Ce lo aveva raccontato lo stesso Pellizotti nell’ultima intervista su Antonio Tiberi: Caruso e Pasqualon sono degli ottimi riferimenti per i giovani italiani della Bahrain Victorious. Nel 2023 i giovani erano 4: Milan, Tiberi, Zambanini e Buratti. La prossima stagione andrà via Milan e arriverà Bruttomesso. Tanti ragazzi all’inizio della propria carriera che si possono rapportare con chi ha una grande esperienza in gruppo.
Pasqualon in questi giorni si trova in vacanza, il 35enne veneto è abituato da anni ad essere una figura di riferimento, ed esserlo anche per i giovani della sua squadra è stato quasi naturale.
«Caruso ed io – ci dice Pasqualon – diamo consigli perché i corridori giovani si fidano di noi. Spesso la sera li prendiamo e facciamo una passeggiata con loro, è capitato durante il ritiro al Foscagno. Li portiamo a fare il giro del lago, è un modo per farli evadere e far sì che entrino in contatto con noi».
Alimentazione e testa
Ma su cosa sono più curiosi questi giovani? Dove hanno maggiore bisogno di sostegno? E al contrario, in quali campi si sentono già pronti? Il mondo del ciclismo è cresciuto tanto e i corridori sono sempre più monitorati, ma non tutto passa da test e controlli.
«Si interessano molto sull’alimentazione – spiega Pasqualon – su come gestirla, se fare un recupero più lungo o qualche ora in più di allenamento. Rispetto a quando abbiamo iniziato noi, ora i ciclisti sono molto più seguiti. Abbiamo nutrizionista, preparatore, dietologo, meccanici… Una volta i corridori giovani ti chiedevano più cose, ora si rivolgono a chi di dovere. Però è aumentata la parte psicologica, ovvero come si vive la corsa. Ad esempio in Belgio nella nostra villa di squadra Mohoric ed io prendiamo i giovani e guardiamo le corse insieme: facciamo vedere loro dove sono i punti salienti, dove si può riposare e tutto il resto».
Tu hai corso con Tiberi, Buratti e Zambanini l’ultima Classica Monumento della stagione, com’è andata?
La sera prima del Lombardia ero in stanza con Tiberi, con lui ho condiviso anche la camera al Tour de Pologne. E’ uno molto sveglio, che chiede e ha la capacità di ascoltare. Ha un grande motore, secondo me per il futuro è uno dei prospetti più interessanti per le corse a tappe. Un aspetto che mi ha colpito in positivo è che prima del Lombardia era sereno, non ha dato troppo peso alla corsa, nonostante fosse uno dei corridori di punta. Tiberi io lo chiamo “cavallo pazzo”, è uno a cui piace divertirsi. A Livigno era il primo che sarebbe voluto uscire una sera in più. Ha tanta energia e lo capisco, ma da corridore bisogna imparare anche a dire dei no.
La vita in ritiro per un corridore giovane può essere difficile…
Per questo ci siamo noi più esperti, per aiutarli a restare concentrati. A Tiberi ho fatto capire che una volta raggiunto un obiettivo, che nel caso del ritiro di Livigno sarebbe stata la Vuelta, poi può rilassarsi un attimo. Ora nel ciclismo tutto fa la differenza e fare la vita del corridore conta davvero molto ai fini del risultato finale. Però Tiberi ha l’atteggiamento giusto, quello del vero campione.
Cioè?
Il campione, uno come Pogacar per intenderci, lascia andare tutto: fa la vita da corridore, ma non si fa travolgere dalla cosa. Lo vedi sempre con il sorriso, anche dopo il secondo posto al Tour era sereno. E’ andato da Vingegaard e gli ha dato la mano, non si è mai arrabbiato. Però da queste sconfitte ne è sempre uscito con più grinta, tanto da aver vinto il terzo Lombardia consecutivo.
Un atteggiamento, quello di essere più sereni, che Buratti e Zambanini non hanno?
Zambanini è più quadrato di Tiberi e pensa tanto alla bici, forse troppo: si dedica davvero molto al ciclismo. Prima di una classica è molto più teso, ci pensa molto, è un ragazzo tanto emotivo rispetto agli altri due. Se una corsa non va come vorrebbe ci rimane male, anche oltre misura. Il compromesso giusto sarebbe una via di mezzo tra Zambanini e Tiberi.
Buratti, che è arrivato a metà anno, come si è inserito?
Bene, molto bene. E’ un ragazzo sveglio che ascolta i consigli, quando gli dici qualcosa capisce subito. Anche lui è sereno e tranquillo, al Lombardia l’ho visto andare molto bene, ed anche in Belgio a inizio stagione si è fatto trovare pronto. La grande forza della Bahrain è il gruppo, siamo molto uniti e questo lo si è notato anche al Giro d’Italia.
In che senso?
Non c’erano Buratti e Tiberi, però avevamo altri giovani con noi: Zambanini, Milan e Buitrago. Parlando con Damiano ci siamo detti che è stato uno dei Giri d’Italia migliori, dove abbiamo creato un gruppo super unito. Infatti non è stato un caso che abbiamo vinto la classifica a squadre.
Insomma, il neo arrivato Bruttomesso può stare sereno, la Bahrain è l’ambiente giusto?
Assolutamente. Lui l’ho visto qualche volta con la nazionale, l’ultima volta all’europeo. Avremo modo di conoscerci e di parlare, ma sono sicuro che si troverà benissimo. In squadra abbiamo l’ambiente giusto, con il mix tra giovani ed esperti difficilmente sbagli e questo si vede.
Merito anche tuo e di Caruso.
Bisogna anche essere in grado di mettere davanti l’interesse della squadra e Damiano ed io siamo stati capaci di farlo. Lui durante la Vuelta è stato un punto di appoggio importante per tutti, come io lo sono stato al Giro. E’ giusto che corridori come noi insegnino ai giovani, ma non tutti hanno il carattere per farlo.