Marcellusi al lavoro per un 2024 da leader. Col sogno tricolore

26.12.2023
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BENIDORM (Spagna) – Quando ormai anche i massaggi erano stati fatti e si aspettava la cena, Martin Marcellusi scendeva dalla sua stanza e faceva un salto dai meccanici. Voleva dare un’occhiata alla sua bici. Quest’anno c’è qualche materiale nuovo, a partire dal telaio De Rosa, e quel pizzico di curiosità non manca.

E poi era anche un’occasione per scambiare due parole con “Mister Tony”, al secolo Antonio Tarducci, meccanico storico della Green Project-Bardiani che fra qualche giorno si chiamerà VF Group-Bardiani-Faizanè.

«Sono già tre anni che vengo in ritiro con loro. Il primo lo feci nel dicembre 2021», attacca Marcellusi.

Marcellusi (classe 2000) parla con il meccanico Tarducci
Marcellusi (classe 2000) parla con il meccanico Tarducci
E come ci sei venuto questa volta?

Più allenato del solito. I dirigenti ci hanno chiesto di venire un minimo preparati. Io sin qui avevo seguito il mio preparatore e avevamo impostato un programma generale, non troppo specifico per il ritiro chiaramente, ma che mi facesse essere pronto per lavorare bene. E credo di esserci riuscito.

Martin, ne parlammo già dopo il Giro di Lombardia: tu hai fatto una scelta importante, quella di restare qui per tre anni. Questo comporta anche delle responsabilità: cominci a sentirti leader di questo gruppo?

Sì, e mi ci sento già da quest’anno, da quando ho percepito la fiducia del team. Spero di aver fatto un salto di qualità per far sì che di fiducia ce ne sia ancora di più. E di aver fatto un salto anche da un punto di vista tecnico, che mi consenta di lavorare di più e quindi aumentare i carichi.

Roberto Reverberi ci ha detto che si aspettano molto da te…

Mi fa piacere. In generale credo di essere un corridore che ha tanti margini: sull’allenamento, sull’alimentazione. Lo scorso anno per esempio credo di aver fatto uno step sugli allenamenti, quest’anno mi sto concentrando sull’alimentazione. Anche con il peso non sono super, ma sono meglio dell’anno scorso nello stesso periodo. E piano piano riuscirò ad arrivare al top.

Essere leader significa anche prendersi delle responsabilità. C’è qualche corsa che inizi a guardare in ottica diversa?

A me piace molto il campionato italiano, poi ovviamente dipende anche dal percorso che l’organizzatore propone, però è una gara che se ci arrivi bene può darti molto. Magari non ancora per vincerla, ma… Quindi il tricolore può essere un obiettivo. Per il resto, di gare ce ne sono molte. Quest’anno sono andato bene al Gran Piemonte e al Pantani, perciò direi che le corse italiane sicuramente sono un obiettivo, sia mio che della squadra. 

Sulle strade della Spagna per Martin e compagni un ottimo volume di lavoro (foto Gabriele Reverberi)
Sulle strade della Spagna per Martin e compagni un ottimo volume di lavoro (foto Gabriele Reverberi)
Si dice sempre che in gruppo ci sono le gerarchie: le WorldTour davanti e voi dietro. Però Visconti, tuo ex compagno, diceva anche che quando vedevano che era lui gli dicevano: “Tu puoi stare”. Per Marcellusi comincia a cambiare qualcosa? Oppure stai davanti perché sgomiti?

Ci sto perché sgomito! Nessun favoritismo nei miei confronti ancora. Nei confronti di Giovanni era completamente diverso. La carriera che ha fatto lui l’hanno fatta in pochi. Era normale dunque che fosse un po’ avvantaggiato. Noi dobbiamo ancora sgomitare e di certo nell’economia della corsa questo è ancora un punto a nostro sfavore. Però dico anche che negli ultimi anni non ci facciamo problemi a sgomitare.

Quasi tutti avete un coach personale, tu hai Daniele Pascucci per esempio, ma in ritiro avete seguito il programma del team. Come ti sei trovato?

Bene, anche se in qualche giorno abbiamo fatto un bel po’ di fatica, che di questi periodi non è cosa comune. Però magari è giusto così.

Per conto tuo invece lo scorso anno hai lavorato parecchio sulle salite, anche se dicevi: “Io non sarò mai uno scalatore”. Quest’anno su cosa stai insistendo?

Fino allo scorso anno Pascucci non aveva un background dei miei dati, quindi non mi conosceva come atleta. In questa stagione abbiamo raccolto molti dati, specie durante il Giro. Abbiamo notato che su alcuni aspetti sono carente e stiamo cercando di migliorarli. In questo periodo, sto insistendo parecchio sulla palestra per quel che riguarda la forza esplosiva.

Quali sono le carenze di cui hai parlato?

Una carenza è sicuramente la continuità. Soprattutto fino ad un anno fa non riuscivo allenarmi troppo. Facevo un giorno di carico e poi il giorno dopo stavo malissimo. Abbiamo lavorato su questo aspetto, importantissimo per crescere, e sembra che stia andando meglio.

Il laziale è cresciuto molto nel 2023. Al Tour du Limousin ha vinto la classifica dei Gpm
Il laziale è cresciuto molto nel 2023. Al Tour du Limousin ha vinto la classifica dei Gpm
E un punto di forza?

Come dissi già una volta, la grinta: ci metto un bel po’ a mollare. Ma quando mollo, vuol dire che è proprio finita, che non ce n’è più!

In ritiro vi abbiamo visto mangiare in certo modo in allenamento, partire con dei sacchetti specifici per assumere un tot di carboidrati ogni ora. Ma davvero ci si allena a mangiare?

In effetti non è così semplice, specie con i cibi solidi. Oggi si usa molto l’alimentazione liquida. Ormai anche in uscite lunghe abbiamo dietro una barretta o due, non di più. Io almeno preferisco i carboidrati in polvere disciolti nella borraccia o dei gel ad alto contenuto di carbo. Comunque è vero: ogni ora dovevamo stare sui 90 grammi di carboidrati, almeno.

E questo allenamento alimentare, chiamiamolo così, lo fai anche a casa? Perché assumere 100 o passa grammi di carbo alla fine può portare a problemi di stomaco…

Questa cosa va curata anche a casa. All’inizio sicuramente non sarei riuscito a mandare giù 120 grammi di carboidrati l’ora, anche perché non c’erano prodotti adatti. Di sicuro andavi in bagno o saresti stato male, minimo con un gonfiore addominale. I prodotti di nuova generazione aiutano perché sono studiati in ogni particolare e non danno di questi problemi. Ma comunque è vero: bisogna esserci abituati, anche solo per il gesto di bere o mangiare così frequentemente.

Transitando in testa sul Ghisallo, Marcellusi è salito sul palco dell’ultimo Lombardia. Questa salita metteva in palio un premio
Transitando in testa sul Ghisallo, Marcellusi è salito sul palco dell’ultimo Lombardia. Questa salita metteva in palio un premio
Eri con il meccanico, sulla tua bici è cambiato qualcosa? Anche dei piccoli dettagli?

La posizione è sempre quella. Ho rivisto giusto le tacchette: le ho spostate di qualche millimetro indietro, perché il nuovo telaio – siamo passati dalla Merak alla 70 – cambia un pochino. Da quest’anno abbiamo tutti i manubri integrati, anche in allenamento. E questi sono un po’ più larghi.

Quanto più larghi?

Sono passato da una piega manubrio da 38 centimetri a una di 40.

E ti piace questa cosa?

Preferivo quello più stretto a dire il vero, anche per il discorso dello sgomitare, però alla fine è questione di abitudine. Quello da 40 ha il vantaggio che in discesa si guida meglio ed è anche molto più bello esteticamente!

Ulissi, 46 vittorie e una vita con gli stessi colori

26.12.2023
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LA NUCIA (Spagna) – Nel giorno in cui Pogacar annunciava il suo piano e Matxin lo descriveva, Ulissi osservava la scena con il pizzico di ironia tipica dei livornesi (in apertura, foto Fizza/UAE Emirates). Far parte della squadra numero uno al mondo è coinvolgente, aver concorso al primato con vittorie e punti è motivo di orgoglio, resta da capire come sia ritrovarsi ai margini delle grandi manovre.

Forse quello che aiuta Ulissi è il realismo che lo ha sempre accompagnato e lo ha tenuto lontano da scelte affrettate, come quella di cambiare squadra all’indomani di un bel risultato, attratto dalle proposte che spesso si fanno sotto come sirene. Un corridore come lui, che ha vinto per due anni di seguito il mondiale juniores, oggi sarebbe stato al centro di un mercato serrato. Quel che traspare conoscendolo è che il suo centro sia la famiglia (abbiamo parlato giusto ieri del terzo figlio in arrivo) e che il ciclismo sia il modo di conquistarsi un posto migliore nel mondo. Il suo punto di vista è venuto fuori parlando di Matteo Trentin, che ha la stessa età.

«Devi capire in che squadra sei – dice – devi anche capire che gli anni passano e in che squadra sei. Diventa sempre più difficile, però anche la scelta di Matteo la posso capire. Negli ultimi anni ha dimostrato di essere ancora un corridore molto forte e ritrovarsi in una squadra di giovani, potendo anche levarsi delle belle soddisfazioni, è una bella motivazione».

Diego Ulissi, classe, 1989, è pro’ dal 2010. Un metro e 75 per 63 chili, ha vinto 46 corse
Diego Ulissi, classe, 1989, è pro’ dal 2010. Un metro e 75 per 63 chili, ha vinto 46 corse
Tu sei rimasto sempre nella stessa squadra, come mai?

Semplicemente perché alla UAE Emirates ho trovato il mio ambiente ideale. Ho sempre fatto bene, non mi hanno fatto mancare niente e mi hanno sempre premiato. Sono rimasto sempre volentieri. Nel mio percorso ho trovato persone veramente speciali a cui sarò sempre grato. Prima Saronni, poi Gianetti e Matxin. 

Prima era Lampre, poi è diventata UAE Emirates.

Quando c’è stato il passaggio, chiaramente ho dovuto prendere delle decisioni. Però ci conoscevamo e con Matxin avevo già lavorato quando era direttore sportivo alla Lampre. Insomma, non ho avuto alcun dubbio e la scelta mi ha premiato.

Ci sono state offerte che ti hanno fatto vacillare?

Certo che ci sono state, soprattutto quando ero più giovane. Però non ho mai vacillato, anche se venivano dalle squadre più forti che c’erano in quel momento. Però in questo ambiente ci stavo benissimo e a quel punto il mio sogno è diventato arrivare a fine carriera con gli stessi colori. Mi sono messo nelle condizioni di riuscirci. Ho sempre fatto tutto bene, sono venute vittorie e punti e la squadra me lo ha riconosciuto.

Nei primi anni da pro’, Ulissi ha avuto la fortuna di avere accanto un tecnico come Maini
Nei primi anni da pro’, Ulissi ha avuto la fortuna di avere accanto un tecnico come Maini
Nel frattempo la squadra si è riempita di giovanissimi: l’età media è molto bassa.

E’ vero. Majka, Laengen ed io siamo del 1989 e siamo i più vecchi. Però è un valore, è importante mettere la mia esperienza al servizio di questi giovani. Ci parlo molto durante gli allenamenti e nei momenti di riposo. Sono anche io a loro disposizione.

I corridori più maturi dicevano che più passa il tempo, più ci si deve allenare. E’ ancora vero?

Per fortuna un po’ è cambiato, perché con i nuovi allenamenti non c’è più l’esigenza di fare tante ore: si punta sulla qualità, ma è normale che devi stare più attento. Dallo stretching alla palestra, facendo tutti i lavori che ti mantengono vivo. Piuttosto è vero che non conviene fermarsi troppo a lungo a fine stagione, perché ritrovare il ritmo diventa più difficile. Ai primi anni da professionista, stavo anche un mese e mezzo senza bici, adesso non stacco mai per più di tre settimane. E ho la fortuna che non ingrasso più di tanto.

Quest’anno nel tuo calendario non ci sarà il Giro d’Italia.

Farò un calendario differente rispetto alle scorse stagioni. Nessun grande Giro, perché mi concentrerò sulle classiche Monumento a partire dalla Sanremo, poi la campagna delle Ardenne. E farò altre gare, alla ricerca di punteggi che dal prossimo anno tornano decisivi.

Con Pugacar al Giro, il programma di Ulissi è cambiato, spostandosi sulle grandi classiche
Con Pugacar al Giro, il programma di Ulissi è cambiato, spostandosi sulle grandi classiche
Quindi l’assenza dal Giro non dipende dalla presenza di Pogacar?

Il discorso non è questo, anche perché negli ultimi anni c’era Almeida e ho lavorato bene per lui. Matxin ha pensato a questo programma, dicendo che posso fare risultato e non avrebbe senso portarmi alle corse per tirare. Per me va benissimo, non ho alcun problema.

Quanto conta il discorso dei punti? 

Tantissimo, è molto importante, sia per le squadre di alta classifica sia per quelle di bassa. E’ un aspetto che nel corso degli anni è cambiato. Prima si puntava molto di più a determinate gare. Chi preparava i grandi Giri, chi le classiche e cercava di arrivare all’obiettivo al 100 per cento. Adesso invece devi cercare una condizione più continua, per essere ad alto livello tutto l’anno

Avete festeggiato la vittoria del ranking?

Abbiamo cominciato nel ritiro di Abu Dhabi e abbiamo proseguito qua. Abbiamo ripercorso la stagione. Siamo i primi al mondo ed è una grande soddisfazione per noi e per i nostri capi.

Nel 2023 per Ulissi è venuta la vittoria di tappa al Tour of Oman, sul traguardo di Yitti Hills. Ha chiuso il 2023 con 719 punti UCI
Nel 2023 per Ulissi è venuta la vittoria di tappa al Tour of Oman, sul traguardo di Yitti Hills. Ha chiuso il 2023 con 719 punti UCI
Per come lo conosci, che cosa c’è da aspettarsi da Pogacar al Giro?

Tadej è un corridore sempre alla ricerca di nuove sfide e di nuovi stimoli. Negli ultimi anni correre in Italia gli è sempre piaciuto. L’ambiente italiano gli va a genio, ha vinto due volte la Tirreno, è stato protagonista alla Sanremo, ha vinto per tre volte il Lombardia. Penso che per come è disegnato il Giro d’Italia, proverà certamente a vincerlo.

E poi il Tour?

Intanto il Giro, poi si vede. Insomma, come si dice? L’appetito vien mangiando…

Cimolai ritrova grinta alla Movistar, ma ha una cena da pagare

25.12.2023
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CALPE (Spagna) – Cimolai aveva annunciato la fine della carriera, invece adesso ha un nuovo preparatore e prospettive che non avrebbe neppure immaginato. Nessuno intorno l’aveva presa bene, soltanto lui aveva raggiunto la serenità per dirlo e farsene una ragione. Aveva perso entusiasmo e la voglia di andare in bici. Non si divertiva più. L’ultimo periodo era stato pesante, a capo di due stagioni difficili. Soltanto Alessia, la sua compagna, non ci aveva mai creduto e chissà se adesso che Davide ha ritrovato la voglia e una maglia, per prenderlo in giro continuerà a rinfacciarglielo.

Abbiamo incontrato Cimolai nell’hotel del Movistar Team con vista sul Peñon de Ifach, l’imponente spuntone di roccia che domina la baia di Calpe (foto di apertura). La nuova maglia non poteva ancora usarla, la bici invece sì, pur col divieto di mostrarcisi sopra. 

Il rendimento 2022 di Cimolai alla Cofidis è andato di pari passo con quello altalenante di Consonni
Il rendimento 2022 di Cimolai alla Cofidis è andato di pari passo con quello altalenante di Consonni
Che cosa è successo nelle ultime due stagioni alla Cofidis?

Il primo è stato complicato dal punto di vista fisico. Ho avuto un picco di condizione alla Tirreno e sono passato da un quarto posto al fotofinish dell’ultima volata. Il giorno dopo mi è arrivata una bronchite assurda, che mi ha messo kappaò per due settimane e ha condizionato il rendimento al Giro. Ci sono arrivato un po’ indietro e ho trovato la condizione con il passare delle tappe, invece subito dopo ho preso il Covid e mi sono fermato un’altra volta. L’unica gara che ho fatto ad alto livello è stata la Vuelta e mi sono messo a disposizione di Coquard. Abbiamo ottenuto un secondo e un terzo posto.

Invece il 2023?

Grossi rimpianti non li ho avuti. Mi ero messo in testa di fare l’apripista e credo di aver lavorato bene. Coquard è stato contento, tutta la squadra alla fine è stata contenta. Ero convinto di rimanere, quando alla Vuelta ho annusato la situazione, ho capito che non mi avrebbero confermato e ho cominciato a perdere la voglia di continuare.

Lo avevi accettato con serenità o con rassegnazione?

Ho alle spalle 14 anni di carriera. Insomma, sono soddisfatto. Ho parlato con Manuel (Quinziato, il suo agente, ndr) e gli ho detto: «Guarda, è inutile che vai a propormi a squadre più piccole. La mia carriera l’ho fatta, sono veramente contento, chiudiamola qui». L’unica cosa che mi dispiaceva sarebbe stato concludere in questa maniera. Avrei sognato un addio un po’ più glorioso. Mi sarebbe piaciuto salutare in una corsa in Italia, con i miei parenti e gli amici. Però alla fine me ne ero fatto una ragione.

Al Region Pays de la Loire Tour 2023, Coquard vince la 3ª tappa, Cimolai esulta
Al Region Pays de la Loire Tour 2023, Coquard vince la 3ª tappa, Cimolai esulta
E cosa hai fatto?

Correvo a piedi, tutte le cose che pensavo avrei fatto una volta che avessi smesso. Ero sereno. A Manuel avevo detto: «Se arriva una squadra in cui ritrovo l’entusiasmo, allora torno. E ovviamente lo faccio al 110 per cento, perché ormai in questo ciclismo bisogna essere veramente pronti. Altrimenti, va bene così». E alla fine, quando si è aperta la porta della Movistar, non ho potuto dire di no, perché era proprio l’ambiente che cercavo. Quindi adesso sono contento come un neopro’, mi è tornato l’entusiasmo. E’ un ambiente meraviglioso, non è estremo come altri. Se devi riallacciare dei fili, ci vuole proprio questo.

Avevi mai avuto un team manager come Eusebio Unzue?

Mai avuto un rapporto così diretto. Quando mi ha chiamato il giorno prima di firmare, anche se eravamo d’accordo su tutto, ha voluto spiegarmi la situazione e dirmi certe cose a livello contrattuale che non è da tutti. Ci ha tenuto a dirmi che sono arrivato all’ultimo momento e non poteva darmi il mio valore, ne era consapevole. Io gli ho risposto che lo sapevo e che sono venuto nella sua squadra per ritrovare l’entusiasmo. Invece lui, tra virgolette, si è quasi scusato. L’ho trovato una forma di rispetto. Abbiamo fatto una chiacchierata di quasi un’ora. La cosa che mi piace in questa squadra è il rispetto verso tutti e l’atteggiamento che hanno avuto nei miei confronti. Porte spalancate come se ci fossi sempre stato.

Sarai l’ultimo uomo di Gaviria, in cosa si vedrà il tuo impegno al 110 per cento?

Provo il piacere di stare in bicicletta e con i compagni. Un insieme di cose, il bello della mentalità spagnola è che si ride, si scherza e si vive senza stress. Ugualmente l’impegno non manca, si lavora di fino anche sul fronte dell’alimentazione. Però ad esempio negli allenamenti ci si ferma al bar, una cosa che in Cofidis capitava forse nel giorno di riposo. Ieri abbiamo fatto sei ore e dopo le prima quattro ci siamo fermati e poi siamo ripartiti con più grinta. Magari ti alleni anche di più, non è la sosta di quei 15 minuti al bar che ti cambia la giornata.

Duello in volata al Giro 2021: tappa di Foligno, Cimolai a ruota di Gaviria e Sagan
Duello in volata al Giro 2021: tappa di Foligno, Cimolai a ruota di Gaviria e Sagan
Che rapporto c’è fra te e Fernando?

I primi anni, era un po’ freddo. Poi mi sono fatto l’idea che “Maxi” Richeze, con cui ho corso alla Lampre e che è stato per anni il suo apripista, gli abbia detto che sono una buona persona. Allora ha cominciato ad aprirsi. Non abbiamo mai avuto uno screzio in volata, anzi parliamo spesso. Ed è questo che mi ha consentito di venire a correre con lui.

Ti ha accettato subito?

Quando sono arrivato, anche Fernando voleva capire perché fossi qua e gli ho detto subito che sono venuto a lavorare per lui. Per me è una sfida: ritornare ad altissimo livello e farlo vincere. Anche perché dai suoi risultati dipenderà il mio futuro (in realtà non è da escludersi che nelle prime corse, Cimolai dovrà fare da sé. Gaviria infatti ha qualche acciacco e non riesce ad allenarsi per più di due ore, ndr).

Arrivi qui a 34 anni, cambia qualcosa nella preparazione?

Sto imparando molto, anche per quanto riguarda la palestra. Mi sono reso conto che sbagliavo delle cose nella velocità di esecuzione dell’esercizio. Ogni volta che andavo in palestra, chiedevo al preparatore di non mettermi lavori specifici il giorno dopo, perché avevo le gambe quadrate. Questo era controproducente, ma l’ho imparato adesso. La Cofidis ha voluto che fossi seguito dai preparatori interni, per questo avevo lasciato il centro 4performance. Adesso invece mi allena Piepoli, perché anche qui si deve lavorare con preparatori interni, e vedendo come mi sono allenato negli ultimi due anni, ha detto parole che mi hanno colpito.

Alessia, compagna di Cimolai, era certa che avrebbe corso ancora: c’era in ballo una cena (foto Instagram)
Alessia, compagna di Cimolai, era certa che avrebbe corso ancora: c’era in ballo una cena (foto Instagram)
Che cosa?

Mi fa: «Hai 34 anni, ma secondo me hai notevoli immagini di miglioramento». La cosa positiva è che non sono mai stato sfruttato al 100 per cento. Negli ultimi due anni alla Cofidis, facevo grossi lavori a bassa velocità, invece adesso lavoro con carichi minori e più velocità. Tanto che il giorno dopo, riesco ad andare in bici. Secondo “Leo”, sono ancora ben lontano dai volumi che posso sostenere. Sto lavorando con molta più progressività. L’anno scorso, già dopo una settimana, cominciavo a fare partenze da fermo e anche Sfr. Invece adesso sono tornato alla filosofica classica di fare una discreta base, per poi iniziare a fare sul serio più avanti.

Cosa ha detto Alessia quando hai firmato?

Era pacifica e serena, era certa che avrei continuato a correre. E adesso dovrò pagarle una cena, avevamo fatto una scommessa…

EDITORIALE / L’augurio di un Natale diverso

25.12.2023
4 min
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«Quest anno il Natale ci ha regalato qualcosa di stupendo, siamo felicissimi e non vediamo l’ora di averlo/a tra le nostre braccia!! Auguriamo a tutti voi buone feste in compagnia delle persone che amate!!».

Il post di Diego Ulissi su Instagram, accompagnato da una foto di famiglia, con cui annunciava il terzo figlio in arrivo, è stato il giusto modo per andare incontro al Natale e spegnere per un po’ il computer. Serviva una pausa. Serve a tutti rialzarsi per guardarsi intorno dopo aver tanto tirato. Si capiva dai discorsi dei corridori all’inizio della nuova stagione, già incapsulata in schemi perfetti di allenamenti e gare. Si capiva dalle sensazioni di ogni giorno, nell’immaginare programmi per sé e il proprio gruppo di lavoro.

In casa Ulissi il Natale ha portato la notizia di un nuovo figlio in arrivo. Qui Diego con Lia e Anita
Questa la foto Instagram con cui Diego Ulissi ha annunciato il nuovo bebè in arrivo

La bellezza della normalità

L’ultima riflessione di ieri nasce proprio da Diego, la cui intervista pubblicheremo domattina. Una delle domande che gli sono state fatte è come mai sia rimasto per tutta la carriera nella stessa squadra, senza cedere alle sirene che certamente lo avrebbero portato altrove e forse anche a guadagnare di più.

«Se mi trovo bene in un ambiente – questo più o meno il senso della sua risposta – perché avrei dovuto cambiare?».

Lui rispondeva e a noi venivano in mente i recenti scossoni del mercato e a ragazzi che evidentemente non si trovavano bene nelle squadre in cui militavano. Verrebbe anche da chiedersi perché le abbiano scelte, se è bastato un solo anno per staccarsene. Si cerca il preparatore buono, il giusto programma, il nutrizionista di vertice, la residenza per pagare meno tasse, si reclamano giustamente i soldi che si pensa di valere, ma l’ambiente e la persona vengono tenuti nella giusta considerazione?

Con un altro corridore affrontammo lo stesso discorso, all’inizio della stagione in Argentina: Pablo Lastras. Lui è rimasto per tutta la vita nella Movistar e ora ne è uno dei direttori sportivi. Quando qualche giorno fa Cimolai (ne leggerete stasera) ci raccontava di aver trovato nel team spagnolo il giusto clima per «riallacciare i fili della passione per il ciclismo», il cerchio si è idealmente chiuso.

Papa Francesco ha spesso parlato di sport. Qui con Valerio Agnoli e l’Atletica Vaticana
Papa Francesco ha spesso parlato di sport. Qui con Valerio Agnoli e l’Atletica Vaticana

Lo sport moderno

Buon Natale a tutti, con la stessa semplicità di quel post di Ulissi. E mentre intorno a breve impazzirà la consegna dei doni che tanto spesso fa dimenticare l’origine del Natale, ecco la voglia di fare qualcosa di inconsueto, andando ad attingere a una lettura di qualche tempo fa: il discorso del 2014 di Papa Francesco al Centro Sportivo Italiano, da cui nel 2018 nacque il Documento sulla Prospettiva Cristiana dello Sport. Se ne può parlare nel giorno di Natale?

«Oggi lo sport sta profondamente cambiando – vi si legge – e sta subendo pressioni forti di cambiamento. La speranza è che lo sport sappia governare il cambiamento e non semplicemente subirlo, riscoprendo e tenendo saldi i principi tanto cari allo sport antico e moderno: essere esperienza di educazione e promozione dell’essere umano».

La Super Lega, nel calcio, ma anche nel ciclismo che la teorizza da anni, vuole arrivare a più soldi oltre ai tanti che già circolano. Sarà un caso, ma le due società che ne trarrebbero immediatamente il beneficio più immediato sono le spagnole più soffocate dai debiti. Non vi sembra che ci sia qualche nota stonata? A governare lo sport non sono le istituzioni, ma i suoi attori. Come chiedere ai proprietari della auto più veloci di stabilire i limiti di velocità. Se le stesse organizzazioni preposte al governo sono preda di avidità e debiti, come fanno a essere credibili?

Nessuna guerra si ferma per le Olimpiadi: si gareggerà e si combatterà… (foto CELESTINO ARCE LAVIN/AVALON/SINT)
Nessuna guerra si ferma per le Olimpiadi: si gareggerà e si combatterà… (foto CELESTINO ARCE LAVIN/AVALON/SINT)

La tregua olimpica

Ci sono stati casi in cui le guerre si fermavano per lasciare spazio alle Olimpiadi, oggi invece le Olimpiadi rischiano di fermarsi per le guerre. Perché lo sport è ormai solo un grande business, sempre più lontano dalla nobiltà per cui si poteva pensare di fermare la guerra.

«E proprio perché siete sportivi – si legge ancora nel discorso di Papa Francesco – vi invito non solo a giocare, come già fate, ma c’è qualcosa di più: a mettervi in gioco nella vita come nello sport. Mettervi in gioco nella ricerca del bene, nella Chiesa e nella società, senza paura, con coraggio e entusiasmo. Mettervi in gioco con gli altri e con Dio; non accontentarsi di un “pareggio” mediocre, dare il meglio di se stessi, spendendo la vita per ciò che davvero vale e che dura per sempre».

Chi propone, prospetta e offre grandi carriere da adulti a ragazzi di 16-17 anni avrà presente questa scala di valori, che prescinde dalla fede, ma affonda le radici nella complessità dell’uomo?

Bagioli, primi pensieri da capitano. E intanto prova i pedali nuovi

25.12.2023
5 min
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CALPE (Spagna) – Forse Andrea Bagioli, tra i tanti intervistati nei giorni spagnoli, è stato colui che aveva il sorriso più smagliante. T-Shirt bianca, pancia scavata e idee chiare. Il giorno prima del nostro appuntamento lo avevamo incontrato, per caso, sulle strade nell’entroterra.

Era al fianco di Juan Pedro Lopez. All’inizio non ci aveva riconosciuto, vista l’auto presa a noleggio con la targa spagnola. Mentre “Juanpe” si era sbracciato. «Mi sono accorto solo dopo che eravate voi. Pensavo che fosse uno dei tanti tifosi di Lopez. Lui qui conosce tutti», ci ha detto il valtellinese appena approdato alla Lidl-Trek.

Andrea Bagioli (classe 1999) parla con il suo nuovo addetto stampa alla Lidl-Trek, Paolo Barbieri
Andrea Bagioli (classe 1999) parla con il suo nuovo addetto stampa alla Lidl-Trek, Paolo Barbieri
Insomma, Andrea, siamo qui per avere i giusti spazi? Siamo partiti a gamba tesa!

In teoria sì, ma penso che anche in pratica sarà così. Il primo impatto è stato subito molto buono. E mi riferisco non solo al camp in Spagna, ma anche al ritiro a che abbiamo fatto a Chicago ad ottobre. Ho capito qual è la direzione del team e che ruolo avrò. Mi sento dunque di poter dire che avrò più spazio.

Bene così, no?

Ma attenzione, anche in Lidl-Trek ci sono campioni importanti, però magari non c’è il Remco Evenepoel di turno. La squadra ha detto che crede tanto in me. Ho avuto anche l’opportunità di scegliere il calendario gare e questo è un gran punto di partenza.

Quali sono le gare che hai scelto?

Quelle più adatte a me. Insieme abbiamo deciso quelle gare in cui posso puntare: mi ha fatto molto piacere. Questo mi dà ancora più stimoli.

Ci eravamo lasciati così, con Andrea fra due giganti quali Pogacar e Roglic al Lombardia
Ci eravamo lasciati così, con Andrea fra due giganti quali Pogacar e Roglic al Lombardia
Ci possiamo aspettare dunque un Bagioli all’attacco?

L’obiettivo è quello. L’ultima settimana di questa stagione mi ha dato molta fiducia. Alla fine quando fai secondo in una monumento come il Lombardia le aspettative si alzano parecchio. Spero che quello sia solo un punto di partenza.

Hai parlato di fiducia. Quanto è importante, dopo tanto tempo che lavori per gli altri, quando sai di avere solo quella cartuccia, sapere di avere spazio o addirittura essere capitano come impostazione di partenza?

Non è così scontato. Il finale di stagione è stata una sorta di riscoperta. «Cavolo, allora funziono ancora», il senso è stato quello. E, come detto, non è così scontato al giorno d’oggi essere davanti. Soprattutto nelle gare importanti è veramente difficile. Poi è anche vero che se sei abituato a fare troppo il gregario, magari perdi un po’ di quell’istinto e quello stimolo del vincente.

E lo hai riscoperto al Lombardia?

In verità penso di averlo riscoperto in Slovacchia, questa estate. Anche se era una gara minore, lì ho vinto una tappa e correvo come capitano. Ho riscoperto quelle doti da vincente.

Ritrovate anche al Gran Piemonte, quelle che insomma avevi in Colpack tra gli under 23?

Eh, perché no? Dalla Slovacchia in poi ho fatto il Lussemburgo e le ultime gare italiane. Al Lombardia, in teoria, il capitano era Remco. Poi però dopo la caduta lui non si sentiva al top e mi ha detto di fare la mia gara.

Bagioli può e deve ritrovare lo spirito battagliero, come quando era un giovane rampante della Colpack
Bagioli può e deve ritrovare lo spirito battagliero, come quando era un giovane rampante della Colpack
A quel punto è cambiato qualcosa dentro di te?

Non troppo, perché Remco me l’ha detto proprio all’ultimo, a ridosso del Passo Ganda. Lì mi fa: «Non mi aspettare». Quindi è stato tutto così veloce che non ho neanche avuto il tempo per innervosirmi o pensare alla corsa. E’ iniziata la salita e ho solo seguito i migliori. Magari se me lo avesse detto ad inizio gara sarei andato un po’ nel panico.

Il prossimo anno però sarà diverso: queste responsabilità ce le avrai sin dalla partenza.

Più responsabilità, ma anche più motivazioni. Sapere di essere capitano e che la squadra conta su di te sicuramente mi metterà più pressione, però credo anche che sarà la pressione buona.

Hai parlato di calendario, puoi illustrarcelo?

Inizierò abbastanza tardi, in Portogallo. Prima Figueras e un paio di giorni dopo l’Algarve. Ci sono ancora due mesi. Dopodiché ecco l’Italia: Strade Bianche, Tirreno, Sanremo e poi Baschi, Ardenne e Giro d’Italia. Il mio primo Giro dopo quattro anni da pro’. Era ora!

Al Giro però avrete un leader per la generale, Ciccone, e uno per le volate, Milan: lo spazio te lo dovrai un po’ ricavare?

In 21 giorni dovrò lavorare per forza, ma ci saranno anche alcune frazioni per me. Ma magari questo renderà le cose un po’ più semplici, dividendo bene i compiti.

È cambiato qualcosa invece sul fronte della preparazione?

Fino all’anno scorso ero con Vasilis Anastopoulos, adesso sono seguito da uno dei coach della Lild-Trek. Di conseguenza è normale che qualcosa sia cambiato, perché ognuno ha il proprio metodo di allenamento. Posso dire che in questo primo mese mi trovo benone. Sono aumentate forse le ore rispetto agli scorsi anni. Per ora ho fatto davvero pochi lavori. Ho pedalato ad intensità basse. Stiamo costruendo la famosa base.

Dopo aver ricaricato le pile in Tanzania con la sua compagna, Bagioli è pronto per la quinta stagione da pro’ (foto Instagram)
Dopo aver ricaricato le pile in Tanzania con la sua compagna, Bagioli è pronto per la quinta stagione da pro’ (foto Instagram)
Con quale bici ti vedremo correre? Trek vi mette a disposizione due belle belve…

L‘Emonda. E penso che sarà la bici che userò di più: è comunque veloce ma anche leggera. Poi magari in tappe piatte o alla Sanremo userò la Madone: mi dicono sia velocissima.

E le ruote, hai provato qualcosa?

Tra il ritiro di dicembre e quello di gennaio proverò tutti i setup possibili. Ruote alte o altissime con entrambi i telai e poi deciderò. 

Andrea, passi da Specialized a Trek: sei riuscito a riportare le misure alla perfezione o ne hai approfittato per fare qualche piccolo cambiamento?

Ho rivisto le tacchette. Passando dai pedali Shimano a quelli Time un piccolo adattamento c’è stato. Ed è stato stato un po’ difficile perché sono due pedali totalmente diversi. Ci ho messo un po’ ad abituarmi. Per il resto le misure sono più o meno uguali. La sella l’ho portata leggermente più indietro, ma parlo di 2-3 millimetri, giusto per riprendere gli angoli in seguito ai nuovi pedali. Ho provato ad utilizzare le tacchete fisse nelle prime uscite, ma dopo due o tre settimane ho capito che non erano per me. Non mi trovavo bene e ho optato per le mobili, che con questi pedali oscillano di 5°. 

Trentin sposa lo stile Tudor e parla chiaro sui giovani

25.12.2023
5 min
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L’ALBIR (Spagna) – Quando nei giorni scorsi ci siamo trovati a parlare di Trentin con Diego Ulissi, l’osservazione del toscano sul trentino è stata di grande apprezzamento. «Dato che Matteo ha dimostrato di essere ancora vincente – ha detto – è comprensibile che abbia cercato spazio in un’altra squadra come la Tudor Pro Cycling, dove nel suo ruolo avrà più occasioni». Quando lo abbiamo riferito al diretto interessato, che peraltro è appena rientrato proprio dall’hotel della UAE Emirates, il sorriso è stato istantaneo: «Grazie Diego!», ha detto. «Grazie Diego!».

Con il principe Alberto di Monaco, in occasione di Beking, l’evento organizzato da sua moglie Claudia (foto Instagram)
Con il principe Alberto di Monaco, in occasione di Beking, l’evento organizzato da sua moglie Claudia (foto Instagram)

Un calcio alla iella

E’ comprensibile che nel momento in cui lasci uno squadrone come il UAE Team Emirates un po’ di inquietudine venga fuori. Si tratta di lasciare una comfort zone ben pagata, per rimettersi in gioco in prima persona e al servizio di un gruppo giovane che sta crescendo (a pensarci, queste dinamiche non ci sono poi del tutto sconosciute!). Per cui avere conferme di un certo tipo avvalora la scelta.

«Penso che negli ultimi anni – dice Trentin, in apertura durante l’intervista con Stefano Rizzato della RAI – diciamo dal 2021, per svariati motivi non ho raccolto per quello che avrei potuto e che i numeri suggerivano. Un po’ ho avuto sfiga, altre volte me la sono cercata. Quindi è vero che mi serviva una svolta, una nuova avventura e sono qua. Questa squadra non vuole crescere dall’oggi al domani, per diventare i numeri uno al mondo serve tempo. E quando ci arrivi, serve la struttura giusta per restarci a lungo. Non me ne sono andato dalla UAE perché stavo male. Però nello sport capita che a volte vedi la squadra con un obiettivo diverso dal tuo, oppure trovi qualcuno che non asseconda più le tue visioni, le tue idee. A quel punto è giusto cercare delle nuove avventure, se le cose si combinano bene».

Solo una caduta ha impedito a Trentin di giocarsi il mondiale di Glasgow, cui era arrivato con grande condizione
Solo una caduta ha impedito a Trentin di giocarsi il mondiale di Glasgow, cui era arrivato con grande condizione

A immagine di Cancellara

La posizione di Trentin sulla nuova squadra è simile a quella di altri che ne hanno accettato l’offerta, come ci ha recentemente detto Dainese. C’è stato un primo contatto, poi un anno di tempo per vedere come si muovevano corridori e staff. E adesso che ci sono dentro, c’è la conferma che la scelta sia stata giusta.

«Con Ricardo Scheidecker – spiega Trentin – mi sento e mi sentivo anche prima, perché siamo rimasti sempre in contatto dopo il periodo in Quick Step. Ora ho l’impressione che quello che si intuiva da fuori corrisponda a realtà. Si vede soprattutto che Cancellara e Raphael Meyer, l’amministratore della squadra, hanno scelto della gente che viene dal WorldTour, che ci ha lavorato per anni ed è disposta a dare il 110 per cento per far crescere questa squadra nella giusta direzione. Si vede l’impronta del campione, il fatto che il proprietario sia stato un corridore. E soprattutto un corridore che ha assorbito e imparato nelle varie situazioni dove è stato. Perché Fabian è passato alla Mapei, quindi alla Fassa Bortolo, per poi andare a correre con Riis e in Trek. Ogni volta che cambi squadra, impari qualcosa. E se sei in grado di tenere il buono che hai visto e farlo tuo, puoi davvero fare la differenza».

Trentin in fuga al Fiandre 2023 per tenere Pogacar al coperto: cambierà qualcosa l’anno prossimo?
Trentin in fuga al Fiandre 2023 per tenere Pogacar al coperto: cambierà qualcosa l’anno prossimo?

La questione degli inviti

Così adesso non resta che allenarsi e gettare le basi per la stagione, sperando che gli inviti promessi siano confermati. 

«Mi sto allenando più o meno come gli anni scorsi – dice Trentin – ho fatto una gran gran base e poi da gennaio si andrà a costruirci sopra tutto quello che serve. Il programma in linea di massima c’è, ma essendo una squadra professional, sei dipendente dagli inviti. Alcuni stanno ancora arrivando e nel frattempo la dirigenza, giustamente, non ti dà l’illusione di poter fare una corsa se non sono sicuri. Di base credo che le gare di Flanders Classics ci siano, mentre i francesi fanno ancora resistenza. Ma tanto ormai il livello è così alto, che non è facile vincere da nessuna parte e anche le corse 1.Pro sono bellissime. Ovvio che sia meglio vincere quella WorldTour, perché sono più importanti, ma se non fai l’Australia, l’inizio del calendario è uguale per tutti . Quindi io dovrei cominciare a Marsiglia e poi… E poi mi sa che non posso ancora dirlo!».

Trentin è pro’ dal 2012. E’ stato per 6 anni alla Quick Step, 2 alla Mitchelton, uno alla CCC, 3 alla UAE
Trentin è pro’ dal 2012. E’ stato per 6 anni alla Quick Step, 2 alla Mitchelton, uno alla CCC, 3 alla UAE

Il ciclismo va veloce

Fra una risata e l’altra, ti accorgi che gli anni sono passati. E se da un lato, per goliardia e convinzione, si sofferma a dire che sulla sua bici preferirebbe i tubolari e i freni tradizionali, una riflessione sull’età sempre più bassa dei corridori nel WorldTour scatta quasi spontanea.

«Mi ritrovo qua con Tosatto come direttore sportivo – dice Trentin – dopo averci corso contro. Lavoriamo insieme solamente da qualche giorno, però vedo che tutti quanti alla Ineos sono stati molto bene con lui e sono scontenti che sia andato via. Quando il feedback è questo, sicuramente hai lasciato un bel segno. Probabilmente, essendo sceso da poco dalla bici, è consapevole di quello che viene fatto in gruppo. Poi, ovvio, le cose si evolvono e magari si perde la sensibilità che potevi avere nei primi due anni e devi supplire con l’esperienza.

«E’ un ciclismo che corre veloce, a volte secondo me anche troppo. Nella mia ex squadra c’è il pienone di ragazzini. Ho sentito che a qualcuno del Devo Team hanno fatto il contratto per sette anni, forse si sta correndo un po’ troppo in questa direzione. Cosa ne sai di quel che può accadere fra così tanto tempo? Io credo che questi ragazzi fra non molti anni avranno bisogno di supporto psicologico, perché tante pressioni non le reggi se non sei un po’ adulto e magari rischi di cadere in brutte abitudini per farti forza. Si continua a sovraccaricarli di attese. Avete visto le gambe di chi vince le corse da allievo? Li allenano come professionisti, ma come pretendi che reggano certe pressioni e che abbiano ancora dei margini?».

Olimpiadi, Milan, Het Nieuwsblad. I pensieri di Pasqualon

24.12.2023
6 min
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ALTEA (Spagna) – Andrea Pasqualon scherza sull’eta che avanza. «Quattordici stagioni da pro’: ormai tutti mi dicono che sono vecchio! Forse anche per questo mi piace il sole della Spagna». Il bordo piscina dell’Hotel Cap Negret, dove è in ritiro la Bahrain-Victorious, è un invito al relax, alla siesta.

In effetti il tepore è gradevole. Parlare di ciclismo con i campioni è un piacere. E probabilmente lo è anche per loro. Allenamenti non troppo tirati, gare lontane, clima easy… gli ingredienti per raccontare e farsi raccontare ci sono tutti.

Pasqualon (classe 1988) scherza con Mohoric durante il ritiro ad Altea
Pasqualon (classe 1988) scherza con Mohoric durante il ritiro ad Altea
Ma quindi sei vecchio?

Gli anni passano però, e dico la verità, mi sento più tranquillo ora che in passato. Forse perché sono talmente abituato a questa vita che la pressione non la sento più e questa credo sia una grande cosa. Partire senza pressioni appunto, senza assilli o senza dover dimostrare nulla ritengo sia un bel vantaggio, qualcosa che possa fare la differenza.

Anche se sei arrivato solo lo scorso anno, sei un riferimento per la squadra. Prendiamo, per esempio, il traguardo volante del Polonia, che ha consentito a Mohoric di portarsi a casa la corsa. Sappiamo che hai gestito te quel treno e tutta la situazione…

Eh, me lo ricordo anche io! Ho saltato un mondiale per quella volata, pensate un po’. Forse Bennati è ancora un po’ arrabbiato con me per la decisione di restare al Polonia. Però alla fine quando si fa parte di un team e si decide che la priorità deve essere quella, è giusto aver fatto una scelta del genere. E di conseguenza io ho accettato quella di Bennati di mettermi riserva. Certo, ho un po’ di rammarico, perché il mondiale mi sarebbe piaciuto correrlo, ma è andata così. Benna voleva che arrivassi al mondiale fresco come una rosa per dare il massimo e, giustamente, anche lui avrà pensato che facendo tutto il Polonia fossi spremuto. Giusto così dunque: sia da una parte che dall’altra.

Traguardo volante del Polonia: Pasqualon tira lo sprint a Mohoric che, battendo Almeida, si assicura la generale
Traguardo volante del Polonia: Pasqualon tira lo sprint a Mohoric che, battendo Almeida, si assicura la generale
Hai toccato il tasto della nazionale. Il percorso olimpico è buono per te, ci pensi?

E parecchio. Vi dico la verità: l’ho guardato più volte, anche se solo su Veloviewer per ora. Ho osservato questi strappi sparsi qua e là. E’ un percorso bello, per corridori da classiche. Ma per esserci bisogna dimostrare di andar forte. Io penso che un corridore come me, se riesce a fare una primavera fatta bene con Fiandre, Roubaix, Sanremo può sognare di partecipare alle prossime Olimpiadi. E’ una corsa per corridori come Ganna. Pippo dovrà essere il punto di riferimento. Bisognerà costruire una squadra, che poi squadra non è perché ci saranno solo tre uomini, ma dovranno essere tre ragazzi uniti e tutti molto forti.

Tre leader?

No, tre corridori uniti al massimo per una persona sola. E’ inutile portare tre leader, bisogna avere un leader e due uomini che sanno veramente sacrificarsi al massimo per portare a casa il massimo risultato possibile.

Avevi un ruolo particolare, quello di guidare Milan nella volate. Ora Jonathan se ne è andato. Avrai più spazio?

E chi lo sa! Mi è dispiaciuto che Jonny sia andato via, perché avevo lavorato molto con lui e sono sicuro che insieme avremo ancora costruito qualcosa di importante. Ma questa è stata la sua scelta e non ci possiamo fare nulla. Vedremo se avrò più spazio, probabilmente sì. Però il mio compito è proprio quello di prendere per mano i giovani e portarli ad uno scalino superiore. In questo periodo, per esempio, sono molto vicino a Dusan Rajovic, giovane talentuoso. Credo che messo a punto qualcosa di testa, sia molto forte. Ha un bel futuro. Per far crescere i giovani ci servono anche gli esperti, come possiamo essere io o Damiano (Caruso, ndr). E si è visto al Giro: un buon giovane affiancato da un esperto può fare grandi cose.

Pasqualon e Milan, era nata una buona intesa tecnica. I due erano spesso anche compagni di stanza
Pasqualon e Milan, era nata una buona intesa tecnica. I due erano spesso anche compagni di stanza
I quattro secondi posti di Milan al Giro, potevano essere due vittorie e due poi, insomma…

Esatto, poi magari per ottenere ancora di più bisognava impostare un’altra squadra. Una squadra su di lui, ma noi volevamo anche far classifica con Caruso, quindi era difficile portare anche qualche altra persona per il treno. Capisco le scelte di Vladimir (Miholjević, ndr). E infatti abbiamo portato a casa la maglia ciclamino, una vittoria, un quarto posto nella generale, con Damiano che è stato il primo degli umani) e anche la classifica a squadre.

Torniamo a parlare di te. Pasqualon è ancora un velocista, ammesso che tu ti sia mai sentito un velocista?

Bella domanda. Mi sto ancora scoprendo. Negli ultimi anni mi sono sentito più che altro uomo da classiche. Sulle lunghe distanze riesco a dare il meglio di me. Sono un uomo da corse dure, in cui si arriva col gruppetto ristretto. Un velocista puro non mi sento di dirlo. Stiamo parlando di gente che ormai sviluppa 2.000 watt, tanti ne servono per vincere le volate di gruppo. E io i 2.000 watt nelle gambe non li ho. Peso 70 chili, ma questo mi consente di sopravvivere in salita. Di restare attaccato quando ne restano 50 o forse anche 40.

E lo sprinter da 2.000 watt lì non ci resta…

Appunto. Io però nel finale di una Sanremo ci sono, come abbiamo visto quest’anno del resto. Sono stato il primo a prendere il Poggio. Dovevo essere lì: al punto giusto nel momento giusto. E, credetemi, non è facile. Altri 150 corridori vogliono essere lì in quel momento. Però con le giuste tempistiche, con la giusta esperienza ce l’ho fatta. Ma ci sono voluti anni per arrivare a questo. Ora però sono contento. Mi sono ricavato anche io un ruolo in questo ciclismo di altissimo livello.

L’arrivo, che “tira”, dell’ultima Het Nieuwsblad. Si nota Pasqualon al centro con la maglia della Bahrain
L’arrivo, che “tira”, dell’ultima Het Nieuwsblad. Si nota Pasqualon al centro con la maglia della Bahrain
Andrea, hai fatto e rifatto praticamente tutte le gare che offre il calendario mondiale. Ebbene, qual è la corsa o la tappa perfetta per te? E perché?

La corsa che più mi si addice è la Omloop Het Nieuwsblad – replica secco Pasqualon – perché siamo a inizio anno. E’ l’apertura del calendario belga e a me il Belgio è sempre piaciuto.

Ci hai anche corso parecchio, ai tempi della Intermarché…

Quelle corse lassù negli ultimi anni le ho sempre fatte. La Het Nieuwsblad in particolare mi piace perché c’è un po’ di tutto: il pavé, gli strappi, strade e stradine, e soprattutto perché c’è questo arrivo che tira, in cui non si sa mai chi vince. E’ la prima dell’anno, nessuno conosce i valori in campo. C’è grande incertezza sul risultato. Serve una volata di grande potenza, ma al tempo stesso di resistenza. E poi, ragazzi, c’è il Muur… una salita simbolo.

Descrizione perfetta, che sia che sia di buon auspicio per il 2024…

Speriamo!

L’addio di Stybar, un dio del cross. Oppure è un arrivederci?

24.12.2023
6 min
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A 38 anni Zdenek Stybar ha deciso di chiudere la sua carriera, lunga ben 18 anni. Il che può anche starci. Ma quando sei un campione che ha scritto pagine storiche su strada e ancor di più nel ciclocross non puoi andartene così, con un semplice annuncio. Stybar lo farà a inizio febbraio, prendendo parte all’ennesimo campionato mondiale, nella “sua” Tabor. Lo farà a dispetto dei dolori (è stato operato alle arterie femorali di entrambe le gambe) e di un fisico che giocoforza non risponde più come prima, ma sarà una festa e conoscendolo si sa già che ha in mente degli obiettivi precisi, anche agonistici.

Per ora la sua vita, nel cuore delle feste natalizie, è fatta di obblighi familiari e allenamenti (a Gavere, a Santo Stefano, farà l’esordio stagionale in Coppa del mondo) e fare due chiacchiere sulla sua carriera rappresenta anche un modo per uscire dalla routine, «ma dopo aver espletato i miei compiti di papà…».

Il ceko ha esordito il 9 dicembre a Essen, chiudendo 18° a 7’03” da Van Aert (foto Facebook)
Il ceko ha esordito il 9 dicembre a Essen, chiudendo 18° a 7’03” da Van Aert (foto Facebook)
Che cosa ti ha spinto a cercare la partecipazione ai mondiali di Tabor?

In realtà è molto semplice. A Tabor è iniziata sostanzialmente la mia carriera. E’ lì che ho ottenuto una delle vittorie più grandi della mia storia, il mio primo mondiale nel 2010. Quindi sarebbe bello chiudere la carriera nello stesso posto. Ho effettivamente finito la mia carriera su strada a Hong Kong ed è stato bello, perché c’erano molti amici, quindi ho potuto ancora chiacchierare con molti ragazzi ed è stato bello dire addio alla maggior parte dei miei colleghi. Ma ovviamente mi piacerebbe disputare la vera ultima gara della carriera in un posto che per me è molto simbolico, che significa qualcosa per me. Davanti ai tifosi del Belgio e della Repubblica Ceka. E voglio ancora presentarmi nella migliore forma possibile. Ci sto davvero lavorando duro.

Tu sei stato un monumento nel ciclocross, dedicandoti poi su strada. Ti sei mai pentito della scelta?

No, per niente. Penso che sia stata davvero un’ottima scelta perché ho conosciuto tantissime persone. Ho vissuto qualcosa d’importante, come vincere con la Quick Step sia alla Vuelta che al Tour. Tutte le vittorie hanno per me un sapore speciale, quindi non me ne pento mai. Penso che fosse anche il momento giusto per passare alla strada, avevo vinto tanto nel ciclocross, tutto quel che contava davvero, non vedevo come avrei potuto ancora migliorare. Quindi penso che andare sulla strada e fare progressi, sia dal punto di vista della condizione, sia dal punto di vista fisico, sia stata la scelta giusta al momento giusto.

A Tabor nel 2010 la sua prima vittoria iridata da elite. Si ripeterà nel 2011 e 2014
A Tabor nel 2010 la sua prima vittoria iridata da elite. Si ripeterà nel 2011 e 2014
Dieci-quindici anni fa una doppia attività come quella di Van Aert e Van der Poel era possibile?

Sì, era possibile, ma nessuno ci credeva veramente. E inoltre nessuno voleva davvero correre il rischio perché la squadra mi ha ingaggiato per esibirmi su strada e non nel ciclocross. Anche se pensavo sempre che fosse una buona preparazione per la strada anche avere qualche uscita agonistica in inverno, anche a livello d’immagine. Il ciclocross penso che sia davvero propedeutico alla preparazione per la strada, soprattutto per le corse. Ma allora era ancora un’altra cultura, vecchia scuola che imponeva il raduno a Calpe a dicembre e a gennaio e di nuovo a fine gennaio.

Era un sistema funzionante?

Sicuramente, ma penso che tu possa davvero riempire l’inverno con qualche gara di ciclocross o su pista, non perdi l’intensità e non perdi l’esplosività e movimenti la tua preparazione, anche mentale. Sei più concentrato perché hai ancora il numero di gara addosso e vuoi ancora esibirti. Quindi, voglio dire, ci sono molti vantaggi nel correre anche durante l’inverno. Quel che è certo è che Van Aert e VDP hanno sicuramente rivoluzionato quel modo di pensare.

Uno dei maggiori successi di Stybar, la Strade Bianche del 2015 (foto Cor Vos)
Uno dei maggiori successi di Stybar, la Strade Bianche del 2015 (foto Cor Vos)
Quando hai vinto i mondiali, come nazioni leader c’era più concorrenza rispetto a oggi, dove Olanda e Belgio dominano?

No, era fondamentalmente lo stesso, io mi confrontavo con Nys, Wellens, Pauwels leader dello squadrone belga. C’erano ovviamente quei pochi ragazzi ceki, come Simunek, poi qua e là qualche svizzero, ma soprattutto sempre belgi, soprattutto per le grandi gare.

Secondo te la situazione cambierà, ci saranno altre nazioni che emergeranno anche fra gli Elite contro Olanda e Belgio?

Sì, potrebbe. Vedo ad esempio molta effervescenza fra gli inglesi. Presto i ragazzi più giovani si renderanno effettivamente conto che non è una cattiva preparazione verso la strada o la mountain bike. Proprio perché Wout e Mathieu sono un grande esempio per i giovani e stanno dimostrando che è possibile esibirsi in inverno e in estate sempre al massimo grado.

Roubaix 2017, Stybar insieme all’iridato Sagan. Alla fine sarà secondo, battuto in volata da Van Avermaet
Roubaix 2017, Stybar insieme all’iridato Sagan. Alla fine sarà secondo, battuto in volata da Van Avermaet
In che situazione lasci il ciclismo del tuo Paese?

Penso che in generale ci sia molto talento, ma sfortunatamente ci manca ancora una vera via d’accesso al ciclismo professionistico. Quando i corridori lasciano la categoria juniores devono trovare spazio all’estero. Così molti smettono quando hanno meno di 23 anni, perché non vedono alcun futuro. Non vedono la possibilità di dove andare, a quale team unirsi. Serve un riferimento reale, che vada al di là della trafila attraverso i team Devo.

Qual è stato il momento più bello della tua carriera su strada?

Non direi davvero i miei risultati personali anche se ho portato a casa 21 vittorie, perché ho sempre apprezzato il lavoro di squadra, i grandi successi che abbiamo ottenuto insieme, alla Roubaix come alla Sanremo, con il team, come costruirli, lavorarci tutti insieme. Era il Wolfpack e penso che probabilmente resterà per sempre il ricordo più bello.

Con Asgreen e Senechal al Fiandre 2021 vinto dal danese. Ma per Stybar era una vittoria di tutti
Con Asgreen e Senechal al Fiandre 2021 vinto dal danese. Ma per Stybar era una vittoria di tutti
Dopo Tabor ti vedremo ancora, magari nel gravel?

Potrebbe essere. Dipende che lavoro avrò, quali opportunità ci saranno. Ma se mi fermo, voglio solo prendermi del tempo per la famiglia. Voglio passare più tempo con loro e non voglio più concentrarmi sulla performance. Certo, probabilmente farò ancora sport cinque volte a settimana, ma non dalle 4 alle 7 ore al giorno. Mi divertirò di più. Andare a correre, fare 2 ore in bici, ma a tutta velocità, oppure andare nel bosco con la mountain bike o per un’escursione. Farò un po’ di tutto, mi piacerebbe fare ancora qualche gara, ma probabilmente sarà più per divertimento. A meno che non diventi un ambasciatore di qualunque azienda, cosa possibile visti i contatti in corso. Staremo a vedere cosa porterà il nuovo anno…

Ballerini all’Astana: il figliol prodigo verso Roubaix e Tour

24.12.2023
6 min
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ALTEA (Spagna) – Ridacchiando con Zanini e indicando Ballerini, la battuta è scappata spontanea: «Il figliol prodigo è tornato a casa». Ben altro era infatti lo spirito quando Davide lasciò l’Astana per approdare nella squadra che aveva sempre sognato. Alla Soudal-Quick Step c’è rimasto per quattro anni. Ha vinto e fatto vincere. Quando però il contratto è arrivato a scadenza, il corridore di Cantù ha preferito imboccare la strada di casa.

«Sono sempre stato in contatto con Zanini – sorride – anche negli anni che ero in Quick Step. Dietro c’è una grande amicizia, anche se siamo divisi dal basket: lui con Varese e io con Cantù, ma adesso nessuno dei due ha da fare lo spiritoso. Sono contento di essere ritornato e di poter lavorare ancora con lui».

Zanini e Ballerini sono amici di vecchia data: ora lavorano nuovamente insieme all’Astana
Zanini e Ballerini sono amici di vecchia data: ora lavorano nuovamente insieme all’Astana

Quattro anni di più

Tra i fattori che hanno reso il ritorno più gradevole, c’è anche il fatto che all’Astana sia arrivato Vasilis Anastopoulos, con cui Ballerini ha lavorato negli anni in Belgio.

«Rispetto al 2019 sono quattro anni più vecchio – ridacchia – più maturo, suona meglio. Ho tanta esperienza e questa penso sia una delle cose più importanti. Con Vasilis lavoro da quattro anni, mi sono sempre trovato bene. Più lavori insieme a una persona, più riesci a capire quello che ti chiede. Hai più feeling e anch’io piano piano mi sto capendo. Sto crescendo per quanto riguarda il fisico e la consapevolezza. E mentre prima non riuscivo a capire quando ero stanco o quando stavo andando in condizione, adesso ci riesco molto di più. So quando devo tirare il freno e quando posso spingere di più. Queste cose sono molto importanti, mi dispiace di non averle raccolte già da prima».

Vasilis Anastopoulos è approdato all’Astana dopo aver preparato i ragazzi della Quick Step
Vasilis Anastopoulos è approdato all’Astana dopo aver preparato i ragazzi della Quick Step

Treni in costruzione

Nel drappello di corridori che hanno condiviso chilometri e storie alla corte di Lefevere, c’è anche Morkov. Il suo arrivo ha fatto la felicità di Cavendish, ma ha raccolto anche il gradimento di Ballerini.

«Sono contento che anche Michael sia venuto qua con noi – spiega – è un’altra persona che mi ha dato tanto in Quick Step. Con lui ho imparato tutto quello che c’è da sapere sugli sprint. Ero un giovane, mi buttavo nelle volate, ma insieme abbiamo cominciato a provare i treni e le varie tattiche. Stiamo lavorando già molto bene e riusciremo a fare qualcosa di bello. Faccio parte anche io del gruppo Cavendish per il Tour e non vedo l’ora che si cominci a correre. Ogni tanto facciamo anche qualche garetta tra di noi: sono cose molto importanti che secondo me formano un grande gruppo. Ma quando andremo in ritiro in Colombia e cominceremo a provare i primi treni, allora ci renderemo conto di come abbiamo lavorato».

Ballerini Omloop 2021
La più bella vittoria di Ballerini in Belgio è la Omloop Het Nieuwsblad del 2021
Ballerini Omloop 2021
La più bella vittoria di Ballerini in Belgio è la Omloop Het Nieuwsblad del 2021

Wolfpack alla kazaka

Quando si è lavorato a lungo per gli altri, il rischio è di non vedere altri orizzonti. Per questo nel sentirlo parlare così di Cavendish, ci assale la curiosità di capire se fra gli obiettivi di Ballero ci sia anche… Ballero! Perciò la domanda, subdola il giusto, arriva secca: potendo scegliere tra vincere una Roubaix e la famosa tappa del Tour per Cavendish, Ballerini che cosa sceglie?

«Personalmente la Roubaix – dice senza pensarci un istante – perché dalla prima volta che ho visto una ruota muoversi sulla strada, ho pensato a quella gara. E’ una gara del cavolo, più ci sto dentro e più mi rendendo conto che vincerla non è facile e non è solo una questione di condizione fisica. Ci ho puntato moltissimo negli ultimi quattro anni, ma la volta che ci sono andato più vicino è stato proprio il 2019 con l’Astana (foto di apertura, ndr). Deve girare tutto nel verso giusto e io ci metterò del mio perché vada bene. Cercherò di farmi trovare pronto.

«Ho scoperto dei nuovi ragazzi qui in Astana che possono darmi una mano. La cosa principale è il gruppo e ho notato che mentre nel 2019 c’erano tanti gruppetti diversi, ora stiamo cercando di amalgamarci tutti. Sta nascendo il Wolfpack alla kazaka. “Cav” è bravo a fare gruppo, soprattutto quando l’atmosfera diventa pesante. Se ci sono pressioni, magari lui è il primo che sclera, ma sappiamo che ogni sfogo finisce in quel momento. Poi ci sediamo tutti insieme e ne parliamo: solo così si riesce a migliorare, secondo me».

Al Tour del 2021, Ballerini ha lavorato nel treno, ma con Morkov ha anche scortato Cavendish nelle tappe più dure
Al Tour del 2021, Ballerini ha lavorato nel treno, ma ha anche scortato Cavendish nelle tappe più dure

Il Tour dei miracoli

Il ricordo di quel Tour prodigioso del 2021 farà fatica ad andarsene dagli occhi di chi l’ha condiviso accanto a Cavendish, basta ascoltare Ballero per capirlo.

«Non si dimentica – spiega – perché Mark ha avuto una squadra che credeva in lui e piano piano lo sosteneva e lo portava avanti nei momenti critici. Stavamo compatti. Quando si staccava, i velocisti facevano a gara per non stare con noi. Dicevano che saremmo andati fuori tempo massimo, invece siamo sempre arrivati al traguardo. Un paio di volte a pelo, però siamo sempre arrivati. Questo è possibile quando vedi i tuoi compagni di squadra che danno tutto per te. Secondo me ti dà quella cosa in più che ti fa scattare qualcosa nella testa, che ti dà la forza in più per vincere».

Il 5 dicembre, Ballerini è volato in Francia per testare i nuovi materiali sul pavé (foto Instagram)
Il 5 dicembre, Ballerini è volato in Francia per testare i nuovi materiali sul pavé (foto Instagram)

Sopralluogo a Roubaix

Nel frattempo, approfittando del fango e del cattivo tempo, Ballerini e pochi altri sono volati sulle strade della Roubaix per fare un po’ di prove sui materiali. L’arrivo delle ruote Vision lo ha richiesto, al pari del voler saggiare la bici dopo quattro anni sulle Specialized, che sulle pietre fanno egregiamente il proprio mestiere.

«Devo dire che andare è stata un’ottima cosa – dice – anche se il meteo era disastroso. Però la condizione migliore per provare materiali è il tempo brutto, quindi ci è andata bene. Era stato brutto i giorni prima, invece quel giorno non ha neanche piovuto. C’era un po’ di vento, ma abbiamo provato le ruote Vision per la Roubaix e le varie pressioni e vari pneumatici. Devo dire che il feeling c’è ancora, quando vado sul pavé cambia tutto. Diciamo che in gara non ti accorgi dei particolari, li noti di più in allenamento. Devi prenderci la mano, perché quando piove è come essere sulle uova.

«Nel 2019 pedalavamo con l’Argon 18, mentre questa volta abbiamo provato la Filante e rispetto a Specialized non le manca nulla. Devo dire che mi sono sorpreso, non pensavo fosse così valida. Cambiando le ruote, le componenti delle ruote, i copertoni e i tubeless, non è facile metterli insieme, però devo dire che è una grande bici. Ho gonfiato i tubeless a 5,5-5,6. Mi ci trovo bene, ma penso di essere un corridore vecchio stampo, perché preferisco ancora il tubolare. Però si cerca sempre di evolvere sempre di più. All’inizio ero scettico anche sui freni a disco, ma quando li ho provati ho detto: non torno più indietro».