Sensazioni importanti, Bernal torna a ruggire forte

02.02.2024
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Un terzo posto in un campionato nazionale potrebbe sembrare poca cosa per chi ha nella propria bacheca un Giro d’Italia e un Tour de France, ma la “medaglia di bronzo” di Egan Bernal vale molto (in apertura foto ADN Cycling). E vale molto per Egan stesso. Tutto è riassunto in quella frase che ha detto ai giornalisti sudamericani dopo l’arrivo: «Mi sono sentito l’Egan di una volta».

Nella gara vinta da Osorio, il corridore della Ineos Grenadiers si è ben comportato. E’ sempre stato nel vivo della corsa e non ha giocato di rimessa. Non è arrivato davanti perché era stato in fuga, per dire. No, questo è un terzo posto vero. Di prestazione. La sua rincorsa nel finale, la sua “remuntada”, ha ricordato il Bernal di un tempo, forse per la prima volta dall’arcinoto incidente di due anni fa.

Certezze che tornano

Come si è detto per Alaphilippe, vale la regola che per vedere un campione tornare al vertice dopo un grave incidente serve una stagione intera dopo il fattaccio stesso. E visto come era conciato Egan questa regola vale ancora di più. La stagione di reset Bernal l’ha passata proprio nel recente 2023.

Se all’inizio ha tentennato non poco – ricordiamo i tanti ritiri – poi è riuscito a trovare continuità. E al termine della stagione scorsa in due mesi e mezzo ha messo in fila Tour e Vuelta. E proprio la continuità era quello che gli serviva e che cercava. Era la base da cui ripartire. Come nella preparazione del resto: prima si costruiscono le fondamenta, poi si cerca la prestazione.

Il suo ritorno alle corse stavolta è stato diverso. Bernal non era assalito dal solito dubbio: «Starò bene? Avrò recuperato le mie capacità fisiche?». 

E’ un terzo posto che vale oro, dunque. C’è soprattutto una sua frase detta alla tv colombiana che ci ha colpito e che a nostro avviso va sottolineata. «In corsa non avevo paura. Non avevo paura di spingere in salita e ho affrontato ogni curva al massimo. Prima (riferendosi all’incidente, ndr) correvo così».

«Questo terzo posto significa moltissimo per me. Ho preparato bene il campionato nazionale. La corsa non è andata esattamente come immaginavo però non fa niente. L’importante è che la prestazione sia stata buona e questo mi dà grande motivazione per la stagione. E perché possa essere ad un livello molto alto».

Un suggestivo scatto di Bernal. Se il classe 1997 dovesse tornare ai suoi livelli, sarebbe un bene per il ciclismo (foto Instagram)
Un suggestivo scatto di Bernal. Se il classe 1997 dovesse tornare ai suoi livelli, sarebbe un bene per il ciclismo (foto Instagram)

Entusiasmo colombiano

Archiviate le due prove nazionali (prima della corsa in linea Bernal aveva preso parte anche alla cronometro dove aveva chiuso sesto), è ancora tempo di Colombia. 

Dal 6 all’11 febbraio tornerà il Tour de Colombia. L’entusiasmo è già altissimo. E dopo aver visto un Bernal così lo è ancora di più. Senza contare che a questo entusiasmo per l’atleta di Zipaquirà si aggiunge il ritorno di Quintana, a dire il vero piuttosto opaco nella gara in linea, e di una folta schiera di colombiani pronti poi a spiccare il volo per l’Europa carichi di ambizioni importanti, visto che molti di loro militano in squadre di prima fascia.

«Cosa mi aspetto?», ha continuato Bernal. «Difficile da dire. Però se penso che il circuito del campionato nazionale era così duro per le gambe magari si potrà fare bene al Tour de Colombia».

A Tunja, dove è andato in scena il campionato nazionale, c’era anche un altro grande del ciclismo colombiano: Leonardo Paez. Il fortissimo biker era a bordo strada ed è rimasto colpito dalle velocità impresse dal gruppo e di Bernal in particolare. Leo era in cima alla salita, in prossimità dell’arrivo. Ha visto sfrecciare Bernal come un forsennato, lo ha visto sbucare tra le ali di folla.

E se anche lui si è fatto travolgere dall’entusiasmo dei suoi connazionali, allora vuol dire che veramente qualcosa si sta muovendo. Davvero potremmo aspettarci un nuovo (vecchio) Bernal.

Giro d’Italia 2021, Egan Bernal conquista la corsa rosa
Giro d’Italia 2021, Egan Bernal conquista la corsa rosa

Vuelta sì, Giro forse

C’è poi la questione del programma e un un calendario da scrivere in modo definitivo. O’ Gran Camino e Strade Bianche a parte, Bernal farà solo corse a tappe. Il suo programma è definito per tutta la primavera, più la Vuelta: il grande obiettivo dell’anno, come ha dichiarato.

Deve però decidere quale sarà il suo secondo GT: Giro o Tour? 

«Il Giro d’Italia è un’opzione – aveva detto Bernal in tempi non sospetti – vediamo quale fare tra questo e il Tour. Ma una cosa è certa, quest’anno il grande obiettivo è la Vuelta».

La grande corsa spagnola è l’unica che gli manca per completare la “sacra corona”. C’è persino chi dice che se la dovesse vincere Bernal smetterebbe di correre.

In teoria, viste le dinamiche delle preparazioni ormai accertate, sembra più logico vedere Bernal al Giro piuttosto che al Tour. In questo modo avrebbe più tempo per recuperare. Davvero il Giro, magari corso anche da capitano o con un ruolo importante, potrebbe essere l’ultimo gradino per tornare quello di un tempo. Dopodiché potrebbe lavorare con ferocia e decisione al “progetto Vuelta”.

In più la Ineos Grenadiers ha già ufficializzato le presenze di Thomas, Pidcock e Carlos Rodriguez alla Grande Boucle. E le Olimpiadi, che magari potrebbero interessarlo, non si disputano su un percorso adatto a Bernal. Pertanto non avrebbe tutta questa esigenza di correre il Tour.

Insomma, tirate voi le somme, ma se dovessimo vedere Bernal al Giro non saremmo affatto stupiti. Di certo saremmo contenti. Immaginate il Bernal di un tempo contro Pogacar

Gavazzi rimane alla Polti: un ponte tra passato e futuro

01.02.2024
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Nelle diverse interviste di inizio stagione i ragazzi della Polti-Kometa ci hanno detto spesso che Gavazzi non aveva definitivamente abbandonato il gruppo (foto Borserini in apertura). Certo, ha smesso di correre, e questo ve lo abbiamo raccontato. Ma proprio la sua esperienza, e quei consigli preziosi dati ai giovani, hanno fatto in modo che Gavazzi risultasse ancora importante per il team di Basso e Contador

«Mi sono preso un anno di transizione – dice Gavazzi mentre si gode la pace di casa – rimango con i bambini e mi godo la famiglia. Lavoro con mio cugino, che fa il gommista, gli do una mano. Mi serviva, troppo tempo a casa non mi avrebbe fatto così bene».

Gavazzi è rimasto nell’organico della Polti-Kometa, per dare supporto alla squadra con la sua esperienza (foto Maurizio Borserini)
Gavazzi è rimasto nell’organico della Polti-Kometa, per dare supporto alla squadra con la sua esperienza (foto Maurizio Borserini)
E così sei rimasto nel mondo del ciclismo…

La Polti-Kometa voleva tenermi, anche senza un posto ufficiale, con loro mi sento come in famiglia. Abbiamo trovato un compromesso, rimango in trasferta per una sessantina di giorni all’anno, tra ritiri e corse. Voglio rimanere vicino ai corridori, quelli con cui ho condiviso il cammino fino ad ora, ma anche ai nuovi. 

Sei già stato con la squadra?

Ho partecipato ai ritiri di dicembre e gennaio, sono stato in Spagna una decina di giorni complessivamente. Poi penso di partire dalla Strade Bianche, Tirreno, Sanremo, forse il Tour of the Alps e sicuramente il Giro, ma non tutto. 

Com’è guardare tutto da fuori?

Mi piace, è più rilassante, più tranquillo. E’ un modo per rimanere nel gruppo, ho pedalato con i miei ex compagni, ma mai più di tre ore. Devo ammettere che non mi è dispiaciuto. Ho un ruolo nuovo, con stimoli diversi. Ho scoperto tante cose che non sapevo sul mondo dei diesse e ho capito che non è facile far combaciare tutto. 

Gavazzi ha avuto modo di seguire i suoi ex compagni dall’ammiraglia, imparando tanto del mondo dietro la bici (foto Maurizio Borserini)
Gavazzi ha seguito i suoi ex compagni dall’ammiraglia, imparando tanto del mondo dietro la bici (foto Maurizio Borserini)
Con i tuoi ex compagni che rapporto hai?

Sono sempre andato d’accordo con tutti, quindi li avevo sentiti anche durante l’inverno. Con “Piga” (Davide Piganzoli, ndr) ho un rapporto molto bello, siamo vicini di casa, ci sentiamo spesso. Lo stesso con Sevilla e Maestri, ma anche con tutti gli altri mi sono sempre trovato bene. Quello che voglio fare è dare una mano a tutti, e devo ringraziare Ivan e Fran per questa occasione. 

I giovani scalpitano…

Piganzoli e Tercero sono due che hanno voglia di fare. Già nel 2023 sarebbero voluti andare al Giro, ma non era il caso. Al primo anno da pro’ era meglio adattarsi a questo mondo e crescere. Hanno imparato a programmare i lavori e sono pronti per le corse importanti. 

Il Giro è una grande occasione.

Saranno parte della bozza della squadra. Piganzoli si preparerà al meglio per essere al via del Giro. La squadra dovrebbe essere composta da uno “zoccolo duro” con Maestri e Sevilla e da qualche giovane.

I giovani scalpitano in cerca di un posto e di esperienze importanti: in foto Piganzoli (a sinistra) e Tercero (foto Maurizio Borserini)
I giovani scalpitano, in foto Piganzoli (a sinistra) e Tercero (foto Maurizio Borserini)
Senza dimenticare i nuovi arrivati.

Con Restrepo e Fabbro abbiamo fatto il salto di qualità. Fabbro si è ambientato subito, ha un bel carattere, è deciso e senza peli sulla lingua. E’ un professionista a 360 gradi, il 2024 per lui è un anno importante, da non sbagliare. Ho già avuto modo di parlarci.

E cosa vi siete detti?

Mi ha chiesto un po’ di cose, con chi parlare, il programma, qualche dettaglio sulla bici. Poi abbiamo parlato dei suoi problemi in Bora e cosa non ha funzionato. Infine mi ha raccontato cosa si aspetta da questo 2024.

Cosa si aspetta?

Spero riesca a confermare le sue qualità, ha un’esperienza tale che gli permette di conoscersi in maniera totale. Penso che il Giro sia l’appuntamento ideale per lui, un corridore del suo calibro minimo punta ad una vittoria di tappa. 

Fabbro esordirà in maglia Polti-Kometa alla Vuelta a Andalucia il 14 febbraio (foto Maurizio Borserini)
Fabbro esordirà in maglia Polti-Kometa alla Vuelta a Andalucia il 14 febbraio (foto Maurizio Borserini)
Davvero la squadra, come ha detto Basso, è più forte dello scorso anno?

A livello individuale è una squadra forte. I giovani come Tercero, Piganzoli e Martin possono far fare all’ambiente un salto di qualità notevole. Sostituire Fortunato e Albanese non è facile, ma secondo me ci siamo riusciti. Fabbro e Restrepo sono due profili molto interessanti, che possono dare tanto. La stagione è appena iniziata, vedremo dove riusciremo ad arrivare.

MyWhoosh, la piattaforma virtuale partner dell’UCI

01.02.2024
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ABU DHABI (Emirati Arabi Uniti) – MyWhoosh ha siglato un accordo triennale (2024, 25 e 26) con l’UCI in qualità Official Partner per i Campionati del Mondo su strada. E’ un accordo storico che vede un’azienda di e-sports come promotore del ciclismo nelle sue varie forme.

Non basta. Il 26 ottobre verrà assegnata la prima maglia di campione del mondo E-Sports in presenza, proprio ad Abu Dhabi. Vediamo cosa rappresentano MyWhoosh ed il ciclismo virtuale attraverso le considerazioni di David Lappartient Presidente dell’UCI), Michael Rogers (ex corridore, ora a capo del settore innovazione e e-sports dell’UCI) e Matthew Smithson (manager di MyWhoosh).

La finale del Mondiale E-Sports sarà ad Abu Dhabi in presenza
La finale del Mondiale E-Sports sarà ad Abu Dhabi in presenza

MyWhoosh, virtual cycling solution

MyWhoosh è una piattaforma di ciclismo virtuale che prende forma nel 2019. E’ molto utilizzata negli Emirati Arabi Uniti (dove nasce e dove è quasi impossibile pedalare outdoor in estate), in Australia e nell’Europa Centrale e del Nord (meno in quella latina). E’ giovane, in costante aggiornamento ed evoluzione e beneficia di un enorme plafond di risorse. Rientra in quel gruppo di aziende supportate dal Ministero dello Sport di Abu Dhabi ed è inoltre sostenuta da investitori privati.

Il marchio MyWhoosh è famoso e riconosciuto (anche da chi è distaccato dal ciclismo virtuale) perché è uno degli sponsor principali del Team UAE-Emirates. Il team di ricerca e sviluppo ha uno staff proveniente da varie parti del mondo, un aspetto voluto che ha l’intento di mettere insieme le diverse esigenze dei praticanti. Uno degli obiettivi di MyWhoosh è quello di ridurre il gap tra il ciclismo tradizionale e quello pedalato tra le mura di casa su uno smart-trainer. Questo è possibile grazie ad immagini vicine alla realtà con disegni e concetti proprietari, alla replica di percorsi e gare che hanno fatto la storia del ciclismo. Inoltre, l’accesso e l’utilizzo della piattaforma MyWhoosh è completamente gratuito.

MyWhoosh è la piattaforma virtuale ufficiale e regolamentata UCI
MyWhoosh è la piattaforma virtuale ufficiale e regolamentata UCI

Ciclismo virtuale gratuito

«MyWhoosh è una piattaforma free, completamente gratis – afferma Matthew Smithson, manager MyWhoosh – e accessibile a tutti. Ovviamente non posso dire se tra 20 e più anni sarà ancora così, ma la volontà è che resti gratuita. Fa parte di un processo di sviluppo che vuole portare il ciclismo ovunque e rendere il nostro sport accessibile a tutto il mondo.

«Non è difficile pensare che il Covid sia stato un boost notevole per il ciclismo in genere – prosegue Smithson – perché anche grazie al mondo virtuale, molte persone si sono avvicinate alla bicicletta. L’accordo siglato con l’UCI (di cui Smithson è uno dei promotori, ndr) è un ulteriore passo in avanti del ciclismo virtuale e del ciclismo in genere».

Akhtar Saeed Hashmi (MyWhoosh CEO) e David Lappartient firmano lo storico accordo
Akhtar Saeed Hashmi (MyWhoosh CEO) e David Lappartient firmano lo storico accordo

L’etichetta di UCI bike friendly

«Quello che è stato fatto ad Abu Dhabi a favore del ciclismo è qualcosa di impressionante», dice David Lappartient, presidente UCI ed intervenuto per presenziare allo storico accordo tra MyWhoosh e l’UCI. «Negli ultimi 4 anni il ciclismo è cresciuto in modo esponenziale e una realtà come questa di Abu Dhabi è la conferma. Qui si svolgeranno i campionati del mondo su strada nel 2028, abbinati all’assegnazione delle maglie UCI Granfondo.

«Nel 2029, sempre Abu Dhabi – prosegue Lappartient – sarà protagonista dei Mondiali su pista grazie alla costruzione del nuovo velodromo. Il ciclismo deve la sua notorietà attuale a campioni del calibro di Pogacar, Van Der Poel, solo per fare due esempi. In questo processo è coinvolto anche il ciclismo virtuale che è una vera e propria chiave di accesso».

Michael Rogers e Matthew Smithson
Michael Rogers e Matthew Smithson

Ciclismo virtuale e talenti

«Durante il periodo Covid il ciclismo è stato uno dei pochi sport che non si è fermato – ci racconta Rogers, responsabile del settore innovazione e tecnologia UCI – e questo è stato possibile grazie alle piattaforme virtuali. E’ vero che l’indoor non è il ciclismo nel suo ambiente tradizionale, ma è altrettanto vero, e nessuno lo può negare, che proprio il ciclismo indoor di oggi, ci permette di scoprire talenti. Jay Vine è solo la punta dell’iceberg, atri ne arriveranno.

«In UCI crediamo molto nell’ulteriore crescita del virtual cycling, come veicolo di promozione del ciclismo in genere, con la volontà di portarlo alle Olimpiadi. Riteniamo questo un sogno realizzabile ed è anche per questo motivo che per la prima volta, il prossimo 26 ottobre ad Abu Dhabi verrà assegnata la prima maglia di Campione del Mondo E-Sports in presenza. Dobbiamo entrare nell’ottica che gli e-sports fanno parte del modo di vivere delle nuove generazioni, che il mondo virtuale è un’opportunità e non un ostacolo. Che piaccia oppure no è un aspetto con il quale ci dobbiamo confrontare».

Fontana padre e figlio: l’evoluzione del cross è una storia di famiglia

01.02.2024
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Alessandro Fontana non è solo il papà di Filippo, riconfermato campione italiano di ciclocross. E’ anche un riferimento storico dell’offroad italiano. Nato nel 1970, veneto purosangue, è salito per due volte sul podio in Coppa del mondo di mtb in terra americana e argento a un mondiale militare di ciclocross, ma soprattutto per quasi vent’anni è stato protagonista sia d’inverno sui prati che negli altri mesi sui sentieri italiani e non solo. Fontana ha vissuto la trasformazione dell’attività fuoristradistica, passando dal pionierismo alla ribalta olimpica e vivendo anche l’evoluzione del ciclocross.

Ha chiuso la sua carriera poco più di 10 anni fa, ma non si è allontanato dal suo mondo, anche perché un Fontana c’è ancora ed è Filippo: plurivincitore del titolo italiano, sempre sfuggito al padre. E’ normale, quasi scontato che ci sia un parallelo fra i due, non tanto dal punto di vista personale quanto di tutto il contorno.

Alessandro Fontana è stato un riferimento nell’offroad, con i suoi migliori risultati nella mtb
Alessandro Fontana è stato un riferimento nell’offroad, con i suoi migliori risultati nella mtb

«Le differenze sono tante – spiega papà Fontana – ma riguardano più la mountain bike che il ciclocross. Ho visto il mondo delle ruote grasse evolversi in una maniera clamorosa dal punto di vista tecnico, ma a me piace guardare anche altri aspetti. Quel che non è cambiato è il significato dell’attività sportiva, vera e propria palestra di vita che insegna l’importanza del sacrificio. Questo ho insegnato a Filippo e insegno ai ragazzi che frequentano la nostra società ciclistica».

Com’era il ciclocross quando hai iniziato?

Erano gli anni Ottanta, si usciva da un difficile periodo economico e di soldi non ne giravano tanti, certamente una minima parte rispetto a quanto avviene adesso. Eravamo in pochi a praticarlo: considerando tutte le categorie era difficile arrivare a 100 corridori, oggi ne trovi 800. E’ impressionante soprattutto vedendo quanti ragazzini corrono.

Ai tempi del veneto, le gare erano spesso contraddistinte dal fango: componente sempre più rara
Ai tempi del veneto, le gare erano spesso contraddistinte dal fango: componente sempre più rara
E dal punto di vista tecnico?

Le innovazioni ci sono state, questo è chiaro, ma nel complesso le bici sono rimaste le stesse, come anche l’immagine. Sì, è vero, oggi i cavi sono interni, ma in fin dei conti poco cambia… Se proprio devo trovare una differenza, è che quando correvo io pioveva molto di più e quindi si trovava sempre tanto fango… I percorsi nel complesso sono quelli, solo che è cambiato il modo di interpretarli. Noi avevamo più ostacoli artificiali e per affrontarli si scendeva di bici, quindi ci trovavamo a correre a piedi molto di più di quanto avviene adesso. Almeno da noi, perché vedo gare belghe dove con il fango ci sono tanti passaggi bici in spalla.

Tra Alessandro e Filippo quali differenze ci sono nell’approccio alle gare?

Molte, ma questo dipende dal fatto che abbiamo due fisici diversi. Io ero abituato a partire abbastanza lentamente e recuperare in corso d’opera. Filippo è molto più esplosivo. In questo senso è decisamente più forte, più adatto anche al ciclocross di oggi dove la partenza è un aspetto fondamentale di tutta la corsa. Oggi per me sarebbe molto più difficile emergere. Allora come detto c’erano tanti tratti di corsa, potevo riguadagnare sfruttando anche la potenza fisica.

Filippo viene da una stagione ridotta, nella quale ha fatto il bis tricolore (foto Billiani)
Filippo viene da una stagione ridotta, nella quale ha fatto il bis tricolore (foto Billiani)
Ti piacciono le gare di oggi?

Io sono e sarò sempre un ciclista, appassionato a prescindere. E’ chiaro che la presenza di Filippo mi porta a guardare le gare con un occhio di riguardo, ma questo varrebbe in qualsiasi caso, se capita una prova estera in Tv non me la perdo.

Come la tua famiglia è così legata all’ambiente offroad?

E’ un ambiente più familiare. Io vengo dal ciclismo su strada, lo seguo, mi piace, ma sono sempre rimasto legato a un mondo, quello della mtb e anche quello del ciclocross, più contenuto, dove si sente ancora il valore umano. In questo tipo di gare conta ancora chi va più forte, su strada la gara la fanno i diesse e questo non mi piace.

Alessandro quand’era ancora in attività con il piccolo Filippo, arrivato ai vertici nazionali seguendo le sue orme
Alessandro quand’era ancora in attività con il piccolo Filippo, arrivato ai vertici nazionali seguendo le sue orme
Tu hai vissuto un’epoca ciclocrossistica diversa da quella di oggi. Ai tuoi tempi non c’erano i campioni che facevano tutto…

Di professionisti ne trovavamo, ma per lo più erano corridori che facevano attività invernale pensando unicamente a preparare quella su strada, che – è bene sottolinearlo – aveva calendari molto diversi da quelli odierni. Allora erano soprattutto i biker ad abbinare mtb e ciclocross. Oggi però viviamo un’epoca di fuoriclasse, che emergono dappertutto. Sono l’evoluzione della multidisciplina, campioni che fanno parlare di sé, che danno un’immagine a tutto l’ambiente, pur in un contesto molto più difficile.

Torniamo a te e Filippo: ciclisticamente parlando com’è il vostro rapporto?

Domanda complessa, che temevo… E’ un rapporto “work in progress”, ci vogliamo un mondo di bene, ma nel ciclismo spesso abbiamo idee diverse. Anche noi abbiamo attraversato quella fase di contrasto che avviene sempre con un figlio adolescente: io che dicevo una cosa e lui che faceva l’esatto contrario. Ma ci sta. Ora è tornato a chiedere consigli, poi magari fa di testa sua ed è anche giusto così, ma almeno ci confrontiamo, ascolta e valuta. Anche questo dimostra che lo sport è una palestra di vita.

Vi raccontiamo Tonelli il meticoloso (e ora anche vincente)

01.02.2024
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Forse un po’ a sorpresa. Forse perché i ragazzi della VF Group-Bardiani vanno forte dopo il buon lavoro svolto in Spagna, ma giusto ieri Alessandro Tonelli, classe 1992, si è regalato una vittoria incredibile alla Vuelta Valenciana, ormai un palcoscenico importante. 

Insieme al compagno Manuele Tarozzi, sono scappati via sull’ultima salita e hanno letteralmente beffato il gruppo. In pianura e in discesa hanno tenuto più del previsto e i velocisti si sono dovuti accontentare dei posti di rincalzo.

Ma questo è quel che succede quando si lavora bene. E in squadra l’entusiasmo non manca. L’arrivo in parata lo testimonia: un riconoscimento per il più “vecchio” del team e quel sorriso sul volto del secondo, Tarozzi appunto.

Meticolosità da scoprire

Tonelli siamo abituati a vederlo spesso in fuga al Giro d’Italia. E magari il grande pubblico lo conosce per questo. Noi invece ve lo presentiamo sotto un altro punto di vista. Eh sì, perché Alessandro Tonelli è quello che si dice un professionista esemplare. E non è una frase fatta o un complimento fine a se stesso. In vari momenti e con vari personaggi dello staff della VF Group-Bardiani è emerso il suo nome. 

«Il più preciso nel fare stretching? Tonelli». «Quello che conosce meglio di tutti il regolamento? Tonelli». «Chi vede bene la corsa? Tonelli». E allora tanto più dopo questo successo di gambe e… testa, appunto, sentiamo il diretto interessato.

Per Tonelli dieci anni da professionista e quattro Giri nel sacco
Per Tonelli dieci anni da professionista e quattro Giri nel sacco
Alessandro, abbiamo elencato tutte queste caratteristiche. Abbiamo dimenticato di aggiungere che già ti vedono come un direttore sportivo nei prossimi anni…

In effetti me lo dicono tutti che quando smetterò mi ci vedono bene, ma per ora dico di no. Per ora sono un corridore e voglio farlo al meglio. E’ il mio lavoro e come tale voglio farlo al 100 per cento.

Cosa hai studiato?

Ho la maturità da geometra, poi all’università avevo iniziato Ingegneria. Ma erano i tempi della Zalf ero sempre fuori e se non seguivi materie come Analisi 1 o Fisica era tosta. Se perdevi una lezione sembrava che avessi perso un anno intero. E così ho deciso di puntare bene su una cosa sola, il ciclismo, ed è andata bene.

Ecco dunque perché sei così metodico! Cosa significa per te essere professionale nel lavoro?

Saper fare il proprio lavoro, individuare il proprio ruolo. Nel caso del ciclista, sai che devi lavorare con il tuo corpo e che lo devi portare al 100 per cento della prestazione. E se qualcosa non è al top, le cose non vanno. Io faccio sempre l’esempio del motore: puoi avere anche quello più potente, ma se qualcosa non funziona questo non rende. Quindi devi lavorarci su, conoscerti. E non è sempre facile.

In Bardiani ti stimano, lo abbiamo visto di persona: ti senti un riferimento per il team?

Sì, tutti i ragazzi fanno affidamento su di me e non solo quando c’è da dire cose belle, ma anche quelle meno belle. Con i direttori sportivi vado a parlarci io. Ma attenzione, ci vado dopo aver vagliato bene la questione. Questa deve essere fondata. Poi, magari anche se non sono d’accordo ma è valida, io riferisco.

Meticoloso e professionale, Alessandro cura molto anche la parte oltre la bici (foto Instagram)
Meticoloso e professionale, Alessandro cura molto anche la parte oltre la bici (foto Instagram)
Perché secondo te hai questo ruolo in squadra?

Perché ormai dopo tanti anni conosco bene la squadra, la famiglia Reverberi, perché sono professionale e anche perché sono il più vecchio. Quindi porto la voce dei corridori, ma anche il contrario.

Il contrario? Spiegaci meglio…

Per esempio eravamo qui in Spagna per il ritiro di gennaio. Terminato quest’ultimo, visto il buon clima valenciano e al tempo stesso le temperature più rigide che cerano da noi, i tecnici mi hanno chiamato. Mi hanno detto di riferire ai ragazzi che chi correva in Spagna la settimana successiva sarebbe potuto restare, così da evitare malanni, sbalzi di temperature e rischiare di buttare via tutto il lavoro fatto. 

“Tonelli vede la corsa”: sei capitano in gara dunque?

Sì, si… Anche l’altro giorno a Mallorca, nella prima corsa dell’anno mi hanno detto subito: «Te, “Tone”, sei il regista, controllali e vedi quel che succede. Dovete essere pronti ad entrare in gioco. Anche tu». Quindi sono un diesse in gara, magari per spronare i ragazzi o per prendere qualche decisione.

Questione dello stretching. Anche in questo caso sei meticoloso…

Torniamo al discorso della professionalità. Se un massaggiatore mi dice di fare una cosa è per il mio bene. Se non la faccio ci rimetto solo io. Non posso dirgli di aver fatto degli esercizi e poi non è così. Primo, perché non va bene per il corpo, e poi perché lui se ne accorge.

In Spagna al lavoro con i compagni, Tonelli (a destra) è sempre stato in questo team (foto G. Reverberi)
In Spagna al lavoro con i compagni, Tonelli (a destra) è sempre stato in questo team (foto G. Reverberi)
I più giovani sono cresciuti col potenziometro e l’alimentazione super controllata. Com’è il rapporto con loro? Ascoltano o magari ne sanno già più di te?

Il ciclismo è cambiato e non serve andare indietro chissà quanto, bastano 3-4 anni. Social, quindi informazioni, e tecnologia alla portata di tutti hanno fatto sì che i giovani fossero più pronti che in passato. Poi se ascoltano o meno, quello dipende anche dal carattere di ognuno. Certo è, che un Tonelli di dieci anni fa era più lascivo dei ragazzi di oggi. Ma lo era non per scarsa professionalità, ma perché non c’erano certe conoscenze.

E invece perché sai così bene il regolamento?

Perché mia sorella Francesca è una giudice di gara – ride Tonelli – è lei che mi dà le novità e mi rende sempre aggiornato.

Alessandro, sei un corridore di sostanza: hai mai pensato di fare il gregario in una grande squadra?

Intanto devo cercare di vincere (e ieri ci è riuscito, ndr) e poi magari potrei anche starci in una WorldTour, perché so fare il mio lavoro. L’idea c’è stata, ma a quasi 32 anni sta scemando e così preferisco stare qui a fare la chioccia che essere uno qualsiasi altrove. La squadra va bene, è cresciuta e io qui sono molto motivato.

Martinez, il messaggio di Pinot e la lezione della Vuelta

01.02.2024
5 min
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Nella Groupama-FDJ che nell’ultima stagione ha perso con Demare e Pinot le colonne di una vita, forse pochi si aspettavano che Lenny Martinez potesse sbocciare così presto e così bene. Lo scalatore francese, che nel 2021 si era presentato al pubblico italiano vincendo il Giro della Lunigiana, negli stessi giorni della corsa ligure ha sfiorato una tappa alla Vuelta Espana conquistando la maglia di leader, a capo di una stagione davvero positiva, consacrata con la vittoria nella CIC Mont Ventoux (foto di apertura).

Martinez faceva parte della stessa infornata U23 di Gregoire e Germani, Watson e il Pithie che ha appena vinto la Cadel Evans Great Ocean Road Race. La sua stagione inizierà il 16 febbraio nella Classic Var e poi proseguirà con il Tour des Alpes Maritimes, prima del Gran Camino e il Catalunya. Approfittando del secondo ritiro spagnolo della squadra, abbiamo cercato di capire che cosa gli passi per la testa alla vigilia del secondo anno nel WorldTour.

Lenny Martinez è nato a Cannes l’11 luglio del 2003 . Suo padre è Miguel Martinez, olimpionico di MTB
Lenny Martinez è nato a Cannes l’11 luglio del 2003 . Suo padre è Miguel Martinez, olimpionico di MTB
Ma prima facciamo un passo indietro: ti aspettavi una stagione così buona per il primo anno?

No, non mi aspettavo necessariamente una stagione così bella (sorride, ndr). Mi ero detto che per essere bella, mi sarebbe bastata una stagione regolare, ma non mi aspettavo molto perché nel primo anno non si sa mai. Il livello è piuttosto alto, ma col passare dei chilometri, correndo nel mio solito modo, ho visto che le cose funzionavano.

Sei rimasto più impressionato dalla vittoria al Ventoux o dalla prima settimana alla Vuelta?

Col senno di poi, direi la prima settimana della Vuelta. Tuttavia a livello emotivo mi è piaciuta di più la vittoria, perché era una vittoria. E’ arrivata forse inaspettata, eppure quei pochi secondi sul Ventoux sono stati un momento molto forte che resta nella memoria.

Che cosa ha rappresentato per te la partecipazione al primo grande Giro?

Molta esperienza, la possibilità di crescere. E’ stato davvero bello vedere come abbiamo lavorato per preparare la Vuelta e ora non vedo l’ora di rifarlo e provare semplicemente a fare meglio. Perché adesso so cosa aspettarmi da quelle tre settimane.

Martinez è professionista dal 2023. E’ stato leader della Vuelta per due tappe. E’ alto 1,68 e pesa 52 chili
Martinez è professionista dal 2023. E’ stato leader della Vuelta per due tappe. E’ alto 1,68 e pesa 52 chili
Alla partenza della Vuelta sei arrivato con dubbi o certezze?

Non necessariamente dubbi e neppure certezze, mi dicevo che sarebbe stato bello anche solo finirla. Avevo in testa che sarebbe stato bello arrivare a Madrid e se poi fosse venuto qualche risultato, sarebbe stato fantastico. Alla fine è andata proprio così, ma non sarebbe sato un problema portarla a termine senza risultati, perché in ogni caso avrei imparato qualcosa.

Che cosa ricordi del giorno dell’Osservatorio Astrofisico de Javalambre, in cui sei arrivato secondo prendendo la maglia di leader?

Ricordo che è stata una giornata molto dura, soprattutto questo. Ho avuto il supporto dei miei compagni sin dalla partenza, senza di loro non avrei potuto prendere la maglia rossa. L’ultima salita è stata molto dura, si andava un po’ troppo forte per me. Ma alla fine non sono arrivato troppo lontano da Kuss (il distacco al traguardo è stato di 26”, ndr) e la sera ero contento.

Puoi descriverci in che modo si manifestava la stanchezza con il passare dei giorni?

C’è stanchezza mentale. Preferisci restare a letto e dopo un po’ preferisci riposarti piuttosto che andare a correre. C’è anche l’affaticamento muscolare. Te ne accorgi quando la tappa parte molto forte e tu non sei pronto, senti le gambe gonfie e un po’ rotte. Di solito inizia a migliorare dopo la prima ora e mezza e in certi giorni per arrivare alla fine della tappa devi essere davvero bravo. Ma anche le partenze sono faticose…

Nel 2022 Martinez ha vinto due tappe alla Ronde de l’Isard, dopo il Val d’Aosta (foto Richard Corentin)
Nel 2022 Martinez ha vinto due tappe alla Ronde de l’Isard, dopo il Val d’Aosta (foto Richard Corentin)
Tutto questo ti ha permesso di conoscere meglio te stesso e le tue capacità di recuperare?

Ho imparato qualcosa su tutto questo. Ho imparato anche a non mollare. All’inizio stavo bene, poi sono caduto, mi sono ammalato e alla fine sono riuscito a ritrovare le forze e delle buone sensazioni. Ho imparato che in un grande Giro un giorno puoi stare malissimo e il giorno dopo invece vincere. Quindi devi sempre credere in te stesso, devi imparare a gestire questi giorni. Devi imparare a gestire tutte le giornate.

Ti aspettavi che il gruppo Continental andasse così bene nel suo primo anno di WorldTour?

No, non necessariamente. Pensavo che avremmo fatto bene, con l’obiettivo di imparare e alla fine oltre a questo, sono arrivati i risultati. Diciamo che è andata bene.

A fine carriera, Pinot ha detto ai suoi compagni di prendersi cura della squadra. Cosa pensi che volesse dire?

Thibaut ha fatto crescere molto la squadra. Noi siamo i suoi successori e dobbiamo prenderci cura della squadra e continuare a farla crescere come ha fatto lui. Ma non è una cosa semplice, può voler dire tutto e niente. Tirare su la squadra significa assicurarsi che stia progredendo, vincere le gare, fare in modo che la squadra sia la migliore che può essere.

Lombardia 2023, l’ultima corsa di Pinot, che ha lasciato un’importante eredità (foto nicolas_le_goat / lequipe)
Lombardia 2023, l’ultima corsa di Pinot, che ha lasciato un’importante eredità (foto nicolas_le_goat / lequipe)
Che differenza vedi tra la preparazione dello scorso inverno e quella di quest’inverno?

Nessuna differenza perché quest’inverno mi sono allenato esattamente come l’inverno scorso, in termini di ore e tutto il resto. Quindi ho semplicemente aggiunto un po’ di corsa a piedi, un po’ di lavoro in palestra sollevando pesi. Ma a parte quello, in bici non avevo ancora aumentato i volumi. Questo ritiro sta dando ottimi frutti, stiamo vivendo delle settimane fantastiche e proprio qui ho iniziato ad aumentare i carichi di allenamento.

Stai lavorando su un punto particolare?

Soprattutto sullo sprint. Gli scatti. I lavori brevi. Lavoro un po’ su tutto per diventare un corridore completo. Dopo il primo anno WorldTour ho capito che non potrò mai vincere uno sprint di gruppo, ma so che posso fare bene su salite da 10 minuti e anche da un’ora. Per questo penso di essere uno scalatore. Le salite mi stanno bene tutte. Quelle lunghe e anche quelle più corte.

Pontoni: la Coppa di Viezzi è un trionfo di tutti

31.01.2024
5 min
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In queste ore Daniele Pontoni e il suo gruppo azzurro stanno prendendo le misure di un mondiale, quello che si svolgerà da venerdì a Tabor in Repubblica Ceca, dove la squadra azzurra parte con molte ambizioni, avendo di fatto scarse chance solo nelle due prove Elite (almeno a livello di podio, perché la Casasola ha tutte le carte in regola per un piazzamento di prestigio). Gli azzurri sono arrivati oggi sull’onda dell’entusiasmo scaturito dal trionfo di Stefano Viezzi in Coppa del Mondo, considerando che un azzurro vincitore di una challenge internazionale nel ciclocross mancava ormai dal secolo scorso.

Quella del friulano è stata una cavalcata lunga, difficile, a tratti sconfortante ma proprio per questo esaltante ed è singolare che il suo successo sia arrivato quasi in contemporanea con quello di Sinner dall’altro capo del mondo. Se il tennista altoatesino ora è sulla cima assoluta del mondo, Viezzi ci può arrivare, continuando su questa strada, ma sempre con le stimmate del vincente.

Pontoni e un selfie per festeggiare la vittoria e la conquista definitiva della maglia
Pontoni e un selfie per festeggiare la vittoria e la conquista definitiva della maglia

Daniele, al suo fianco per tutta l’avventura, riassapora attraverso il suo giovane pupillo ricordi della sua grande carriera, ma la sua mente è tutta proiettata verso l’attualità: «Quello di Stefano è stato un trionfo a lungo cercato, inseguito, voluto con tutte le forze. Insieme a lui abbiamo lavorato per molte settimane, è stato un vero successo di squadra con uno staff affiatato e l’importante contributo del team performance. Stefano però ci ha messo tanto di suo, nel modo di affrontare la stagione».

Questa Coppa è diventata un target per tutto il movimento…

Dopo la vittoria nelle prime due tappe non poteva essere altrimenti. A Dublino non era previsto che andassimo, ma la situazione di classifica imponeva la sua e quindi la nostra presenza. E’ stato un cammino difficile, nel quale abbiamo spesso dovuto apportare correttivi anche perché non abbiamo mai perso di vista altri obiettivi che potevano essere il campionato italiano e quello mondiale.

Viezzi ha vinto le tappe di Troyes, Dublino e Hoogerheide, più finora altre 7 gare (foto Ricardo Esteve)
Viezzi ha vinto le tappe di Troyes, Dublino e Hoogerheide, più finora altre 7 gare (foto Ricardo Esteve)
Una vittoria tecnica o di carattere?

Entrambe, sono due componenti fondamentali. Mi piace pensare in questo momento all’europeo dove solo la sfortuna l’ha privato di un podio meritatissimo. Una settimana dopo trionfava in Coppa, questo significa che dentro, Viezzi ha una straordinaria forza d’animo, quella dei campioni. So che Stefano con quella maglia non è per nulla appagato, anche i 10 giorni di ritiro che abbiamo effettuato in Spagna sono stati fatti pensando principalmente alla gara iridata di domenica.

Tu, dopo la tappa di Benidorm e il sorpasso di Sparfel, eri rimasto comunque ottimista sull’esito finale della challenge. Da che cosa derivava il tuo pensiero?

Conosco troppo bene Stefano, so quanta voglia ci mette ogni volta. Lì era stata la sfortuna a penalizzarci ed ero convinto che avrebbe tirato fuori una grande prestazione proprio come aveva fatto in Francia dopo la gara continentale. Sapeva che doveva fare una gara d’attacco, che doveva evitare di farsi imbrigliare dalla ragnatela francese con tanti compagni al fianco di Sparfel. Dopo il primo giro ha visto che si era formato un buco e ha insistito. Tatticamente ha compiuto una gara ineccepibile, rompendo gli schemi e non sbagliando nulla. Ma vorrei sottolineare che anche gli altri ragazzi hanno corso bene, lottando per la Top 10, mi spiace solo per l’infortunio di Serangeli costretto a chiudere anzitempo la stagione e per la brutta giornata di Agostinacchio.

Per il friulano il mondiale ha un sapore particolare, dopo la beffa del 4° posto europeo
Per il friulano il mondiale ha un sapore particolare, dopo la beffa del 4° posto europeo
Ora però Viezzi dovrà partire a Tabor con il ruolo di favorito. Tu che hai grande esperienza diretta al riguardo, come si gestisce tanta pressione?

Di questo non mi preoccupo, Stefano è un ragazzo di poche parole, che sa cosa vuole ed è molto attento a tutto, dai materiali alla tattica. Poi chiaramente ci confrontiamo e ci confronteremo fino agli ultimi minuti prima della partenza. La vittoria in Coppa dà forza, è sicuro, ma domenica, sulla linea di partenza, tutto verrà azzerato e questo vale per tutti, anche per lo stesso Van Der Poel nella gara elite. Chi corre lo sa bene…

Sparfel è lo spauracchio?

Magari fosse solo lui… Un po’ tutta la Francia è da tener d’occhio, ma anche il ceko Bazant: proprio per esperienza so che quando i corridori boemi gareggiano in casa danno il 200 per cento, hanno qualcosa in più, poi ci sono Solen e Mouris dell’Olanda, Van Den Boer del Belgio e non dimentichiamo gli Usa che avranno la compagine più numerosa con ben 7 corridori.

La Venturelli, divisa fra pista e ciclocross, vuole riscattare la beffa del 4° posto juniores del 2023
La Venturelli, divisa fra pista e ciclocross, vuole riscattare la beffa del 4° posto juniores del 2023
Viezzi. E poi?

Abbiamo una bella squadra, con 15 elementi tutti in grado di far bene, con la Venturelli con la quale abbiamo lavorato di comune accordo con Villa e la supervisione di Amadio per averla in forma qui. Casasola e Bertolini hanno recuperato dagli ultimi acciacchi, la squadra è forte e compatta e lo vedremo già venerdì con il team relay, dove puntiamo a una medaglia e sapete quanto tenga a quella gara, quella che davvero rappresenta la forza di un movimento.

Tudor Pro Cycling al Giro, Cozzi dice cosa bolle in pentola

31.01.2024
4 min
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Alberto Dainese, Simon Pellaud, Matteo Trentin. Ancora: Arvid de Kleijn, Yannis Voisard, Sébastien Reichenbach. E con loro molti altri. Sono tutti corridori del Tudor ProCycling, una delle Wild Card del Giro d’Italia. La squadra elvetica si appresta ad affrontare il suo primo GT.

Uno direttori sportivi di questo team dalle tante potenzialità è Claudio Cozzi. Il tecnico lombardo ci aiuta a capire come lavoreranno in vista della corsa rosa. Cosa bolle in pentola per questo appuntamento che è super cerchiato di rosso. Le premesse sono buone.

«Siamo partiti bene – ha detto Cozzi – noi e i corridori siamo soddisfatti e abbiamo ripreso come abbiamo finito lo scorso anno. Vuol dire che il 2023 è stato ben memorizzato e abbiamo imparato qualcosa». Il riferimento è alle buone prestazioni di queste prime gare tra Europa e Asia.

Claudio Cozzi (classe 1966) è direttore sportivo della Tudor Pro Cycling già da due stagioni (foto @tudorprocycling)
Claudio Cozzi (classe 1966) è direttore sportivo della Tudor Pro Cycling già da due stagioni (foto @tudorprocycling)
Claudio, come è stata accolta la notizia della vostra presenza al Giro d’Italia?

Nel clan siamo contenti. C’è entusiasmo. Adesso ci dobbiamo mettere sotto a lavorare per fare una buona figura.

Avete già un’idea di squadra che porterete? 

Abbiamo una lista lunga, intendo 10-12 nomi, come si fa di solito. Abbiamo selezionato una rosa di atleti che hanno le caratteristiche per poter fare bene in una grande corsa a tappe. E poi man mano che andremo avanti faremo le scelte definitive. Faremo anche un training camp più in là da lì sapremo chi portare al Giro.

Noi da italiani speriamo in Trentin e Dainese…

Meglio non fare i nomi. In questo momento bisogna rispettare tutti.

Dainese è arrivato quest’anno nel team svizzero. Sarà al Giro? (foto @tudorprocycling)
Dainese è arrivato quest’anno nel team svizzero. Sarà al Giro? (foto @tudorprocycling)
Cosa possiamo aspettarci dal Giro della Tudor?

Direi una squadra completa ed equilibrata. Alla Tudor abbiamo diversi velocisti e uno sprinter lo porteremo. Vogliamo provarci in volata. Poi avremmo anche qualche scalatore. Noi non abbiamo grimpeur arrivati, pronti per stare davanti, ma abbiamo comunque gente che potrebbe fare bene, specie nella terza settimana. E infine ci sarà qualche corridore da fuga.

Tra le squadre che hai diretto nella tua carriera ce n’è qualcuna che ti ricorda questa Tudor?

Direi la Katusha del secondo anno. Avevamo un corridore veloce, un cacciatore di tappe come Pozzato, ideale anche per le fughe. E poi due scalatori come Karpets e Petrov. Due che erano forti, ma non da primissime posizioni. Sapevano andare bene. Anche se poi a dire il vero, ai tempi della Tinkoff, Petrov fece bene anche nella generale. Insomma avremo una squadra che si farà vedere, ma non solo per andare in fuga a tutti i costi, tutti i giorni. Vogliamo farci vedere perché possiamo fare bene, perché possiamo andare forte in tappe che ci sono adatte.

Voisard sfinito ma felice dopo la vittoria al Giro U23 2021. Lo svizzero è un ottimo scalatore
Voisard sfinito ma felice dopo la vittoria al Giro U23 2021. Lo svizzero è un ottimo scalatore
Claudio, torniamo alla lista lunga. In alcune squadre spesso accade che gli atleti per guadagnarsi il posto debbano passare una sorta di trials interni e poi quando arriva l’appuntamento clou sono sfiniti perché si sono dovuti spremere per guadagnarsi il posto. Qual è la vostra strategia?

No, no… da noi non funziona così. Ci si guadagnerà il posto con allenamenti specifici, un cammino di gare ben stabilito e anche in base a quello che accadrà strada facendo… E’ così che otterremo le nostre indicazioni. Non ci sarà nessuna guerra interna. I nostri atleti devono arrivare al Giro o all’appuntamento prescelto in condizione, per questo c’è una lista lunga. Basta che uno stia male, che salti un paio di corse e tante cose si rimettono in discussione. E poi, sempre di questa lista, non è che chi non fa il Giro non corre più. Nei grandi Giri non si scherza.

Nei grandi Giri non si scherza, interessante…

E’ il nostro primo GT, vogliamo farlo e arrivarci bene. Poi oggi con il livello che c’è e le velocità che si …fanno è ancora più importante. Tutti i team vogliono arrivarci con i ragazzi al top, per questo fare dei trials sarebbe pericoloso.

Una domanda che potrebbe sembrare banale. E’ il vostro primo GT, ma lo è anche per lo staff in qualche modo. Voi siete pronti?

Beh, io e Toso (Tosatto, ndr) e molti altri direttori qualche Giro lo abbiamo fatto! Però sì, anche lo staff deve capire a cosa siamo di fronte. Anche per questo è stata presa gente di esperienza. Ma siamo pronti su mezzi, materiali, logistica. Semmai sono io che manco dal Giro da un anno e magari sono fuori allenamento!

Belgian Cycling Factory rilancia e investe in Eddy Merckx Bikes

31.01.2024
4 min
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KORTRIJK (Belgio) – Velofollies è l’expo di riferimento per i consumatori e gli appassionati di bici del Benelux, ma anche della Francia del Nord e della Germania. L’evento è anche una sorta di treno che porta un messaggio importante, ovvero il rilancio di Eddy Merckx Bikes. Il brand è nel roster della Belgian Cycling Factory (nel portofolio dell’azienda belga spicca Ridley).

Abbiamo scambiato alcune battute con Stefan Aerts, brand manager e fratello di Jochim Aerts (CEO di Belgian Cycling Factory).

Le aziende della Bike Valley, che tocca anche il mondo hi-tech
Le aziende della Bike Valley, che tocca anche il mondo hi-tech
Da quando Eddy Merckx Bikes è nell’orbita di Belgian Cycling Factory?

L’acquisizione risale al 2017 e la volontà iniziale era quella di rilanciare il brand fin da subito. Avevamo iniziato a fare operazioni ed investimenti importanti, vedi ad esempio la collaborazione con il Team AG2R-La Mondiale, all’epoca nel roster c’era Romain Bardet che battagliava costantemente per il podio al Tour de France e quella era il primo tassello di un puzzle. Poi c’è stato il Covid e abbiamo avuto la necessità di fermare tutto il programma di ricerca, sviluppo e gli investimenti. E’ arrivato il momento per rilanciare il marchio, ma bisogna farlo nel modo giusto.

Stefan Aerts all’expo di Velofollies
Stefan Aerts all’expo di Velofollies
In un momento dove il mercato delle bici è stagnante?

Stiamo costruendo un percorso, passo dopo passo o, per meglio dire, pedalata dopo pedalata. Non c’è la necessità di far esplodere il brand Eddy Merckx Bikes in pochissimo tempo. C’è una strategia ben calibrata che tiene conto della parte finanziaria, dell’heritage del marchio e delle diverse categorie di prodotto e di utenza dove puntiamo a creare un interesse importante.

Ad esempio?

Punteremo forte sul mercato americano e su quelle giapponese, dove abbiamo già delle quote non secondarie, senza dimenticare l’Europa. Nel Continente sappiamo che la concorrenza è fortissima, ma è pur vero che c’è un ritorno di interesse per le bici in acciaio, in titanio e per il gravel. Con Eddy Merckx puntiamo ad avere prodotti di questo segmento, quello delle leghe metalliche. E’ una nicchia, ma è importante esserci.

Anche per differenziare l’offerta proposta da Ridley?

E’ proprio così, ma le bici Eddy Merckx avranno un’identità precisa. Ma a prescindere da questo, prosegue anche per il 2024 la collaborazione con il Team Vlaanderen-Baloise, al quale forniamo l’ultima versione della 525.

Tornando all’acquisizione e a questa fase di rilancio, si può dire che Belgian Cycling Factory ha salvato il marchio Eddy Merckx?

Quando Eddy Merckx Bikes è entrata in Belgian aveva una produzione annua di 400/500 biciclette. Un numero troppo basso con le dinamiche attuali e i volumi di questo mercato. Quindi, da un lato è corretto, in parte la stessa acquisizione è il tassello di una strategia. Belgian Cycling Factory non deve dipendere solo da Ridley ed il gruppo deve essere in grado di offrire biciclette diverse, per tipologie di ciclisti differenti.

La 525 in dotazione al Team Vlaanderen-Baloise
La 525 in dotazione al Team Vlaanderen-Baloise
E’ lecito pensare ad una condivisione di soluzioni e tecnologie?

Le biciclette hanno gli stessi reparti di ricerca e sviluppo, soluzioni tecnologiche traslate da una parte all’altra e risorse, ma come detto in precedenza il focus di Eddy Merckx è differente. Non puntiamo ad avere i medesimi risultati e numeri di Ridley. Potrà esserci un maggiore visione gravel e endurance. Valuteremo man mano, entrando ufficialmente anche nel settore e-bike.

Avete stimato un periodo entro cui potrete considerare completata la fase di rilancio?

Non esiste una risposta precisa. Siamo testimoni di un mercato poco brillante, eppure il trimestre Settembre/Novembre 2023 è stato uno dei migliori di sempre. Quello che ci ha colpito è il numero di bici customizzate, che in quel periodo ha coperto oltre il 70% delle vendite.

Verniciatura fatta in casa, anche custom
Verniciatura fatta in casa, anche custom
Cosa vuol dire?

Significa che la nostra flessibilità di produzione è un vantaggio che dobbiamo sfruttare anche per le bici Eddy Merckx. Siamo in grado di produrre bici customizzate e la personalizzazione di verniciatura e montaggio fatti in casa sono un tassello che gioca a nostro favore.

Ti vedremo anche in Italia come ambasciatore?

Certo, ci vediamo da metà febbraio in avanti, per diversi giorni e non solo come responsabile di Eddy Merckx Bikes, ma anche per visitare qualche artigiano italiano che produce le bici in acciaio tanto apprezzate nel mondo.