette tappe con chilometraggi alti e mi tornerà molto utile.

Alla sesta tappa c’è la cronometro di Katowice di 19 chilometri. Può essere un buon banco di prova per la crono degli europei?

In realtà è una di quelle cose che mi piacerebbe provare a guadagnarmi, in particolare la prova mista del team relay (in programma mercoledì 8 settembre, ndr). Il test di sabato sarà senz’altro utile per riprendere confidenza con quel tipo di sforzo e vedere a che punto sono. Poi comunque mancherebbero circa due settimane per rifinire la condizione. Dal Polonia in poi mi aspetto di vedere più ritmo.

Gli altri programmi quali saranno?

Dipenderà da come uscirò da questa corsa. Poi anche da cosa mi accennerà Davide (Cassani, ndr) o chi per lui visto che in questi giorni dovrebbe esserci un incontro tra lui e il presidente Dagnoni. In base a queste cose decideremo. Ci sono tante corse in giro per l’Europa tra Francia e Benelux Tour (dal 30 agosto al 5 settembre, ndr), bisogna solo capire come incastrare il tutto.

De Marchi Martin
Al Giro d’Italia, le emozioni più forti della stagione e forse della carriera di De Marchi, con la maglia rosa
De Marchi Martin
Al Giro d’Italia, le emozioni più forti della stagione e forse della carriera di De Marchi, con la maglia rosa
In sostanza il tuo obiettivo primario è recuperare il meglio possibile.

Sì, certo. Conto di correre il più possibile fino ad ottobre. In quel periodo ci sono anche tante gare in Italia e spero per allora che la condizione sarà tornata accettabile. Sperando di fare qualcosa.

Circa tre mesi fa, era l’11 maggio, col secondo posto di Sestola conquistavi la maglia rosa, portata per due tappe. Cosa rimane di quella bella giornata (brutta meteorologicamente parlando) rovinata poi da quel brutto incidente?

Non so quanto sia rimasto di quelle due settimane nell’immaginario collettivo o negli addetti ai lavori, ma a me sicuramente è rimasto molto. Ho l’impressione che la caduta abbia quasi cancellato quello che c’è stato prima. Sono dovuto ancora una volta ripartire da zero, ma ho pensieri precisi che mi porto dietro e che mi aiuteranno nei momenti difficili.

Te lo diciamo noi, la tua maglia rosa è stata un’emozione, un premio alla carriera. Ma non è mica finita qui, hai un credito con la fortuna.

No, assolutamente non è finita e anche questo ce l’ho ben chiaro in testa. Voglio recuperare ciò che ho perso al Giro d’Italia di quest’anno.

Il Polonia fa parte del cumulo di corse che De Marchi disputerà per riprendere la piena efficienza fisica
Il Polonia fa parte del cumulo di corse che De Marchi disputerà per riprendere la piena efficienza fisica
Un’ultima cosa. Porti un braccialetto col nome di Giulio Regeni, sei molto impegnato sui social su temi importanti come la sicurezza altri che esulano dal ciclismo. Si dice che tanti corridori non siano attivi in questo senso e che potrebbero fare di più. Tu che spesso solleciti l’opinione pubblica che cosa ne pensi di questa cosa?

Ci sono dei temi che uno deve sentire ed è inutile farla contro voglia. Ci sono altri temi invece che sono quasi impliciti quando fai un certo tipo di lavoro e penso alla sicurezza in primis. Su questo credo che tutti quanti potremmo fare di più. E continuerò a consigliare ai miei colleghi di schierarsi su questo argomento. Ripeto, consigliare perché non vorrei che qualcuno la prendesse come una critica o interpretasse male, però credo che sia quasi un dovere di un ciclista professionista richiamare l’attenzione su un tema delicato come la sicurezza.

EDITORIALE / Riccardo, papà di Silvia: «Diamo un senso a questa storia»

14.06.2021
3 min
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Queste sono le parole molto toccanti di Riccardo Piccini, il papà di Silvia, vittima di un'auto alla fine di aprile. Con la sua squadra ha compiuto un viaggio di sei tappe fino a Roma, indossando la maglia e il casco rosa ricevuta da De Marchi, per raccontare la storia di sua figlia e richiamare a una maggior sensibilità sul tema sicurezza. Ascoltate con attenzione le sue parole. Ne riparleremo presto. Promesso!

Nessuno di noi la conosceva personalmente, ma Silvia Piccini è entrata nelle nostre vite e non deve più uscirne. Aveva 17 anni, classe 2003. Il 22 aprile si stava allenando, come faceva ogni giorno. Dopo scuola, tornava da Udine in pullman e intanto mangiava la sua ciotola di riso. Rientrava, si cambiava, usciva in bici e al ritorno studiava. Silvia voleva diventare un medico, la bici era la sua grande passione. Quel giorno però a casa non c’è tornata. La sua colpa è stata trovarsi sulla traiettoria di un’auto con troppa fretta, che l’ha uccisa.

Due giorni prima della partenza per Roma di Riccardo, Alessandro De Marchi si è presentato a casa Piccini portando in dono maglia rosa e casco
Due giorni prima della partenza per Roma di Riccardo, De Marchi ha portato in dono maglia rosa e casco

A Roma con Silvia

Passiamo le nostre giornate cercando racconti di campioni, imprese, dettagli tecnici, approfondimenti, biciclette bellissime, ma questa volta ci fermiamo e vi proponiamo una riflessione più profonda attraverso le parole di Riccardo Piccini, il papà di Silvia.

Lo abbiamo incontrato alle porte di Roma, mentre con gli amici del Picchio Rosso Bike stava concludendo il suo viaggio dal Friuli verso Roma. In bicicletta.

«Vi dico quello che mia moglie ripete sempre a tutti. Silvia non l’ha uccisa la bicicletta, la bicicletta non c’entra niente. Silvia l’ha uccisa un errore umano. Un errore umano, che poteva essere evitato. Non potevo dire a mia figlia di non andare in bicicletta e che la bicicletta è pericolosa. Era la sua passione. Ma dopo quello che è successo, schiere di bambini che sognavano di correre, adesso hanno paura di farlo. E non lo troviamo giusto».

Hanno distribuito questi cuori con il nome di Silvia lungo il percorso
Hanno distribuito questi cuori con il nome di Silvia lungo il percorso

Gli occhi di Riccardo

Ci ha messo in contatto De Marchi e Riccardo si è prestato a raccontarci di sua figlia. Mentre parlava, nel suo sguardo abbiamo rivisto il dolore di Giacomo Scarponi, Marco Cavorso e di altri genitori sgomenti. E quando abbiamo avuto paura di avergli chiesto troppo, è stato lui a voler andare avanti.

«Questa morte non deve essere stata invano. Ognuno di noi deve dare il suo esempio, ma le regole vanno imposte dall’alto. Ho pensato tanto in questi giorni e dovunque andassimo, abbiamo raccontato di Silvia. Alessandro lo ringrazio tantissimo. Incontrarlo è stata un’emozione grandissima, ci ha dato una forza incredibile. Oltre che un campione di ciclismo, secondo me è un campione di vita. Una grandissima persona, da stimare, da seguire».

Riccardo con la maglia rosa e il casco di Alessandro De Marchi: inizia l’ultimo tratto verso Roma, il viaggio volge al termine
Riccardo con la maglia rosa e il casco di Alessandro De Marchi

In silenzio

Vi lasciamo in silenzio con le sue parole, ma ci prendiamo l’impegno che non finirà qui e per questo vi chiederemo presto di fare qualcosa con noi. Tutti coloro che, nessuno escluso, nel ciclismo vivono e dal ciclismo traggono da vivere hanno l’obbligo di non limitarsi al solito carosello di belle parole. Quelle dopo un po’ si somigliano tutte e allora questo dolore non avrà avuto alcun senso.

Con De Marchi a casa di Silvia: «Ma ora facciamo qualcosa…»

09.06.2021
5 min
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«Ieri pomeriggio ho conosciuto Silvia. Leggete bene, non ho sbagliato: ieri ho veramente conosciuto Silvia incontrando la sua famiglia, papà Riccardo, mamma Janira, suo fratello Alejandro e l’ultima arrivata Elisa, l’ho conosciuta perché lei vive ancora con loro, è lì con loro ogni giorno. E la sua famiglia è determinata ad avere giustizia e soprattutto a non farla morire invano…».

Iniziava così due giorni fa il post su Instagram di Alessandro De Marchi. Avevamo pensato tante volte di metterci in contatto con la famiglia di Silvia Piccini – la ragazza di 17 anni uccisa il 24 aprile da un’auto mentre semplicemente si stava allenando – con la rabbia addosso per l’ennesimo incidente cui si fatica a dare una spiegazione, ma proprio Alessandro ci aveva detto che sarebbe stato meglio aspettare. Poi gli hanno detto che il papà della ragazza stava organizzando una pedalata per portare il suo dolore e la sua testimonianza fino a Roma e alla fine ha suonato alla loro porta (nella foto di apertura, scattata da sua moglie Anna, Alessandro è con il giovane Alejandro, suo padre Riccardo e, in braccio a mamma Janira, ci sono Andrea De Marchi e la piccola Elisa).

Silvia Piccini aveva 17 anni, è morta il 24 aprile due giorni dopo l’incidente (foto Instagram)
Silvia Piccini aveva 17 anni, è morta il 24 aprile due giorni dopo l’incidente (foto Instagram)

L’ansia addosso

Il Rosso di Buia è tornato in ospedale. Stamattina lo operano alla clavicola e poi resteranno soltanto le costole, che ancora fanno male. Scherzando gli chiediamo se gli abbiano lasciato direttamente le chiavi della stanza, poi però il discorso va ai sentimenti che condividiamo sulla storia di Silvia e dei tanti, come lei, che sono morti per il comportamento criminale di pochi.

«In realtà – racconta Alessandro – ero in contatto con loro già da un po’, da quando durante il Tour of the Alps mi esposi per parlare di Silvia. Fu una telefonata che mi lasciò senza parole. Prima di allora non ci eravamo mai incrociati, giusto per qualche evento di ciclismo. Dopo invece ci siamo tenuti in contatto. Per la maglia rosa e quando mi sono ritirato. Così, visto che suo papà stava partendo, con Anna siamo andati a trovarli. Eravamo parecchio agitati, perché in certi casi non sai mai come porti».

Silvia era lì

Silvia era ancora lì. Chiunque si sia trovato in situazioni analoghe potrà dirvi la stessa cosa. Solo il tempo renderà il distacco tangibile, ma all’inizio non è così. E’ successo un mese e mezzo fa, ma la mamma di Silvia a un certo punto ha accompagnato Anna, in dolce attesa, a guardare degli abiti che aveva pensato di regalare.

«Ci hanno raccontato gli aneddoti della sua vita – sorride – tante piccole cose. Silvia è nata che sua mamma aveva 17 anni e forse proprio per questo era una ragazza con la testa sulle spalle, di quelle che aiutava in tutto. Andava in bici. Studiava. Le piaceva scrivere. Era legatissima a suo fratello. La stessa determinazione di donare gli organi l’aveva avuta lei quando nessuno pensava che sarebbe finita così. Siamo rimasti sbalorditi… ».

Mamma Janira ha avuto Silvia quando aveva ancora 17 anni
Mamma Janira ha avuto Silvia quando aveva ancora 17 anni

Una vicenda triste

Alessandro racconta e sia pure a distanza lo immaginiamo fissare un punto, come fa quando segue il filo dei pensieri e li racconta senza perdersi. Come quando raccontò le emozioni della sua maglia rosa, che proprio in queste ore sta completando ben altro Giro d’Italia.

«Non ci hanno dato per un solo secondo la sensazione di una famiglia colpita dal lutto – dice – quelli tristi eravamo noi due. Ci hanno accolti come se ci conoscessimo da sempre. Ci hanno raccontato cose da non scrivere sull’incidente e quello che c’è ora. La vicenda è veramente triste. Abbiamo respirato la loro determinazione nell’andare sino in fondo per avere giustizia, sfruttando l’occasione per aiutare altre famiglie e perché la morte di Silvia non sia stata invano. La bici non c’entra, la bici è ancora centrale nella loro vita. Il papà è un amatore molto soft, cui piace fare chilometri senza classifiche. E il piccolino corre da esordiente.

«Lui era quello più emozionato. Mi ha chiesto un sacco di cose. La velocità nelle volate e mi ha confessato la sua paura di sgomitare nelle fasi di corsa. L’ho guardato, ho pensato a come sono conciato e gli ho detto che forse stava chiedendo alla persona sbagliata. Quando siamo usciti da quella casa, era come se davvero avessimo conosciuto Silvia».

Con Papà Riccardo e il figlio Alejandro, che corre negli esordienti
Con Papà Riccardo e il figlio Alejandro, che corre negli esordienti

Dipende da noi

Cosa si può fare, Alessandro, perché questa non sia solo una delle vite rubate? Il silenzio di fondo parla di una stanza di ospedale, ma anche dello sgomento che ti assale quando ti arrovelli in questi pensieri.

«Ho anche io la paura – ammette – che passata l’ondata del dolore, si tornerà a parlare d’altro. Mi sento di dire che vanno bene le iniziative di piazza, bene far rumore, ma poi mi chiedo: che cosa facciamo nel nostro piccolo? Quando siamo in macchina e la persona che guida telefona o scrive messaggi, che cosa gli diciamo? Quando vediamo sui social i nostri amici fare foto o selfie in auto o in bici, che cosa diciamo? Io credo che finché ciascuno di noi non comincia a rendere queste attenzioni quotidiane e senza eccezioni, il vento non cambierà. E allora davvero la morte di Silvia sarà stata invano».

Il ciclismo, più che uno sport è uno stile di vita.
Ci insegna la cosa più importante: a non arrenderci mai.
Silvia Piccini

De Marchi Giro 2021

De Marchi: «Avrei voluto esserci, all’Alpe di Mera…»

28.05.2021
2 min
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Il Giro d’Italia di Alessandro De Marchi è già finito, dopo avergli riservato una vera montagna russa di emozioni, prima regalandogli la gioia immensa della maglia rosa vestita per due giorni, poi rendendolo protagonista di una terribile caduta alla tappa numero 12 costatagli il ricovero in ospedale con fratture multiple al costato. Il suo ritiro è stato una grave perdita per la corsa perché il “rosso di Buja” è uno che non passa mai inosservato.

Aiutante alla vigilia per Dan Martin, protagonista alla Israel Start-Up Nation che ha vissuto un Giro finora ben oltre la sufficienza a dispetto dei problemi del suo leader, De Marchi è uno dei più esperti nell’analizzare il ruolo del luogotenente in salita, un ruolo che nella tappa con arrivo all’Alpe di Mera avrà un peso fondamentale: «In tappe come queste il peso specifico di chi è al fianco del capitano è enorme ed è una grande responsabilità».

In sintesi quali sono i suoi compiti?

Dipende molto dalla strategia stabilita dal team e dalle intenzioni del capitano stesso: in certi casi può essere mandato in avanscoperta per fare da punto d’appoggio quando il leader andrà all’attacco, oppure può rimanere al suo fianco e tirarlo fin dove è possibile, facendo il ritmo o rispondendo ad attacchi dei suoi avversari. Può anche essere mandato lui stesso alla ricerca del risultato pieno, per costringere gli avversari a lavorare di più.

De Marchi Martin
De Marchi davanti a Martin: anche in maglia rosa il suo ruolo non era cambiato
De Marchi Martin
De Marchi a precedere Martin: anche in maglia rosa il suo ruolo non era cambiato
Tra queste eventualità qual è la più faticosa?

Probabilmente la fuga, ma è difficile dirlo in anticipo considerando che dipende molto dalla situazione di gara. Bisogna anche considerare l’altimetria della tappa, se è molto “esigente”…

Il ruolo cambia in base alla classifica?

Certamente, è in base ad essa che si decide se attaccare o difendersi. In quest’ultimo caso avere al fianco il luogotenente è un aspetto fondamentale, la storia del ciclismo è piena di esempi in tal senso.

Conosci le zone di questa tappa?

Personalmente no e mi spiace non averle potute scoprire in sella alla bicicletta. Mi dispiace perché mi ero avvicinato al Giro con la condizione in crescita e credo di averlo dimostrato, ma potevo ancora fare qualcosa d’importante, magari cogliere quel successo di tappa al quale ero andato vicino nel 2012, quando correvo nell’Androni, con meno responsabilità ma più alla garibaldina, con la forza della gioventù. Mi resta però il ricordo di quei due giorni in rosa che nessuno mi toglierà più…