Contador, i campioni generosi e il ciclismo dei folli

13.01.2024
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MILANO – Attorno ad Alberto Contador c’è come al solito il capannello dei giornalisti. Lo spagnolo è venuto a Milano per la presentazione del Team Polti-Kometa (in apertura il team in allenamento a Oliva, foto Maurizio Borserini) di cui è titolare assieme a Ivan Basso, ma le domande vertono su tutto il resto. Si parla di Pogacar e di Vingegaard. Dello sloveno che tenterà la doppietta e la battuta di Alberto apre la porta su uno scenario che nessuno finora ha ipotizzato.

«Se Pogacar vince il Giro e poi il Tour – dice Contador – poi va alla Vuelta e vince pure quella».

Lo intercettiamo qualche minuto più tardi davanti al buffet. La curiosità non riguarda gli altri, ma la Fundacion Alberto Contador che è alla base della professional appena svelata. La Spagna brilla per la sensibilità dei suoi campioni. Samuel Sanchez, Alejandro Valverde, Alberto Contador e persino Stefano Garzelli hanno creato delle scuole di ciclismo. Sono strutture serie, su cui i campioni investono, attirano risorse grazie al loro nome e così restituiscono allo sport ciò che ne hanno ricevuto. E’ una forma di generosità matura, che in Italia purtroppo non conosciamo: i nostri ex queste cose non le fanno, non tutti almeno. Di fronte al tema che lo riguarda così da vicino, Contador mette giù il piatto e fa cenno di spostarci.

Contador ha partecipato alla presentazione del Team Polti-Kometa, di cui è uno dei titolari
Contador ha partecipato alla presentazione del Team Polti-Kometa, di cui è uno dei titolari
Quanto è importante la Fundacion Contador per il Team Polti-Kometa?

E’ molto importante. No, di più. Credo che sia un punto di differenziazione rispetto alle altre squadre. Abbiamo iniziato con gli juniores, poi con la categoria under 23 e ora quella professionistica. Perché ci crediamo. Abbiamo visto corridori come Enric Mas, Carlos Rodríguez, come Juan Pedro López, come Oldani, come tanti altri che hanno lasciato la Fondazione. Penso che questo sia un chiaro segno che si tratta di un buon vivaio, una buona “cantera” per reclutare giovani corridori.

E’ un peccato che tutti quei corridori siano andati in altre squadre?

Sì, è certamente un peccato. E’ un po’ una legge della vita, ma è anche vero che quando se ne sono andati non avevamo ancora una squadra di professionisti. Ora abbiamo giovani di talento come Piganzoli e Fernando Tercero. Corridori nei quali abbiamo fiducia e vedremo se riusciranno a soddisfare le aspettative.

In Spagna la tua Fondazione non è un caso isolato, vedendo quel che fanno Sanchez, Valverde e Garzelli.

Sì, è vero, penso che sia un piacere vedere uomini che sono stati ai vertici del loro sport concedere una possibilità ai più giovani. Ci facciamo sempre la stessa domanda, in Italia forse più che in Spagna. Ci chiediamo perché non ci siano corridori e così via, ma io credo che dobbiamo cercare di fornire risorse e risposte. E penso sia importante per noi ex atleti il fatto di aiutare il più possibile. E’ un’ottima cosa.

La Fundacion Contador cresce giovani atleti e raccoglie fondi per la ricerca sull’aneurisma cerebrale
La Fundacion Contador cresce giovani atleti e raccoglie fondi per la ricerca sull’aneurisma cerebrale
Qual è il tuo ruolo rispetto ai corridori della squadra?

Mi piace stare a contatto con loro. E’ vero che a volte magari li metto in crisi, perché valuto tutto ricordando il mio punto di vista su tutti gli aspetti. E io avevo un livello di pretese così alto, che a volte per loro può sembrare negativo. Cerco di restare calmo, l’ho imparato negli anni, però mi piace dare consigli e non passare il mio tempo solo con gli allenatori e gli sponsor.

Avevi pretese altissime, come ti saresti trovato in questo ciclismo in cui si rincorre la perfezione?

Mi piacerebbe correre in questo periodo, mi piacerebbe correre in generale. Il ciclismo è uno sport che mi appassiona e mi piace, come in questi ultimi anni, che sia anche un po’ folle. Forse quando facevo le mie pazze azioni in passato, non avevo compagni di avventura. Invece penso che adesso avrei con me qualche attaccante in più, a cui piace fare cose diverse. Sarebbe davvero divertente.

La vittoria di Bais a Campo Imperatore è per Contador la prova che si può fare bene anche senza budget stellari
La vittoria di Bais a Campo Imperatore è per Contador la prova che si può fare bene anche senza budget stellari
E’ possibile fare le cose per bene con un budget inferiore a quello degli squadroni?

Penso che stiamo andando nel verso giusto. La svolta che abbiamo fatto ci ha permesso di salire di livello. La vittoria di tappa al Giro dello scorso anno è un segnale molto interessante. Il successo di Bais a Campo Imperatore è stato il solo di una squadra non WorldTour ed è la dimostrazione che preparando molto bene un obiettivo, lavorando con precisione millimetrica, si possono ancora fare grandi cose. 

Lucca scalpita: «Nel 2024 voglio finalmente il Giro d’Italia»

13.01.2024
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A 26 anni Riccardo Lucca ha messo alle spalle la sua prima stagione da professionista, corsa in maglia Green Project-Bardiani CSF-Faizanè. Ora che la squadra ha cambiato nome, diventando VF Group-Bardiani CSF-Faizanè, Lucca si lancia verso la seconda stagione da pro’. Il ritiro di Benidorm, dove sta lavorando con la squadra, serve proprio a questo: costruire un buon 2024 (in apertura Lucca con la divisa della prossima stagione, foto Bettini). 

«Fa più freddo rispetto al ritiro di dicembre – dice Lucca – siamo arrivati domenica e abbiamo fatto un bel carico di lavoro. Tante ore ed altrettanti chilometri, con qualche lavoro, ma non ad alta intensità. Rispetto al 2023 ho buone sensazioni, sento di stare meglio. L’anno scorso non sapevo cosa aspettarmi, ora invece sono più pronto. Ho maggior consapevolezza di cosa devo fare per arrivare pronto a stagione in corso».

Lucca ha sofferto principalmente il ritmo che ha trovato in determinate gare, come la Tirreno-Adriatico
Lucca ha sofferto principalmente il ritmo che ha trovato in determinate gare, come la Tirreno-Adriatico

Il salto di categoria

L’inverno serve anche per guardarsi indietro, fare un punto sulla stagione precedente e guardare al futuro. Lucca ha esordito tardi con i professionisti, ma l’adattamento va comunque fatto, come ci spiega lui.

«Nel 2023 avevo iniziato con le gare a Mallorca – racconta – come fatto anche nel 2022. Poi a febbraio, marzo e aprile sono andato a correre in contesti di diverso livello. Ho preso parte a UAE Tour, Strade Bianche, Milano-Sanremo e Tirreno-Adriatico. Forse con il senno di poi è stato un po’ troppo, ma alla fine il calendario è questo e si deve fare. 

«Dopo la Tirreno – prosegue Lucca – la squadra si aspettava qualcosa di più, invece io ho sofferto il ritmo. Proprio la Corsa dei due Mari è stata la più tosta. Ne avevo parlato con Tonelli, il più esperto del nostro gruppo. Mi aveva detto che sarebbe stata difficile, è una corsa breve ma con un livello davvero alto e super competitivo. Nessuno si tira indietro e di fanno sette giorni davvero a tutta».

La prima parte di stagione era rivolta al Giro, poi è arrivata l’esclusione
La prima parte di stagione era rivolta al Giro, poi è arrivata l’esclusione

Giro sfiorato

Il calendario della prima parte di stagione per Lucca era incentrato sul prepararsi al meglio per il Giro. Dopo tutte le tappe “obbligate” per preparare la Corsa Rosa, era arrivato anche il Tour of the Alps. Ma proprio all’ultimo è arrivata l’esclusione dalla squadra del Giro

«Le gare erano il miglior avvicinamento possibile al Giro – dice ancora Lucca – ero andato anche sull’Etna per fare un ritiro in altura. Il Tour of the Alps forse era troppo duro per le mie caratteristiche, forse sarebbe stato meglio passare dal Giro di Sicilia. Quando si è trattato di fare la rosa definitiva per il Giro, la squadra mi ha escluso. Evidentemente non mi hanno ritenuto pronto, ma l’ho preso come un episodio dal quale ricostruirmi. Nel 2024 l’obiettivo è meritarmi la convocazione per il Giro d’Italia».

Nel 2022 Lucca aveva già corso con i professionisti vincendo una tappa all’Adriatica Ionica Race
Nel 2022 Lucca aveva già corso con i professionisti vincendo una tappa all’Adriatica Ionica Race

Insegnamenti

Nella prima stagione da professionista si impara sempre qualcosa, non importa a quale età viene affrontata. Lucca ha visto e appreso tanto, ora tocca a lui mettere in pratica. 

«La prima stagione è stata strana – conferma – era la prima, ma arrivavo da tre anni in continental. E durante l’anno in General Store ho fatto lo stagista alla Gazprom, quindi qualche gara l’avevo già fatta. Il 2023 è stato nuovo, sì, ma non un’eterna sorpresa. La cosa più difficile è stata prendere il ritmo delle gare».

Lucca ha dimostrato di andare forte anche in salita, qui nella vittoria in cima allo Zoncolan al Giro del Friuli (foto Bolgan)
Lucca ha dimostrato di andare forte anche in salita, qui nella vittoria in cima allo Zoncolan al Giro del Friuli (foto Bolgan)

Reverberi ci crede

Uno sguardo alla stagione di Lucca lo dà anche Roberto Reverberi, diesse della VF Group-Bardiani CSF-Faizanè. Lui crede nelle qualità del ragazzo, ma serve un salto mentale. 

«Non era la sua prima esperienza tra i professionisti – conclude Reverberi – considerando che nel 2022 aveva anche vinto (il riferimento è al successo di tappa all’Adriatica Ionica Race, ndr). Ora serve essere corridori al 100 per cento, deve curare tutti gli aspetti, anche quello dell’alimentazione, dove ha peccato un po’. Lui ha un motore davvero ottimo, i test parlano chiaro e noi in lui ci crediamo. Tanto che lo avevamo messo fin da subito nella lista del Giro.

«Gli serve più convinzione nei suoi mezzi, ha le qualità per fare bene, ma deve affinare dei dettagli. Da questo inverno lo segue il preparatore della squadra (Borja Martinez, ndr) lui era convinto del cambio e si è reso disponibile. Abbiamo tanta volontà nei suoi confronti e ci crediamo davvero».

Pronostici olimpici: Pogacar non c’è e Hauptman esplode…

13.01.2024
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L’anno olimpico ha sempre un sapore speciale e lo si capisce dal continuo arrivo di pronostici, più o meno qualificati, riguardanti la più grande kermesse sportiva del mondo. Ci sono analisti che addirittura ne confrontano numeri spropositati attraverso i computer, per estrapolare una previsione il più possibile veritiera. Queste analisi vengono aggiornate quasi ogni mese e l’ultima, annunciata subito dopo Capodanno, ha avuto per indiretto protagonista Tadej Pogacar.

I pronostici per Parigi assegnano alla Slovenia 3 medaglie, di ogni colore. Quasi scontato l’oro per Anja Garnbret nell’arrampicata sportiva, si aggiungono gli allori per Krjstian Ceh nel lancio del disco di atletica e per la squadra di canoa slalom, che ha una solida tradizione in questo sport. Niente dal ciclismo, invece, niente dal plurivincitore del Tour de France, che pure era considerato fino allo scorso anno come papabile per il podio nella prova in linea. E’ stato così, infatti, finché non è arrivato l’annuncio della doppietta Giro-Tour.

Lo sloveno punta alla doppietta Giro-Tour, ma non perde di vista gli obiettivi delle corse d’un giorno
Lo sloveno punta alla doppietta Giro-Tour, ma non perde di vista gli obiettivi delle corse d’un giorno

E’ evidente che gli analisti non vedano di buon occhio la scelta del capitano della Uae e l’argomento solletica la curiosità nostra, ma stuzzica anche Andrej Hauptman (in apertura nella foto Sportida) il suo diesse e guida tecnica da tanti anni, fino a non molto tempo fa cittì della nazionale slovena, che poco gradisce questo voltafaccia.

«Ognuno è libero di pensare quel che vuole – dice – noi abbiamo fatto questa scelta pensando anche alle Olimpiadi, è chiaro. Tadej ci tiene particolarmente e la programmazione così diversa rispetto al passato tiene conto sì della doppia grande corsa a tappe, ma anche dei Giochi».

In che cosa avete cambiato?

E’ un programma molto più asciutto. Tadej non inizierà prima di marzo ed esordirà direttamente alla Strade Bianche, poi Sanremo e Liegi, una sola corsa a tappe breve quando invece fino al 2023 ne affrontava di più, poi Giro, l’unico periodo di altura, Tour e Parigi 2024. Abbiamo cambiato tantissimo, ci abbiamo ragionato sopra molto.

Hauptman e Pogacar, un sodalizio che va avanti da anni, nella Uae e prima anche in nazionale
Hauptman e Pogacar, un sodalizio che va avanti da anni, nella Uae e prima anche in nazionale
Molti analisti però pensano che, vista la delicatezza dell’anno olimpico, un progetto del genere poteva anche essere rinviato di una stagione…

Perché? Tadej è maturo oggi per tentare la doppietta, perché aspettare? Non nego che in fase di programmazione ce lo siamo chiesto anche noi, i dubbi li abbiamo affrontati e dissipati. E’ il momento ottimale per lui senza per questo trascurare in alcun modo l’obiettivo olimpico. Tanto è vero che si è visto a Tokyo come il Tour sia anche molto propedeutico per la gara a cinque cerchi.

Guardando il percorso di Parigi, che impressioni ne avete tratto?

E’ un tracciato difficile da interpretare, come d’altronde lo sono sempre le corse di un giorno. Abbiamo dovuto pensare anche a questo: posticipare l’obiettivo poteva significare perdere un anno in funzione di una gara che, per la sua conformazione e per l’impossibilità di tenerla sotto controllo con così pochi compagni di squadra, non dava alcuna certezza, è un vero terno al lotto. Quella di Parigi sarà una corsa diversa da ogni altra, una specie di sfida uno contro uno…

La gara maschile su strada di Parigi 2024 si correrà il 3 agosto, 13 giorni dopo la conclusione del Tour
La gara maschile su strada di Parigi 2024 si correrà il 3 agosto, 13 giorni dopo la conclusione del Tour
Avete intenzione di visionare il percorso?

Già ne abbiamo parlato appena è stato ufficializzato, ma con Tadej pensiamo di andarlo a vedere quando sarà possibile. Se guardiamo alle sue caratteristiche, dovremmo dire che non è un percorso per lui. Tuttavia Tadej è molto bravo tatticamente, sa leggere la corsa e penso che proprio considerando quella formula così strana, possa giocarsi le sue carte. Quel che è certo è che concentrerà tutto sulla corsa in linea, niente cronometro.

In un percorso simile chi vedi più a suo agio, mettendo da parte Pogacar?

Io credo che Van Aert e Van der Poel siano i corridori più indicati per quel tracciato, ma molto dipenderà da come arriveranno all’appuntamento, per l’olandese oltretutto ci saranno da smaltire le fatiche della gara di mountain bike. Non dimentichiamo poi che siamo a quasi sette mesi dalla gara con la stagione che deve ancora iniziare: è tutto in divenire.

Pogacar, bronzo a Tokyo 2020 pochi giorni dopo il trionfo al Tour. Quella medaglia fu una gioia
Pogacar, bronzo a Tokyo 2020 pochi giorni dopo il trionfo al Tour. Quella medaglia fu una gioia
C’è un altro fattore da considerare: a differenza di ogni altra gara, anche di un mondiale, ai Giochi Olimpici vincono in tre…

E’ verissimo e Pogacar lo sa bene. Quel bronzo a Tokyo per lui è preziosissimo. Tadej è fatto così, ci tiene tantissimo a gareggiare per la sua Nazione, a indossare la maglia della Slovenia e onorarla come meglio non si potrebbe. Poi è un appuntamento unico, dopo devi aspettare quattro anni… Diteglielo ai fantomatici analisti: Pogacar a Parigi ci sarà e vuole tanto prendersi la soddisfazione di smentirli tutti… Oppure la pensate anche voi così?

I due centri di Cattaneo: aiutare Remco e la crono di Parigi

13.01.2024
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CALPE (Spagna) – Andare a Parigi è l’obiettivo di Mattia Cattaneo, senza se e senza ma. E’ bello imbattersi in un corridore che ha le idee così chiare. Così come è chiaro il ruolo che si è ricavato al fianco di Remco Evenepoel. Forse non è un caso che durante la presentazione della Soudal-Quick Step lo stesso Cattaneo insieme a Fausto Masnada fossero seduti ai due lati del belga.

Mattia sembra decisamente aver trovato la sua dimensione di corridore. Va per i 34 anni e la saggezza si fa sentire. Al Giro d’Onore ci aveva parlato di parecchi argomenti. Stavolta l’argomento è lui.

Evenepoel tra Cattaneo (alla sua sinistra) e Masnada: una scena premonitrice di quanto vedremo in corsa?
Evenepoel tra Cattaneo (alla sua sinistra) e Masnada: una scena premonitrice di quanto vedremo in corsa?
Mattia, come stai?

Ora bene, qualche malanno a dicembre, ma ho recuperato. E poi meglio a dicembre che a marzo, no?

Qual è l’ossatura del tuo programma di gare per questa stagione?

Inizio a Mallorca, poi faccio più o meno il calendario di Remco (Ardenne, Baschi, Delfinato e Tour, ndr). L’obiettivo è arrivare pronti al Tour de France. Spero di guadagnarmi un posto in quella squadra con lui.

Niente Giro, dunque?

No, purtroppo o per fortuna no. Sai, quando ti poni un obiettivo come il Tour con un corridore come Remco, poi diventa difficile essere competitivi in entrambi i Giri. O meglio, è possibile, però vorrebbe dire che dopo il Tour finisci la stagione. E a me piacerebbe riuscire ad arrivare con la migliore condizione possibile nel post Tour, per guadagnarmi un posto nella cronometro delle Olimpiadi.

Vista la tua espressione quando abbiamo nominato il Giro, torniamo a mettere il dito nella piaga. Il percorso del Giro era piuttosto adatto alle tue caratteristiche. Potevi essere un buon leader…

Sì, sì era un bel Giro d’Italia. Le due crono mi favorivano. Però io credo di aver trovato il mio posto, la mia dimensione e di conseguenza, per me prima di tutto viene la squadra. Se devo pensare ad un momento per me stesso, scelgo le Olimpiadi, perché è l’ultima volta che posso andarci. Non credo che fra quattro anni sarò ancora così competitivo. E neanche so se sarò ancora un corridore! Purtroppo è capitato un Giro adatto a me nell’anno in cui ci sono tante altre priorità.

Che supporto per Remco alla Vuelta! Cattaneo stesso ne è rimasto soddisfatto
Che supporto per Remco alla Vuelta! Cattaneo stesso ne è rimasto soddisfatto
Hai detto: «Ho trovato il mio posto. Ho sposato una filosofia». Ma se avessi voluto, parlando con la squadra, ci sarebbe stato margine per andare al Giro da capitano?

Non lo so, magari sì, ma è una cosa di cui onestamente non abbiamo neanche parlato. E a me non è passata per la testa. Uno, perché come detto voglio prendermi quel posto per la crono di Parigi: ce l’ho fisso in mente. Due, perché provo a fare classifica per cosa? Non ho 22 anni che un piazzamento mi cambia la carriera. Io al massimo posso fare ottavo, settimo, se volo… Piuttosto quello che ho fatto l’anno scorso alla Vuelta in supporto a Evenepoel, mi fa dire: «Vai Mattia, fai bene il tuo lavoro». Voglio sfruttare al massimo l’occasione di provare a partecipare alle Olimpiadi.

Sei stato molto chiaro…

Preferisco fare un lavoro che so di poter svolgere bene al 200 per cento che prendermi il rischio del Giro. Un rischio fine a se stesso.

Tu e Masnada eravate seduti ai lati di Remco durante la presentazione…

Anche Fausto ormai si è votato alla sua causa. Masnada viene da un anno in cui ha avuto tanti problemi fisici, però credo che quando è il vero Fausto può fare la differenza per la squadra e per se stesso. Anche perché poi è anche più giovane di me!

Quindi Remco vi ha battezzato come i suoi uomini di fiducia?

Chiedetelo a lui! Possiamo essere due corridori importanti per quello che che vuole fare lui. Sappiamo fare il nostro lavoro, abbiamo esperienza.

Mattia, assieme a Sobrero e Affini si giocherà un posto per Parigi 2024 al fianco di Ganna
Mattia, assieme a Sobrero e Affini si giocherà un posto per Parigi 2024 al fianco di Ganna
Beh si è visto come lo hai supportato alla Vuelta specie nel giorno di crisi. Anzi, tu stesso lo hai raccontato sulle nostre “pagine”…

La Vuelta dell’anno scorso è stato uno dei momenti più gratificanti della mia carriera. Ho sentito veramente di aver raggiunto un livello in cui tutti i giorni ero lì. Forte. Poi, logico, ci vuole anche fortuna. Però dico sempre che la fortuna arriva quando hai le gambe. Perché se arriva quando non le hai, ti passa davanti e neanche la vedi. La Vuelta 2023 mi ha dato tanta consapevolezza del tipo di lavoro che posso fare. Che poi tutto sommato era come al Giro. In quei 10 giorni in Italia ero come in Spagna, poi è andata come è andata. Mentre alla Vuelta sono riuscito a tenere fino in fondo. Ci sono immagini e video in cui mi vedo lì davanti e mi dicevo: «Ero lì con i più forti». 

Hai parlato molto della crono di Parigi 2024. Quanto stai lavorando su questa disciplina? 

E’ da quando sono in questa squadra che ci lavoro tantissimo. Le crono sono sempre state un mio pallino. L’obiettivo è sempre stato quello di migliorarmi e credo di aver raggiunto il livello eccellente. Non sarò mai Ganna o Remco. L’anno scorso ho vinto la crono al Polonia, ho colto degli ottimi risultati sia ai mondiali che agli europei e per me essere nei primi dieci al mondo e nei primi cinque in Europa è un risultato super.

Su cosa ti stai concentrando in questo periodo?

Con l’evoluzione dei materiali ci sono sempre degli aggiustamenti, ma ora stiamo lavorando parecchio sull’abbigliamento. Ci siamo accorti che è il margine più grande su cui possiamo limare. La posizione è davvero buona già dallo scorso anno. E’ molto veloce di conseguenza l’abbigliamento è l’ultimo passo per raggiungere il mio massimo. Nel ciclismo di oggi questi aspetti fanno la differenza, anche se credo che bene o male il mio livello sia quello che si è visto l’anno scorso.

Il tatuaggio di Cattaneo che invita al buon umore e il body Castelli con cui sta lavorando per migliorare ancora nella crono
Il tatuaggio di Mattia che invita al buon umore e il body Castelli con cui sta lavorando per migliorare ancora nella crono
Quando parli di abbigliamento di riferisci al body?

Sì, alla fine tutto serve. Il body ideale ti può far guadagnare quei 15” che al posto di un quinto posto, cogli il quarto. Si tratta di 3-4 watt. 

Tornerai in galleria del vento a Morgan Hill, in California?

Non credo. Ci ho lavorato lo scorso anno e poi vengo da una stagione infinta. Quella in cui ho corso di più da quando sono professionista. Ho fatto quasi 90 corse. Ho finito con il Lombardia e il 23 ottobre mi sono sposato. Andare a Morgan Hill voleva dire non staccare mai. Poi ripeto, c‘era anche la consapevolezza che i margini sulla posizione e i manubri ormai erano davvero infinitesimali, quindi ci siamo concentrati sull’aspetto del vestiario con Castelli a Milano.

A proposito di materiali, adesso avete il 12 velocità anche sulla bici da crono. Cosa cambia?

Che bloccherò la corona grande una volta del tutto! Dietro potrò usare fino al 34 e con quella scala si fa praticamente tutto.

Le parole di Gregoire lette con gli occhi della psicologa

12.01.2024
4 min
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Le parole di Romain Gregoire, con le quali ha valutato la sua prima stagione da professionista, ci hanno incuriositi. Il giovanissimo francese non è stato gentile con se stesso, come forse è giusto che sia per chi ha ambizioni alte. Ma certi aspetti vanno valutati anche da un profilo psicologico. Così abbiamo chiesto ad Elisabetta Borgia, psicologa dello sport, di leggere l’intervista e di commentarla insieme a noi. 

«Bisogna partire – spiega Borgia – dagli obiettivi. I campioni, o comunque chi ha un grande talento, tende a porsi grandi traguardi. Un ruolo importante in questo caso lo ha la squadra che deve definire gli obiettivi insieme al corridore in maniera corretta. Ci si deve collocare sempre nella fascia tra il realistico e lo sfidante. Un obiettivo troppo elevato potrebbe portare a confrontarsi con una realtà diversa che non ci piace».

Gregoire è passato professionista dopo una sola stagione nelle file della squadra di sviluppo della Groupama
Gregoire è passato professionista dopo una sola stagione nelle file della squadra di sviluppo della Groupama
Gregoire ha detto di essere partito con l’idea di vincere, fin da subito.

A mio avviso il primo anno nel WorldTour puoi concentrarti su di te, sulle prestazioni e non sugli obiettivi. Chiaro che si corre per vincere, ma il grande controllo lo si ha sulle prestazioni.

Cosa ti ha colpita maggiormente delle parole di Gregoire?

Il voto: dove si è dato 7. Si è dato una valutazione bassa, da esterna posso dire che una prima stagione così, da neoprofessionista, meriterebbe un voto migliore. Però questo ci fa capire che ha una grande consapevolezza e una forte volontà. E che forse va un po’ di fretta.

Ha detto di aver avuto una stagione lineare, senza intoppi e che sapeva a quale livello fosse in ogni momento. 

Questo mi fa pensare due cose. La prima è che nonostante sia giovane ha un’enorme consapevolezza di sé. Conosce le sue sensazioni e le sa gestire: una qualità che spesso manca anche in corridori di grande esperienza. La seconda cosa è che avere una stagione senza intoppi permette di avere la sensazione di essere in controllo

Il voto è uno strumento a doppio taglio però, no?

Purtroppo o per fortuna, abbiamo standard e criteri che ci danno delle valutazioni, in tutto. Ad oggi i voti, anche scolastici, sono volti all’apprendimento, a quanto interiorizzi un argomento. Questo per salvaguardare l’autostima. Ci sono due variabili: l’autostima e l’autoefficacia. La prima riguarda la nostra identità, il modo in cui ci vediamo. L’autoefficacia, invece, riguarda il senso di padronanza verso qualcosa, come un compito o una determinata specialità. 

Al suo primo anno da professionista, Gregoire ha ottenuto 5 vittorie, nessuna di queste nel WT
Al suo primo anno da professionista ha ottenuto 5 vittorie, nessuna di queste nel WT
Gregoire non ha usato “l’attenuante” del primo anno nel WorldTour, ha detto che per lui non conta da quanti anni sei lì.

Ci sono atleti che entrano consci e senza dubbi nelle nuove avventure. C’è chi, invece, è più riflessivo. Avere delle perplessità è lecito, soprattutto nei confronti di ciò che non si conosce. Gregoire magari non aveva dati oggettivi per dire che era pronto, ma ha una personalità forte.

Nata dal fatto che per anni, nelle categorie minori, ha fatto tutto quello che voleva…

Chiaro che se nelle categorie inferiori fai il bello e il cattivo tempo, vai al salto nel professionismo sereno e aggressivo. L’autoefficacia la costruisci attraverso le esperienze passate, dosando sempre bene determinazione e motivazione. Quello che fa la differenza è l’equilibrio. Poi c’è da dire una cosa…

Il miglior risultato in gare WorldTour? Un secondo posto di tappa alla Vuelta, non abbastanza per lui
Il miglior risultato in gare WorldTour? Un secondo posto di tappa alla Vuelta, non abbastanza per lui
Quale?

Che i giovani sono in mano anche a tante variabili: crescita fisica, strutturale, di gruppo… Insomma non è semplice avere un cammino lineare. 

Gregoire, infine, ha detto che rimane deluso per non aver vinto nel WorldTour.

Riallacciandoci al discorso che non vede differenze tra chi è al primo anno da professionista e chi è già tanti anni che corre, direi che il ragionamento fila. Gli atleti costruiscono la loro self confidence e si sentono sicuri e padroni di quel che succede. Ci sono corridori che in gara, nonostante sia la prima volta, arrivano concentrati su di sé. Hanno l’approccio vincente, sono convinti, hanno la sensazione di sapere dove sono e cosa fare. E’ il caso di chi parte per vincere, sempre.

L’oro di Bianchi, gigante buono, lancia la rincorsa a Parigi

12.01.2024
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Matteo Bianchi è stato il primo italiano nella storia del ciclismo a vincere il titolo europeo nel Chilometro da fermo. Considerando che il settore velocità azzurro era da anni sott’acqua e che solo di recente, con l’intuizione di Villa di coinvolgere Quaranta, ha ripreso vigore, il segnale è notevole a prescindere dalla medaglia che da ieri sera risplende al collo dell’atleta bolzanino. La rincorsa è nel pieno, i progressi sono tangibili e, andando ad approfondire, anche nelle prove veloci ormai è tutto un fatto di tattica e tecnica, calcoli e proiezioni. Lo è sempre stato, ma dominare la materia fa sì che anche l’Italia sia ormai degna di un posto al tavolo dei grandi.

Quaranta ha la voce delle feste più belle, come quando batteva Cipollini al Giro d’Italia. Come quando, poco più giovane di Bianchi, vinse il mondiale juniores della velocità.

«Intendiamoci – dice – si è parlato tanto, quando questi ragazzi avevano solo bisogno di riferimenti. Il DNA dell’uomo italiano è ancora veloce, io vengo dalla velocità, certe cose non cambiano. Bisognava solo rimboccarsi le maniche. I complimenti vanno fatti agli atleti, io al massimo li ho ispirati, ma la fatica sulla bici la fanno loro».

Alle spalle di Bianchi sul podio, l’olandese Kool e il francese Landerneau
Alle spalle di Bianchi sul podio, l’olandese Kool e il francese Landerneau
Andiamo con ordine: che differenza c’è fra sapere di meritare una medaglia e vincerla?

Una grossa differenza. A volte i sogni si avverano. Abbiamo messo insieme un bel gruppo, in cui ognuno sta diventando forte per le sue caratteristiche. Bianchi, certo, ma anche Napolitano, Predomo e gli altri. Già prima della qualifica, sapevamo di poter prendere una medaglia, Matteo era già arrivato secondo a Monaco. L’assenza di Hoogland aveva liberato un posto sul podio. Poi è venuto il miglior tempo in qualifica, ma quello è indicativo fino a un certo punto.

In che senso?

Nel senso che si usano rapporti diversi, non si spinge a tutta. Da quando il Chilometro si disputa su due prove, vince chi recupera meglio. Se fai subito un tempone e poi te lo trovi nelle gambe, non ti serve a niente. Sanno tutti che la prima prova viene meglio, anche se sei più agile. Forse se Mattia avesse usato un dente in meno, avrebbe potuto fare il record italiano, però magari l’avrebbe pagata nella seconda prova. La medaglia la vince chi peggiora meno: sembra strano da dirsi, ma funziona così.

Come ha passato il tempo fra la prima e la seconda prova?

L’ho visto tranquillo, sapeva di essere fra quelli che se la giocavano, ma non credevamo di vincere. Era già arrivato secondo dietro Landerneau, il francese che ha preso il bronzo. E poi c’èra Kool, l’olandese che correva in casa. Cosa ne sai se mette sotto il padellone e spara un tempo mondiale? Noi sapevamo che Bianchi è migliorato molto. In questo mondo di numeri, sapevamo che ce la saremmo giocata. Per cui non è voluto tornare in hotel e ha messo in atto il protocollo di defaticamento e recupero che abbiamo studiato. E’ stato anche dall’osteopata, poi ha atteso sul pullman.

Adesso si deve ragionare sulla velocità olimpica, che non è solo la somma di tre velocisti…

No, è molto più complessa. Per un tecnico è la specialità più difficile. Ci sono tre corridori diversi con tre rapporti diversi. Se il primo è troppo agile, mette in crisi il secondo, che a sua volta mette in crisi il terzo. Siamo arrivati a meno di 30 centesimi dai tedeschi, che girano da due anni su questi tempi, mentre noi gli abbiamo guadagnato terreno in continuazione. Peccato che non abbia funzionato bene il cambio fra Bianchi e Predomo, perché avremmo potuto limare 10 centesimi. Ma sono giovani, gli altri girano così forte da anni…

Cosa si può fare per puntare alla qualifica olimpica?

Io voglio sempre vincere, ma va bene così. Dobbiamo lavorare sul nostro tempo, sapendo che il gap non è più altissimo come tre anni fa. Fra qualche anno con questi ragazzi parleremo di medaglie fra gli elite, ma teniamo conto che abbiamo cominciato il ciclo olimpico con Predomo che era ancora junior. C’è una cosa che mi scoccia, che tutti i più forti sono in Europa e quindi col nostro tempo rischiamo di stare fuori. Mentre per la Cina basta a vincere nel circuito Asiatico e al Canada per qualificarsi in quello americano. Ma la nostra rincorsa resta entusiasmante.

Come si fa per qualificarsi?

Con i ragazzi restano le quattro prove di Coppa, mentre Miriam Vece è qualificata al 99 per cento. Le prime due prove di Coppa, sin dalla prossima in Australia, avranno un livello pazzesco. Nelle ultime due, soprattutto a Milton, andranno a giocarsela quelli che devono qualificarsi. E con loro non ci sono storie: dobbiamo vincere. Bisognerà fare 43.200-43.300. Ci stiamo avvicinando, lavorando sulla preparazione e sui materiali. Non so come finirà per Parigi, ma se devo essere eliminato, spero di non finire 15°, ma di essere il primo fra gli esclusi. Almeno ci darebbe una motivazione in più per puntare alla prossima volta. Ora si festeggia, domenica si parte per l’Australia: questo sarà un anno ad altissima tensione.

Manubri stretti sopra e larghi sotto, cambia la biomeccanica?

12.01.2024
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Molti li categorizzano come i manubri da gravel riportati al settore strada, altri li vedono come la soluzione più adatta per sfruttare tutta l’aerodinamica dell’avantreno della bici ed un posizionamento delle leve adeguato.

Affrontiamo l’argomento con Giuseppe Archetti, meccanico dalla grande esperienza che dal 2024 è in forza al Team Lidl-Trek.

Si lavora con i nuovi materiali e con le nuove regole: da quest’anno Archetti è alla Lidl-Trek
Si lavora con i nuovi materiali e con le nuove regole: da quest’anno Archetti è alla Lidl-Trek
Anno nuovo e ti ritroviamo con una nuova casacca!

Dico sempre che la vita ed il percorso lavorativo sono un’evoluzione continua, non bisogna mai fermarsi. Bisogna trovare nuovi stimoli e comunque c’è sempre da imparare.

Un lavoro impegnativo quello del meccanico dove conta anche il fattore umano?

Sicuramente si, come per ogni cosa. In questo caso devo ringraziare il Team Manager Luca Guercilena e i due colleghi Mauro Adobati e Giuseppe Campanella. Con entrambi condivido anche gli impegni della nazionale, anche se Campanella, in ambito azzurro, si occupa maggiormente della compagine femminile.

Il team è una vera azienda (foto Steel Media, Lidl-Trek)
Il team è una vera azienda (foto Steel Media, Lidl-Trek)
E’ cambiato tutto, bici, materiali e componenti. Come ti stai trovando?

Come dicevo in precedenza, c’è sempre da imparare. Qui è tutto nuovo e tecnicamente è difficile trovare di meglio, siamo all’apice della tecnologia e della ricerca. Anche per questo motivo devo prendere le giuste misure con i materiali. Ci vorrà ancora qualche giorno, ma la strada è quella giusta ed è anche motivante. E’ pur vero che i training camp che anticipano la stagione hanno l’obiettivo di formare noi meccanici e i membri dello staff in genere.

Hai già utilizzato in passato gli equipaggiamenti che trovi ora in Lidl-Trek?

Solo Sram, era l’epoca del Team Cannondale, una vita fa. Tutto quello che trovo e vedo ora è nuovo, per nulla accostabile a quello che ho usato in passato. Bici, trasmissioni e componenti: tra questi anche i manubri.

La posizione con le mani alte, porta a chiudere le spalle (con i nuovi manubri)
La posizione con le mani alte, porta a chiudere le spalle (con i nuovi manubri)
Parliamo proprio della nuova concezione dei manubri, stretti sopra e più larghi sotto, cosa ne pensi?

Ci confrontiamo sempre di più con i numeri, con i dati e con i riscontri che arrivano da vari fronti. I test eseguiti nella galleria del vento dimostrano che riducendo l’impatto frontale delle spalle, si guadagnano watt. Tuttavia è necessario farlo nel modo corretto per non compromettere la prestazione del corridore. In realtà forse è meglio dire che si risparmiano dei watt. Anche noi dobbiamo entrare nell’ottica che l’estremizzazione delle performances è reale, è tangibile. Lo è per i materiali, lo è per tutto quello che riguarda gli atleti.

Roba da ingegneri?

E’ così, perché sempre più spesso noi che montiamo e assembliamo le bici dei ragazzi, ci confrontiamo con gli ingegneri delle diverse aziende che supportano la squadra. Vi dirò, a mio parere è un passaggio giusto e corretto, perché le biciclette sono un concentrato di tecnologia.

Il vecchio riferimento dei manubri larghi come le spalle esiste ancora?

No, tutto è stravolto. Quell’epoca, per lo meno in ambito professionistico, non esiste più. Oggi come oggi le soluzioni che vediamo sono figlie di valutazioni e calcoli, test su test, prove su prove. Team come il Lidl-Trek è al pari di una grande azienda e non lascia nulla al caso. Non esiste più il modo empirico di valutazione.

Ad ognuno il suo stile e modo di impugnare le leve
Ad ognuno il suo stile e modo di impugnare le leve
Invece per quanto riguarda la posizione delle leve?

Soprattutto nella stagione scorsa, a mio parere si era andati oltre ed è arrivato il momento delle regole. Il rischio di andare verso una scarsa sicurezza nelle fasi di guida, era più che reale. Ho visto diversi corridori soffrire perché avevano chiesto le leve troppo chiuse, atleti di team diversi, con materiali diversi.

Cosa dice la regola UCI che norma questa parte della bici?

Le leve non devono avere una chiusura superiore ai 10°, rispetto all’asse del manubrio. Non è facile da spiegare, ma di fatto è un punto di partenza che ha l’obiettivo di contenere le estremizzazioni e rendere i componenti sfruttabili al pieno delle potenzialità, senza mettere in discussione la sicurezza.

Manubri con il flare e leve curvate o leve che seguono la svasatura del manubrio. Cambia la biomeccanica del corridore?

La biomeccanica è cambiata, perché è cambiato il modo di stare in sella. Ma se consideriamo il setting del corridore, quello esula dal design del manubrio. E’ una concezione di lavoro e di espressione atletica che non può essere confrontata con il passato.

Ci sono dei riscontri da parte degli atleti che ti hanno colpito in modo particolare?

Quando ci si confronta con i corridori giovani, delle ultime generazioni, anche noi meccanici con i capelli bianchi dobbiamo entrare nell’ottica che questi arrivano con delle informazioni e un’educazione diversa da corridori più avanti con l’età. Ma il futuro è dei giovani.

Manubri stretti e power meter?

Esattamente.

C’è differenza tra un manubrio usato da un velocista e uno usato da chi è più scalatore?

Di base il velocista chiede l’integrato a prescindere, lo scalatore, o comunque chi fa classifica nei grandi Giri preferisce la piega e l’attacco manubrio separati. Ma anche in questo caso le variabili da considerare sono diverse, così come i materiali a disposizione. In Lidl-Trek i corridori hanno una vasta scelta. La tendenza, riferita alle preferenze dei corridori è quella di avere l’integrato su tutte le bici. E’ leggero, molto rigido e ormai anche l’ergonomia è ottimale, ma anche i numeri e i dati hanno la loro importanza.

Moscon, adesso o mai più: «Riparto dal livello del 2021»

12.01.2024
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CALPE (Spagna) – «Io devo fare riferimento al Gianni del 2021, perché quelli sono i miei livelli». Gianni Moscon ha voglia di parlare, si percepisce: frutto di un ritrovato entusiasmo. Il talento trentino è passato dall’Astana-Qazaqstan alla Soudal-Quick Step, la squadra con la quale vuole rilanciarsi dopo due stagioni non troppo brillanti.

Il Covid preso in maniera violenta, qualche difficoltà “logistica”, chiamiamola così, con la sua ex squadra, Moscon, 30 anni ad aprile, sembra essere sulla strada giusta per tornare quello di un tempo. Pensate che la sua ultima vittoria è del giugno 2021, il Gp di Lugano: incredibile per un corridore del suo talento.

Moscon si presenta alla stampa durante il lancio ufficiale del team a Calpe
Moscon si presenta alla stampa durante il lancio ufficiale del team a Calpe
Gianni, si ricomincia e si torna in una squadra del Nord Europa, cambiano le mentalità rispetto ad un team più “latino” vista la tanta Italia che c’era in Astana?

Direi che si torna in una squadra seria. Ogni team ha la propria peculiarità. E’ certamente diversa dall’Astana, ma non assimilerei neanche la Soudal-Quick Step a quella che era la mentalità Sky di un tempo o Ineos attuale. 

E come sta andando qui?

Per il momento mi sono trovato molto bene. Chiaro che è presto per dirlo, però la prima impressione è sempre molto importante. Mi sono sentito subito parte del team. Già nel meeting di metà novembre, quello in cui ci si ritrova per le foto, body fitting, sponsor… ero già uno di loro, uno del Wolfpack. Ogni squadra cerca di integrare i nuovi arrivati coinvolgendoli subito, però qui è avvenuto tutto con naturalezza. Forse anche perché i fiamminghi sono molto uniti tra di loro. Sono una popolazione radicata in generale e anche nel team tendono a fare gruppo, ma se sei all’interno di questo gruppo tutto viene più facile. Hai la loro fiducia e ti danno tutto.

La fiducia specie di questi tempi conta, no?

E’ molto apprezzabile. Che poi è un po’ come sono io: molto diretto, dico le cose come stanno. Poi magari si può litigare o discutere, ma la cosa finisce là, come se fossimo in famiglia. E una famiglia rema nella stessa direzione.

Gianni Moscon (classe 1995) è approdato alla Soudal-Quick Step: per lui contratto di un anno (foto Wout Beel)
Gianni Moscon (classe 1995) è approdato alla Soudal-Quick Step: per lui contratto di un anno (foto Wout Beel)
Veniamo a discorsi più tecnici, Gianni. Sei nel pieno della tua forza, della maturità psicofisica. E’ ora di iniziare a portare a casa risultati importanti…

Vero, dobbiamo portare a casa i risultati assolutamente. Gli ultimi due anni sono stati molto duri e difficili per vari motivi. So cosa non ha funzionato, lo sapevo sin da subito, ma non ho avuto la possibilità di correggere il tiro perché ormai la stagione era iniziata e quando devi fare una gara ogni settimana, tra l’altro anche gare dure ed importanti, non hai il tempo di ricostruire niente. Di allenarti. Quindi se inizi male puoi solo finire peggio. E così è stato. Ma ora basta, capitolo chiuso. Io riparto dal 2021. Quello è il mio punto di riferimento, quando ero al livello che mi compete e qui penso di poterci tornare.

Chiarissimo…

Vincere è l’obiettivo di tutti. Vincere è bello. Quando ci riesci diventa tutto più semplice. Io credo che questa squadra sia l’ambiente migliore per me, per il corridore che sono, per la mia mentalità da classiche.

Questa è la squadra delle classiche per antonomasia, però è anche difficile trovare spazio, essere un leader per certe corse. Come farai?

Negli ultimi due anni ero leader per le classiche, ma andavo alle corse che ero un cadavere e in quei casi della leadership te ne fai poco. Qui c’è un discorso di squadra, una squadra che sa come lavorare. Tutti si sacrificano e contemporaneamente ci sono tante carte da giocare. Penso che ognuno, in base al proprio stato di forma o al proprio livello, sia messo nelle condizioni di fare bene. Ti puoi anche muovere d’anticipo se non hai le gambe per stare coi migliori. E’ inutile aspettare, ma così facendo puoi raccogliere un risultato personale o essere una pedina importante per il team. Alla fine sarà la strada a determinare le gerarchie. In più credo sia il momento storico più favorevole per fare bene in questa squadra, perché non c’è la superstar, almeno per certe classiche, come magari succedeva in passato.

Roubaix 2021, Moscon sembra lanciato verso il successo ma sfortuna e qualche errore tecnico lo riportano coi piedi per terra
Roubaix 2021, Moscon sembra lanciato verso il successo ma sfortuna e qualche errore lo riportano coi piedi per terra
Un’analisi ben definita Gianni. Era un po’ che non ti sentivamo parlare così…

Come ho detto, questi ultimi due anni sono stati veramente difficili. Non avevo neanche più tanto da dire perché cosa vuoi fare in una situazione del genere? Non vedevo l’ora che arrivasse la fine dell’anno. Una volta finito il giro di Lombardia mi sono tolto un peso. Anzi, poco dopo, perché dovevo fare anche le ultime gare in Veneto, ma le ho saltate ed è stata una liberazione. Adesso mi diverto, me la godo di nuovo. In gruppo mi alleno col sorriso. E penso che siano i migliori presupposti per poi ottenere i risultati in bici, perché il motore se ce l’hai non lo perdi. Io so quello che sono. 

Non senti delle pressioni dunque?

No, specie se riesco a dare il massimo. Poi sappiamo tutti che sono stato preso all’ultimo e in qualche modo sono anche una scommessa per la squadra. Anche in passato se ho avuto pressioni, queste non sono mai arrivate dal team, ma da me stesso… Quando stavo bene perché sapevo di poter arrivare in alto. 

Alzini, Oldani e “papà” Marino: una storia di passione

12.01.2024
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Un montaggio fotografico pubblicato su Facebook da Martina Alzini ha aperto la porta su una bella storia. L’immagine superiore ritrae l’azzurra della pista, che proprio in questi giorni è impegnata agli europei di Apeldoorn, accanto a un piccolissimo Stefano Oldani. In quella inferiore, i due sono accanto anche oggi, ma in maglia Cofidis. Il commento all’immagine recita:

2005 vs 2024

Sc Busto Garolfo – Team Cofidis
19 anni dopo… Eccoci qui!

Alzini e Oldani si sono ritrovati alla Cofidis, a distanza di 19 anni dalla SC Busto Garolfo
Alzini e Oldani si sono ritrovati alla Cofidis, a distanza di 19 anni dalla SC Busto Garolfo

Nel segno di Marino

La Sc Busto Garolfo vive attorno al velodromo. Nella sua pagina Facebook, lo schieramento di ragazzi e ragazze mette di buon umore. La società ha lanciato fior di corridori e accanto a loro (a suo tempo, anche accanto ad Alzini e Oldani), c’è da citare una terza figura, a lungo un punto di riferimento nel giro della nazionale: Marino Fusar Poli, classe 1949, meccanico di lungo corso, gran brava persona, uomo gentile e presidente del gruppo sportivo milanese. La milanese della Cofidis, che lo ha conosciuto a 7 anni e lo ha poi ritrovato in nazionale, lo ha recentemente definito il suo secondo papà.

Marino risponde dal suo negozio, in cui dice di essere aiuto meccanico, perché il ruolo del protagonista preferisce lasciarlo a suo figlio Dino, a sua volta collaboratore di Salvoldi. L’altra figlia, Daniela, è stata a sua volta atleta azzurra, si è laureata e, dopo aver lavorato per dieci anni con Assos, da cinque anni è a Bolzano con Q36,5.

Cosa ricordi di quei due?

La foto che vedete si riferisce a un campionato provinciale che vinsero, non ricordo se da G4 o G5. Bastava osservarli per capire che fossero superiori alla media. Per Martina perdemmo addirittura un corridore, non ricordo come si chiamasse. Era stufo di essere battuto da lei e alla fine cambiò società. Le cose però non cambiarono, lei continuò a batterlo e alla fine non lo vedemmo più. Era determinata, brava, concentrata. E’ sempre stata molto caparbia. 

Perché dice che sei stato il suo secondo padre?

Perché ciclisticamente è nata qui. Io poi sono amico di suo padre che l’ha sempre allenata. Lui aveva corso senza grandi risultati, così alla fine glieli ha portati Martina. Venivano qui e io la allenavo nel velodromo. Ha vinto diversi campionati italiani e provinciali, su strada e su pista. Finché sono giovanissimi, li alleniamo in pista. Poi si passa anche su strada.

Quindi anche Oldani è partito dalla pista?

Sì, certo. Stefano mi sembra sia rimasto fino a G5. Fra loro due c’è un anno di differenza (1997 Alzini, 1998 Oldani, ndr) per cui hanno sempre corso in squadra insieme, ma non nella stessa categoria. Li allenavamo per età, ma tutti insieme. E lei, la Martina, batteva tutti i maschi.

Era davvero così caparbia?

Molto precisa ed ha avuto la fortuna di genitori che l’hanno seguita assecondando la sua inclinazione sportiva. Era già piuttosto alta rispetto agli altri ragazzi, in più aveva delle doti. Non solo la forza, ma anche il modo di vedere le corse. Lei doveva correre e vincere, non interessava se era fra maschi o femmine. Non è una di quelle che cercava di andare a fare le corse dove c’erano le ragazze e basta. Però era anche molto educata, è sempre stata un esempio per tutti. Una delle migliori atlete che ho avuto.

Stefano invece che storia ha con voi?

Già da piccolo era come lo vedete adesso, anche lui molto determinato. Sono ragazzi che faranno strada e lo vedi subito. Ho avuto anche Moschetti e Parisini, che sono entrambi professionisti e hanno corso entrambi a Busto Garolfo.

Nella foto Stefano sembra più piccolo di Alzini…

E’ sempre stato un mingherlino, uno forte fisicamente, ma a guardarlo non avresti detto. Diciamo che è uno di quei ragazzi che hanno grande forza interiore, che la cilindrata ce l’hanno nella testa. E lui da questo punto di vista è sempre stato superiore agli altri. Ci sono ragazzini che vanno spronati, loro due andavano gestiti.

Questo lo schieramento della SC Busto Garolfo nel 2023: quest’anno ci sono 4 squadre (foto Gabri_HGD)
Questo lo schieramento della SC Busto Garolfo nel 2023: quest’anno ci sono 4 squadre (foto Gabri_HGD)
Quanta attività c’è a Busto Garolfo?

Abbastanza, una buona attività. Da quest’anno mi sembra che Dalmine sia in ristrutturazione, per cui avremo molta più gente. C’è sempre attività a livello giovanile, perché ci occupiamo delle categorie fino agli allievi. Ne ho qualcuno molto bravo e anche una bella squadra femminile. Correva con noi anche la figlia di Justine Mattera, che l’anno scorso ha vinto il campionato regionale, ma ha voluto cambiare e andare a Cesano Maderno. Abbiamo sempre avuto e curiamo particolarmente anche il settore femminile. Abbiamo due ragazzine giovani molto brave, che avranno un futuro. Magari non pari a Martina Alzini o a Stefano Oldani, però c’è sempre un buon vivaio.

Vengono mai a trovarti?

Sì, caspita! Martina ora vive sul lago di Garda, ma ogni volta che viene qui, passa a salutarmi. Di recente mi ha anche portato la maglia iridata della pista con l’autografo. Stefano invece di recente ha cambiato squadra e ci ha dato tutto l’abbigliamento che gli era rimasto e noi l’abbiamo distribuito ai ragazzi.

Cosa fai ora nella società?

Sono il presidente e da trent’anni coordino le cose. Ho dei collaboratori eccezionali, con cui gestiamo le quattro squadre di quest’anno. Allievi, esordienti e due squadre di donne (una di allieve e una di giovanissimi). Io mi occupo direttamente degli allievi. Abbiamo un po’ di gente che ci aiuta e abbiamo parecchie biciclette per i più piccoli, in più c’è il Centro Federale diretto da Fabio Vedana. Però il materiale tecnico viene tutto dal mio negozio. Per questo sono a lavorare da mio figlio, per essere certo che ci aiuti ancora (una risata, un abbraccio, speriamo di vederci presto, ndr).