Alla scoperta di Nimbl, dove l’artigianalità è fulcro e vanto

20.12.2023
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PORTO SANT’ELPIDIO – Nimbl è l’apice della produzione artigianale della calzatura, una brand giovane che fonda le radici in un passato di tradizione calzaturiera. In pochi avrebbero scommesso che nel 2023 la calzatura artigianale e fatta completamente a mano sarebbe stata in grado di rivoluzionare la scarpa per il ciclista, professionista e non solo.

Siamo stati a tu per tu con Francesco Sergio, co-fondatore di Nimbl. Da lui ci siamo fatti raccontare cosa rappresenta il marchio oggi e quanto è importante la collaborazione con il Team Jumbo-Visma.

Le altre calzature pronte per gli atleti pro’
Le altre calzature pronte per gli atleti proì
Cosa rappresenta Nimbl?

L’azienda è nata pochi anni fa, una realtà di stampo artigianale, quella che comunemente definiamo piccola. Siamo nel cuore delle Marche e nel comprensorio dove prendono forma tutte le calzature di alta moda. Diciamo pure che la vocazione dell’alta moda c’è, è ben presente, ma l’abbiamo estrapolata portandola nel ciclismo.

Poche primavere, eppure sembra un brand con tanta storia e radici profonde!

Negli ultimi tra anni abbiamo avuto una crescita esponenziale, pur mantenendo le connotazioni di una realtà produttiva locale. Al tempo stesso ci rendiamo conto di essere tra i leader mondiali in questa categoria di calzature, quella di alto livello e caratura.

Il disegno della tomaia creata per le scarpe indossate al Tour 2023
Il disegno della tomaia creata per le scarpe indossate al Tour 2023
Rappresentate l’eccellenza artigianale italiana?

Si è così. Ogni calzatura che esce da Nimbl è fatta a mano, disegnata e plasmata, curata nel dettaglio e nelle materie prime. Le nostre scarpe non sono un compromesso, ma per lavorazione e materiali rappresentano quanto di meglio si può indossare. In tutto questo c’è anche uno stile che ben idenfica il brand.

Dal punto di vista tecnico, quale è il segreto di una Nimbl?

Il segreto, se così possiamo definirlo, di ogni calzatura Nimbl è la suola. Quest’ultima è il risultato di un’insieme di fattori che collimano tra loro. Lo spessore ridotto e l’estrema rigidità, la forma che aiuta a contenere il piede ai lati, oltre ad una produzione di questa suola in carbonio che avviene qui da noi, per una una chiave di volta. La suola è un nostro progetto e non arriva nulla dall’esterno.

Quali vantaggi porta una produzione del genere?

Controllo dei diversi step produttivi, controllo della qualità complessiva. Siamo maniacali soprattutto in questo.

Quante scarpe si producono ogni giorno?

Intorno alle 50 unità. E’ un numero molto ridotto se pensiamo ai volumi di aziende che hanno industrializzato e meccanizzato ogni processo. Se invece ragioniamo nell’ottica di una calzatura completamente hand-made, è una cifra importante.

A quanti atleti professionisti fornite le vostre calzature?

Nel roster Nimbl ci sono 125 atleti, uomini e donne.

Cosa significa essere partner del Team Jumbo-Visma?

Per una realtà produttiva dalle dimensioni contenute come Nimbl, è un impegno notevole ed è molto importante sotto diversi punti di vista e non si tratta solo di promozione del marchio.

Spiegaci meglio!

Essere al fianco, o per meglio dire ai piedi, di un team così forte e con tanta visibilità, significa essere al volante di un veicolo promozionale con il turbo.

La bozza per una tomaia dedicata a Sepp Kuss?
La bozza per una tomaia dedicata a Sepp Kuss?
Avete avuto un buon ritorno?

Nimbl ha ricevuto un boost nell’immagine e nella credibilità. E’ altrettanto vero che collaborare con i tecnici della squadra e atleti di altissimo livello ci ha aiutato a sviluppare ulteriormente le calzature e alcuni processi delle lavorazioni del carbonio. Le loro conoscenze in materia sono state fondamentali.

Palandri tiene duro, il Gragnano resta un esempio da seguire

20.12.2023
5 min
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I migliori under 23 italiani ormai cercano all’estero l’opportunità per crescere e trovare la strada verso il WorldTour. Ora cominciano a farlo anche gli junior, con Finn che ha aperto la strada. Tutto ciò non fa che rendere la vita ancora più difficile a quei team italiani di categoria che sono sempre stati la base, l’humus del ciclismo nostrano. Carlo Palandri ne è un po’ l’emblema, con il lavoro che da tantissimi anni svolge con il suo SC Gragnano e che è risaltato in questo 2023 anche grazie alle imprese di Garibbo (nella foto di apertura).

Proprio la storia di Garibbo, l’elite rimasto a gareggiare nelle prove open eppure capace di emergere fino a trovare un’opportunità in extremis con il team Technipes, squadra continental, è lo spunto per capire come Palandri e il suo team riescano ancora a navigare in acque tumultuose, in un ciclismo che è molto cambiato rispetto a quando, tanti anni fa, il dirigente toscano intraprese il suo viaggio.

Carlo Palandri in una foto del 2005, con il compianto Franco Ballerini
Carlo Palandri in una foto del 2005, con il compianto Franco Ballerini

«Cambiato in maniera enorme – dice – ci troviamo oggi insieme a poche altre squadre in una categoria che per quello che si vede è destinata a sparire. Noi teniamo duro, ma abbiamo visto molte squadre rassegnarsi e cedere. Ci sono troppe contraddizioni, lo stesso fatto che le continental prendono corridori, fanno attività pro’ e poi vengono a competere nelle nostre gare è un controsenso che non ci aiuta».

Voi come vi siete adattati?

Sappiamo che i migliori talenti, o per meglio dire coloro che emergono subito sono accaparrati dalle squadre WT tramite i team Devo, quindi andiamo a cercare fra ciò che rimane. Potremmo parlare di quarte-quinte scelte, ma esprimeremmo un concetto sbagliato: sono corridori che non trovano spazio ma che possono crescere, recuperare, emergere. Lo stesso Garibbo aveva provato ad andare in una continental e non gli avevano dato chance, con noi ha dimostrato quel che vale. Un corridore come lui può dare tanto, eppure a 25 anni lo considerano vecchio dimenticando che c’è chi matura a 27 anni e vince grandi corse.

Una delle vittorie dell’Sc Gragnano nel 2023, con Lorenzo Cataldo al GP Poggia alla Cavalla (foto Fruzzetti)
Una delle vittorie dell’Sc Gragnano nel 2023, con Lorenzo Cataldo al GP Poggia alla Cavalla (foto Fruzzetti)
Perché allora insistere su questa strada?

Perché quando hai questa passionaccia non te la togli dalla pelle… Io penso sempre a mettere a disposizione dei ragazzi tutto quel che serve per emergere e posso dire che abbiamo a disposizione, ad esempio sono fiero del mio staff tecnico con Marcello Massini che è un autentico totem, un’enciclopedia vivente di ciclismo e un giovane come Alberto Conti che al suo fianco sta imparando tutto il possibile. Il lavoro con i ragazzi è capillare, ciò fa sì che possano crescere.

Che tipo di corridori cerchi?

Guardo innanzitutto alle storie: corridori che per qualsiasi problema nel corso della loro carriera non hanno trovato le condizioni ideali, hanno affrontato incidenti, si sono persi ma avevano dentro di sé un grande potenziale. Un esempio è Fiorelli, che con noi è rinato e ha trovato casa nel ciclismo che conta, noi abbiamo creduto in lui quando nessuno lo voleva più.

Il team nel 2024 sarà composto da una decina di corridori, tutti U23
Il team nel 2024 sarà composto da una decina di corridori, tutti U23
Voi avete nel vostro team corridori elite, oltre i 23 anni e non ce ne sono molti in giro, anche perché le occasioni per gareggiare non sono poi tante…

E’ una categoria che va rapidamente sparendo. Nel 2024 non ne avremo, punteremo invece a far maturare quegli atleti presi lo scorso anno fra gli juniores, per questo abbiamo scelto di non procedere ulteriormente sul mercato, vogliamo dar loro la possibilità di migliorare ancora e di mettere a frutto quel che hanno imparato. Il problema è dato anche dalle gare italiane: riflettevamo a bocce ferme su come esse siano sempre meno appassionanti, troppo controllate, non aiutano la crescita dei corridori. Così quelli che emergono passano troppo presto e dopo un paio d’anni, se non confermano aspettative enormi, vengono buttati via.

Quanto pesa la differenza economica con i grandi team?

La differenza c’è e ci sarà sempre, ma come si dice “si confeziona la camicia secondo la propria taglia”. Soldi ce ne vogliono e tanti, perché l’attività ormai si fa soprattutto in trasferta, all’estero, è solo lì che puoi far fare ai ragazzi il salto di qualità. Quel che manca sono i corridori, viviamo in un bacino che si è andato restringendo troppo e chi opera ai vertici non fa nulla per agire in controtendenza. Bisognerebbe dare ai ragazzi valide alternative al trasferimento all’estero, anche perché siamo di fronte a persone in formazione, che devono anche completare la scuola. Non è un mondo facile, ma non si può rimanere inerti.

Pier Giorgio Cozzani, uno degli elementi sui quali Palandri fa affidamento per la nuova stagione
Pier Giorgio Cozzani, uno degli elementi sui quali Palandri fa affidamento per la nuova stagione
Che cosa vi attendete dal 2024?

Abbiamo ridotto la squadra perché fare la doppia attività è ormai impossibile. Invece così possiamo gareggiare con 5-7 corridori a volta, dando fiducia ai nostri ragazzi. Io sono convinto che gente come Lorenzo Boschi o Alessio Ninci, per fare due nomi, potranno darci grandi soddisfazioni. Inoltre siamo anche alle prese con grandi cambiamenti burocratici imposti dalla nuova legge sullo sport che sta cambiando l’ordinamento burocratico delle società e che impone moderazione.

Guerciotti-story, un tuffo fra i campioni di casa

20.12.2023
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La famiglia-azienda Guerciotti nella sua storia ha prodotto bici, formato corridori, allestito squadre e gare. E quando si è prossimi a festeggiare i primi 60 anni di attività, diventa complicato battezzare i momenti più importanti.

Con l’organizzazione del campionato italiano il prossimo 14 gennaio a Cremona – dove negli ultimi due anni si è disputato il Trofeo Guerciotti – abbiamo colto l’occasione per chiedere ad Alessandro Guerciotti (in apertura con Sara Casasola a Vermiglio) quali sono stati i campioni di casa a cui sono più legati. Un compito di memoria, cuore e speranza forse non facile, sicuramente piacevole.

I big del passato

Appena concludiamo la nostra introduzione, Alessandro Guerciotti ha già pronta la risposta. I primi nomi sono quelli del passato, gli stessi che ha apprezzato anche papà Paolo.

«Vado abbastanza sul sicuro – racconta l’amministratore delegato – nominandone tre. Il primo non può che essere Vito Di Tano. Lui ha fatto la storia prima e dopo per noi. E’ stato un nostro corridore ed ora è il diesse. Ha corso praticamente sempre solo con noi per 13 stagioni vincendo da dilettante sei campionati italiani e due mondiali. Scontato dire che siamo molto legati a lui. L’altro nome è Daniele Pontoni, l’attuale cittì della nazionale. E’ stato con noi 7 anni vincendo tanto, soprattutto manifestazioni importanti. Oltre a diversi tricolori, detiene due primati tutt’ora imbattuti ottenuti con la nostra maglia. Nel 94/95 ha vinto Coppa del Mondo, unico italiano a riuscirci, ed il mondiale elite nel 1997, ultimo italiano a vincerlo».

«Se invece penso ai campioni stranieri – prosegue Guerciotti – non posso che fare il nome del belga Roland Liboton. Per darvi l’idea, lui negli anni ’80, la sua epoca era un cannibale del ciclocross. Una vera star, ciò che adesso lassù sono Van der Poel e Van Aert. Con noi ha vinto due dei suoi quattro mondiali e cinque dei suoi dieci campionati belgi. Ancora adesso quando vado in Belgio per le gare, trovo persone che ricordano bene il connubbio Guerciotti-Liboton di quel periodo. E naturalmente per noi è motivo di orgoglio e soddisfazione».

Marco Aurelio danza e vince nel fango l’italiano 2008. E’ stato lanciato da Guerciotti, ha ricambiato con risultati e visibilità
Marco Aurelio danza e vince nel fango l’italiano 2008. E’ stato lanciato da Guerciotti, ha ricambiato con risultati e visibilità

Epoca recente

L’arco temporale si sposta più avanti con atleti che hanno smesso da poco e le cui imprese appaiono più fresche. E c’è spazio anche per ricordare quei talenti inespressi che avrebbero potuto raccogliere di più.

«Certamente Marco Aurelio Fontana – va avanti Alessandro Guerciotti – è quello che ha contrassegnato un determinato periodo. E’ rimasto da noi per quattro-cinque anni nei quali lo abbiamo fatto sbocciare e lui ha contraccambiato dandoci tanta visibilità. Ha vinto un titolo italiano U23 ed elite, tanti podi in Coppa del mondo da U23 e sempre da U23 nel 2006 ha conquistato un incredibile quarto posto al mondiale che valeva una vittoria. In pratica fu il primo degli umani arrivando dietro a Stybar, Boom e Albert, ovvero tre extraterrestri in quegli anni. Quella per Marco Aurelio fu una grande stagione. Poi ha scelto la Mtb e guardando poi i risultati ottenuti, come il bronzo olimpico di Londra, direi che ha fatto bene».

«Con noi c’è stato anche Franzoi – continua – che avevamo inseguito a lungo. Purtroppo ha vinto meno di quello che poteva, anche per sfortuna. Dorigoni negli ultimi anni ci ha regalato bei successi, tra campionati italiani e tappe del Giro d’Italia del ciclocross. Però l’atleta che ritengo il più grande rimpianto in maglia Guerciotti è Elia Silvestri. Ragazzo dotato di tantissima classe e grande potenza che invece si è perso. Da junior era già con noi facendo quarto al mondiale (dove secondo chiuse Sagan, ndr) poi ha conquistato un argento all’europeo U23. Purtroppo talvolta la testa non segue le gambe e si spreca un talento. Peccato, aveva un potenziale incredibile, che avrebbe potuto vincere molto».

Le grandi ex

I vari team Guerciotti che si sono succeduti nel corso del tempo, hanno poi visto nascere anche le formazioni femminili negli ultimi 15 anni. Una realtà che vanta nomi di spicco.

«La nostra atleta più rappresentativa – spiega Alessandro – è sicuramente Alice Maria Arzuffi. La sentiamo un nostro prodotto. Ha vinto cinque tricolori tra juniores e U23, categoria quest’ultima con cui ha conquistato un argento e un bronzo agli europei. Andando ancora più indietro, ricordo con piacere Sanne Cant, una che poi ha vinto tre mondiali consecutivi da elite. L’abbiamo avuta solo nel suo secondo anno da junior con cui ha vinto a Oderzo e il titolo belga, ma è stato un vero piacere. Passa sempre a salutarci quando ci incontriamo alle Coppe del Mondo».

Fino a pochi anni fa con la maglia Guerciotti correva Gaia Realini. Non era ancora l’atleta di adesso ma già mostrava grandi doti. «Siamo legati a Gaia. Per un paio di stagioni è stata con noi, riuscendo a vincere anche un campionato italiano U23. Aveva ancora un anno di contratto, ma non potevamo chiederle di correre ancora. Abbiamo assecondato la sua volontà di abbandonare il ciclocross per la strada dove andava fortissimo. Siamo molto contenti per quello che sta facendo, è già una delle migliori in assoluto. Quest’anno ci siamo sentiti spesso per tutti i suoi risultati».

Presente e futuro

L’attualità del team FAS Airport Services-Guerciotti-Premac è proprio l’ingresso dei due nuovi sponsor, ormai già inseriti da tempo nel ciclismo. La filosofia per Alessandro sembra essere cambiata, andando verso una linea decisamente giovanile che sta regalando buone prestazioni a tutti i marchi della società.

«Tra gli uomini – chiude Alessandro Guerciotti – oggi ci simboleggia Gioele Bertolini. Ha raggiunto undici anni con noi seppur non consecutivi, ma è il secondo per militanza dietro Di Tano. Gioele ha tagliato tanti traguardi importanti con la nostra maglia. E’ stato il primo italiano U23 ad indossare la maglia di leader di Coppa del Mondo. Da U23 ha vinto il campionato italiano elite, come aveva fatto tra l’altro Silvestri. Ha vinto tappe al Giro d’Italia. E può raccogliere tanto».

«Nelle donne stiamo portando Sara Casasola a livelli sempre più alti. Stiamo facendo un buon lavoro con lei e gli sforzi stanno pagando. Il terzo posto agli europei è un grande risultato. Anche lei correrà su strada, ma al momento il ciclocross resta la sua prima disciplina. Tra le U23 la sorpresa migliore è senza dubbio Valentina Corvi se pensiamo che la sua prima gara di ciclocross l’ha fatta ad inizio novembre. A Vermiglio sulla neve ha chiuso sesta assoluta e seconda U23, prestazione grandiosa.

«Tra i più giovani stanno venendo su molto bene Mattia Proietti Gagliardoni ed Elisa Ferri. Sono al primo anno junior e non gli chiediamo subito i risultati. Vogliamo che crescano con calma per vederli protagonisti più avanti. Il ciclocross non perdona e tutto è possibile, ma nelle tre categorie femminili spero di centrare un bel tris ai prossimi campionati italiani».

Dainese alla Tudor, in cerca di un treno, fiducia e vittorie

20.12.2023
6 min
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L’ALBIR (Spagna) – Il quartier generale della Tudor Pro Cycling sta in un hotel che ribolle di riunioni. Prima i direttori sportivi, con Tosatto e Cozzi che hanno appena il tempo di salutare. Ricardo Scheidecker fa avanti e indietro fisso al telefono. Cattai e Toccafondi sono qui in rappresentanza di BMC. Poi tocca ai corridori, che alle 19 si dirigono verso il salone.

Dainese ci ha raggiunto prima, in tempo per raccontare della nuova avventura nella squadra svizzera. Nello stesso giorno in cui il Team DSM-Firmenich ha dato via libera al passaggio di Lorenzo Milesi ad altra squadra, è singolare rendersi conto che nello stesso anno la squadra olandese ha perso due italiani. Le storie sono chiaramente diverse. Dainese è partito per trovare più continuità e maggiore fiducia, come ci spiega senza peli sulla lingua (in apertura si scambia goliardicamente doni con Matteo Trentin).

Il Team DSM ha utilizzato Dainese in tanti ruoli. Qui il test della Roubaix, chiusa in 77ª posizione
Il Team DSM ha utilizzato Dainese in tanti ruoli. Qui il test della Roubaix, chiusa in 77ª posizione
Quando è nato il contatto con la Tudor?

Kurt Bergin-Taylor era mio preparatore alla DSM ed era già venuto qui. Lo scorso gennaio venni a trovarlo per un caffè proprio davanti a questo hotel. E dopo il caffè con il preparatore, sono venuti fuori anche Fabian, “Raphi” e Ricardo (rispettivamente Cancellara, Raphael Meyer e Scheidecker, ndr) e mi hanno fatto una proposta. Dopo i primi mesi di gare, ho cominciato a farmi un’idea della squadra e sembrava un bel progetto. Poteva essere una valida alternativa ad altre WorldTour che sulla carta sono più grandi. Vedevo il potenziale della Tudor, ho creduto nel progetto e adesso sono contento di averlo fatto.

Che cosa hai trovato?

Sicuramente il gruppo e un’atmosfera in cui mi trovo davvero bene. Lavoriamo in modo professionale e il lato umano prevale su tutto il resto. Si è anche invogliati a dare il massimo, proprio per questa bella atmosfera.

Hai vinto due tappe al Giro e una alla Vuelta, ma la sensazione è che ti sia mancata la continuità.

E’ vero e sicuramente voglio ritagliarmi un ruolo prettamente da velocista. In questi anni ho fatto l’ultimo, il penultimo e anche il terzultimo uomo, però preferisco fare le volate e non tirarle. Quindi vengo qua con questa ambizione. Per cui cercheremo di vincere più gare degli anni scorsi e poi tireremo le somme.

Dopo la tappa di Caorle al Giro, quest’anno Dainese ha esultato anche alla Vuelta, sul traguardo di Iscar
Dopo la tappa di Caorle al Giro, quest’anno Dainese ha esultato anche alla Vuelta, sul traguardo di Iscar
Quanto conta sentirsi addosso la fiducia della squadra?

Mentalmente è diverso, perché approcci la stagione, sapendo che devi portare risultati. Ti dà anche molto morale avere la fiducia delle persone che lavorano con te. Invece, se vieni messo in un angolo, non rendi allo stesso modo.

Come è fatta la tua volata idea?

Trentin che mi lancia ai 200 e riesco a non farmi rimontare. Sinceramente (sorride, ndr), non so neanche se mi piacciono le volate veloci contro vento oppure con il vento a favore. Prendo quello che viene. Normalmente è meglio quando il gruppo è tutto in fila e gli altri sono già un pelo stanchi, magari con qualche curva prima del rettilineo finale così non si è proprio appallottolati… 

Meglio lanciarla o meglio farla di rimonta?

Dipende. Adesso la velocità è talmente alta, che partire troppo presto a volte significa rimbalzare. Per questo a volte la rimonta è vincente, semplicemente perché quelli che sono all’aria già ai 200 metri non riescono sempre a tenere la velocità fino alla fine. Per adesso ho vinto sempre di rimonta, perché non ero mai nella posizione per partire in testa. Speriamo l’anno prossimo di avere la possibilità di fare le volate anche dalla testa.

Per il neo acquisto della Tudor, vittoria al fotofinish nella tappa di Caorle del Giro, nonostante il ritorno di Milan
Per il neo acquisto della Tudor, vittoria al fotofinish nella tappa di Caorle del Giro, nonostante il ritorno di Milan
Ci sono velocisti giganteschi come Milan e altri più aerodinamici come te e Cavendish. Quanto conta l’aerodinamica nelle volate?

Sicuramente tanto, devi spingere meno aria, quindi devi usare meno potenza. E a parità di potenza, se sei più aerodinamico, vai più forte. Abbiamo anche visto quanto conta. Siamo andati in galleria del vento, abbiamo provato diverse cose.

Come ti trovi con i nuovi materiali?

Molto bene per quello che sono riuscito a provare. La bici è valida, l’abbigliamento è fra i migliori, se non il migliore. Il pacchetto è veramente performante, anche se per onestà devo dire che la Scott della DSM è molto valida.

Invece sul fronte della preparazione è cambiato qualcosa?

Sì, soprattutto l’avere già un programma. Lo scorso anno, con gare che saltavano fuori all’ultimo momento, non ho sempre potuto arrivarci come avrei voluto. Quest’anno invece so già le gare che farò, ho un’idea di quando andrò in condizione, porterò gli uomini per la volata sempre con me, quindi troveremo la condizione nello stesso momento. E’ cambiato anche l’approccio alla volata, nel senso che faccio grossi carichi in palestra per innalzare il picco, magari un po’ a scapito della resistenza, che comunque dopo aver fatto tanti Giri, ti rimane. Sto lavorando più sulla volata vera e propria che sulla resistenza.

Nessuna volontà da parte di Dainese e della Tudor di inseguire un miglioramento in salita a scapito della velocità. Alberto è alto 1,76 e pesa 70 chili
Nessuna volontà da parte di Dainese di inseguire un miglioramento in salita a scapito della velocità. Alberto è alto 1,76 e pesa 70 chili
Anche le tappe veloci ormai hanno dislivelli importanti, quindi qualche salita va comunque superata.

Vero, però non si può neanche esagerare nel cercare il miglioramento in salita. Un velocista non può perdere la sua caratteristica principale, perché se poi diventa più resistente ma non vince le volate, c’è un problema. La parte più difficile è trovare l’equilibrio.

Hai parlato di treno in costruzione: quali saranno i vagoni?

A parte Matteo (Trentin, ndr) che mi seguirà nelle gare più importanti, abbiamo Krieger e Froidevaux, che è un giovane svizzero, e Marius Mayrhofer che era con me alla DSM. Più o meno questo è il cuore del treno, magari con qualche variazione in alcune gare.

Hai una bestia nera in volata?

In realtà si va talmente forte, che non stai molto a guardare chi hai attorno. Quello che rispetto di più è Cavendish, quindi cerco di non disturbarlo più di tanto. Non mi piace fare a spallate con lui per il rispetto che ho nei suoi confronti. Poi c’è Johnny (Milan, ndr) che sicuramente è un talento in crescita. Quello che sinceramente mi fa più paura per aggressività è Groenewegen, ma alla fine non si guarda in faccia nessuno. Si fa a spallate un po’ con tutti.

Tour de Langkawi 2023, Tudor sugli scudi con De Kleijn. La squadra ha un bel pacchetto di uomini per le volate
Tour de Langkawi 2023, Tudor sugli scudi con De Kleijn. La squadra ha un bel pacchetto di uomini per le volate
Quanta follia c’è nel fare il velocista?

Abbastanza, perché devi dimenticare che ti puoi far male. O meglio, non devi dimenticare, ma cercare di isolare la paura. Essere consapevole del pericolo e comunque accettarlo, altrimenti tiri i freni e non sei più in posizione. Quindi è un rischio abbastanza calcolato, ma è sempre un rischio.

Angelo Furlan ha descritto gli ultimi 200 metri come una sorta di “matrix” in cui tutto è velocissimo, ma nella testa del velocista è lentissimo.

Vero ed è molto bello. Già dall’ultimo chilometro mi ricordo praticamente tutte le volate. Dov’ero, chi c’era attorno. Penso che sei super attivato a livello cerebrale. Ti ricordi ogni singolo movimento del gruppo e ogni singola sensazione. Degli ultimi 200 metri, concordo con Angelo, ti ricordi veramente tutto. E anche se si svolgono alla velocità della luce, sembra che durino un’infinità.

Tao Geoghegan Hart al lavoro per tornare forte (come al Giro)

20.12.2023
4 min
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CALPE (Spagna) – Forse riconosce i volti, anche se a dire il vero non ci abbiamo parlato spessissimo. Forse è stato imbeccato o forse coglie le persone al volo, ma Tao Geoghegan Hart saluta ognuno dei giornalisti presenti nel media day di Calpe con la sua lingua. Hello per gli inglesi, hola per gli spagnoli, ciao con noi (in apertura foto Instagram).

Apparentemente sulle sue, quasi timido, ma timido proprio non è, la maglia rosa del 2020 si racconta. Lo fa con passione e un’umiltà che non ci saremmo aspettati. Anche quando lo incontriamo mentre sta per uscire, inforca la bici e ci fa: «Buongiorno», accompagnato da un cenno del capo e un sorriso.

E’ il 17 maggio e Tao Geoghegan Hart (classe 1995) lascia il Giro quando è terzo nella generale (immagine da web)
E’ il 17 maggio e Tao Geoghegan Hart (classe 1995) lascia il Giro quando è terzo nella generale (immagine da web)

Primo obiettivo: riprendersi

Dove eravamo rimasti? Giro d’Italia: Tao Geoghegan Hart sembra in forma come non mai, ma cade durante l’11ª tappa. A prima vista sembra una scivolata banale e invece… Femore fratturato, anca e altre fratture. Tao finisce in ospedale a Genova. Viene operato la sera stessa e inizia un lunghissimo percorso di recupero.

«Il primo obiettivo – dice con consapevolezza estrema Tao – è quello di tornare al mio livello e possibilmente al livello che avevo a maggio al Giro, il più alto mai raggiunto. Mi è davvero dispiaciuto non poter mostrare il mio valore».

Tao parla del Giro come la situazione perfetta. Una squadra compatta, consapevole del lavoro fatto e con tanto di certezze che venivano dalla vittoria al Tour of the Alps.

«Non so come sarebbe andata a finire, ma ci saremmo divertiti. E invece mi sono visto il resto delle tappe dall’ospedale. Sono stato operato subito, la notte stessa dell’incidente. Poi ho passato nove settimane in un centro specializzato, il Fysiomed, ad Amsterdam, per recuperare il movimento del ginocchio, della caviglia e del piede, e far guarire il femore sinistro, i muscoli del quadricipite e dell’anca».

A Fossombrone Tao è con i due che poi si giocheranno il Giro: Roglic e il suo compagno Thomas
A Fossombrone Tao è con i due che poi si giocheranno il Giro: Roglic e il suo compagno Thomas

Tao 2.0

A questo punto inizia la seconda carriera di Tao, se vogliamo. Viene annunciato il cambio di squadra, dalla Ineos Grenadiers alla Lidl-Trek. In più inizia il cammino di un atleta da recuperare, e prima ancora la mobilità dell’uomo.

All’inizio Geoghegan Hart è claudicante. Pedalare in quel momento, l’estate, era una chimera. Il che è comprensibile con 17 placche di titanio sparse per il corpo. Ma Tao non molla. 

«Già 62 ore dopo la caduta del Giro – prosegue Tao – pensavo a come poter ritornare in tempi brevi. Anche per questo non sono voluto rimanere ad Andorra, dove vivo, ma ho cercato un centro super specializzato, come quello olandese appunto.

«La riabilitazione è stata davvero stancante e decisamente meno divertente di un allenamento in bici. A livello mentale è stata dura. A fine giornata non riuscivo a tenere gli occhi aperti neanche per vedere un film».

Le prime pedalate di Tao sono “da turista”, proprio per le vie di Amsterdam in sella ad una Brompton. Ma un campione guarda il bicchiere mezzo pieno e alla fine è stata, come ha detto lui stesso, un’occasione per fare e vivere esperienze diverse. 

Da qualche settimana però, Geoghegan Hart è tornato in sella da corridore. Quasi non ci credeva. Le sgambate sono diventate allenamenti.

«Non ci credevo. Tutto è filato liscio. Nessun dolore, nessuna sensazione strana con le placche in titanio».

Tao Geoghegan Hart, Ineos-Grenadiers, Milano, Giro d'Italia 2020
Tao conquista il Giro d’Italia 2020. Da lì alti e bassi, ma nel 2023 stava davvero andando forte
Tao Geoghegan Hart, Ineos-Grenadiers, Milano, Giro d'Italia 2020
Tao conquista il Giro d’Italia 2020. Da lì alti e bassi, ma nel 2023 stava davvero andando forte

Da Amsterdam al Tour

Tao è stato bravissimo a non mollare nel corso dei mesi. E’ magro e, a prima vista, anche tonico. Ma certo non ha il muscolo definito che abbiamo notato in molti suoi colleghi nel ritiro di Calpe. Il suo è un ritorno a testa bassa. Nonostante sia un leader. Una leadership che la sua nuova squadra già gli ha riconosciuto… non solo come corridore.

La Lidl-Trek sa che potenziale ha l’inglese, non ha bisogno di risposte e non gli vuol mettergli fretta. La rimozione delle placche è già stata fissata per l’autunno prossimo, proprio per non fargli perdere ulteriore tempo. E lasciarlo in tranquillità.

Tao sarà dirottato al Tour de France: lui per la generale, per Mads Pedersen per i traguardi intermedi. Il cammino di Geoghegan Hart richiederà certezze ed obiettivi crescenti. La rincorsa al Tour de France partirà dalla Volta ao Algarve a febbraio. Poi si procederà verosimilmente “a vista”. Ogni gara servirà per valutare lo stato dell’atleta e da lì programmare il passo e le corse successive. Che poi è un po’ quello che la sua ex squadra ha fatto con Bernal.

«Tutto è andato molto bene in queste ultime settimane – ha detto Geoghegan Hart a Cycling News dove ha toccato argomenti più tecnici – Non sono troppo lontano da dove mi trovavo in questo periodo dell’anno scorso. Certo, devo ritrovare un po’ di mentalità da corridore, come sull’alimentazione. La settimana scorsa ho fatto quattro volte più di cinque ore e mezza a 250 watt medi. E per ora va bene così». 

Magnaldi, in salita non si scherza: «Scalatori si nasce»

19.12.2023
6 min
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OLIVA (Spagna) – Erica Magnaldi è un medico e anche un’atleta. Anzi, al momento è un’atleta che ha studiato per diventare medico e alla fine ha preferito inseguire il sogno di bambina di conquistare i cinque cerchi. All’inizio lo strumento per raggiungerli fu lo sci di fondo, oggi ha la forma di un manubrio ricurvo sopra due ruote sottili e veloci. Purtroppo il percorso di Parigi 2024 non le si addice troppo, anche se non sarà mai lei a chiamarsi fuori. Nel frattempo però ha messo nel mirino quello dei mondiali di Zurigo, che invece sarà ben più ricco di salite. E dice sorridendo che se nel 2028 il percorso sarà duro e lei ancora in forma, tornerà a pensarci.

Erica Magnaldi infatti è una scalatrice, ne ha lo sguardo e la schiettezza. Lo scalatore guarda lontano, per scorgere la traccia della strada sul fianco della montagna e capire quanta fatica gli costerà raggiungere la vetta. La fatica a Erica non ha mai fatto paura. Anzi, il suo preparatore Dario Giovine dice che più le fatiche si sommano e meglio la piemontese si trova. Quello che forse non era stato ben considerato quest’anno è stato che tra le fatiche del Giro e quelle del Tour c’erano soltanto tre settimane: poche per dire di averle smaltite completamente. Così per il prossimo anno, ferma restando la voglia di riprovarci, l’idea sarà di fare classifica in uno e dedicarsi alla squadra e alle tappe nell’altro. In entrambi i casi, ci sono due mostri che la guardano con occhio maligno e insieme seducente. Il Block Haus in Italia, l’Alpe d’Huez in Francia.

Il 25 ottobre 2018, Erica Magnaldi si laurea in medicina, viene dal fondo e corre alla BePink (foto Instagram)
Il 25 ottobre 2018, Erica Magnaldi si laurea in medicina, viene dal fondo e corre alla BePink (foto Instagram)
Pensi che la tua laurea in qualche modo ti aiuti a fare sport?

Sicuramente, in parte anche nella maniera di affrontare le sfide e la competizione. Aver passato tanti anni sui libri e quindi aver capito che senza fatica, senza impegno quotidiano e organizzazione non si ottiene niente, è qualcosa che poi ho traslato anche nell’ambiente dello sport. E poi diciamo che a volte mi permette di capire alcuni aspetti dell’allenamento e della nutrizione in maniera più approfondita e di continuare anche in quest’ambito la mia formazione. Se mentre ero una studentessa a medicina, mi avessero detto che un giorno avrei puntato a far classifica al Tour de France, non ci avrei neppure riso, probabilmente semplicemente non ci avrei creduto.

Block Haus e Alpe d’Huez, Giro e Tour: se tu potessi scegliere seguendo il gusto o la fantasia?

Quando la strada del Tour è stata rivelata, mi ha subito attratto molto, anche perché sono salite abbastanza vicine a dove vivo. Le sognavo già dall’anno scorso, speravo che quest’anno il Tour sarebbe arrivato a toccare le Alpi e così è stato. Quindi sicuramente sulla tappa dell’Alpe d’Huez un bel cerchio rosso l’ho messo. Una volta andai a vedere una gara di mio fratello e ne feci un pezzo, mentre il resto lo finimmo in macchina. Però sicuramente andremo a studiarla per bene.

«Quando sono sola in salita, riesco a staccarmi da telefono e computer e stare con me stessa» (foto Instagram)
«Quando sono sola in salita, riesco a staccarmi da telefono e computer e stare con me stessa» (foto Instagram)
Giro, Tour e tutto il resto. Vista questa ricchezza di impegni, che inverno stai vivendo?

Per adesso, non sento troppa pressione. Sto cercando semplicemente di affrontare gli allenamenti nel miglior modo possibile, seguendo i carichi in maniera graduale, lavorando giorno per giorno, settimana per settimana, senza anticipare gli impegni della stagione. So già che sarà un anno impegnativo, perché prima dei grandi Giri parteciperò a delle gare importanti.

Quando un allenamento è ben riuscito?

Quando torno a casa e mi sento proprio di aver lavorato, quindi sono stanca. Magari ho un po’ di mal di gambe, ma sono riuscita a fare i watt e i numeri richiesti dall’allenatore, a fare le ore e l’intensità previste dal mio programma. Quando è così, sono soddisfatta. Io tendenzialmente sono abbastanza precisa, a volte quasi ossessiva/compulsiva (ride, ndr). Se rientro e ho due minuti in meno, magari giro intorno a casa fino a quando non ho raggiunto il tempo stabilito. Di solito, se posso, faccio qualche minuto in più, mai in meno. Altrimenti non mi sento soddisfatta.

Abbiamo incontrato Erica Magnaldi nell’hotel del UAE Team ADQ a Oliva
Abbiamo incontrato Erica Magnaldi nell’hotel del UAE Team ADQ a Oliva
Che cosa significa ritrovarsi a scalare una montagna in solitudine?

Io amo molto pedalare in salita, spesso a casa mi alleno da sola e non mi pesa. Anzi sono quelle poche ore al giorno in cui sono completamente scollegata dal telefono e dal computer. Ho anche il modo di conversare soltanto con me stessa e pensare. Spesso non uso neanche la musica, mi piace proprio prendere questi momenti per riflettere, per pensare o anche soltanto per apprezzare i luoghi in cui sto pedalando. Le salite sicuramente sono le parti che apprezzo di più del percorso. Far fatica, arrivare in un punto con un bel panorama, poi apprezzare la discesa è qualcosa che nel piccolo di tutti i giorni mi dà una grande soddisfazione.

Il fatto di pensare sparisce o si trasforma quando sei in gara?

In gara ovviamente si pensa, si pensa molto. Si cerca di rimanere concentrati in ogni momento. Io in particolare, proprio perché non sono nata già da ragazzina nel gruppo, non mi sento mai del tutto rilassata. Tendo a essere sempre molto concentrata e sempre attenta a evitare possibili rischi o capire quando è il momento di essere più avanti. Ci sono sicuramente molti pensieri, ma sono diversi da quelli dell’allenamento. In generale cerco sempre di costringermi a pensare in maniera positiva, a credere nelle mie capacità. Mi auto incito, molto spesso mi trovo a dirmi frasi tipo: «Ce la puoi fare». Sono cose che mi aiutano a sopportare la fatica.

«Anche in corsa penso quando sono in salita, ma si tratta di incitarsi e restare concentrata»
«Anche in corsa penso quando sono in salita, ma si tratta di incitarsi e restare concentrata»
Che cosa si prova quando sei a tutta e di colpo gli altri restano indietro?

Non capita troppo spesso, però qualche volta è successo ed è probabilmente uno dei momenti più belli nel nostro sport. Uno di quelli per cui si lavora sodo e, quando effettivamente succede, ti ripaga di tutta la fatica che hai fatto.

Si ha mai la voglia di mollare?

A volte si sta soffrendo talmente tanto, che semplicemente ti viene da dire: «Basta, mi arrendo, mollo». Se invece in quel momento si ha la forza mentale di soffrire ancora per un chilometro, per altri cinque minuti, quello spesso può fare la differenza tra una vittoria e un posto fuori dal podio.

Ti è mai capitato di mollare e poi di mangiarti le mani perché mancava davvero poco?

Sì, più di una volta dopo la gara mi è capitato di pensare che se avessi stretto ancora un attimo i denti, magari ce l’avrei fatta. A posteriori è sempre facile pensare che bastavano 10 secondi in più, che bastava tenere un attimo più duro quando stavo davvero soffrendo, con le gambe che bruciavano. Ma quando ci sei dentro, continuare non è facile come parlarne.

«La corsa in salita è una sfida con le avversarie e con la propria capacità di farsi del male». Qui al Tour, sul Tourmalet
«La corsa in salita è una sfida con le avversarie e con la propria capacità di farsi del male». Qui al Tour, sul Tourmalet
Allo scalatore la fatica deve piacere più che ad altri?

Ridendo, dico sempre che in un’altra vita avrei voluto nascere velocista, perché la vita dello scalatore è veramente dura. Non sto assolutamente sminuendo il lavoro, le capacità e l’abilità che deve avere un velocista, anzi li ammiro tantissimo. Però sicuramente le opportunità che abbiamo sono minori e per coglierle bisogna ogni volta spremersi fino al limite e spesso superarlo. Molto spesso quando si battaglia su una salita, al di là delle forze in campo, è una lotta contro il riuscire a sopportare il dolore e la fatica. E’ spingersi un pochino oltre ed è qualcosa che devi avere dentro. Penso che scalatori si nasca: al di là delle caratteristiche fisiche, è proprio una caratteristica mentale di saper sopportare il dolore e stringere i denti un po’ più degli altri.

Crescioli saluta la Mastromarco. E’ il momento di crescere

19.12.2023
6 min
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Possiamo considerare questa intervista a Ludovico Crescioli un continuo di quella fatta un anno fa (era il 14 dicembre 2022). Un altro anno è passato e il giovane toscano in forza alla Mastromarco Sensi Nibali dal 2024 sarà con la Technipes #InEmiliaRomagna e fa di nuovo un punto insieme a noi. Crescioli era uscito alla ribalta in quel famoso Giro della Lunigiana del 2021. Aveva terminato la corsa alle spalle di Lenny Martinez, i due erano divisi da 34 secondi. Nel proseguire della carriera le loro strade hanno preso direzioni tanto diverse

Martinez quest’anno ha esordito alla Vuelta, indossando la maglia rossa per due tappe. Crescioli, invece, ha messo in fila il suo secondo anno da under 23 alla Mastromarco. Di domande e spunti di riflessione ce ne sono tanti e Crescioli con l’intelligenza e la lucidità che ha sempre dimostrato, li analizza con noi.

Dopo due anni alla Mastromarco ha deciso di cambiare squadra, dal 2024 sarà con la Technipes
Dopo due anni alla Mastromarco ha deciso di cambiare squadra, dal 2024 sarà con la Technipes
Intanto come stai?

Bene, tutto bene. Ho ripreso ad allenarmi da un mese abbondante. Ieri (domenica per chi legge, ndr) ho fatto 5 ore in bici. Oggi, invece, è stata una giornata di scarico. Sto ancora alternando bici e palestra. Ho già iniziato a lavorare con Alessandro Malaguti, preparatore della Technipes. Insieme alla squadra ci siamo incontrati già un paio di volte, l’ultima settimana scorsa: sono fiducioso, l’ambiente mi piace molto. Abbiamo un preparatore e anche un nutrizionista. 

E’ la prima volta che ti rapporti con figure del genere?

Da under 23 sì. Alla Mastromarco ci seguiva Balducci, che faceva da diesse e preparatore. Non avevamo un nutrizionista e mi basavo sulle cose imparate al Casano quando ero juniores. Quest’anno in Technipes c’è uno staff più ampio, dove tutti hanno il proprio ruolo. Più consigli si hanno e meglio è (dice con una risata, ndr). 

Il 2023 che anno è stato?

Travagliato, all’inizio della stagione mi sono ammalato parecchie volte. Avevo spesso bronchiti, tosse e febbre. Capitava che mi ammalassi dopo una corsa, così dovevo restare fermo una settimana e non riuscivo mai ad avere il colpo di pedale giusto. Questo fino a maggio.

La gamba in Polonia al Nation Grand Prix non era al meglio ma si è messo a disposizione dei compagni (PT Photos)
La gamba in Polonia al Nation Grand Prix non era al meglio ma si è messo a disposizione dei compagni (PT Photos)
Poi che è successo?

Mi sono sistemato con la salute ed ho messo insieme due esperienze importanti. Prima l’Orlen Nations Grand Prix con la nazionale di Amadori, poi il Giro Next Gen con la Mastromarco. La vera svolta è stato proprio il Giro, da lì in poi ho trovato il colpo di pedale giusto, infatti al campionato italiano sono arrivato nono. 

E la corsa con la nazionale che cosa ti ha lasciato?

Una bella esperienza. Non avevo una condizione super, ma ho aiutato tanto i miei compagni. In più ho avuto occasione di mettermi alla prova in un contesto internazionale. Essere stato convocato mi ha fatto un enorme piacere. Dopo il Giro Next Gen sono anche andato a Sestriere per una decina di giorni e mi sono allenato con la nazionale. Non sono andato subito in ritiro perché ci tenevo a correre la Bassano-Monte Grappa e la Zanè-Monte Cengio. Peccato che poi il 10 agosto, in gara sono caduto e mi sono rotto il polso. 

Non il miglior modo per presentarsi al finale di stagione.

No, anche se poi quando sono tornato in gruppo ero contento. Mi interessava correre e farlo prima dell’inverno, per avere anche il morale giusto.

Al Giro Next Gen la condizione del toscano era in crescita
Al Giro Next Gen la condizione del toscano era in crescita
Il colpo di pedale giusto lo hai trovato dopo le due corse a tappe: Orlen e Giro Next Gen, non è un caso. Forse ti sono mancate queste corse per crescere…

Di corse a tappe ne ho fatte due da junior (tra cui il Giro della Lunigiana, ndr). Poi da primo anno under 23 ho corso al Valle d’Aosta, infine in questa stagione ho aggiunto Orlen e Giro Next Gen.

Dopo due anni da under 23 che tipo di corridore pensi di poter diventare?

Da quel Giro della Lunigiana avevo messo nel mirino di crescere nelle corse a tappe. Ho pensato che quella potesse diventare la mia strada. 

Ma alla Mastromarco, in questi due anni ne hai fatte poche, solo tre.

Da loro mi sono trovato bene, specialmente il primo anno, quando avevo ancora la scuola da finire. Poi nel 2023 mi sono accorto che avevo bisogno di crescere ancora e così ho deciso di cambiare. Questo anche per fare un calendario più importante. In Mastromarco ho corso tante gare regionali e nazionali, ma poche internazionali.

Crescioli è andato in ritiro con la nazionale di Amadori tra luglio e agosto, a Sestriere
Crescioli è andato in ritiro con la nazionale di Amadori tra luglio e agosto, a Sestriere
Quando sei andato a misurarti in contesti come Orlen e Giro che hai visto?

Che sono una spanna sopra, che erano diversi. Questo è stato un ulteriore stimolo a volermi migliorare, a crescere. Credo molto nella Technipes e loro credono in me. Me lo hanno dimostrato fin da subito, ho parlato tanto con Chicchi e Cassani, ma anche con Chiesa e Coppolillo. Proprio con Chicchi, che è toscano, ho fatto il viaggio in macchina per andare al ritiro della settimana scorsa. 

Che cosa ti ha detto?

Ho percepito che sono contenti di avermi tra di loro. Sono fiduciosi e io lo sono verso la squadra, sono una continental e questo, secondo me, mi aiuterà a fare il passo in più che cerco

Dopo il Lunigiana si diceva che fossero venuti a cercarti anche dei Devo Team…

Sono andato alla Mastromarco e non me ne pento, con loro avevo un accordo da prima del Lunigiana. In questi due anni con loro sono cresciuto ed ora è giunto il momento di crescere ancora, questo è il motivo del cambio di squadra. 

Nel 2021 Pinarello, coetaneo di Crescioli, è passato alla allora Bardiani, alternando attività under 23 di alto livello e corse con i pro’
Nel 2021 Pinarello, coetaneo di Crescioli, è passato alla allora Bardiani, alternando attività under 23 di alto livello e corse con i pro’
Nel 2021, ultimo tuo anno da junior, iniziavano i trasferimenti dei ragazzi all’estero, ora sono una normalità. Secondo te hai pagato questa tempistica?

Quando ero secondo anno io, sono passati professionisti Pellizzari e Pinarello (quest’ultimo arrivato terzo al Giro della Lunigiana di quell’anno, ndr). Il fatto dei trasferimenti all’estero si è sdoganato dai 2004 in poi. Chiaro che in un Devo Team sei più seguito e guardato, però non rimpiango quello che ho fatto. 

Saremo contenti di fare un punto con te durante la prossima stagione, intanto ti facciamo un grande in bocca al lupo per il 2024.

Va bene e W il lupo!

Finn alla Auto Eder: il primo junior con la valigia

19.12.2023
5 min
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Il primo italiano che correrà da junior in una squadra estera è Lorenzo Mark Finn, corridore genovese che compirà 17 anni il 19 dicembre (in apertura vince il Trofeo Piancamuno a Piancavallo, foto Instagram). In un mondo di allievi già ben definiti fisicamente, fa piacere vedere che Finn sta benissimo nella sua età e lascia intuire dei grandi margini di sviluppo. Lo avevamo già conosciuto nel corso di questa stagione corsa con il CPS Professional Team. Andrà alla Auto Eder, formazione U19 della Bora-Hansgrohe. La notizia era da tempo sulla bocca di tutti, ma è stata ufficializzata soltanto ieri.

Lorenzo Finn sul fondo nella foto di lancio della Auto Eder U19 per il 2024: l’avventura comincia (foto Bora-Hansgrohe/Matthis Waetzel)
Lorenzo Finn sul fondo nella foto di lancio della Auto Eder U19 per il 2024: l’avventura comincia (foto Bora-Hansgrohe/Matthis Waetzel)

Un test a distanza

Quando lo raggiungiamo, Finn ha da poco finito la giornata a scuola, al Liceo Scientifico che frequenta a Genova. Il test con la Auto Eder lo aveva fatto ad agosto, grazie al suo procuratore John Wakefield, che fa anche il coach alla Bora-Hansgrohe, in una singolare sovrapposizione di ruoli, per cui è agente anche di Tarling e Hayter. Come ci raccontò lo stesso genovese, si trattò di un test a distanza, svolto in allenamento, tarando il misuratore di potenza su parametri forniti dalla squadra. La sua intenzione di lasciare l’Italia sembrava chiara, l’approdo tedesco è venuto dopo.

«Sinceramente – dice – avevo deciso già da metà stagione che sarei voluto andare in una development straniera. Mi hanno proposto di andare con loro dopo il Giro della Lunigiana e dopo dei test. Fare uno step già adesso è una cosa di cui sono molto contento e non credo sia affatto negativo. In questo momento il ciclismo sta andando nella direzione di prendere ragazzi sempre più giovani, quindi essere già in una devo team significa avere meno pressioni di quelle che avrei in una squadra italiana per guadagnarmi un posto fra gli under 23».

A maggio in maglia azzurra, Finn ha partecipato alla Corsa della Pace Juniores (foto Instagram)
A maggio in maglia azzurra, Finn ha partecipato alla Corsa della Pace Juniores (foto Instagram)
Hai già pensato a come ti gestirai con la scuola?

Continuerò a vivere a casa mia. E poi per i vari ritiri e le gare mi sposterò con l’aereo, raggiungendo la squadra. Gare in Italia ce ne saranno poche, solo le internazionali, per cui diciamo che da marzo sarò più in viaggio rispetto a quanto fatto sinora. Forse i giorni di assenza da scuola saranno leggermente di più rispetto a quest’anno, ma anche l’anno scorso ho fatto un paio di gare con la nazionale, quindi le differenze saranno minime. Comunque sono dentro il Progetto studente/atleta, che mi permette di giustificare le assenze dovute all’attività sportiva e di programmare le interrogazioni.

I tuoi compagni di squadra hanno la stessa situazione?

Per quello che ho visto sinora, alcuni miei compagni tedeschi o danesi hanno la possibilità di fare meno ore di lezione e hanno un programma diluito in più anni. Però diciamo che riesco a gestirmi bene e questo è l’importante.

Tuo padre è inglese e vive in Italia, quindi il fatto di partire non dovrebbe vederlo come un problema. Come ha commentato il tuo trasferimento?

All’inizio era un po’ scettico, perché sono ancora junior. Però prima o poi il salto l’avrei dovuto fare e, anche se da U23, avrei comunque dovuto affrontare la maturità, quindi da questo punto di vista non sarebbe cambiato molto. Non è che puoi stare in Italia per sempre, per cui ho colto l’occasione. E probabilmente il fatto che io parli bene inglese è stato un punto a favore.

Finn ha corso nel 2023 con il CPS Professional Team. Il ligure ha 17 anni, è alto 1,81 e pesa 60 chili
Finn ha corso nel 2023 con il CPS Professional Team. Il ligure ha 17 anni, è alto 1,81 e pesa 60 chili
Per quello che hai visto sinora, che cos’ha ti ha colpito della Auto Eder?

Abbiamo già fatto un ritiro di 3-4 giorni a Soelden. E’ servito per fare attività di team building e conoscerci con la Bora dei professionisti. Abbiamo sciato, c’era anche Roglic e mi sono reso conto che con tutto lo staff eravamo più di 100 persone. Ovviamente noi juniores abbiamo uno staff più limitato, ma è giusto così. Però ci sono persone serie che lo fanno di lavoro e ci seguono bene. Abbiamo tutto quello che ci serve. Bici da allenamento, da crono, materiale. Diciamo che devi solo pensare a pedalare e a studiare, perché anche loro ci tengono che tu abbia un’educazione qualificata.

Vi guiderà Christian Schrot, che idea ti sei fatto di lui?

Dal poco che ho visto, Schrot è una persona molto seria e molto intelligente. Fino a qualche anno fa faceva anche il direttore sportivo con i professionisti ed è lui a seguire la nostra preparazione. Mi sembra molto in gamba. Però avrò modo di conoscerlo meglio.

Ti ha dato un programma di allenamento per l’inverno

Praticamente da subito. E’ tutto stato caricato di settimana in settimana su Training Peaks. Mettiamo i commenti sugli allenamenti e lui li commenta a sua volta. Poi abbiamo chiamate tutti insieme ogni due settimane, per confrontarci. Siamo solo 8, quindi è anche facile.

Al Giro della Lunigiana, Finn ha conquistato la maglia bianca di miglior giovane (foto Instagram)
Al Giro della Lunigiana, Finn ha conquistato la maglia bianca di miglior giovane (foto Instagram)
Quali saranno i prossimi appuntamenti?

A gennaio avremo un ritiro a Mallorca con la Bora-Hansgrohe prima delle gare, ma quello più importante si svolgerà sul Lago di Garda, diciamo una o due settimane prima del debutto, quindi a febbraio. In quell’occasione saranno 10 giorni importanti. Inizieremo a correre a marzo in Belgio.

Come stai vivendo questa novità? 

Sono contento della prospettiva di migliorare me stesso e vedere dove posso arrivare. Facendo gare a tappe ed esperienze diverse, non dico che sarà più facile, però in teoria dovrei fare dei passi in avanti molto importanti. Sono quasi più curiosi i miei amici e gli ex compagni, però credo che sarà come per quelli che sono già passati in una devo team, solo che io lo farò un anno prima.

Hai parlato con il cittì Salvoldi prima di prendere la decisione?

Mi sono confrontato con lui proprio prima di fare la mia scelta. E comunque anche Auto Eder mi ha detto che l’attività della nazionale fa parte integrante del calendario, perché ovviamente ci sono gare come la Corsa della Pace, europei e mondiali che non puoi fare con la squadra di club. Quindi ovviamente con la nazionale deve esserci un rapporto di collaborazione. Salvoldi è contento. Non mi ha detto se era giusto o sbagliato, però mi è stato di supporto.