Nicolò Garibbo è l’ultimo talento sul quale Marcello Massini ha messo le mani e i suoi successi continuano a inorgoglirlo. Ufficialmente, passati gli 80 anni, Massini ha messo da parte l’ammiraglia, ma resta nello staff del Gragnano Sporting Club e continua a vivere di ciclismo, ma alla sua maniera. Quella imparata quando correva ai tempi di Gimondi e di Bitossi. Con l’amore di un artigiano del ciclismo.
E’ pur vero che, parlandoci, non sembra proprio di avere a che fare con un ultraottantenne perché lo spirito è più giovane di quello di tanta gente ben più giovane di lui. Nell’ambiente Massini è famoso proprio perché sa cavare il meglio dai corridori quando il tempo scorre e c’è il rischio che rimangano incompiuti, che non approdino sul palcoscenico principale.
«Con i giovani ho lavorato tanto – spiega il diesse toscano – ma il ciclismo è cambiato, oggi i grandi team vanno direttamente a cercare gli juniores e se li prendono, a noi che cosa resta? Abbiamo dovuto cercare una via alternativa e secondo me lavorare con ragazzi un po’ più grandi, ma che possono ancora dare tanto è una gratificazione ancora maggiore».
Chi sono questi ragazzi?
Corridori che nel corso della loro carriera giovanile hanno avuto problemi. Chi è maturato tardi, chi è rimasto per un periodo al palo magari per qualche infortunio, chi non ha trovato l’aggancio giusto per passare. In questo progetto però devo dire grazie a tutta la società, dal presidente Carlo Palandri ai diesse Alberto Conti e Andrea Marinai che supportano queste idee. Si prestano per venire incontro alle esigenze dei ragazzi, spesso mettendo da parte anche le legittime aspirazioni della società.
Garibbo ne è un esempio…
Ha avuto una stagione fantastica, senza mai un calo, sempre sul pezzo. Nella società ci sono tanti che possono avere una buona carriera, lui già adesso ha un valore intrinseco che ne fa un professionista fatto e definito, deve solo trovare chi creda in lui.
E’ più difficile lavorare con simile materiale, proprio in considerazione del ciclismo attuale che consuma tutto a grande velocità?
Sì, ma è anche più gratificante. Un esempio è Fiorelli: non aveva risultati, noi abbiamo sempre creduto in lui e nelle sue possibilità e in due anni è cresciuto esponenzialmente, ha trovato posto alla Green Project Bardiani CSF Faizané e sta avendo una buona carriera, addirittura con qualche estemporanea uscita in mountain bike (è stato terzo all’ultima Etna Marathon, ndr). Anche lui ha sofferto, anche lui quando ha superato la soglia U23 rischiava di rimanere a piedi, ma il lavoro ha pagato. Non sarà l’ultimo…
I team professionistici vi danno retta?
Con fatica, con tanta fatica. Si guarda ai giovani e li si vuole subito vincenti, basta che da junior vincono un paio di volte che ecco che trovano l’ingaggio. Ma la gavetta dov’è? Il problema è che noi dobbiamo trovare il modo di far risaltare i nostri.
E quindi vi trovate quasi costretti a fare anche attività all’estero…
Quando un corridore diventa Elite, scopre che non tutte le gare del calendario italiano sono open. Andare all’estero è quasi obbligatorio, ma devo dire che è anche utile. Noi siamo stati in Kosovo e lì abbiamo sviluppato contatti importanti per avere ulteriori inviti il prossimo anno. Le gare estere sono una vetrina essenziale, anche perché la concorrenza è molto più qualificata.
C’è un altro Garibbo all’orizzonte nel vostro team?
Abbiamo tanti giovani validi, ma che stanno maturando piano piano, per questo dico che Nicolò Garibbo invece è pronto, ha tutto per fare una buona carriera anche fra i professionisti.
Dall’alto della sua esperienza, era quindi più facile portare un corridore a essere professionista?
Prima sì. C’era più quantità, più scelta fra i corridori giovani, si aveva anche più pazienza nell’aspettare che maturavano. Nel 1986 alla Magniflex avevamo 10 ragazzi, di loro 8 sono passati pro’ e hanno avuto anche carriere importanti, come Tafi, Lelli, Baronti… Ora invece si cerca il Pogacar a tutti i costi dimenticando che magari vinci il Tour a 21 anni, ma chi ci dice che fra dieci anni sarà ancora lì e ancora a quei livelli?
Preferirebbe un ciclismo più tranquillo?
Preferirei un ciclismo meno esasperato, che rispetti l’età di ragazzi di 19-20 anni che devono ancora maturare e non parlo solo dal punto di vista ciclistico, ma come uomini. Rischiamo così di avere atleti di 27-28 anni che sono spremuti, che hanno già dato tutto. Cresceranno o finiranno come Sagan? A 19 anni vinceva già, ma anche se ha un curriculum lunghissimo è da qualche anno che è sul viale del tramonto. Io ho un’altra idea di ciclismo, un po’ diversa…